Italia – Don Tadeusz Rozmus insediato come nuovo Direttore della casa di Castel Gandolfo, dipendente dal Rettor Maggiore

Dall’agenzia salesiana ANS.

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(ANS – Castel Gandolfo) – È stato direttamente il Rettor Maggiore, Don Ángel Fernández Artime, a presiedere, durante i vespri di mercoledì 1° settembre, l’insediamento del nuovo Direttore dell’opera e della comunità salesiana di Castel Gandolfo, nella persona di don Tadeusz Rozmus, già Consigliere per la Regione Europa Centro e Nord, nel sessennio (2014–2020). E questo perché, a seguito della decisione presa col consenso del Consiglio Generale, l’opera salesiana di Castel Gandolfo è stata incorporata tra le comunità del Rettor Maggiore (RMG), per le quali egli è direttamente responsabile.

Questo insediamento segna pertanto anche il cambio di Ispettoria della comunità di Castel Gandolfo, perché dopo molti anni di cura pastorale da parte Circoscrizione Italia Centrale (ICC), e precedentemente dell’Ispettoria Romana (IRO), la comunità con tutte le sue attività pastorali è passata direttamente sotto il coordinamento delle comunità RMG, per permetter una maggiore e migliore organizzazione di tutte le case che svolgono la loro attività con la Santa Sede: la comunità del Vaticano, la comunità delle catacombe di San Callisto ed ora anche la parrocchia pontificia di Castelgandolfo.

L’atto dell’insediamento si è svolto durante nella Chiesa Pontificia “San Tommaso da Villanova” a Castel Gandolfo, presieduto come detto dal Rettor Maggiore, Don Ángel Fernández Artime, e accompagnato da diversi altri salesiani, tra cui il Vicario del Rettor Maggiore, don Stefano Martoglio, il Superiore della Circoscrizione Italia Centrale (ICC) don Stefano Aspettati, il Direttore della Comunità della Sede Centrale Salesiana, don Jean-Claude Ngoy Wa Kayumba, e altri religiosi delle comunità salesiane.

Prossimamente è previsto l’ingresso di don Rosmuz anche come parroco della parrocchia pontificia di Castel Gandolfo.

Don Tadeusz Rozmus è presente in Italia dal 2006 quando, dopo il suo sessennio come Ispettore di Cracovia (PLS), venne chiamato a Roma dall’allora Rettor Maggiore, Don Pascual Chávez, come Direttore dell’opera salesiana di San Callisto. Successivamente è stato Direttore dell’opera di Perugia e per alcuni anni ha lavorato anche nella Congregazione vaticana per il Clero. Il CG27 lo ha eletto come membro del Consiglio Generale responsabile per la Regione Europa Centro e Nord (2014-2020).

Nell’occasione il Rettor Maggiore ha speso delle parole di ringraziamento anche verso il Direttore uscente, don Enzo Policari, sottolineandone la sua grande generosità ed esperienza come Direttore e Parroco delle comunità salesiane – Roma-Don Bosco, Roma-Borgo Ragazzi Don Bosco, Roma-Sacro Cuore, Civitavecchia e infine Castel Gandolfo – e verso don Aspettati e verso tutti i salesiani che in questi anni hanno lavorato con grande dedizione al servizio di questa parrocchia pontifica.

La celebrazione è stata completata da un momento di condivisione e fraternità.

Don Antonio Carbone saluta Torre Annunziata: “La città del mio cuore”

Da Lo Strillone web.

“Lascio la mia città. Torre Annunziata è nel mio cuore”. Dopo nove anni di lavoro sul territorio in mezzo ai giovani, don Antonio Carbone lascia i salesiani e si trasferisce nella comunità di Foggia. Una presenza costante per il parroco, che ha svolto un lavoro importante con i ragazzi, che anche distanza di tanti anni hanno per lui grani attestati di stima.

Al suo posto arriverà don Gino Cella in quello che è uno scambio tra Torre Annunziata e Foggia. Alla vigilia del suo passaggio in Puglia, il padre salesiano traccia un po’ quello che è stato il bilancio della sua seconda avventura nella città oplontina (la prima dal 2002 al 2006).

Tante sono state le attività per fornire un futuro migliore anche a ragazzi provenienti da realtà difficili nel mondo.

