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Il sogno della pace. La GMG di Lisbona, profezia di fraternità universale

Dalla newsletter di Note di Pastorale Giovanile di novembre.

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di don Rossano Sala

Un nuovo inizio

La Giornata Mondiale della Gioventù di Lisbona ha segnato una vera e propria ripartenza dopo la drammatica esperienza della pandemia. Si respirava una certa tensione ecclesiale rispetto alla riuscita di questo incontro mondiale. Gli organizzatori erano realmente preoccupati. Alcuni pensavano che dopo la pandemia sarebbe finito il tempo dei grandi raduni internazionali, altri invece immaginavano una presenza molto ridotta di giovani. La Chiesa invece ha scommesso di nuovo sui giovani e ancora una volta ha avuto ragione! E dopo questo evento l’aria è finalmente cambiata, come ha ben commentato papa Francesco qualche giorno dopo il termine degli eventi:

Questa GMG di Lisbona, venuta dopo la pandemia, è stata sentita da tutti come dono di Dio che ha rimesso in movimento i cuori e i passi dei giovani, tanti giovani da tutte le parti del mondo – tanti! – per andare a incontrarsi e incontrare Gesù.
La pandemia, lo sappiamo bene, ha inciso pesantemente sui comportamenti sociali: l’isolamento è degenerato spesso in chiusura, e i giovani ne hanno risentito in modo particolare. Con questa Giornata Mondiale della Gioventù, Dio ha dato una “spinta” in senso contrario: essa ha segnato un nuovo inizio del grande pellegrinaggio dei giovani attraverso i continenti, nel nome di Gesù Cristo. E non è un caso che sia accaduto a Lisbona, una città affacciata sull’oceano, città-simbolo delle grandi esplorazioni via mare[1].

Un nuovo inizio, dunque, che ha invertito la rotta. Speriamo che lo sia anche per la pastorale giovanile e la Chiesa in Italia. Non è poco aver accompagnato 65.000 giovani italiani a Lisbona. Significa aver messo da parte un certo “tesoretto” da far ora fruttificare nella vita quotidiana, nei nostri ambienti ecclesiali e nella società tutta. Si può ripartire prendendo sul serio il “mandato” che Francesco ha consegnato a tutti i giovani nel giorno della trasfigurazione del Signore, ultimo della GMG di Lisbona:

«Signore, è bello per noi essere qui!» (Mt 17,4). Queste parole, che disse l’apostolo Pietro a Gesù sul monte della Trasfigurazione, vogliamo farle anche nostre dopo questi giorni intensi. È bello quanto stiamo sperimentando con Gesù, ciò che abbiamo vissuto insieme, ed è bello come abbiamo pregato, con tanta gioia del cuore. Allora possiamo chiederci: cosa portiamo con noi ritornando alla vita quotidiana?
La prima: brillare. Gesù si trasfigura. Il Vangelo dice: «Il suo volto brillò come il sole» (Mt 17,2). […] Il nostro Dio illumina. Illumina il nostro sguardo, illumina il nostro cuore, illumina la nostra mente, illumina il nostro desiderio di fare qualcosa nella vita. Sempre con la luce del Signore.
Il secondo verbo è ascoltare. Sul monte, una nube luminosa copre i discepoli. E questa nube, dalla quale parla il Padre, che cosa dice? «Ascoltatelo», «questi è il Figlio mio prediletto, ascoltatelo» (Mt 17,5). È tutto qui: tutto quello che c’è da fare nella vita sta in questa parola: ascoltatelo. Ascoltare Gesù. Tutto il segreto sta qui. Ascolta che cosa ti dice Gesù.
Brillare è la prima parola, siate luminosi; ascoltare, per non sbagliare strada; e infine la terza parola: non avere paura. Non abbiate paura. Una parola che nella Bibbia si ripete tanto, nei Vangeli: “non abbiate paura”. Queste furono le ultime parole che nel momento della Trasfigurazione Gesù disse ai discepoli: «Non temete» (Mt 17,7)[2].

Brillare, ascoltare e non avere paura. Un piccolo ma prezioso programma non solo per tutti i giovani, ma per la Chiesa nel suo insieme. Diventa un compito chiaro, un manifesto da prendere sul serio, una prospettiva attorno a cui creare coinvolgimento e corresponsabilità tra giovani e adulti.

Un messaggio chiaro

Per chi ha vissuto una delle tante GMG degli ultimi decenni, sa che questo evento è un’esperienza di fratellanza universale più unica che rara. Effettivamente trovare tante nazionalità così diverse che vivono insieme in un clima di festa e di comunione è praticamente quasi impossibile. La GMG è un’esperienza di pace universale, un momento magico in cui si prende atto che la convivenza pacifica dei popoli è una possibilità reale. Effettivamente,

mentre in Ucraina e in altri luoghi del mondo si combatte, e mentre in certe sale nascoste si pianifica la guerra – è brutto questo, si pianifica la guerra! –, la GMG ha mostrato a tutti che è possibile un altro mondo: un mondo di fratelli e sorelle, dove le bandiere di tutti i popoli sventolano insieme, una accanto all’altra, senza odio, senza paura, senza chiusure, senza armi! Il messaggio dei giovani è stato chiaro: lo ascolteranno i “grandi della terra”? Mi domando, ascolteranno questo entusiasmo giovanile che vuole pace? È una parabola per il nostro tempo, e ancora oggi Gesù dice: “Chi ha orecchie, ascolti! Chi ha occhi, guardi!”. Speriamo che tutto il mondo ascolti questa Giornata della Gioventù e guardi questa bellezza dei giovani andando avanti[3].

I giovani desiderano la pace. Lo hanno detto chiaramente con la loro presenza pacifica e gioiosa per tutti i giorni della GMG. Lo ribadiscono continuamente quando si parla con loro e quando è data loro con serietà la parola.
Lisbona, è stato detto varie volte durante i giovani della GMG, è una città che per sua natura è legata alla ricerca della pace e all’unione tra i popoli. Durante l’incontro con le autorità, con la società civile e con il corpo diplomatico Francesco è stato oltremodo esplicito e diretto sull’argomento della guerra e della pace. Direi perfino provocatorio e profetico. Conviene risentire alcuni passaggi per intero:

Lisbona può suggerire un cambio di passo. Qui nel 2007 è stato firmato l’omonimo Trattato di riforma dell’Unione Europea. Esso afferma che «l’Unione si prefigge di promuovere la pace, i suoi valori e il benessere dei suoi popoli» (Trattato di Lisbona che modifica il Trattato sull’Unione Europea e il Trattato che istituisce la Comunità europea, art. 1,4/2.1); ma va oltre, asserendo che «nelle relazioni con il resto del mondo […] contribuisce alla pace, alla sicurezza, allo sviluppo sostenibile della Terra, alla solidarietà e al rispetto reciproco tra i popoli, al commercio libero ed equo, all’eliminazione della povertà e alla tutela dei diritti umani» (art. 1,4/2.5).
Nell’oceano della storia, stiamo navigando in un frangente tempestoso e si avverte la mancanza di rotte coraggiose di pace. Guardando con accorato affetto all’Europa, nello spirito di dialogo che la caratterizza, verrebbe da chiederle: verso dove navighi, se non offri percorsi di pace, vie creative per porre fine alla guerra in Ucraina e ai tanti conflitti che insanguinano il mondo? E ancora, allargando il campo: quale rotta segui, Occidente? La tua tecnologia, che ha segnato il progresso e globalizzato il mondo, da sola non basta; tanto meno bastano le armi più sofisticate, che non rappresentano investimenti per il futuro, ma impoverimenti del vero capitale umano, quello dell’educazione, della sanità, dello stato sociale.
Lisbona, abbracciata dall’oceano, ci dà però motivo di sperare, è città della speranza. Un oceano di giovani si sta riversando in quest’accogliente città; e io vorrei ringraziare per il grande lavoro e il generoso impegno profusi dal Portogallo per ospitare un evento così complesso da gestire, ma fecondo di speranza. Come si dice da queste parti: «Accanto ai giovani, uno non invecchia». Giovani provenienti da tutto il mondo, che coltivano i desideri dell’unità, della pace e della fraternità, giovani che sognano ci provocano a realizzare i loro sogni di bene. Non sono nelle strade a gridare rabbia, ma a condividere la speranza del Vangelo, la speranza della vita.
Com’è bello riscoprirci fratelli e sorelle, lavorare per il bene comune lasciando alle spalle contrasti e diversità di vedute! Anche qui ci sono d’esempio i giovani che, con il loro grido di pace e la loro voglia di vita, ci portano ad abbattere i rigidi steccati di appartenenza eretti in nome di opinioni e credo diversi[4].

