Don Luigi Melesi iscritto al Famedio del Cimitero Monumentale di Milano

Dal sito dell’Ispettoria Lombardo Emiliana.

***

Sabato 2 novembre don Luigi Melesi, sacerdote salesiano, è stato iscritto al Famedio del Cimitero Monumentale della città di Milano, tra le tante personalità illustri che hanno dedicato la propria vita per la città.

Alla cerimonia, tenutasi nella giornata della memoria dei defunti, hanno preso parte il Sindaco di Milano Giuseppe Sala, la presidente del Consiglio comunale Elena Buscemi e l’assessora ai Servizi civici Gaia Romani.

Tra i presenti inoltre l’ispettore don Roberto Dal Molin, il direttore dell’istituto Salesiano S. Ambrogio don Sandro Ticozzi, il vescovo salesiano don Gaetano Galbusera, numerosi confratelli salesiani ed ex allievi e a molti valsassinesi accompagnati dal sindaco di Cortenova, città natale del sacerdote.

Pubblichiamo di seguito il ricordo che la Chiesa di Milano ha pubblicato in sua memoria in occasione dell’iscrizione al Famedio.

Il sacerdote dal 1978 al 2008 impegnò gran parte delle sue energie al servizio dei detenuti del carcere di San Vittore. La sua trentennale esperienza di cappellano è contenuta anche nel suo libro, Prete da galera (edizione San Paolo).

Chi in quegli anni lo ha conosciuto molto da vicino è Luigi Pagano, l’ex direttore di San Vittore. Ne dipinge un ritratto nostalgico: «È stata una persona capace di dialogare con tutti. Un prete nel vero senso della parola. Don Luigi si muoveva da cappellano, ma sapeva prevenire quelle dinamiche che, amplificate dal nostro contesto, potevano ogni volta trasformarsi in tragedie. A San vittore ha saputo lavorare con tutti e affrontare i problemi».

Pagano è convinto che sia impossibile replicare una figura come Melesi. Ha vissuto in un momento storico che ne aveva esaltato le sue caratteristiche, ma ha saputo affrontare dinamiche e vicende che hanno scosso Milano e l’Italia, come il periodo della lotta armata e l’inchiesta Mani pulite sul fenomeno delle tangenti.

Italia Meridionale – Riaccendere i nostri cuori

Dal sito dell’Ispettoria Italia Meridionale.

***

Anche quest’anno, quasi 100 giovani del nostro territorio MGS hanno sentito il desiderio di mettersi in discussione accettando l’invito non solo a partecipare ai weekend Rise Up, ma anche a dedicare un fine settimana alla propria crescita personale. Molti erano spinti dal ricordo e dalla bellezza della prima edizione, altri invece sono stati mossi dalla curiosità del “sentito dire” o sono stati animati dai temi proposti: la violenza di genere e le relazioni affettive.

Riconoscere la realtà attorno a questi argomenti è stato il primo passo da fare per entrare nel primo appuntamento. Ecco perché, dopo essere stati accolti nell’Istituto salesiano “Sacro Cuore” di Napoli-Vomero, abbiamo vissuto un momento di formazione che ci ha aperto lo sguardo su quanti e quali tipi di violenze vengono commessi e su quali provvedimenti la società stia avviando per contrastare un problema con profonde radici culturali. La teoria di tale momento si è subito concretizzata grazie al racconto delle operatrici della Cooperativa “EVA”, nata con lo scopo di prevenire e contrastare la violenza maschile contro le donne. La realtà della Cooperativa permette di accogliere e sostenere donne vittime delle varie forme di violenza, ma soprattutto di reinserirle nella società e nel mondo del lavoro creando esperienze uniche, come ad esempio la creazione di una collezione d’abiti da esporre alla Reggia di Caserta.

Abbiamo poi ricevuto in dono, dalla sua voce, il vissuto di Giovanna. Per colpa di un amore malato, Giovanna ha rischiato di perdere la sua vita, oltre al non poter rivedere le sue figlie per anni. Sentirsi toccata da uno sguardo di amore è stata la scintilla che le ha riacceso il cuore, che ha permesso ad una donna di tornare alla sua vita e di testimoniare quanto ha ricevuto. Ha mostrato una capacità innata di amare, ha rivelato un amore infinito di madre verso le sue figlie. Un amore rinato dalla speranza che riesce a colmare e risanare le mancanze derivate dalla sua storia.

Se la storia di Giovanna è stata un esempio di riscatto da un amore tossico, il giorno dopo abbiamo visto i frutti che la cura di una relazione sana porta, ascoltando la storia di una giovane famiglia potentina. Gabriele e Arianna, accompagnati dal piccolo Enea, hanno ripercorso il loro amore e lo hanno consegnato a noi, rivelandoci la complessità che una relazione porta, i compromessi da raggiungere, tutto in nome di un Bene più grande.

