Con Salesiani per il Sociale 1.157 giovani pronti all’esperienza del Servizio Civile Universale

Sono 1.157 i giovani che da metà gennaio vivranno l’esperienza del volontariato con il servizio civile con Salesiani per il Sociale, l’ente non profit dei Salesiani in Italia che coordina il Servizio Civile Universale in Italia e all’Estero.

Tra Italia ed estero sono 90 i progetti che vedranno impegnati i giovani: 64 progetti ordinari di servizio civile in Italia per 752 posti disponibili; 20 progetti con misure aggiuntive di servizio civile in Italia per 365 posti disponibili (progetti con misure aggiuntive che consentiranno ai giovani di collaudare alcune novità  introdotte dalla recente riforma del servizio civile universale. Si tratta, nello specifico, di un periodo di tutoraggio, fino a tre mesi, finalizzato a facilitare l’accesso al mercato del lavoro dei volontari; di misure che favoriscono la partecipazione dei giovani con minori opportunità ).

Il 15 gennaio partiranno 71 progetti per 971 volontari, mentre il 20 febbraio 13 progetti per 146 volontari.

Per l’estero ci sono tre progetti in Spagna, Francia e Romania: i 30 volontari dal 15 al 21 gennaio saranno impegnati nella  formazione residenziale a Roma al Borgo Ragazzi Don Bosco. I progetti per l’estero verranno svolti negli oratori, nei convitti, nelle scuole e nella case famiglia. Le attività invece riguardano tempo libero, sostegno allo studio, educazione, laboratori creativi, sportivi, di lingua e musica. A febbraio partiranno altri due progetti del VIS in Angola, Ghana, Etiopia e Palestina con otto volontari.

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Il valore dell’amicizia, punto stabile delle relazioni

Dalla rubrica “Parole adolescenti” di Note di Pastorale Giovanile

Caro Prof,
grazie per le due risposte sulla scuola. Mi piace quello che dice e… ci penso su spesso. La Sua esperienza e saggezza sono importanti, anche per questa studentessa chierese.
Oggi vorrei parlarLe di una delle cose più belle e preziose della mia vita: l’amicizia. So che è una cosa scontata, ma non importa, Le dico quello che vivo (o inizio a vivere in modo diverso)Ma prima di iniziare Le parlo di un’idea che mi è venuta in mente in questi giorni. Deve sapere che a scuola ho iniziato a studiare la mitologia greca, e la adoro. Non ero mai entrata a contatto con questo mondo… e anche se parla di cose fuori dal quotidiano, “mitologiche” appunto, sento che mi dicono qualche di speciale per la mia stessa esperienza. Mi sta piacendo talmente tanto che ho deciso di fare un collegamento ad essa in questo e nei prossimi temi su cui Le scriverò. Non so se Le farà piacere, ma è un mio nuovo modo di pensare, e magari Lei mi spiegherà meglio quello che dirò con mie parole, magari un po’ confusamente.

CHRISTUS VIVIT – Rilancio del cammino

a cura di padre Giacomo Costa sj e don Rossano Sala sdb
Segretari Speciali del Sinodo

Dopo la coinvolgente lettura della CV viene spontanea la domanda pratica, che d’altra parte è anche evangelica: «Che cosa dobbiamo fare?» (Lc 3,10). È una domanda più che lecita, quella di interrogarsi su come andare avanti concretamente nel cammino. È anche una domanda che, di fronte al testo, potrebbe anche metterci in difficoltà. Effettivamente la CV, pur estremamente ricca di spunti, non contiene le indicazioni operative che molti attendevano per proseguire il processo di attuazione del Sinodo. È una dinamica che non deve stupire in un testo di papa Francesco, che fa della rinuncia a impartire indicazioni dall’alto e dell’invito a ciascuno ad assumere la propria parte di responsabilità una cifra del suo ministero.
Il 10 novembre 2015 si era rivolto al Convegno della Chiesa italiana di Firenze con parole per molti versi paradigmatiche: «Ma allora che cosa dobbiamo fare, padre? – direte voi. Che cosa ci sta chiedendo il Papa? Spetta a voi decidere: popolo e pastori insieme. Io oggi semplicemente vi invito ad alzare il capo e a contemplare ancora una volta l’Ecce Homo che abbiamo sulle nostre teste». Nella CV papa Francesco ci invita a contemplare il Cristo vivo che agisce nella storia e che chiede la nostra collaborazione e la nostra sinergia con le giovani generazioni per frequentare con loro il futuro. A Firenze questo lo aveva chiesto anche ai giovani:

Faccio appello soprattutto «a voi, giovani, perché siete forti», diceva l’Apostolo Giovanni (1 Gv 1,14). Giovani, superate l’apatia. Che nessuno disprezzi la vostra giovinezza, ma imparate ad essere modelli nel parlare e nell’agire (cfr 1 Tm 4,12). Vi chiedo di essere costruttori dell’Italia, di mettervi al lavoro per una Italia migliore. Per favore, non guardate dal balcone la vita, ma impegnatevi, immergetevi nell’ampio dialogo sociale e politico. Le mani della vostra fede si alzino verso il cielo, ma lo facciano mentre edificano una città costruita su rapporti in cui l’amore di Dio è il fondamento. E così sarete liberi di accettare le sfide dell’oggi, di vivere i cambiamenti e le trasformazioni.

È quindi chiaro che non ci viene chiesto di “applicare” delle indicazioni magisteriali vincolanti. L’ambito pastorale non è mai applicativo, ma è sempre uno spazio di discernimento, cioè di fedeltà creativa (cfr. CV 103). E in un cambiamento d’epoca come il nostro questa capacità di immaginare insieme il rinnovamento diventa sempre più decisiva.
Ecco allora qualche semplice spunto per continuare il cammino in questa scia. Sentiamo la necessità di porre all’attenzione di tutti i lettori quattro dinamiche.

1. Rimanere radicati nel cammino sinodale

La prima cosa importante è non cominciare ogni volta da zero, come se nulla fosse avvenuto prima della CV. Papa Francesco è molto attento al fatto che siamo popolo di Dio, che la vita della Chiesa è una vera esperienza di fraternità, una carovana solidale, un santo pellegrinaggio, una comunità in cammino (cfr Evangelii gaudium, n. 87 e CV 29). Tutto il capitolo 6 della CV invita i giovani a non perdere le radici, a riconoscersi come piccoli nani sulle spalle dei giganti. Questo vale anche per la Chiesa nel suo insieme e anche per il cammino che abbiamo compiuto. La sinodalità indica questa capacità di inserirsi con rispetto e umiltà in un cammino di popolo che è cominciato prima di noi e continuerà dopo di noi.
Per queste motivazioni così importanti è significativo ascoltare fin dall’inizio della CV il rimando metodologico decisivo secondo cui «mi sono lasciato ispirare dalla ricchezza delle riflessioni e dei dialoghi del Sinodo dell’anno scorso. Non potrò raccogliere qui tutti i contributi, che potrete leggere nel Documento Finale, ma ho cercato di recepire, nella stesura di questa lettera, le proposte che mi sembravano più significative» (CV 4). Anche per quanto riguarda nello specifico il rinnovamento della pastorale giovanile, all’inizio del capitolo 7 papa Francesco ci offre la seguente riflessione:

Al Sinodo sono emerse molte proposte concrete volte a rinnovare la pastorale giovanile e liberarla da schemi che non sono più efficaci perché non entrano in dialogo con la cultura attuale dei giovani. È chiaro che non mi sarebbe possibile raccoglierle tutte qui; alcune di esse si possono trovare nel Documento Finale del Sinodo (CV 208).

Sulla stessa scia i Padri sinodali hanno ritenuto opportuno creare una connessione decisiva tra il DF e l’IL, affermando che

è importante chiarire la relazione tra l’Instrumentum laboris e il Documento finale. Il primo è il quadro di riferimento unitario e sintetico emerso dai due anni di ascolto; il secondo è il frutto del discernimento realizzato e raccoglie i nuclei tematici generativi su cui i Padri sinodali si sono concentrati con particolare intensità e passione. Riconosciamo quindi la diversità e la complementarità di questi due testi (DF 3).