“In questi ultimi 9 anni abbiamo cercato di dare maggiore importanza alla nostra presenza sul territorio attraverso l’apertura della Casa Famiglia Mamma Matildedel pizzoratorio e del centro diurno Casa Valdocco. Bella anche la collaborazione con i vari istituti cittadini per provare a combattere la dispersione scolastica. Ma soprattutto c’è stato un impegno costante nel settore educativo. Significativa anche l’esperienza con il presidio Libera e l’Osservatorio per la Legalità. La presenza dei nostri ragazzi con le maglie rosse delle vittime innocenti di camorra, con l’ultima dedicata a Maurizio Cerrato nel giorno della manifestazione dopo il suo omicidio in via IV Novembre, è stata emozionante”.

Qual è stato il successo che più la gratifica per l’impegno profuso?

“L’apertura del laboratorio per piazzaioli. . Vedere almeno una quindicina di ragazzi che sono impegnati nella ristorazione nel nostro territorio, ma anche fuori, regala enorme soddisfazione. Un ragazzo che ora vive in Francia ci ringraziava per com’è cambiata la sua vita. Il discorso della riscossa lavorativa è quello di cercare anche di creare delle opportunità. L’impegno continuerà con l’associazione Piccoli Passi Grandi Sogni. Per tale motivo, anche se solo per una volta alla settimana, tornerò a Torre Annunziata”.

Vittorie, ma anche sconfitte. Nell’ultimo anno avete dovuto fronteggiare le perdite di due ragazzi come Luigi Caiafa e Vincenzo Arborea.

“Quando si lavora si può anche perdere. Se non lo si fa si perde soltanto. Di sicuro queste situazioni, che hanno avuto anche una grande risonanza, ci hanno rattristato. Ma rafforzano anche i tanti germogli. E’ stupendo per noi vedere tanti ragazzi, che hanno cambiato il loro modo di pensare. Alcuni spacciavano e ora lavorano onestamente”.

Che Torre Annunziata lascia?

“Una città che non è migliorata rispetto a 9 anni fa ed è triste. Tante forze giovani si sono allontanate dai nostri territori ed è brutto. A me il distacco da Torre costa perché sono nato qui nel quartiere Provolera. Malgrado le sue tante contraddizioni è nel mio cuore”.

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Meeting di Rimini, tra gli esempi virtuosi dell’alternanza scuola-lavoro anche Sesto San Giovanni

Dal sito di Tempi.

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di Piero Vietti

È stato il discorso sui giovani di Mario Draghi, un anno fa al Meeting, a ispirare la mostra “Alleanza Scuola Lavoro. Non è mai troppo tardi” promossa dalla Fondazione Costruiamo il Futuro, Fondazione Censis e Fondazione Deloitte e curata da Ubaldo Casotto, in questi giorni nei padiglioni della fiera di Rimini. «Vi è un settore essenziale per la crescita – aveva detto il futuro presidente del Consiglio – dove la visione di lungo periodo deve sposarsi con l’azione immediata: l’istruzione e, più in generale, l’investimento nei giovani».

Di giovani e scuola si riempiono la bocca candidati, politici e governi da sempre, ma come spiegano bene i curatori della mostra, «investire in educazione vuol dire investire nel rapporto tra scuola e lavoro, non sottomettere alle esigenze produttive l’iter educativo». Ecco perché più che di “alternanza” sarebbe meglio parlare di “alleanza” tra questi due mondi. Passiamo la maggior parte della nostra vita a lavorare dopo avere studiato per 10-20 anni, non è concepibile che questo aspetto non c’entri con la nostra formazione. Quest’anno compie quarant’anni la Laborem Exercens, l’enciclica di Giovanni Paolo II che denunciava come la disoccupazione dipende dalla mancanza di rapporto tra il mondo educativo e quello lavorativo. Due mondi che non devono fondersi, ma neppure restare distanti.

La mostra non cede mai alla retorica, non è fatta di belle frasi sull’educazione, racconta fatti, presenta numeri, suggerisce esempi virtuosi e prova a dare idee per il futuro. Se è vero che il lavoro è contribuire al bene comune e cambiare il mondo secondo l’ideale, non può non c’entrare con la formazione scolastica. Secondo gli ultimi dati, in Italia il 49,2 per cento delle imprese non trova i diplomati di cui ha bisogno, e il tasso di occupazione dei diplomati italiani è del 57,8 per cento. Sempre più spesso le aziende formano i lavoratori al loro interno, ed è sempre più significativo il cosiddetto fenomeno dell’overeducation: molti fanno un lavoro in cui non serve quello che hanno studiato.