Un grande monito per il mondo degli adulti e dei politici dell’Europa e dell’Occidente a prendere sul serio ciò che dicono a parole e che poi raramente si concretizza nei fatti. Speriamo che non sia inascoltato, ma inneschi un percorso serio e consapevole che ci faccia cambiare rotta.

Dall’agonia al parto

Incontrando i giovani universitari presso l’Università cattolica del Portogallo Francesco ha chiesto di non pensare a questo tempo come a qualcosa di bloccato e incontrovertibile, come fosse legato ad un ineludibile destino di violenza, guerra e morte. Ha chiesto addirittura di interpretare i tempi difficili che stiamo vivendo in modo diverso. Non come percorso a senso unico, ma come sofferenza che potrà dare nuova vita al mondo. Pensiero ardito, il suo:

Amici, permettetemi di dirvi: cercate e rischiate, cercate e rischiate. In questo frangente storico le sfide sono enormi, gemiti dolorosi. Stiamo vedendo una terza guerra mondiale a pezzi. Ma abbracciamo il rischio di pensare che non siamo in un’agonia, bensì in un parto; non alla fine, ma all’inizio di un grande spettacolo. Ci vuole coraggio per pensare questo. Siate dunque protagonisti di una “nuova coreografia” che metta al centro la persona umana, siate coreografi della danza della vita[5].

Viene ripreso in filigrana il pensiero di Gesù nel vangelo di Giovanni, quando afferma che la vita nuova passa attraverso la sofferenza, come nel parto:

La donna, quando partorisce, è nel dolore, perché è venuta la sua ora; ma, quando ha dato alla luce il bambino, non si ricorda più della sofferenza, per la gioia che è venuto al mondo un uomo. Così anche voi, ora, siete nel dolore; ma vi vedrò di nuovo e il vostro cuore si rallegrerà e nessuno potrà togliervi la vostra gioia[6].

Gesù parla della croce, della sua sofferenza offerta per la vita del mondo, come di un parto che dona vita piena al mondo nuovo che si sta affacciando. Proprio nel momento massimo dello sconforto offre ai discepoli una diversa interpretazione della sua morte. È un ribaltamento a cui non sono ancora pronti, ma a cui dovranno aderire, riconoscendo come la più grande catastrofe della storia diventerà radice di una pace e di una gioia che non avranno confini, perché «egli è la nostra pace, colui che di due ha fatto una cosa sola, abbattendo il muro di separazione che li divideva, cioè l’inimicizia, per mezzo della sua carne»[7].
Con questo spirito costruttivo Francesco sfida i giovani: «Abbiate perciò il coraggio di sostituire le paure coi sogni. Sostituite le paure coi sogni: non siate amministratori di paure, ma imprenditori di sogni!»[8]. Certo, perché dove i discepoli erano certi che tutto era andato perduto, Gesù dirà che tutto è stato compiuto: la sua morte sarà fonte di vita piena e abbondante per tutti, nessuno escluso.
Se ci pensiamo bene, il primo “imprenditore di sogni” è proprio Francesco, che ancora una volta ci stupisce per la giovinezza del suo pensiero e della sua proposta. Proprio nel momento conclusivo della GMG ci consegna con commozione il suo grande sogno per questo mondo tanto amato da Dio e tanto lacerato dagli uomini:

In particolare, accompagniamo con l’affetto e la preghiera coloro che non sono potuti venire a causa di conflitti e di guerre. Nel mondo sono tante le guerre, sono molti i conflitti. Pensando a questo continente, provo grande dolore per la cara Ucraina, che continua a soffrire molto. Amici, permettete anche a me, ormai vecchio, di condividere con voi giovani un sogno che porto dentro: è il sogno della pace, il sogno di giovani che pregano per la pace, vivono in pace e costruiscono un avvenire di pace. Attraverso l’Angelus mettiamo nelle mani di Maria, Regina della pace, il futuro dell’umanità.
E, tornando a casa, continuate a pregare per la pace. Voi siete un segno di pace per il mondo, una testimonianza di come le diverse nazionalità, le lingue, le storie possono unire anziché dividere. Siete speranza di un mondo diverso. Grazie di questo. Avanti![9]

Si sogna la pace, si prega per la pace. Proprio in Portogallo, dove la Madonna è apparsa a tre piccoli pastorelli rivelando misteri di guerra e di pace nel mondo moderno e contemporaneo. Mai come oggi il messaggio e le profezie di Fatima è così attuale.
Proprio lì, in questo piccolo e periferico borgo ai confini dell’Europa, nel silenzio adorante e nella preghiera perseverante, il successore di Pietro ha chiesto con insistenza il dono della pace: «Ho pregato, ho pregato. Ho pregato la Madonna e ho pregato per la pace. Non ho fatto pubblicità. Ma ho pregato. E dobbiamo continuamente ripetere questa preghiera per la pace. Lei nella prima guerra mondiale aveva chiesto questo. E io questa volta l’ho chiesto alla Madonna. E ho pregato. Non ho fatto pubblicità»[10].

I diversi testi legati al tema della pace citati sopra e ripresi dalla recente Giornata Mondiale della Gioventù di Lisbona ci sembrano un’ottima introduzione all’articolato e ricco Dossier che segue, dove in molti modi vengono declinati i linguaggi e le pratiche della pace, che così appaiono possibili e realizzabili. Esso vuole essere una grande spinta a diventare in ogni occasione degli operatori di pace nel proprio contesto di azione civile ed ecclesiale, così da essere riconosciuti come amici e familiari di Dio: «Beati gli operatori di pace, perché saranno chiamati figli di Dio»[11]. Che il sogno della pace diventi sempre più una realtà concreta e sperimentabile per tutti i giovani, nessuno escluso. E per tutta la Chiesa e la società. Il mondo ne ha davvero bisogno, soprattutto in questo tempo.
Un grande ringraziamento per la tessitura del presente Dossier va a Renato Cursi, da anni membro attivo e propositivo della redazione di NPG, che con competenza ed eleganza sempre accompagna la nostra rivista in molti modi apprezzati dai lettori. La sua esperienza salesiana internazionale, oltre che la sua competenza specifica nell’ambito delle istituzioni di pace, ne fanno una vera ricchezza per noi tutti. Il suo lavoro quotidiano all’interno del mondo sociale in ottica salesiana rimane una garanzia di concretezza e sensibilità per i giovani, soprattutto per i più poveri e abbandonati.

NOTE

[1] Francesco, Udienza generale del 9 agosto 2023.
[2] Francesco, Omelia del 6 agosto 2023.
[3] Francesco, Udienza generale del 9 agosto 2023.
[4] Francesco, Discorso alle autorità, alla società civile e al corpo diplomatico del 2 agosto 2023.
[5] Francesco, Incontro con i giovani universitari, 3 agosto 2023.
[6] Gv 16,21-22.
[7] Ef 2,14.
[8] Francesco, Incontro con i giovani universitari, 3 agosto 2023.
[9] Francesco, Angelus del 6 agosto 2023.
[10] Francesco, Conferenza stampa del santo padre durante il volo di ritorno del 6 agosto 2023.
[11] Mt 5,9.

Note di Pastorale Giovanile, riunione di redazione e saluto a don Michele Falabretti e don Roberto Dal Molin

Il 26 giugno, nella sede del Centro Nazionale delle Opere Salesiane, si è ritrovata la redazione di Note di Pastorale Giovanile per l’ultimo incontro dell’anno. L’occasione è stata anche quella per salutare don Roberto Dal Molin, prossimo superiore dell’Ispettoria Lombardo-Emiliana e don Michele Falabretti che dopo undici anni termina il suo incarico come direttore del Servizio nazionale di Pastorale Giovanile. Don Rossano Sala, direttore di NPG, ha salutato a nome di tutti don Roberto e don Michele, ringraziandoli per il loro prezioso lavoro.