Che cosa significa per noi tutto questo? Che un Documento prodotto durante il cammino sinodale non viene mangiato, superato o eliminato da quello successivo, ma ne viene invece arricchito e approfondito. Il successivo si inserisce sulla scia del precedente offrendogli luce, profondità e respiro. Si tratta di un unico organismo che si sviluppa dall’interno, e che in tutte le fasi della sua crescita mostra qualcosa di specifico che non possiamo né dobbiamo perdere, allo stesso modo in cui capita nell’esperienza umana (cfr CV 160).
Se pensiamo solamente che l’IL è frutto dell’analisi di un ascolto che ha prodotto circa 20.000 pagine, non possiamo facilmente relegarlo dietro le quinte. In realtà nell’Aula sinodale è stato apprezzato da tutti e ripreso in molte sue parti, in quanto riconosciuto come un quadro di riferimento aggiornato e preciso.
Varrebbe la pena almeno provare a seguire l’elenco di quanti sono chiamati in causa e dei riferimenti loro indicati, a partire dalle proposte concrete emerse durante il Sinodo (e dunque attraverso la riflessione dei Padri sinodali), raccolte nel DF che sarebbe impossibile replicare qui. A uno sguardo attento, abbiamo trovato circa novanta tra raccomandazioni, suggerimenti e proposte contenute nel DF che riguardano soggetti, stili e ambiti. Molte altre sono presenti nell’IL. Solo alcune tra queste sono riprese e rilanciate nella CV, ma tutte dovrebbero essere oggetto di un attento discernimento ecclesiale a vari livelli.

2. Assumere l’habitus del discernimento

E così passiamo alla seconda istanza. Ovvero a quella del discernimento.
Fin dall’inizio nella CV si parla di «discernimento ecclesiale» (CV 3). E l’ultimo capitolo, il nono, è completamente dedicato a questo tema. È dunque logico pensare che sia un tema di grande interesse. Non solo a livello personale, ma anche dal punto di vista ecclesiale vale l’idea che «senza la sapienza del discernimento possiamo trasformarci facilmente in burattini alla mercé delle tendenze del momento» (CV 279). La capacità di discernimento ci fa persone al cospetto di Dio, soggetti attivi nella Chiesa e parte viva del mondo. Ed è anche evidente che, sia dal punto di vista personale che comunitario, «il discernimento diventa uno strumento di impegno forte per seguire meglio il Signore» (CV 295). Il discernimento, se lo si prende sul serio, di certo libera la Chiesa da due tentazioni tanto opposte quanto vicine:

Chiediamo al Signore che liberi la Chiesa da coloro che vogliono invecchiarla, fissarla sul passato, frenarla, renderla immobile. Chiediamo anche che la liberi da un’altra tentazione: credere che è giovane perché cede a tutto ciò che il mondo le offre, credere che si rinnova perché nasconde il suo messaggio e si mimetizza con gli altri (CV 35).

Nel processo sinodale si è partiti dalla necessità di aiutare i giovani nel loro discernimento vocazionale e pian piano ci si è accorti che la Chiesa stessa era in un certo senso in “debito di discernimento”: non essendo in grado di discernere, la Chiesa non ha la possibilità di aiutare i giovani a farlo. Entrare nelle dinamiche e nel processo del discernimento è divenuto così una necessità ecclesiale. C’è stata l’esigenza di comprendere, approfondire, chiarificare e praticare il discernimento nella forma di un cammino condiviso, che è diventato poi stile sinodale. Come ci ha detto il Santo Padre il 3 ottobre 2018,

il discernimento non è uno slogan pubblicitario, non è una tecnica organizzativa, e neppure una moda di questo pontificato, ma un atteggiamento interiore che si radica in un atto di fede. Il discernimento è il metodo e al tempo stesso l’obiettivo che ci proponiamo: esso si fonda sulla convinzione che Dio è all’opera nella storia del mondo, negli eventi della vita, nelle persone che incontro e che mi parlano. Per questo siamo chiamati a metterci in ascolto di ciò che lo Spirito ci suggerisce, con modalità e in direzioni spesso imprevedibili.

Il “metodo del discernimento” ha quindi orientato dall’interno il processo sinodale. Importante è stato riconoscere che il “soggetto giovani” e il “soggetto Chiesa” si sono trovati nella medesima situazione: non solo i giovani devono discernere per giungere alla loro vocazione, ma anche la Chiesa deve fare questo per vivere con sapienza e prudenza nel nostro tempo. Per questo le molte indicazioni sul discernimento prodotte durante tutto il cammino sinodale sono in un certo senso “intercambiabili”: quello che è detto per i giovani vale per la Chiesa e viceversa.
È opportuno segnalare, circa il tema del discernimento e dell’accompagnamento, la mutua implicazione tra livello personale e livello comunitario. Ne è emersa la convinzione che

l’orizzonte comunitario è sempre implicato in ogni discernimento, mai riducibile alla sola dimensione individuale. Al tempo stesso ogni discernimento personale interpella la comunità, sollecitandola a mettersi in ascolto di ciò che lo Spirito le suggerisce attraverso l’esperienza spirituale dei suoi membri: come ogni credente, anche la Chiesa è sempre in discernimento (DF 105).