La storia italiana racconta un depauperamento sempre più evidente della scuola tecnica, con risorse poche e investite male, dirigenti non all’altezza e un pregiudizio storico di tante famiglie che ancora vedono nel liceo il solo tipo di istruzione all’altezza delle aspettative per il figlio. Come individuare allora una strada che funzioni anche in Italia? Innanzitutto andando a vedere dove funziona già.

Il cuore della mostra è un video che racconta quattordici esperienze in cui questa alleanza è già virtuosa ed efficace. Istituti statali e paritari, licei e scuole di formazione professionale, iniziative di privati al nord, al centro e nel sud Italia: quattordici esempi in cui dirigenti e imprenditori hanno deciso di trasformare la scuola in un luogo che forma gli studenti, pensa a percorsi utili a trovare un’occupazione e permette ai ragazzi di capire cosa vogliono fare dopo il diploma.

C’è l’istituto di Costruzioni aeronautiche di Udine che ha mandato gli studenti in una base militare in Germania per studiare aerei e elicotteri, i salesiani di Sesto San Giovanni che grazie al rapporto con tremila aziende del territorio permettono al 98 per cento dei propri diplomati di trovare subito un impiego, la scuola di Palermo dove i dirigenti si sono inventati imprenditori edili per ristrutturare un capannone e costruire aule per tornare in presenza, la Piazza dei Mestieri, realtà nata in una fabbrica dismessa a Torino e dal 2012 a Catania con aule-laboratorio per cucina, estetica, panificazione e termoidraulica.

Non teorie, ma esempi, e una parte finale della mostra in cui dieci protagonisti e studiosi dell’educazione suggeriscono una strada perché quelle quattordici esperienze non siano esempi isolati frutto dell’eroismo di imprenditori e presidi: più autonomia didattica e gestionale agli istituti, permettere ai dirigenti di essere manager e non solo burocrati che applicano circolari ministeriali, selezionare diversamente i docenti, formarli, e approfondire il rapporto con il territorio. Come ricorda l’ultimo pannello che cita don Giussani, l’educazione è introduzione alla realtà totale. Lasciare fuori l’aspetto del lavoro che un diplomato andrà a fare è tagliare fuori un pezzo di realtà.

Sito di Tempi

 

Perché non permettere al cuore di sorridere? Intervista a don Antonio Integlia, in partenza per la Patagonia

Dal sito della Circoscrizione Italia Centrale, l’intervista a don Antonio Integlia, salesiano in partenza per la Patagonia.

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Don Antonio Integlia, un salesiano della nostra ispettoria, è in partenza per la Patagonia, luogo significativo per ogni missionario di don Bosco. Abbiamo deciso di intervistarlo, e lui ha entusiasticamente accolto questo invito a raccontare la genesi della propria vocazione missionaria, radicata in un percorso pluriennale a servizio dei poveri e degli emarginati. Cammino fatto di riscontri concreti, di Dono calato nella realtà difficile del prossimo, che poi si è evoluto in altro, dando il frutto che serbava forse da sempre. La partenza di don Antonio è temporanea, ma solo formalmente: trascorrerà, per ora, un anno sul suolo argentino, allo scopo di imparare la lingua ed integrarsi nel contesto pastorale della zona. Potrà poi partire, propriamente da missionario, nel 2022. Eppure con l’anima è già pronto: io parto, ci dice. E questa importante tappa propedeutica non renderà la sua scelta meno definitiva.

Iniziamo da una domanda di prassi: perché hai deciso di partire? 

Amo questa domanda: quando ci si chiede il perché, si arriva al cuore delle cose. Si scava nell’intimità del proprio essere profondo e nascosto, dove il più è mistero: per questo a tanti perché, per quanto ci si provi, si finisce per non rispondere mai.