Don Michele Falabretti ha poi ripercorso gli ultimi dieci anni di pastorale giovanile in Italia. La storia del servizio nazionale di pastorale giovanile, nato nel 1993, quando don Michele è stato ordinato prete, si intreccia con la sua: per un terzo, ne è stato responsabile. E in questi anni, alcune cose sono accadute dentro la Chiesa.

Con la nascita del servizio nazionale di PG, dentro gli orientamenti della Chiesa sulla carità si è segnato un piccolo cambiamento: vista come una cosa di per sé quasi inutile in quel momento, in realtà stava raccogliendo un’istanza del Concilio che in termini pastorali era una svolta molto forte. Il principio dell’educazione che è un principio di semina chiede di lavorare sulla relazione.
I trent’anni del servizio nazionale di PG vanno riletti così: una storia fecondissima, dove non si può non ricordare Don Bosco, la storia del ‘900 con l’azione cattolica che ha strutturato un grande movimento, c’è la nascita dei movimenti e la frammentazione che coltiva altre sensibilità.

Don Michele poi ricorda i suoi predecessori, legati a una stagione diversa della storia della Chiesa e della pastorale: monsignor Sigalini, colui che fa un’operazione di “aratura”; don Paolo Giulietti che ha dato il via alla grande stagione di eventi; don Nicolò Anselmi che arriva subito dopo Verona, tappa che segna un altro passaggio, quando si inizia a parlare di pastorale integrata.

Dopo dieci al servizio della Pastorale Giovanile, don Michele ne traccia le caratteristiche.

Il radicamento capillare sul territorio, dove sono presenti Diocesi e parrocchie anche molto piccole che porta ciascuna realtà a strutturarsi: nel nostro Paese, rispetto ad altri, c’è una sensibilità educativa più pronunciata.

La titolarità della pastorale è dove si vive la comunità, dove si celebra l’Eucaristia. Quando si demanda alla Diocesi si vive poco, si incontrano poco i ragazzi. Anche sul tema della Parola: deve essere “sbriciolata” ogni giorno, altrimenti vivere solo il grande evento è fare un fuoco d’artificio ma portare a casa niente.

Gli eventi lasciano sicuramente relazioni, incontri, momenti in cui si fa esperienza di “corpo”, il tema è poi riuscire a fare verifica, a raccontarsi, a scrivere per far crescere dentro i ragazzi la consapevolezza. Il bisogno del corpo: i giovani vivono relazioni smaterializzate, noi facciamo i manichei davanti ad alcuni eventi. Gli eventi lasciano relazioni, il tema del portare a casa le esperienze e fare verifica, raccontarsi qualcosa e scriverlo.

In questi dieci anni la Chiesa ha messo al centro l’educazione e c’è stato anche un Sinodo dei giovani nel mezzo.  L’educazione messa a tema per 10 anni dalla Chiesa con un sinodo dei giovani nel mezzo, ma con la fatica di dialogare.

Cosa ci chiede oggi la pastorale giovanile: dobbiamo essere credibili per essere testimoni, deve tornare fuori il tema della qualità testimoniale della Chiesa. Una strada è quella dei rapporti intergenerazionali che devono essere sani. Il rapporto intergenerazionale deve essere rivisto perché i giovani ti riportano il respiro per il futuro.

Ci chiede di riappropriarci di un impegno laicale sano: la sensibilità politica è in crisi, ma il tema oggi è quello che i laici possono e devono fare nella società.

Il territorio è cambiato radicalmente con le grandi riforme sociali: chi si è seduto a parlare con le istituzioni era chi aveva attività educative in piedi. Il mondo non funziona con lo schema del “cestino delle offerte”, bensì con le competenze e con l’educazione alla comprensione del mondo.

Infine, l’oratorio. È un luogo unico in Italia. Ha questa grande magia, è un laboratorio dove ci si mette alla prova, dove si fa qualcosa, con un gioco di passaggio dove a un certo punto ti lascio delle responsabilità per fare servizio. Questo meccanismo fa crescere, ma va coltivato.

Questo racconto arriva poi al focus sul futuro. Cosa serve? Servono persone e competenze, le attività devono servire alle persone e non viceversa. Dobbiamo saper fare e saper fare bene. Don Michele ha poi concluso ricordando come, in questi anni, Note di Pastorale Giovanile sia stato un luogo dove “pensare”: “Chi ha costretto a pensare, non solo a fare”.

La discussione assembleare ha poi allargato il ragionamento di partenza, e ciascuno ha potuto mettere l’accento su uno degli aspetti emersi dal discorso di don Michele.

Nel pomeriggio, divisi in gruppi di lavoro, si è proceduto a mettere insieme idee e proposte per gli articoli, i dossier e gli studi da pubblicare sulla rivista nel 2024.

 

Quattro grandi sogni per la pastorale giovanile

Da Note di Pastorale Giovanile.

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di don Rossano Sala

Un approfondimento della proposta pastorale che ci invita a camminare sulla strada dei sogni non può che concludersi con un rilancio della pastorale giovanile. Anch’essa infatti ha i suoi sogni e i suoi incubi, i suoi desideri e le sue incertezze. Nutre speranze e cerca di allontanare paure.
Ripartiamo ancora una volta dal Sinodo sui giovani, anche se sono passati cinque anni da quel momento e tante cose sono accadute nel frattempo: abbiamo avuto la pandemia, che ha bloccato una serena e seria ricezione del Sinodo stesso e da cui stiamo faticosamente uscendo; stiamo vivendo durante questa estate l’esperienza entusiasmante della Giornata Mondiale della Gioventù a Lisbona, che immaginiamo come momento di rilancio della pastorale dei giovani nella Chiesa tutta; siamo nel pieno di un percorso sinodale sulla “sinodalità” che ci accompagnerà per i prossimi anni; ci stiamo anche avvicinando velocemente al grande Giubileo del 2025.
Facciamo dunque insieme qualche passo indietro per prendere una buona rincorsa, così da compiere un bel salto nel futuro. Nello sport funziona così: si va indietro con l’intenzione di andare avanti meglio, prendendo lo slancio giusto e partendo dalla corretta distanza.
Mi pare, sinteticamente, che il cammino sinodale con i giovani ci ha proposto quattro grandi sogni. Potremmo definirli i quattro grandi orientamenti emersi dal Sinodo sui giovani, che ha immaginato la pastorale giovanile:
Sinodale: capace di fare rete e di fare squadra con tutti gli attori in campo sia civili che ecclesiali, giovani compresi, convinta che la comunione è la via privilegiata dell’evangelizzazione
Popolare: in grado di coinvolgere e arrivare a tutti i giovani, nessuno escluso, privilegiando in particolare coloro che sono più svantaggiati e problematici
Vocazionale: qualificata dal punto di vista della proposta spirituale e in grado di offrire identità cristiana ai giovani che desiderano vivere un’amicizia autentica con Gesù nella Chiesa
Missionaria: che sia espressione di una Chiesa adulta e matura che ha smesso di essere autoreferenziale e sa uscire da se stessa per andare incontro a tutti

Sinodale: capace di corresponsabilizzare i giovani

Il primo sogno riguarda la nostra “profezia di fraternità”, che assume oggi la sua declinazione sinodale. Durante il percorso sinodale la domanda iniziale da cui siamo partiti era: “Che cosa dobbiamo fare per i giovani?”. Ma questa domanda pian piano si è trasformata. Dalla concentrazione sul fare organizzativo il percorso sinodale ci ha chiesto di verificarci sui nostri stili relazionali e sulla qualità dei nostri cammini comunitari. Siamo stati sollecitati dai giovani stessi a un passaggio dal fare all’essere e dal “per” al “con”: la nuova domanda è divenuta “Chi siamo chiamati ad essere con i giovani?”.
Con frequenza sono chiamate in causa le comunità e le Chiese locali, invitate a dar vita a processi comunitari che includano i giovani. Più che manuali teorici, servono occasioni in cui mettere a frutto l’ingegno e le capacità dei giovani stessi, ossia un approccio dal basso anziché dall’alto, avendo cura di raccogliere e condividere quelle buone pratiche coronate da successo. Anche per le Chiese questo invito a fidarsi dei giovani contiene una sfida – quello di dare loro la parola – e richiede il coraggio di mettere in discussione ciò che si è sempre fatto. Si tratta, ancora una volta, di rischiare insieme, perché

la pastorale giovanile non può che essere sinodale, vale a dire capace di dar forma a un “camminare insieme” che implica una “valorizzazione dei carismi che lo Spirito dona secondo la vocazione e il ruolo di ciascuno dei membri della Chiesa, attraverso un dinamismo di corresponsabilità. […] Animati da questo spirito, potremo procedere verso una Chiesa partecipativa e corresponsabile, capace di valorizzare la ricchezza della varietà di cui si compone, accogliendo con gratitudine anche l’apporto dei fedeli laici, tra cui giovani e donne, quello della vita consacrata femminile e maschile, e quello di gruppi, associazioni e movimenti. Nessuno deve essere messo o potersi mettere in disparte”[1].