Al centro c’è la Chiesa come casa e scuola dell’accompagnamento e come ambiente adeguato per il discernimento. La Chiesa è chiamata a risplendere prima e sopra tutto come spazio e luogo di comunione e solo così può essere significativa per i giovani che vi appartengono. Il tutto è teologicamente motivato, perché «tale servizio non è altro che la continuazione del modo in cui il Dio di Gesù Cristo agisce nei confronti del suo popolo: attraverso una presenza costante e cordiale, una prossimità dedita e amorevole e una tenerezza senza confini» (DF 91).

3. Riattivare il protagonismo giovanile

Partendo dal cammino sinodale in atto e dalla necessità di immergersi con convinzione nel ritmo del discernimento, entriamo nello spazio di responsabilità che siamo chiamati ad assumere. È evidente che la corresponsabilità ecclesiale può avvenire solo partendo dalla coscienza chiara delle proprie responsabilità personali: in questo senso bisogna “dividere per poter unire”, ovvero comprendere che cosa siamo chiamati a fare personalmente per poterlo poi fare insieme. CV offre a tutti un appello chiaro e diretto alla responsabilità personale: di ogni giovane e di ogni credente. La forma colloquiale della lettera va proprio in questa precisa direzione.
Partiamo dai giovani. Sono molto forti e persino entusiasmanti le indicazioni che emergono nel capitolo 5 della CV, che chiedono di rendere effettivo l’incontro con Cristo di cui si parla nel capitolo 6. Se tale incontro è reale, porta con sé delle conseguenze di ampia portata per la vita di ogni giovane:

Come si vive la giovinezza quando ci lasciamo illuminare e trasformare dal grande annuncio del Vangelo? È importante porsi questa domanda, perché la giovinezza, più che un vanto, è un dono di Dio: «Essere giovani è una grazia, una fortuna». È un dono che possiamo sprecare inutilmente, oppure possiamo riceverlo con gratitudine e viverlo in pienezza (CV 134).

La via indicata è quella di non cedere sui propri sogni e sui propri ideali; di alimentare il proprio desiderio attraverso il confronto con la vita reale; di andare in profondità nell’amicizia con Cristo; di maturare scelte di fraternità, di impegno politico e sociale. È chiesto a tutti i giovani di mettersi in gioco in prima persona, senza lasciarsi paralizzare dalla paura di sbagliare, o schiacciare dalle pressioni e dalle manipolazioni degli interessi economici. Meglio una caduta salutare che l’immobilità paralizzante. È questa la via della gioia, perché «Dio ama la gioia dei giovani e li invita soprattutto a quell’allegria che si vive nella comunione fraterna, a quel godimento superiore di chi sa condividere, perché “c’è più gioia nel dare che nel ricevere” (At 20,35) e “Dio ama chi dona con gioia” (2 Cor 9,7)» (CV 167).
E quel protagonismo che i giovani mostrano di desiderare si trasforma in uno strumento di azione pastorale e missionaria, perché nessuno è più in grado di annunciare il Vangelo ai giovani del nostro tempo dei loro coetanei che già hanno incontrato il Signore, tanto che vocazione e missione qui si saldano in maniera feconda:

Voglio incoraggiarti ad assumere questo impegno, perché so che «il tuo cuore, cuore giovane, vuole costruire un mondo migliore. Seguo le notizie del mondo e vedo che tanti giovani in tante parti del mondo sono usciti per le strade per esprimere il desiderio di una civiltà più giusta e fraterna. I giovani nelle strade. Sono giovani che vogliono essere protagonisti del cambiamento. Per favore, non lasciate che altri siano protagonisti del cambiamento! Voi siete quelli che hanno il futuro! Attraverso di voi entra il futuro nel mondo. A voi chiedo anche di essere protagonisti di questo cambiamento. Continuate a superare l’apatia, offrendo una risposta cristiana alle inquietudini sociali e politiche, che si stanno presentando in varie parti del mondo. Vi chiedo di essere costruttori del mondo, di mettervi al lavoro per un mondo migliore. Cari giovani, per favore, non guardate la vita “dal balcone”, ponetevi dentro di essa. Gesù non è rimasto sul balcone, si è messo dentro; non guardate la vita “dal balcone”, entrate in essa come ha fatto Gesù». Ma soprattutto, in un modo o nell’altro, lottate per il bene comune, siate servitori dei poveri, siate protagonisti della rivoluzione della carità e del servizio, capaci di resistere alle patologie dell’individualismo consumista e superficiale (CV 174).