E ciò nondimeno è fondamentale porseli: perché partire? La risposta – parziale – che mi sono dato, è che il sogno missionario è sempre stato dentro di me. Ad un certo punto è semplicemente riemerso. Io potrei continuare per tutta la vita a fare quello che faccio: mi rende felice, come un gioco importante che sta riuscendo bene. Ma nel momento in cui penso alla Missione, mi sorride il cuore: sento che si apre un altro mondo, un’altra strada. E che questa strada corrisponde nel profondo a me stesso.

Mi viene in mente quanto si dice nel monologo Novecento: si possono scegliere tutte le strade del mondo, e molte sarebbero strade felici, eppure tra tutte se ne sceglie una. Il motivo è intimo, misterioso, e deriva da questo sorriso interiore che esiste da moltissimo tempo. E che ho semplicemente riscoperto. Perché non permettere al cuore di sorridere?

Prima della scelta missionaria, molto a lungo sei stato membro attivo della comunità salesiana in Italia, inaugurando e curando Centri Diurni, ed altre realtà a servizio dei più poveri ed emarginati. Perché partire proprio ora, dopo tanti anni? Come si relaziona la scelta missionaria con la tua attività passata?

Sono sempre più convinto che l’idea che Dio ha del tempo, il tempo in Dio ed il tempo di Dio, siano completamente diversi dal modo che noi abbiamo di percepirlo, di viverlo. Questo tempo che ci rende prigionieri, e che noi proviamo ad imprigionare. Per Dio, è sempre il momento giusto.

Ed ho la profonda sensazione che proprio adesso, alla mia età, sia il momento giusto per questa mia svolta. Ho la sensazione che Qualcuno mi aspettasse proprio qui. E che tutto ciò che ho fatto in passato sia stato una preparazione a questo momento, che non poteva in alcun modo arrivare prima. Il mio percorso è un susseguirsi di passi che conducono alla scelta presente, e ciò che ho seminato tornerà nella mia esperienza missionaria.

Voglio aggiungere una cosa: per prendere coscienza di quando è il momento giusto, c’è bisogno di qualcuno che sia in grado di recepirlo. Di ascoltare e raccogliere un sogno, non lasciandolo cadere. E tutto l’iter che, come da prassi, ho seguito per esaudire il desiderio missionario, è stato costellato di persone che hanno scelto di non lasciar cadere questa mia disponibilità… fino al Consigliere per le Missioni salesiane, con cui ho scoperto che sarei andato in Argentina: l’idea iniziale era di partire per l’Africa, zona francese, allo scopo di imparare una lingua. E poi è arrivata una proposta diversa: se Papa Francesco ha chiesto di non dimenticare l’Argentina, allora forse quella doveva essere la mia destinazione.

L’Argentina, la Patagonia: l’11 novembre 1875 furono meta della prima spedizione missionaria salesiana. Che significato attribuisci a questa meta?

Lo hai detto anche tu: il significato simbolico di questa meta è enorme. La sensazione è di entrare in un mito, di contribuire, nel piccolo del mio operato, ad una leggenda. Mi riempie di entusiasmo.

Ma oltre questo livello euforico, in profondità, trovo un significato che è più grande ancora: dove l’Argentina è per me un luogo spirituale, più che un luogo fisico. Il luogo che Papa Francesco, che fu vescovo a Buenos Aires, ha definito la fine del mondo. Anche nel passo dell’Ascensione, quando Gesù invia i suoi discepoli in missione, a predicare il Vangelo in tutto il mondo, si congeda con queste parole: « Ecco, io sono con voi tutti i giorni, fino alla fine del mondo. »  (Mt 28,16-20).

La scelta missionaria mi ha fatto leggere quest’espressione in una luce nuova: la possibilità di fare un viaggio alla fine del mondo della mia Anima. Di evangelizzarmi, attuando una conversione anzitutto mia. Scoprendo lati sconosciuti di me stesso, attraverso l’incontro con un contesto per me radicalmente nuovo e periferico.

Ed a questa dimensione personale, interiore, che è ineludibile, se ne aggiunge un’altra su ampia scala: con Papa Francesco, la periferia del mondo è diventata il centro, perché nel suo cuore sono i poveri che abitano quei luoghi e che lo hanno conosciuto, nel suo cuore e nel cuore di Roma. Ed il centro, a sua volta, va in periferia, nei termini della vocazione missionaria. Sento nel mio piccolo di poter essere partecipe di questo scambio fondamentale.