Vi sono dunque delle responsabilità a vari livelli: tutti i giovani, ogni credente, la comunità locale, i movimenti e le congregazioni religiose, ogni singola diocesi. E in tutto questo chi ha responsabilità, e quindi autorità, nella Chiesa e nella società è chiamato in causa. Come è stato ben espresso in vari momenti del cammino sinodale, l’autorità o è generativa o non è: «Nel suo significato etimologico la auctoritas indica la capacità di far crescere; non esprime l’idea di un potere direttivo, ma di una vera forza generativa»[2]. Per questo «esercitare l’autorità diventa assumere la responsabilità di un servizio allo sviluppo e alla liberazione della libertà, non un controllo che tarpa le ali e mantiene incatenate le persone»[3]. La delusione istituzionale è uno dei tratti emersi nel cammino di ascolto di preparazione al Sinodo. Sappiamo persino del fallimento della stessa autorità degli adulti e dei pastori nella triste vicenda degli abusi, più volte richiamata durante l’Assemblea sinodale.
Ora l’autorità della Chiesa, a tutti i suoi livelli, si trova davanti a una chance di tutto rispetto: quella di prendere iniziativa, di invitare tutti a mettersi in gioco, di aprire spazi di confronto e di protagonismo, di creare le condizioni per una Chiesa sinodale e solidale, caratterizzata da un modo di vivere e lavorare insieme che sia davvero profetico per se stessa e per la società in cui vive. Il Sinodo, in fondo, ci ha consegnato proprio questo quando ha parlato di sinodalità. Cioè il fatto che non si possa più fare pastorale senza i giovani!

Dall’idea di “sinodalità” viene per noi una prima importante domanda: i giovani per noi sono un “problema da risolvere” o una “risorsa da coinvolgere”? Dalla risposta onesta a questo interrogativo nascerà un orientamento preciso per rinnovare la pastorale giovanile

Popolare: desiderosa di non lasciare indietro nessuno

Il soggetto fondamentale della fede è il popolo, dentro cui ci siamo noi come singoli, giovani compresi. Questa è la Chiesa secondo il Concilio Vaticano II, che pone il primato del popolo di Dio rispetto ai diversi stati di vita e alle differenti ministerialità. Lo stiamo riscoprendo in questi anni con papa Francesco. Il tutto ci riporta verso la “teologia del popolo di Dio”, che in America Latina è stata sviluppata negli ultimi cinquant’anni. La tesi fondamentale è tanto semplice quanto rivoluzionaria: il popolo, prima che destinatario dell’opera dei pastori, è depositario della grazia che salva. Convinzione che, se presa sul serio, rovescia moltissime delle nostre certezze e posizioni! E che apre il campo ad una pastorale giovanile popolare:

Oltre al consueto lavoro pastorale che realizzano le parrocchie e i movimenti, secondo determinati schemi, è molto importante dare spazio a una “pastorale giovanile popolare”, che ha un altro stile, altri tempi, un altro ritmo, un’altra metodologia. Consiste in una pastorale più ampia e flessibile che stimoli, nei diversi luoghi in cui si muovono concretamente i giovani, quelle guide naturali e quei carismi che lo Spirito Santo ha già seminato tra loro. Si tratta prima di tutto di non porre tanti ostacoli, norme, controlli e inquadramenti obbligatori a quei giovani credenti che sono leader naturali nei quartieri e nei diversi ambienti. Dobbiamo limitarci ad accompagnarli e stimolarli, confidando un po’ di più nella fantasia dello Spirito Santo che agisce come vuole[4].

Una pastorale giovanile popolare è per sua natura “anti-elitaria” – cioè inclusiva di tutti i membri del popolo di Dio che invita ad avere ambienti di accoglienza “a bassa soglia” – ed anche in un certo senso “spontanea” – cioè capace di lasciare l’iniziativa ai giovani, certi che lo Spirito di Dio è presente e agisce in loro. È una pastorale giovanile che sa camminare lentamente e che intende non lasciare indietro nessuno: la profezia sta qui nell’attenzione a non abbandonare i giovani ai margini, a farsi accanto a ciascuno nello stile del buon samaritano.
La capacità di inclusione è la chiave della proposta pastorale avanzata in alcuni passaggi interessanti della Christus vivit e ridimensiona una spinta esagerata per la trasmissione teorica di verità dottrinali che non toccano la vita dei giovani. Le comunità cristiane sono così invitate a offrire spazi di accoglienza senza troppe barriere, e alle scuole cattoliche è chiesto di non trasformarsi in bunker a difesa dagli errori della cultura esterna, impermeabili al cambiamento. Particolarmente stimolanti sono i paragrafi dedicati alla «pastorale giovanile popolare»[5]: partono dal riconoscimento che i luoghi tradizionali della pastorale (oratori, centri giovanili, scuole, associazioni, movimenti) sono in grado di andare incontro alle esigenze di una certa parte del mondo giovanile, ma ne escludono inevitabilmente altre. Quanti professano fedi diverse o si dichiarano non religiosi, e coloro che per tante ragioni sono segnati da dubbi, traumi o errori, faticherebbero a integrarsi nella pastorale ordinaria, ma non per questo hanno meno bisogno di trovare porte aperte e di essere sostenuti a compiere il bene possibile.

Dall’idea di “popolarità” vengono delle domande che si riferiscono al riconoscimento delle diverse situazioni esistenziali dei giovani: quali sono le diverse soglie di accoglienza dei giovani nelle nostre strutture ecclesiali? Abbiamo differenti proposte di accesso alla fede per i giovani? Abbiamo spazi in cui i giovani possano davvero sentirsi protagonisti del loro futuro?

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“Parola ai giovani. I sogni dei giovani per una chiesa solidale”: il 26 maggio a Ruvo di Puglia la presentazione del nuovo libro edito da Elledici di don Luigi Amendolagine

“Parola ai giovani. I sogni dei giovani per una chiesa solidale” è il nuovo libro di don Luigi Amendolagine edito da Elledici che verrà presentato il 26 maggio, alle ore 20, all’oratorio della parrocchia “San Domenico” di Ruvo di Puglia.

Il volume verrà presentato in un incontro moderato dalla dottoressa Maria Luisa Giancaspro, ricercatrice in Psicologia presso l’Università di Bari e durante il quale, con l’autore, dialogheranno don Rossano Sala, professore ordinario di Pastorale Giovanile all’Università Salesiana e Segretario speciale per il sinodo dei Vescovi sul tema “I giovani, la fede e il discernimento vocazionale”, don Gustavo Cavagnari, professore ordinario di Pastorale Giovanile all’Università Salesiana. Le conclusioni dell’incontro saranno a cura di S.E. Mons. Domenico Cornacchia, vescovo di Molfetta-Ruvo-Giovinazzo-Terlizzi.

 

“Tu vedi più lontano di me”: pronto il Quaderno di lavoro MGS 2023/2024

Il Quaderno di Lavoro MGS 2023-2024 è pronto per la stampa. Frutto del lavoro partito con la Consulta MGS del 21-23 ottobre 2022 è proseguito dalla Segreteria Nazionale MGS ed è stato rivisto da diversi Salesiani e Figlie di Maria Ausiliatrice assieme a educatrici/educatori sotto la regia di don Rossano Sala.

I contenuti proposti permettono di vivere in modo pastoralmente promettente l’anno pastorale del secondo centenario del “sogno dei 9 anni” dopo il triennio di preparazione vissuto.

Il Quaderno di lavoro MGS 2023/20243 è indirizzato non solo ai giovani, ma anche alle CEP o Comunità Educanti per la “formazione alla missione”. I destinatari sono: “giovani, animatori, educatori, catechisti, Salesiani di don Bosco e Figlie di Maria Ausiliatrice, membri a diverso titolo della Famiglia Salesiana, docenti, insegnanti e formatori, sacerdoti, consacrati/e, laici e laiche impegnati nella pastorale giovanile”.