Sabato sera, in conclusione della giornata, abbiamo fatto sedimentare ciò che le testimonianze hanno smosso in noi, ponendoci alla presenza del Signore nell’Adorazione: sintesi di quanto ascoltato, slancio per la riflessione personale. Ascoltare con il cuore e con consapevolezza un Vangelo, quello dell’Emorroissa (Luca 8,43-48; Marco 5,25-34), sentito e risentito ci ha fatto scoprire come il Signore parli direttamente alle nostre ferite, le indichi, proponendosi come vero medico donatore di salvezza. Infatti, ciascuno di noi potrebbe percepire lontane le storie di donne e violenze, di amori malati e corrotti che svuotano di vita un corpo; eppure, anche i nostri sono cuori che, in maniera diversa, gocciolano o grondano sangue da ferite mal curate o per niente considerate. Curare la propria affettività e le proprie relazioni non è un gioco semplice, non è da sottovalutare. Per questo siamo stati chiamati a riflettere sulla nostra interiorità, sulle nostre spaccature che sanguinano, ma che sono il luogo prediletto in cui il Signore vuole che avvenga un incontro pieno e vero per aiutarci ad individuare in che modo siamo chiamati ad amare.

Il primo dei quattro incontri Rise Up si è concluso con la consegna di un simbolo concreto che sa di speranza, di chiamata alla vita: una scatoletta di fiammiferi, inizialmente vuota! Questo perché potrebbe sembrare che alcuni, forse tanti, cuori siano arrivati a svuotarsi del necessario per ardere. Allora, ecco perché abbiamo ricevuto in dono anche due fiammiferi, non da conservare, a lasciare che si inumidiscano e perdano la loro capacità di accendersi, ma pronti a fare luce sul nostro spirito. La scatoletta dei nostri fiammiferi è pronta a riempirsi, e noi siamo già in attesa di rivederci al prossimo appuntamento di novembre, a Foggia, per metterci in gioco e “fare luce” su nuove tematiche insieme.

Antonio Gargano e Antonio “Felix” Scherma 

Vai al sito

Don Bosco Cinecittà – Emporio della Solidarietà

Dal sito dei Salesiani dell’Italia Centrale

***

C’è un nuovo segno di speranza nella città di Roma. È il sesto Emporio della solidarietà della Caritas capitolina, inaugurato il 17 ottobre, nella parrocchia di San Giovanni Bosco. Un vero e proprio supermercato aperto gratuitamente per i più bisognosi. L’obiettivo è prevenire e contrastare la povertà alimentare, accompagnando gli utenti a uscire dalle loro fragilità.

Si aggiunge agli altri cinque già presenti nel territorio della diocesi, ma è il primo nel settore Est. Una porta spalancata che colma una grande lacuna. Molte persone, infatti, rinunciavano al servizio offerto dagli altri empori perché impossibilitati a raggiungerli. Per dare l’idea: si attesta intorno al sei per cento la popolazione della Capitale che ha chiesto aiuti alimentari nel 2022, come sottolineato da Davide Marino del Consorzio universitario per la ricerca socioeconomica e l’ambiente.

L’apertura dell’emporio è stata preceduta dalla tavola rotonda “Povertà alimentare e carità politica”, che la Caritas diocesano ha promosso in occasione della Giornata mondiale di lotta contro la povertà, alle soglie del Giubileo. «È un segno di attenzione grande nei confronti della persona – ha detto monsignor Baldo Reina, vicario per il Papa per la diocesi di Roma -. L’esperienza dell’Emporio della solidarietà aiuta tutti a fare un salto di qualità». Secondo il vescovo, l’inaugurazione è una tappa importante, «ma non siamo pienamente contenti – ha aggiunto -. Lo saremo solo quando non esisterà più la povertà alimentare. Un obiettivo che non può essere un’utopia». Reina ha esortato a «sentire forte il bisogno dell’altro», perché «non può esistere la dimensione cristiana se c’è indifferenza». È necessario, ha concluso, «un ripensamento della cultura, che deve mettere al centro la persona umana».

Sulla stessa scia Giustino Trincia, direttore della Caritas romana, che ha invitato a «intervenire sulle cause che sono alla base della povertà, adottando con urgenza uno sguardo nuovo». Tre i cardini principali: «La cura della persona, l’adozione di un approccio multidisciplinare alla povertà alimentare e la promozione dell’accoglienza, dei rapporti di amicizia e di comunione, recuperando la centralità dell’essere accanto e di camminare insieme».