D’altra parte, la vocazione è sempre una missione: non è mai la risposta alla domanda «Chi sono io?», ma un richiamo molto più radicale verso un «Per chi sono io?» (cfr CV 286 e DF 69). È la domanda che caratterizza un giovane in uscita, che si apre alla vita, al mondo, agli altri. Che non ha paura della realtà e cerca la sua vocazione.
Per questo non solo la pastorale giovanile nel suo insieme, ma tutta la pastorale ha un’indole vocazionale e missionaria. Se partiamo da questi presupposti, effettivamente «dobbiamo pensare che ogni pastorale è vocazionale, ogni formazione è vocazionale e ogni spiritualità è vocazionale» (CV 254). È un’affermazione gravida di conseguenze, che recepisce con grande potenza e incisività le indicazioni presenti nell’IL 100 e 210, e soprattutto nel DF ai numeri 139 e 140. Insieme, si dice con altrettanta chiarezza che «la pastorale giovanile dev’essere sempre una pastorale missionaria» (CV 240). Quando è veramente vocazionale, la pastorale giovanile non può che diventare missionaria. E viceversa: quando è veramente missionaria, la pastorale giovanile non può che diventare vocazionale. Servizio generoso e discernimento vocazionale stanno o cadono insieme!

4. Intraprendere cammini sinodali

La domanda iniziale da cui siamo partiti era «Che cosa dobbiamo fare?», ma in realtà questa domanda pian piano si è trasformata. Dalla concentrazione sul fare organizzativo il percorso sinodale ci chiede di verificarci sui nostri stili relazionali e sulla qualità dei nostri cammini comunitari. Ci viene chiesto un passaggio dal fare all’essere: la nuova domanda è «Chi siamo chiamati ad essere?».
I Padri sinodali hanno avuto ben chiara la necessità di questo cambiamento quando hanno pensato alla centralità della “sinodalità missionaria” come cuore del rinnovamento ecclesiale auspicato, perché

siamo consapevoli che non si tratta soltanto di dare origine a nuove attività e non vogliamo scrivere «piani apostolici espansionisti, meticolosi e ben disegnati, tipici dei generali sconfitti» (Francesco, Evangelii gaudium, n. 96). Sappiamo che per essere credibili dobbiamo vivere una riforma della Chiesa, che implica purificazione del cuore e cambiamenti di stile. La Chiesa deve realmente lasciarsi dare forma dall’Eucaristia che celebra come culmine e fonte della sua vita: la forma di un pane composto da molte spighe e spezzato per la vita del mondo. Il frutto di questo Sinodo, la scelta che lo Spirito ci ha ispirato attraverso l’ascolto e il discernimento è di camminare con i giovani andando verso tutti per testimoniare l’amore di Dio. Possiamo descrivere questo processo parlando di sinodalità per la missione, ossia sinodalità missionaria (DF 118).

Con frequenza sono chiamate in causa le comunità e le Chiese locali, invitate a dar vita a processi sinodali che includano i giovani. Più che manuali teorici, servono occasioni in cui mettere a frutto l’ingegno e le capacità dei giovani stessi, ossia un approccio dal basso anziché dall’alto, avendo cura di raccogliere e condividere quelle buone pratiche coronate da successo (cfr CV 203-208). Anche per le Chiese questo invito a fidarsi dei giovani contiene una sfida – lasciare loro spazio – e richiede il coraggio di mettere in discussione ciò che si è sempre fatto. Anche qui si tratta di rischiare insieme, perché

la pastorale giovanile non può che essere sinodale, vale a dire capace di dar forma a un “camminare insieme” che implica una “valorizzazione dei carismi che lo Spirito dona secondo la vocazione e il ruolo di ciascuno dei membri [della Chiesa], attraverso un dinamismo di corresponsabilità. […] Animati da questo spirito, potremo procedere verso una Chiesa partecipativa e corresponsabile, capace di valorizzare la ricchezza della varietà di cui si compone, accogliendo con gratitudine anche l’apporto dei fedeli laici, tra cui giovani e donne, quello della vita consacrata femminile e maschile, e quello di gruppi, associazioni e movimenti. Nessuno deve essere messo o potersi mettere in disparte” (CV 206).