Le prenotazioni vanno effettuate tramite i delegati e le consigliere di Pastorale Giovanile entro il 7 maggio. Per quanti vorranno fare ordinazioni, possono scrivere a segretariogeneralecisi@donboscoitalia.it sempre entro domenica 7 maggio.

 

Dai loro frutti li riconoscete. Sulla fecondità vocazionale della pastorale giovanile

Da Note di Pastorale Giovanile di aprile/maggio.

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di don Rossano Sala

Che cosa fa chi fa pastorale giovanile?

Quando penso alla pastorale giovanile come campo di azione e di ricerca ho in mente uno scenario molto ampio: come la pastorale della Chiesa nel suo insieme ha a cuore lo «sviluppo di tutto l’uomo e tutti gli uomini»[1], dobbiamo dire che, all’interno di questa passione dominante, l’orizzonte della pastorale giovanile è quello di avere a cuore “tutto il giovane e tutti i giovani”. Il sogno è quello di un’educazione integrale e integrata che non esclude nulla dal suo raggio d’azione. Di conseguenza, il “modello” di pastorale giovanile che ritengo valido per spiegare al meglio la nostra azione educativa ed evangelizzatrice cerca di armonizzare cinque ambiti di lavoro:[2]
– la promozione umana, che nel contesto delle giovani generazioni prende chiaramente il nome e la declinazione educativa, impegnando la Chiesa a «camminare con i giovani»[3], accompagnandoli amorevolmente nel loro itinerario di vita;
– l’annuncio esplicito, che implica per ciascun giovane «l’incontro vitale con la persona di Gesù Cristo»[4]: attraverso la liturgia, il kerygma e la catechesi ciò avviene anche oggi nella Chiesa;
– la formazione morale della coscienza, perché «la Chiesa, attraverso la catechesi e la pastorale giovanile, si sforza di rendere i giovani capaci e di attrezzarli per discernere tra il bene e il male, di scegliere i valori del Vangelo piuttosto che i valori mondani, e a formare solide convinzioni di fede»;[5]
– la corresponsabilità apostolica con i giovani: la pastorale giovanile si qualifica nel momento in cui è vissuta non solo “per i giovani”, ma “con i giovani”, facendo di loro non dei destinatari passivi della nostra azione pastorale, ma coinvolgendoli in prima persona nell’apostolato come protagonisti della missione;
– la cura della vita spirituale in ottica vocazionale: per essere all’altezza della sua vocazione, la pastorale giovanile deve condurre ogni giovane a riconoscere, accogliere e rispondere alla sua personale vocazione. Questo implica un competente impegno di accompagnamento spirituale in vista del discernimento vocazionale.
Queste cinque attenzioni non vanno separate, ma coltivate insieme, pur rispettandone le diverse originalità. La legge generale che regola l’integrazione di questo orizzonte è quella che tiene insieme gradualità della proposta e integralità dell’annuncio. Si può anche dire che noi, quando facciamo pastorale giovanile come si deve, evangelizziamo educando ed educhiamo evangelizzando.

L’anima vocazionale della pastorale giovanile

Il Dossier di questo mese punta in maniera decisa all’approfondimento dell’ultimo ambito della pastorale giovanile, quello delineato come “cura della vita spirituale in ottica vocazionale”. Ultimo ma non ultimo, perché ne è il seme fecondo e il lievito proprio, oltre che per molti aspetti la sua destinazione naturale. Una pastorale giovanile seria non è nemmeno ipotizzabile senza una chiara uscita vocazionale. Significherebbe – per usare un’immagine che spero sia efficace – avere un albero con radici, tronco, rami, foglie e fiori… ma senza frutti! Per questo la decisione vocazionale è mèta propria e coronamento di tutta l’opera della pastorale giovanile.
La “vocazionalità” della pastorale giovanile è in fondo il segno della sua “fecondità”. Quindi, al contrario, se la pastorale giovanile non inserisce nell’unica vocazione cristiana ad essere discepoli del Signore e nelle sue diverse realizzazioni vocazionali specifiche e personali, semplicemente rimarrà una pastorale sterile, che quindi smarrisce il suo senso autentico. A volte è così, purtroppo, anche perché ad alcuni pare che la questione vocazionale sia perfino estranea alla pastorale giovanile, e che sia invece di competenza di una “pastorale vocazionale” separata e diversa, con personale, teorie e pratiche dedicate a questo “settore” della pastorale generale della Chiesa.
In realtà il Sinodo sui giovani, che tanto ha riflettuto su questo, ha chiesto esplicitamente di pensare ad una “pastorale giovanile in chiave vocazionale”[6] e di svilupparla con coerenza e dedizione. Lo ha ritenuto un orizzonte fondante, oltre che fondamentale. Realizzare questa visione oggi non è per nulla facile, soprattutto in Europa, per molti motivi legati alla cosiddetta “fine della cristianità”[7], alla crisi epocale della Chiesa[8] e ai suoi tanti tentativi di riposizionamento in atto[9]. Tutte istanze che fragilizzano i giovani da tutti i punti di vista, i quali chiaramente faticano a trovare ancoraggi sicuri in un mondo ecclesiale che sta diventando anch’esso piuttosto liquido.
Sta di fatto che le profetiche previsioni dell’allora giovane teologo J. Ratzinger nel lontano 1969 si stanno realizzando: secondo le sue intuizioni di allora la Chiesa del futuro

diventerà più piccola, dovrà ricominciare tutto da capo. Essa non potrà più riempire molti degli edifici che aveva eretto nel periodo della congiuntura alta. Essa, oltre che perdere degli aderenti numericamente, perderà anche molti dei suoi privilegi nella società. Essa si presenterà in modo molto più accentuato di un tempo come la comunità della libera volontà, cui si può accedere solo per il tramite di una decisione[10].

Di certo la “decisione” di cui parlava il futuro Benedetto XVI è – per tutti, giovani e adulti, senza esclusione alcuna – quella vocazionale. Cioè l’intendere la vita umana come un dono immeritato, una chiamata alla gioia della fede, un appello all’appartenenza alla Chiesa e una spinta all’assunzione di responsabilità nel mondo.

 

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Compagni di viaggio, A proposito del carattere “pellegrino” della Chiesa

Da NPG di febbraio.

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di don Rossano Sala

Stiamo entrando nel vivo del Sinodo sulla sinodalità

Nei giorni in cui leggerete questo editoriale si starà svolgendo a Praga l’incontro europeo di consultazione ecclesiale previsto dal cammino sinodale in atto (5-12 febbraio 2023). È uno dei sei incontri previsti a livello continentale per quella che appunto è chiamata la “tappa continentale” del Sinodo sulla sinodalità. Si tratta di far emergere le diverse sensibilità ecclesiali e originalità pastorali dei differenti contesti in cui la Chiesa è incarnata.
A questi incontri seguiranno due momenti a livello di Chiesa universale, così come è stato esplicitato da papa Francesco qualche mese fa:
Il 10 ottobre dell’anno scorso si è aperta la prima fase della XVI Assemblea Generale Ordinaria del Sinodo dei Vescovi, sul tema “Per una Chiesa sinodale: comunione, partecipazione, missione”. Da allora si sta svolgendo nelle Chiese particolari la prima fase del Sinodo, con l’ascolto e il discernimento. I frutti del processo sinodale avviato sono molti, ma perché giungano a piena maturazione è necessario non avere fretta. Pertanto, allo scopo di disporre di un tempo di discernimento più disteso, ho stabilito che questa Assemblea sinodale si svolgerà in due sessioni. La prima dal 4 al 29 ottobre 2023 e la seconda nell’ottobre del 2024. Confido che questa decisione possa favorire la comprensione della sinodalità come dimensione costitutiva della Chiesa, e aiutare tutti a viverla in un cammino di fratelli e sorelle che testimoniano la gioia del Vangelo[1].
Dall’ottobre 2021 fino a metà agosto del 2022 abbiamo vissuto un percorso di ascolto verso tutte le Chiese particolari, che avevano come perno le 114 Conferenze Episcopali del mondo. Un momento in cui tutti hanno potuto partecipare, prendendo la parola e offrendo il loro contributo.
Il rilancio di questa fase di ascolto è avvenuto con la pubblicazione del Documento per la Tappa Continentale (24 ottobre 2022). Leggendolo con attenzione, questo testo non parla né in forma estesa dei giovani né in modo entusiasta della loro partecipazione al processo sinodale in atto. Dice infatti che

è universale la preoccupazione per la scarsa presenza della voce dei giovani nel processo sinodale, così come in modo crescente nella vita della Chiesa. Una rinnovata attenzione per i giovani, la loro formazione e il loro accompagnamento sono un’urgenza, anche in attuazione delle conclusioni del precedente Sinodo su I giovani, la fede e il discernimento vocazionale (2018). In quella occasione furono proprio i giovani a far emergere la necessità di una Chiesa più sinodale in vista della trasmissione della fede oggi[2].