Dai Ricordi consegnati da don Bosco ai partenti: Prendete cura speciale degli ammalati, dei fanciulli, dei vecchi e dei poveri, e guadagnerete la benedizione di Dio e la benevolenza degli uomini. In che modo credi che questo principio potrà ispirare il tuo operato?

Questo principio mi sarà guida, più di tutto, affinché il mio operato sia pratica di Tenerezza. Che è Misericordia, che è maternità. In tutti gli uomini c’è un desiderio di dare e ricevere tenerezza, per essere strumento di quell’Amore più grande che ci salva tutti. Che la tenerezza di don Bosco illumini la mia attività missionaria, allora.

E quali altri punti cardine del carisma salesiano guideranno la tua presenza missionaria?

Li riassumerei nel motto che don Bosco scelse per la nostra Congregazione: « dammi le anime, prenditi il resto ». E tra queste anime c’è anche la mia: la Pace va realizzata anche per sé, per potersi mettere a servizio di quella degli altri. Voglio essere fedele a queste parole di don Bosco lavorando per la piena realizzazione e per la felicità, mia e dunque del prossimo.

Cosa ti aspetti da questa esperienza? Quali pensi che saranno le maggiori fonti di gioia, e le maggiori fonti di difficoltà?

Sono disposto a dare tutto, e mi aspetto tutto: niente di meno che la Pace vera, che una Gioia piena. Al di là delle pulsioni interne ed esterne, essere una persona di pace che dona pace. E che sia una Gioia costruita concretamente, lavorando, vivendola. In primis con i miei confratelli, e poi con la gente.

Mi sono spesso domandato cosa mi potrà mancare, una volta in missione: e l’unica mia sicurezza è che non mi mancherà mai la Gioia. Che altro non è che avere un rapporto costante con Gesù. E quel rapporto, ovunque tu sia, c’è: nessuno può sottrartelo. La mia gioia è la certezza: che Dio non muta, che mi ama e continuerà ad amarmi teneramente. Fonte di Gioia sarà quindi l’esperienza in sé, vissuta in modo totalizzante, mettendo le mani in pasta. Imparando non solo una lingua, ma una cultura, uno stile, e sapendo che lì, in quel mondo periferico, c’è già il Vangelo, vive già Gesù: bisogna solo mettersene in ascolto.

Poi, certo, potrò incontrare delle difficoltà, ma non credo che esistano mai difficoltà più gravi di quelle passate. Sono solo diverse. Tutte le difficoltà che potrebbero sorgere, credo, deriverebbero dalla tentazione di essere apprezzato, valorizzato: di cadere, come amo dire, in una psicologia da principino. Questo è quel che dovrò evitare: non onore, non gloria, come raccomanda don Bosco. Ma mettersi al servizio.

Per finire: qual è il tuo “sogno missionario”?  Quale auspicio rivolgi al futuro sul tema della vocazione missionaria salesiana?

Ho detto che il fondamento dell’esperienza missionaria è mettersi al servizio: ma troppo spesso questo principio viene frainteso, traviato nell’atteggiamento remissivo di chi lavori per dovere. Io voglio che venga inteso in modo diverso.

Nella celebre storia dell’innalzamento dell’obelisco in piazza San Pietro, un marinaio ebbe il coraggio di gridare “acqua alle funi!”, per scongiurare il disastroso incendio. Credo che, per la vocazione missionaria, possa valere l’opposto: che l’incendio sia salvifico, e si debba avere il coraggio di proporlo. Io griderei: “fuoco al carisma!”. Che il carisma possa essere incendiato, che sia incontenibile quanto un vulcano. Emanando gioia, entusiasmo, energia.

Al di là dell’immagine, nel profondo, quest’auspicio porta a credere che davvero lo Spirito può far nuove tutte le cose. E ad avere quindi il coraggio della novità, di alzare l’ancora e prendere il largo.  Abbandonando il “si è fatto sempre così”, il percorrere solo strade conosciute, che danno sicurezza. In quest’ottica, anch’io, alla mia età, posso fare qualcosa di nuovo.