Vi sono dunque delle responsabilità a vari livelli: tutti i giovani, ogni credente, la comunità locale, i movimenti e le Congregazioni religiose, ogni singola Diocesi. Perfino alle Conferenze Episcopali e ai Dicasteri Vaticani è chiesto di mettersi in stato di conversione e di rinnovamento.
In tutto questo chi ha responsabilità e quindi autorità nella Chiesa è chiamato in causa. D’altra parte, come è stato ben espresso in vari momenti del cammino sinodale, l’autorità della Chiesa o è generativa o non è: «Nel suo significato etimologico la auctoritas indica la capacità di far crescere; non esprime l’idea di un potere direttivo, ma di una vera forza generativa» (DF 71). Per questo «esercitare l’autorità diventa assumere la responsabilità di un servizio allo sviluppo e alla liberazione della libertà, non un controllo che tarpa le ali e mantiene incatenate le persone» (IL 141). Sappiamo che la delusione istituzionale è uno dei tratti emersi nel cammino di ascolto di preparazione al Sinodo. Sappiamo persino del fallimento della stessa autorità dei pastori nella triste vicenda degli abusi, più volte richiamata durante l’Assemblea sinodale. Ora l’autorità della Chiesa, a tutti i suoi livelli, si trova davanti a una chance di tutto rispetto: quella di prendere iniziativa, di invitare tutti a mettersi in gioco, di aprire spazi di confronto e di protagonismo, di creare le condizioni per una Chiesa sinodale e solidale, caratterizzata da un modo di vivere e lavorare insieme che sia davvero profetico per se stessa e per il mondo.
Il Sinodo, in fondo, ci ha consegnato proprio questo: un modo di vivere e lavorare insieme da cui non possiamo più prescindere. Ne era ben consapevole papa Francesco al termine dell’Assemblea sinodale, e lo ha espresso magnificamente nell’Angelus del 28 ottobre 2018:

i frutti di questo lavoro stanno già “fermentando”, come fa il succo dell’uva nelle botti dopo la vendemmia. Il Sinodo dei giovani è stato una buona vendemmia, e promette del buon vino. Ma vorrei dire che il primo frutto di questa Assemblea sinodale dovrebbe stare proprio nell’esempio di un metodo che si è cercato di seguire, fin dalla fase preparatoria. Uno stile sinodale che non ha come obiettivo principale la stesura di un documento, che pure è prezioso e utile. Più del documento però è importante che si diffonda un modo di essere e lavorare insieme, giovani e anziani, nell’ascolto e nel discernimento, per giungere a scelte pastorali rispondenti alla realtà.

* * *

Ci avviciniamo così a quello che possiamo definire l’orizzonte ultimo della proposta della CV, espresso attraverso il recupero di una parola tradizionale come “estasi”, assunta nel suo significato originario: l’incontro con Dio produce estasi non perché strappa il credente dalla realtà e dalla trama di relazioni in cui è inserito, ma perché lo spinge a uscire da se stesso, superando i suoi stessi limiti perché si lasci conquistare dalla bellezza dell’amore per gli altri e si consacri alla ricerca del loro bene. Per questo ad ogni giovane papa Francesco augura: «Che tu possa vivere sempre più quella “estasi” che consiste nell’uscire da te stesso per cercare il bene degli altri, fino a dare la vita» (CV 163). E poi spiega con accuratezza la questione:

Quando un incontro con Dio si chiama “estasi”, è perché ci tira fuori da noi stessi e ci eleva, catturati dall’amore e dalla bellezza di Dio. Ma possiamo anche essere fatti uscire da noi stessi per riconoscere la bellezza nascosta in ogni essere umano, la sua dignità, la sua grandezza come immagine di Dio e figlio del Padre. Lo Spirito Santo vuole spingerci ad uscire da noi stessi, ad abbracciare gli altri con l’amore e cercare il loro bene. Per questo è sempre meglio vivere la fede insieme ed esprimere il nostro amore in una vita comunitaria, condividendo con altri giovani il nostro affetto, il nostro tempo, la nostra fede e le nostre inquietudini. La Chiesa offre molti e diversi spazi per vivere la fede in comunità, perché insieme tutto è più facile (CV 164).

Alla fine la domanda che papa Francesco pone a ogni giovane, a ogni credente e alla Chiesa stessa nel suo insieme attraverso la CV è probabilmente questa: «Avete il coraggio di osare questa estasi?». La risposta ha molto a che fare con la possibilità di scoprire la propria vocazione e di vivere la propria vita con pienezza.

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