Effettivamente, lo dobbiamo ammettere a quasi cinque anni di distanza, il Sinodo sui giovani è stato un grande momento di convocazione che ha creato entusiasmo e aperto possibilità, ma non ha per ora reso possibile un’autentica svolta nella pastorale giovanile e nell’attenzione ecclesiale verso le giovani generazioni. In gergo giovanile, possiamo dire che “non ha ancora sfondato”. La Chiesa nel suo insieme non è riuscita a mettere pienamente a frutto la “scossa” generata dal cammino compiuto insieme ai giovani.
In Italia abbiamo visto tante Chiese locali mettersi all’opera con sincerità e passione; tanti si sono messi in gioco dando priorità al lavoro pastorale con e per i giovani; alcune regioni ecclesiastiche stanno con creatività mettendo in dialogo i giovani con i loro pastori. Sussiste però ancora una fase di stanchezza e di debolezza. Anche perché davvero i ragazzi, gli adolescenti e i giovani di oggi vivono in un mondo molto diverso rispetto a quello abitato dai loro educatori e pastori. Superare questo vero e proprio gap generazionale non è per nulla facile.
Se poi diamo uno sguardo all’Europa nel suo insieme, ci accorgiamo che le fatiche sono ancora più grandi. Alcune Chiese sono finite in ginocchio durante la pandemia, che ha messo a dura prova perfino la loro sostenibilità e il mantenimento delle strutture ordinarie. La guerra tuttora in corso non promette nulla di buono per nessuno, e per i giovani in maniera specifica tronca le ali verso una visione di futuro positiva e propositiva.

La sinodalità manifesta il carattere pellegrino della Chiesa

Nell’Angelus citato sopra papa Francesco si augura che il cammino sinodale in atto “possa favorire la comprensione della sinodalità come dimensione costitutiva della Chiesa”. Proviamo allora anche noi a dire qualcosa di serio e fondato sull’idea di sinodalità. Anche perché, come tutti sappiamo, dopo Christus vivit non è possibile pensare e agire senza prendere sul serio il fatto che

la pastorale giovanile non può che essere sinodale, vale a dire capace di dar forma a un “camminare insieme” che implica una valorizzazione dei carismi che lo Spirito dona secondo la vocazione e il ruolo di ciascuno dei membri della Chiesa, attraverso un dinamismo di corresponsabilità. Animati da questo spirito, potremo procedere verso una Chiesa partecipativa e corresponsabile, capace di valorizzare la ricchezza della varietà di cui si compone, accogliendo con gratitudine anche l’apporto dei fedeli laici, tra cui giovani e donne, quello della vita consacrata femminile e maschile, e quello di gruppi, associazioni e movimenti. Nessuno deve essere messo o potersi mettere in disparte[3].

A partire da queste parole così chiare ci chiediamo: quando parliamo di sinodalità, che cosa intendiamo? È una moda del momento oppure un’esigenza imprescindibile per la Chiesa del terzo millennio? In che senso la sinodalità è un elemento “costitutivo” della Chiesa?
La Chiesa è, come recitiamo nel simbolo degli apostoli, “una, santa, cattolica e apostolica”. Queste sono le sue quattro note distintive, e sappiamo di che cosa si tratta. Nella sostanza la Chiesa è soprattutto “popolo di Dio”: questo è il suo essere, la sua realtà più vera. Affermare ciò non è semplicemente fare riferimento ad una metafora o un’immagine esplicativa, ma richiama la sostanza più propria della Chiesa: siamo un popolo che il Signore si è acquistato con il proprio sangue.
Potremmo dunque chiederci il perché dell’attuale insistenza sulla “sinodalità”, se non è una questione di essenza o di sostanza. In realtà la sinodalità non sta nella logica della sostanza, ma del dinamismo: è legata in maniera specifica al tempo che scorre, alla storia che avanza. Sinodalità è la sottolineatura che il popolo di Dio è in cammino. E quindi prende in considerazione il suo modo di procedere e il suo stile relazionale, per vedere se il suo incedere nella storia degli uomini è fedele all’evangelo di Dio.
Riconoscere ciò oggi è sempre più decisivo. La Chiesa non è una realtà statica, ferma, bloccata, ingessata, ma è una realtà dinamica, magmatica, vivace. È una vita che si sviluppa nel cammino e nella relazione, perché ha la forma dell’evento e dell’incontro. Per questo parlare di sinodalità significa invitarci ad una verifica seria della qualità relazionale del nostro essere Chiesa. Talvolta, anche all’interno della Chiesa, dominano invidia e gelosia, concorrenza e competizione, maldicenza e mormorazione. La sinodalità ci chiede di lavorare esattamente a questo livello relazionale, e anche a livello comunicativo.
Per dirla in un altro modo: dando per scontato la sostanza della Chiesa, il focus sulla sinodalità prende in considerazione la forma della Chiesa, e quindi, se necessario, la sua riforma. Questo dice che la Chiesa non esiste come idea teorica, ma come corpo vivente che cammina nel tempo e nello spazio. Quindi non semplicemente nel mondo in astratto, ma in un mondo concreto, situato, unico e non replicabile. In questo senso, come ben dice il documento finora migliore sul tema, «la sinodalità manifesta il carattere “pellegrino” della Chiesa»[4]. Così

la sinodalità esprime l’essere soggetto di tutta la Chiesa e di tutti nella Chiesa. I credenti sono σύνoδοι, compagni di cammino, chiamati a essere soggetti attivi in quanto partecipi dell’unico sacerdozio di Cristo e destinatari dei diversi carismi elargiti dallo Spirito Santo in vista del bene comune[5].

Notiamo, dal punto di vista biblico, come nei vangeli si utilizza solo una volta la parola “sinodo”[6]. Siamo nel simpatico episodio in cui Gesù adolescente è rimasto a Gerusalemme, mentre i suoi parenti facevano ritorno a casa: «Credendo che fosse nella comitiva (σύνoδία), fecero una giornata di viaggio e poi si misero a cercarlo»[7]. Ecco l’idea di sinodalità nella sua semplicità e complessità: una comitiva, una carovana, un gruppo di pellegrini abbastanza eterogeneo ma unito da un medesimo obiettivo, quello di andare al tempio del Signore per rendergli omaggio e poi di ritornare pieni di gioia verso la loro dimora. Ciò che ci tiene uniti è il Signore, è l’essere salvati da lui e il camminare verso di lui nel tempo e nella storia. Siamo parte di una cordata, dipendenti gli uni dagli altri, affidati gli uni agli altri: questo è essere Chiesa!

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Dilatare il cuore. L’orizzonte di una “programmazione”

Dal nuovo numero di NPG.