Alice Picchiarelli

Guarda il sito della ICC

 

Intervista a don Antonio Carbone: “Partendo dall’incontro personale, cerchiamo di dare speranza ai giovani”

Don Antonio Carbone, salesiano e nuovo direttore della casa di Foggia, racconta la sua esperienza con l’associazione “Piccoli passi grandi sogni” con la quale gestisce case di accoglienza per ragazzi in difficoltà nell’intervista durante la trasmissione “Un caffè con…” in onda su Rete7.
“Io spesso mi chiedo chi me lo fa fare a tenere un carro che sta per precipitare…io sono convinto che al termine della nostra vita le domande che il Signore ci farà sono: avevo fame e mi avete dato da mangiare, ero forestiero e mi avete accolto, ero carcerato e siete venuti a trovarmi. Questo brano di Matteo è  un punto di riferimento costante che al mattino mi dà la forza di continuare questa battaglia, sarebbe bello farla tutti insieme e vedere i risultati. Ma sappiamo che il Signore guarda le intenzioni e quel poco di bene che cerchiamo di metterci nel fare le cose”. 

Guarda tutta l’intervista:

 

L’estate dell’Italia Centrale: campi e momenti insieme per riscoprire l'”essere casa”

Dopo lo stop dello scorso anno, quest’estate sono tornati i campi di formazione dei giovani del MGS dell’Italia Centrale. Siamo partiti a giugno con il Campo Base: per la prima volta in sei diversi luoghi sul territorio dell’Italia centrale si sono svolti in contemporanea sei campi base, con i ragazzi di terza e quarta superiore. A Torino e dintorni si è svolto il campo Bosco, in cui una quarantina di ragazzi di quinta superiore, divisi in due gruppi, hanno potuto visitare i luoghi principali legati alla vita di don Bosco e di madre Mazzarello. Il Campo Bivio, l’ultimo campo di formazione, si è svolto a La Spezia, eccezionalmente con i ragazzi del primo anno di università che dovevano completare il loro percorso interrotto dalla pandemia. Infine a Loreto si è svolto il campo Biblico, campo di formazione permanente per universitari e lavoratori che quest’anno ha messo a tema l’ “essere casa”, vissuto in ottica evangelica e salesiana. Ancora in corso invece è l’esperienza missionaria, che per ragioni legate al Covid non si è svolta all’estero ma in Italia, a Tocco da Casauria, in provincia di Pescara.
Nelle singole case sono ripartite tutte le attività estive, nei limiti delle normative sanitarie vigenti.

Dal Redentore di Bari a Salesiani per il Sociale: don Francesco Preite racconta la sua esperienza di “chiesa in uscita”

Nella consueta trasmissione “Un caffè con…” in onda ogni giorno sul canale satellitare Rete 7 e condotta da don Moreno Filipetto, è stato intervistato don Francesco Preite, nuovo presidente di Salesiani per il Sociale APS e direttore dell’istituto salesiani di Bari Redentore, opera che lascerà a settembre dopo dieci anni.

Un’opera, racconta don Francesco nell’intervista, “fondata da don Rua nel 1905” e si trova nel quartiere Libertà a Bari, “Città bella, turistica, ricca di arte e cultura, di storia, famosa per la devozione a san Nicola. Il quartiere in cui sorge l’opera salesiana è una periferia sociale, non geografica, perché si trova a pochi chilometri da centro. Ha tre primati: è il quartiere più giovanile della città, con tantissime giovani coppie, che per la nostra missione educativa è un aspetto importante; è il  più multietnico della città, con un’alta percentuale di pakistani, bengalesi, che ci ha fatto cambiare l’approccio educativo, facendolo diventare più aperto, ed è un’esperienza bellissima anche per il terzo primato, che è quello di avere il più alto numero di minori sottoposti a procedimenti penali della Puglia. Questo sta a dire che il disagio e la difficoltà che molto spesso si incontrano nell’educare e nel vivere il territorio”.