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di don Rossano Sala

La necessità di guardare lontano

Come sempre in questi ultimi anni l’editoriale di gennaio ha un respiro ampio. Penso che oggi più che mai sia necessario alzare lo sguardo per osservare il tutto della nostra azione pastorale da una prospettiva estesa, prendendo una certa distanza dal presente per poterlo comprendere meglio.
Effettivamente una delle esperienze che sto facendo in questi ultimi anni nel mondo della pastorale in generale e della pastorale giovanile in particolare è quella di una anomala concentrazione sulle emergenze del momento. Siamo troppo incurvati sul breve e sul brevissimo termine. Talvolta vedo l’incapacità di guardare lontano, di scrutare gli orizzonti, di avere un occhio capace di abbracciare almeno il medio, se non il lungo termine. Forse manchiamo un po’ di “lungimiranza”, di quella virtù che sa oltrepassare l’immediatezza.
Il nostro dunque è un invito ad allargare lo sguardo, a indagare un orizzonte più ampio, a non lasciarsi rinchiudere nelle catene di un presentismo che ci fa mancare l’aria. Questo dice quanto una Rivista come la nostra ha un compito ben preciso e penso oggi più strategico che mai: aiutare tutti coloro che la frequentano a non affondare nelle sabbie mobili di un presentismo che non ha futuro perché dimentica il passato. E che fa della riflessione seria e fondata un caposaldo della sua vocazione specifica nel mondo della pastorale dei giovani. Possiamo dire che questa è la nostra vocazione original.
Seguendo la sagacia di Chesterton, non possiamo che convenire sul fatto che «la Chiesa cattolica è l’unica cosa in grado di salvare l’uomo da una schiavitù degradante, quella di essere figlio del suo tempo […] Una realtà antica quanto la Chiesa Cattolica ha accumulato un arsenale e una camera del tesoro a cui attingere; può pescare con cura tra i secoli e chiamare un’epoca in soccorso di un’altra. Ha la possibilità di evocare il mondo antico perché ristabilisca l’equilibrio del nuovo» [1]. E tutto questo la Chiesa lo fa con la coltivazione di pensiero profondo, che passa necessariamente attraverso uno studio impegnato.
Sappiamo per esperienza che il cuore soffre quando lo sguardo è corto. Non riesce a trovare spazio di espressione e gli manca l’ossigeno. Il libro dei Salmi ha una bella espressione legata alla vita del credente che ci fa bene riportare alla nostra attenzione all’inizio di questo 2023: «Corro per la via dei tuoi comandamenti, perché hai dilatato il mio cuore» [2]. Il Signore con la sua grazia – simile ad una fiamma che scalda e illumina – allarga il nostro cuore e acuisce il nostro sguardo. E questo avviene attraverso esperienze di vita, condivisione di pensiero e collaborazioni operative.
Mi pare significativo mettere qui nero su bianco la bella avventura che stiamo vivendo insieme, quella di fare squadra e fare rete con il gruppo di redazione di NPG. In tutto siamo quasi 25 persone, e insieme portiamo avanti la riflessione sui contenuti da proporre, gli autori da coinvolgere e gli stili operativi da assumere. In questi ultimi anni, intorno alla metà di giugno, ci prendiamo una giornata di lavoro insieme in vista della programmazione dell’anno successivo. È un momento “generativo”: partendo dalle nostre diverse sensibilità e competenze, cerchiamo di sintonizzarci su ciò che sarà importante trattare: temi di prospettiva, problemi impellenti, approfondimenti necessari.
La nostra programmazione non è scritta a tavolino e in solitaria da qualche mente particolarmente brillante, ma è frutto di un discernimento comunitario. Mi piace allora dare voce in questo “editoriale” al lavoro che abbiamo fatto in redazione, proponendo ai lettori i cammini che percorreremo insieme nel 2023.

Sette passaggi cruciali

Dossier sono da sempre il cuore pulsante della nostra Rivista. Le tematiche sono quelle più importanti, ed ecco perché abbiamo ritenuto opportuno fare le seguenti scelte.
A gennaio, in piena continuità con il progetto della Conferenza Episcopale Italiana SemeDiVento abbiamo visto come l’attenzione agli adolescenti rimane qualcosa di decisivo per una comunità cristiana che desidera essere significativa. Una pastorale a misura di adolescenti è vivace, creativa, dinamica: abbiamo bisogno di una scossa che ci ridoni quell’entusiasmo che a volte rischiamo di perdere.
In febbraio abbiamo pensato ad una delle proposte pastorali che si sono riscoperte nel periodo postpandemico, cioè al pellegrinaggio. Non è solo una proposta pastorale, ma è la vera metafora della vita cristiana quella del pellegrinaggio: camminare e faticare insieme, condividere le risorse e le fragilità di ciascuno, andare insieme verso una meta significativa, riconoscendo che siamo stranieri e pellegrini su questa terra.
In marzo prenderemo sul serio un aspetto poco visibile dell’educazione: la cura e l’attenzione di coloro che si prendono cura di altri. Di fronte al fenomeno del burn-out e della fatica a vivere la responsabilità educativa da parte di formatori e pastori, ci è sembrato strategico concentrarci seriamente su questo aspetto, mettendolo a fuoco con realismo, serietà e maturità.
Nel numero di aprile-maggio tratteremo di un aspetto importante per qualificare la nostra pastorale giovanile. È la sua natura generativa e quindi vocazionale: effettivamente una pastorale giovanile che non sia vocazionalmente intenzionata non sembra essere all’altezza della sua vocazione, e rischia di essere una pastorale senza meta e senza orizzonte. D’altra parte una pastorale giovanile “in chiave vocazionale” è stata oggettivamente richiesta dal Sinodo sui giovani.
Arriviamo a settembre-ottobre 2023. Ci siamo resi conto che il mondo giovanile è in rapidissimo cambiamento e che quindi quasi a cadenza annuale dobbiamo scattare una fotografia aggiornata della cultura giovanile. I giovani, sismografi e sentinelle del nostro tempo, vanno monitorati nei loro mutamenti, per non perdere una conoscenza viva della loro condizione esistenziale sempre in magmatico movimento.
Novembre ci riserverà una riflessione sul tema della pace. Sulle sue condizioni, sulle sue istituzioni e soprattutto su come impostare con saggezza un cammino di “educazione alla pace” nel senso evangelico del termine. Stiamo vivendo – come dice papa Francesco – una “terza guerra mondiale a pezzi” e a partire dagli inviti e dalle provocazioni di Fratelli tutti ci sembrava necessario offrire spunti educativi e pastorali in questo ambito.
Dulcis in fundo, il numero di dicembre 2023 ci offrirà un Dossier sulle strutture pastorali che ospitano le nostre attività. Come si stanno modificando negli ultimi decenni e quali attenzioni pastorali suggeriscono? In che modo strutture nate per esigenze che oggi non ci sono più possono essere trasformate creativamente per rispondere alle attuali necessità pastorali? Come progettare nuove strutture pastorali adeguate alle sensibilità giovanili contemporanee?
Non mi soffermo in dettaglio sugli Studi e sulle Rubriche (sia in cartaceo che online) offerte per il 2023. Si potrà trovarne l’elenco preciso e aggiornato in quarta di copertina. Sono anch’essere frutto del discernimento del gruppo di redazione e rendono conto delle diverse attenzioni che sono emerse dal confronto fraterno. Solo dai titoli proposti il lettore inserito nel dinamismo quotidiano della pastorale giovanile potrà facilmente intuire la loro attualità e freschezza, oltre che l’urgenza. Sono il segno della vivacità di una Rivista che desidera rimanere sul pezzo e mai vuole allontanarsi dalla concretezza dell’azione educativa ed evangelizzatrice.

Due momenti decisivi

Concludo con due rilanci, che vengono dai due eventi che la Chiesa cattolica a livello universale si prepara a vivere rispettivamente ad agosto e ottobre del 2023. Sono due momenti di grande convocazione che, in un modo o in un altro, ci chiedono partecipazione e corresponsabilità.
Il primo è squisitamente nostro. La Giornata Mondiale della Gioventù di Lisbona. Abbiamo dedicato a questo momento il Dossier di dicembre 2022. L’intento era quello di “scaldare i motori” risvegliando il desiderio di vivere – tutti i giovani e tutte le Diocesi, tutti i movimenti e le associazioni, tutte le congregazioni religiose impegnate con i giovani – un’esperienza di Chiesa entusiasmante, che ci renda sempre più consapevoli di essere parte di una famiglia senza confini. La GMG sarà davvero per tutti noi una grande occasione per confermare la nostra appartenenza ecclesiale, per vivere un pellegrinaggio condiviso, per riscoprire la nostra fede e per riconoscerci ancora una volta fratelli e sorelle perché figli e figlie di un unico Padre.
Il secondo riguarda tutti. Dopo due anni di cammino preparatorio che ha coinvolto tutte le componenti della Chiesa, nell’ottobre 2023 ci sarà la prima delle due sessioni del Sinodo sulla sinodalità a livello di Chiesa universale. La seconda è prevista per l’ottobre del 2024. Vorrei ancora una volta ribadire che questo momento di confronto sulla forma sinodale della Chiesa – dove tutti sono chiamati ad essere protagonisti e dove nessuno può rimanere una comparsa – è stato il frutto maturo del Sinodo sui giovani. Questi ultimi hanno chiesto di prendere sul serio la riforma della Chiesa per essere all’altezza dell’evangelo di Dio e dei tempi che corrono. Tutto ciò non sarà estraneo al presente e al futuro della pastorale giovanile, in quanto il rinnovamento del volto della Chiesa è la necessaria premessa in vista della sua significatività per tutti i giovani, nessuno escluso.

NOTE

1 G.K. CHESTERTON, La Chiesa Cattolica. Dove tutte le verità si danno appuntamento, Lindau, Torino 2010, 85.86.
2 Sal 118, 32.

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Quattro semplici verbi: accogliere, proteggere, promuovere e integrare

Dal numero di novembre di NPG

di don Rossano Sala

Il secondo “snodo cruciale”

Durante la discussione sinodale della XV Assemblea Generale Ordinaria del Sinodo dei Vescovi dal tema I giovani, la fede e il discernimento vocazionale (3-28 ottobre 2018) sono stati individuati “tre snodi cruciali” che indicano l’originalità del nostro tempo. Quasi tre cerchi concentrici che caratterizzano il cambiamento d’epoca che stiamo vivendo.
Il primo snodo, quello più ampio e che tocca tutti e tutto è la digitalizzazione del mondo: tutti noi siamo stati inondati da questa rivoluzione che sta modificando ciò che siamo: il nostro cervello e le nostre posture relazionali, il nostro modo di apprendere e di lavorare, e così di seguito[1].
Il secondo snodo, che qui ci interessa più da vicino, è quello dei migranti. Tali persone vengono identificate come “paradigma del nostro tempo”, ovvero come figure particolarmente eloquenti per comprendere il mondo in cui viviamo con tutte le sue contraddizioni[2].
Il terzo snodo è rappresentato dalla triste realtà degli abusi. Un velo si è scoperto sulla vita della Chiesa e le tante ferite inferte a molti giovani sono venute alla luce. Siamo chiamati a fare verità e a chiedere umilmente perdono, ad andare alla radice del problema e ad affrontarlo con coraggio e responsabilità[3].

Di che cosa si tratta?

Quando parliamo di migranti e migrazioni, parliamo innanzitutto di un fenomeno mondiale e pluriforme. Mondiale perché è una realtà strutturale che riguarda tutti i continenti e non certo un fenomeno passeggero, ma di un qualcosa che riguarderà sempre di più il futuro dell’umanità. Pluriforme perché ci sono situazioni e motivazioni molto diverse che fa mettere in moto le persone: si può migrare all’interno di uno stesso paese, si può andare via per motivi climatici, oppure per mancanza di giustizia e pace, oppure ancora per persecuzione razziale o religiosa. Sempre, comunque, coloro che si mettono in viaggio sono desiderosi di una vita migliore. In Europa molti migranti arrivano ricchi di sogni e anche di illusioni.

Partono attirati dalla cultura occidentale, nutrendo talvolta aspettative irrealistiche che li espongono a pesanti delusioni. Trafficanti senza scrupolo, spesso legati ai cartelli della droga e delle armi, sfruttano la debolezza dei migranti, che lungo il loro percorso troppo spesso incontrano la violenza, la tratta, l’abuso psicologico e anche fisico, e sofferenze indicibili. Va segnalata la particolare vulnerabilità dei migranti minori non accompagnati, e la situazione di coloro che sono costretti a passare molti anni nei campi profughi o che rimangono bloccati a lungo nei Paesi di transito, senza poter proseguire il corso di studi né esprimere i propri talenti[4].

In questa situazione arrivano a casa nostra, bussano alle porte delle nostre comunità cristiane, cercano da noi sguardi di misericordia e gesti di accoglienza. Prima che un problema da affrontare sono prima di tutto persone in cerca di casa e di famiglia.

Minaccia o opportunità?

La presenza di migranti, nell’immaginario sociale, sembra essere in primo luogo uno spazio di allarme e di paura, «spesso fomentate e sfruttate a fini politici»[5]. Se però osserviamo con attenzione alla realtà dell’incontro, ci accorgiamo che quelle dei migranti sono anche storie di incontro tra persone e tra culture: per le comunità e le società in cui arrivano sono una opportunità di arricchimento e di sviluppo umano integrale di tutti. Le iniziative di accoglienza che fanno riferimento alla Chiesa hanno un ruolo importante da questo punto di vista, e possono rivitalizzare le comunità capaci di realizzarle[6].

In tale direzione la presenza di persone, soprattutto di minori, costretti a fuggire dalla loro terra di origine, diventa un’opportunità per far rifiorire le comunità di accoglienza. In primis le comunità cristiane, che dovrebbero avere nell’ospitalità uno dei loro tratti distintivi: attraverso un vero incontro con questi giovani sono costrette a svegliarsi, a mettersi in discussione, a recuperare la propria missione, a ripensare alla loro condizione originaria di «stranieri e pellegrini sulla terra»[7].
In questo senso i migranti sono un paradigma con cui è bene confrontarci: lo sono sia dell’umanità del nostro tempo, sia della vita di fede. Forse ci fanno paura perché ci mettono di fronte alla nostra vocazione di “uomini viatori”: come credenti sappiamo di essere un’umanità creata da Dio senza una residenza fissa in questo mondo. Siamo, o almeno dovremmo essere, persone che «aspirano a una patria migliore, cioè a quella celeste»[8].

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Lettera del Direttore Editoriale Elledici, Don Rossano Sala

Il nuovo Direttore Editoriale Elledici, Don Rossano Sala, in vista del nuovo anno pastorale, sottolinea attraverso una lettera, come la creatività sia centrale nel pensare a nuove presenze nel mondo editoriale e comunicativo. Invita inoltre tutte le realtà locali, ad estendere il più possibile gli inviti e le richieste, continuando a mantenere uno stile di vita cristiano nelle parrocchie e negli oratori.

 

Da Elledici:

Cari Amici di Don Bosco,
vi raggiungo, come nuovo Direttore Editoriale ELLEDICI, con alcune comunicazioni importanti, da estendere a tutte le vostre realtà locali, soprattutto quelle parrocchiali e oratoriane.

LDC, come già sapete, in dialogo con i superiori maggiori e con l’Ispettoria salesiana ICP (che è titolare dell’editrice) a partire da quest’anno hanno fatto scelte importanti in vista di un autentico e serio rilancio dell’editrice.

Pian piano si stanno riprendendo in mano le cose da tutti i punti di vista. È un cammino impegnativo, ma anche una sfida esaltante per tutti noi.

È dal gennaio 2019 che sono nel Consiglio di Amministrazione di LDC e passo dopo passo stiamo davvero crescendo attraverso un forte rinnovamento.

LDC sta ridisegnando la sua presenza all’interno del campo editoriale con sapienza e prudenza, attraverso un discernimento continuo.

Bisogna essere creativi nel pensare a nuove presenze e presenze nuove nel nostro mondo editoriale e comunicativo.

Dopo queste doverose premesse, trovate in allegato il Catalogo Catechismi & Sussidi 2022-23, a cui abbiamo lavorato per tutta l’estate. Rimane chiaro che LDC è leader indiscussa del mondo della catechesi, con progetti innovativi in cui ci siamo impegnati a fondo in questi ultimi anni. Soprattutto il progetto “Passo dopo passo”, concluso in tutti i suoi sussidi e passaggi, è il supporto divenuto in questi anni primario nel percorso di iniziazione cristiana di molte diocesi sparse per il territorio italiano. È la nostra punta di diamante, invidiataci da tanti e già in traduzione in diverse lingue. Tra le riviste LDC invece, Dossier Catechista si afferma come leader nella formazione e nell’aggiornamento dei catechisti in tutt’Italia: un vero e proprio supporto per programmare e organizzare al meglio gli incontri di catechismo, soprattutto in questo periodo di ripresa delle attività.

Il primo invito che vi faccio attraverso questa lettera è quindi quello di far arrivare alle vostre realtà locali questa comunicazione, che potrà certamente essere declinata da voi nel miglior modo possibile. Soprattutto l’ambito parrocchiale e oratoriano, più legato ai cammini di iniziazione alla vita cristiana, rimane per noi un campo privilegiato – seppur non certamente esclusivo – di impegno editoriale.

Con stima e amicizia.

Don Rossano Sala

Notizia Elledici