Dieci anni di presenza a Bari permettono a don Francesco di tracciare una linea e guardare il percorso fatto: “I primati del quartiere e i rapporti della DIA raccontano la presenza di due clan attivi nel quartiere, e questo rovina un po’ il quartiere che di base è generoso, accogliente. La disoccupazione giovanile molto forte è il terreno fertile per la criminalità e il lavoro educativo iniziato dieci anni fa, con i laici e i giovani animatori, si è basato su azioni di educazione e prevenzione. Oggi questo percorso ha portato a un oratorio aperto, che lavora in rete con le associazioni e le istituzioni. In questi territori un po’ inquinati serve scegliere da che parte stare, e abbiamo preferito coinvolgere le associazioni, le persone disponibili e le istituzioni per aiutarci nella progettualità educativa dell’oratorio. Nel 2015 abbiamo aperto una comunità educativa per minori, chiamata “16 agosto”, perché nata nel giorno del bicentanario della nascita di Don Bosco. Successivamente abbiamo aperto un centro socio educativo diurno con una cooperativa sociale per minori a rischio, e oggi è attiva nella nostra opera con l’associazione “Piccoli passi Grandi sogni”. Abbiamo rinnovato la formazione professionale, rivolgendoci ai ragazzi che sono in abbandono scolastico: accogliamo chi esce dal circuito scolastico e offriamo loro l’opportunità di diventare elettricista, meccanico. Stiamo attivando il laboratorio di panetteria e pizzeria, per dare un’altra opportunità ai giovani. Abbiamo capito che questi ragazzi hanno l’intelligenza delle mani e dobbiamo avviarli al lavoro che non è solo retribuzione economica, ma anche dignità personale”.

Ancora, “abbiamo attivato una biblioteca di quartiere, in collaborazione con le scuole del territorio. Il social pub, che dopo tre anni si è evoluto in un bistro multietnico grazie a un’associazione che si occupa di integrazione. Siamo passati da un fortino inespugnabile a un ospedale da campo, incarnando una chiesa in uscita“.

La porta della chiesa del Redentore si apre sulla piazza del quartiere: “La piazza è una opportunità, permette l’incontro di tante culture, passeggiando balza agli occhi la multiculturalità. Si tratta di un osservatorio privilegiato per studiare i percorsi educativi, di accoglienza e di innovazione sociale. La piazza è un problema quando non c’è cura, sarebbe più facile mettere un cancello: invece abbiamo coinvolto le istituzioni per prendersi cura dei luoghi pubblici perché si possa crescere insieme”.

E per ultimo, uno sguardo al futuro del Redentore. Cosa vede don Francesco in questo domani? “L’educativa di strada sarà importante nei prossimi anni, perché il lavoro oltre il nostro istituto permette di preparare i ragazzi all’inserimento nei percorsi di formazione professionale, nei progetti dell’oratorio. La pandemia ha accentuato situazioni di disagio che già esistevano, e quindi dovremo lavorare su questo aspetto. I ragazzi hanno bisogno di ascolto, noi facciamo tantissime attività ma i ragazzi si sentono insignificanti rispetto a una società che punta sul profitto, i giovani più fragili rischiano di più. Ti chiedono di essere accompagnamenti, sia spiritualmente, sia nel loro percorso di formazione professionale, di imprenditoria giovanile. Tutto parte dall’ascolto: c’è un grande desiderio di gioia e di vivere. i ragazzi vanno accompagnati“.

Calendari Nazionali 2021/2022

Resta aggiornato con i calendari di Salesiani Italia.

Giffoni 50Plus – Premio CGS “Percorsi Creativi” 2021

La giuria C.G.S. – Cinecircoli Giovanili Socioculturali, costituita dai ragazzi e giovani degli hub di Civitavecchia (+13), Alassio, Ancona, Taranto (+16) e Cagliari (+18) ha assegnato il premio PERCORSI CREATIVI 2021 (XIV edizione):

 per la sezione GENERATOR +13, al film VACARME di Neegan Trudel

“Perché mette in luce l’impossibilità di crescere serenamente in un ambiente familiare problematico e senza affetto, con una madre vittima della propria insoddisfazione e della solitudine, che non riesce a contenere la rabbia della protagonista, la tredicenne Emilie. Il film, utilizzando un linguaggio classico, enfatizza, attraverso frequenti primi piani e dettagli su oggetti significativi, l’importanza della scoperta della chitarra, alla quale la protagonista si aggrappa nei momenti di maggiore tensione, unica via di uscita e possibilità di riscatto. La presenza costante della neve sembra voler coprire disagi e conflitti, in un racconto fluido e significativo per la tematica a carattere educativo”.

 per la sezione GENERATOR +16 al film THE FAM (LA MIF) di Fred Baillif

“Perché offre un punto di vista non solo realistico e problematico sulla MIF, ma anche ricco di opportunità di costruire relazioni basate sulla scelta del prendersi cura dell’altro, al di là dei legami di sangue. Il complesso lavoro di regia, che ha scelto una struttura narrativa in prevalenza non lineare, con capitoli ‘ad incastro’, consente al racconto di gestire in modo originale i piani temporali, svelando allo spettatore in maniera graduale le fragilità dei protagonisti. L’ibridazione tra Fiction e Documentario è valorizzata dal coinvolgimento delle ragazze, che restituiscono reali storie di vita ben costruite nella sceneggiatura del regista.”

per la sezione GENERATOR +18 al film NINJABABY di Yngvild Sve Flikke

“Perché tocca tematiche attuali e giovanili, affrontando un tema delicato con profondità e leggerezza, senza cadere in giudizi morali, esaltando l’individualità dei personaggi e il loro modo di misurarsi con le scelte cruciali della vita. La narrazione è resa fresca e originale dall’uso dell’animazione, elemento caratterizzante dell’opera, attraverso cui emergono i conflitti e l’interiorità creativa della protagonista. Ciò permette di coinvolgere un pubblico eterogeneo, favorendo l’immedesimazione dello spettatore. L’uso sapiente delle inquadrature e della fotografia, della scenografia, dei costumi e della colonna sonora scandisce il percorso di crescita di Rakel e l’evoluzione dei personaggi”.

 

 

 

“Siamo noi Don Bosco”, da oggi l’intero album su Spotify, iniziativa di Salesiani per il sociale con la IME

In occasione del periodo estivo in cui oratori, centri giovanili, comunità educative, vivono in tutta Italia diverse esperienze ricreative e di svago, Salesiani per il sociale APS in collaborazione con l’ufficio Comunicazione sociale dei Salesiani dell’Italia meridionale, rende disponibile sulla piattaforma di streaming musicale Spotify l’intero album “Siamo noi Don Bosco”.

Un progetto musicale nato nel 2015 dai giovani dell’Ispettoria salesiana meridionale che, in occasione del bicentenario della nascita di Don Bosco, hanno voluto reinterpretare in chiave moderna alcuni brani della tradizione salesiana. Un viaggio continuato in questi anni e diventata colonna sonora di estati ragazzi, campi scuola e ritiri spirituali, grazie al mix di generi musicali adottati (il pop, il blues, il reggae, la bossa nova, il rock) nel ri-arrangiamento dei brani storici come “Verdi le tue valli” a quelli più contemporanei come “Basta che siate giovani”.

A 6 anni dalla pubblicazione di “Siamo noi Don Bosco”, Salesiani per il sociale APS rende fruibili gratuitamente tutti i brani dell’album sulla piattaforma di streaming Spotify, tra le più utilizzate dagli utenti che ascoltano musica online. Le nove tracce sono accompagnate anche dall’inedito “You’re in me, Don Bosco”, l’inno del bicentenario adattato in lingua inglese.

Per Don Bosco la musica è un canale comunicativo ed educativo privilegiato, tanto da affermare che «un oratorio senza musica è un corpo senza anima». La musica è anima, è vita, è fantasia, la musica è giovane. Ed è mezzo per stringere relazioni anche con quei giovani che dalla vita hanno avuto di meno e che Salesiani per il sociale APS , grazie ai suoi 116 enti associati, raggiunge ogni anno, garantendo loro accoglienza, educazione, formazione e inserimento lavorativo. Nel 2020, l’anno del Covid19, sono stati oltre 150 gli interventi educativi realizzati in tutta Italia, attraverso i quali l’associazione ha raggiunto 97.740 minori e giovani in situazioni di vulnerabilità sociale, povertà materiale e educativa, insieme alle loro famiglie.

Energia, professionalità, amore per Don Bosco, sono gli ingredienti che hanno dato vita a questo progetto musicale realizzato dai giovani del Movimento Giovanile Salesiano, e sono gli stessi valori che ogni giorno mettono in pratica gli educatori, operatori, professionisti e volontari che operano all’interno della rete di Salesiani per il sociale APS. Con un’unica missione: garantire a tutti i bambini e giovani, stessi diritti e stesse opportunità.

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