Sul tema dell’indifferenza e sulla necessità di uno sguardo globale ha riflettuto anche don Marco Pagniello, direttore di Caritas italiana. «Preoccuparsi delle disuguaglianze significa osservare l’insieme delle dinamiche sociali, politiche ed economiche – ha detto -. Siamo chiamati a farci dono, a essere segno per animare la comunità e a essere voce. Bisogna accompagnare oltre i bisogni».

A guidare l’inaugurazione con una benedizione e un momento di preghiera, il vescovo ausiliare per il settore Est Paolo Ricciardi, che ha definito la giornata «non come una conclusione, ma come un inizio nel segno della condivisione». Diversi poi gli interventi durante la tavola rotonda moderata dal giornalista Stefano Caredda, direttore di Redattore Sociale. Il parroco di San Giovanni Bosco, don Giorgio Mocci, ha parlato della carità come «la più grande forma di educazione per i giovani e per tutta la comunità». Sulla cura dell’altro come vero orizzonte di senso si è soffermata Maria Bianco, docente del Centro Hurtado della Pontificia Università Gregoriana. «Essa si pone – ha evidenziato – come una bussola capace di orientare le nostre scelte verso una maggiore giustizia, solidarietà e responsabilità reciproca».

Non è più possibile quindi pensare alla cura privatamente, ha aggiunto Francesca Romana Busnelli, professoressa dell’Università Pontificia Salesiana. «Ci deve essere un’azione sociale reciproca». È la missione sposata dalla Centrale del Latte di Roma, che dal 2015 collabora con la Caritas. «Un esempio virtuoso di come un’azienda possa coniugare il profitto con la responsabilità sociale», ha sottolineato il presidente Fabio Massimo Pallottini. Un impegno preso in carico anche dalle istituzioni presenti. Massimiliano Maselli, assessore all’Inclusione sociale e servizi alla persona della Regione Lazio, ha parlato del bando lanciato nel 2024 per contrastare la povertà, nel quale sono stati impiegati più di 2 milioni di euro. Mentre Francesco Laddaga, presidente del VII Municipio, ha ricordato il protocollo di collaborazione instaurato con la Caritas per combattere le fragilità.

Viventi per Lui: i Salesiani di Cagliari inaugurano la nuova Cappella della comunità

Dal sito dell’Italia Centrale.

***

 I Salesiani di Cagliari hanno celebrato la Dedicazione dell’altare della nuova Cappella della comunità salesiana “Nostra Signora di Bonaria”, con l’arcivescovo mons. Giuseppe Baturi.

Nella serata di venerdì 11 ottobre 2024, la comunità salesiana “Nostra Signora di Bonaria” di Cagliari ha vissuto una bella, ricca, semplice e intima Celebrazione Eucaristica durante la quale l’arcivescovo mons. Giuseppe Baturi ha dedicato l’altare della nuova cappella della comunità.

Durante la breve omelia l’arcivescovo ha innanzitutto ringraziato i confratelli per averlo invitato a vivere insieme il momento liturgico durante il quale si dedica a Dio un altare e l’intera Cappella.

«Le letture proclamate e l’arte di questa cappella ci mettono di fronte ad un’evidenza massima, com’è stato spiegato: la realtà della prossimità divina in Gesù Cristo: un Dio assolutamente grande che sceglie di diventare nostro amico, nostro ospite, nostro fratello. È qui, è vicino, è in noi e al tempo stesso immensamente più di noi. Era lo stupore di Salomone, che – come abbiamo sentito – edifica il tempio di Gerusalemme, fatto per incontrare Dio, ma che non poteva racchiuderlo, catturarlo. Era possibile incontrarlo, ma non prenderlo per sè. Per cui incontrare Dio doveva significare inevitabilmente aprirsi ad una presenza ulteriore, da riconoscere nei fratelli, nel popolo, nei segni del Creato, nei segni potenti nella storia. (…)

Un luogo in cui incontrare Dio e aprirsi alla sua presenza così eccedente, così incredibilmente pervasiva e capillare rispetto ad ogni aspetto dell’esistenza. Abbiamo sentito che questo è – con l’invio dello Spirito – il vero modo di adorare Dio: non in un luogo, ma nella persona stessa di Gesù, in cui il Padre abita corporalmente e in pienezza. Ciò che prima era il tempio adesso è la presenza stessa di Gesù: la sua Parola e il suo Corpo per noi consegnato sulla croce, albero di vita. Per cui incontrandoci qui non possiamo non avere evidenza della presenza di Gesù Cristo, come il luogo in cui abita corporalmente la pienezza della vita nella sua resurrezione, significa che adesso questa abitazione raggiunge tutti i tempi e tutti gli spazi. È risorto per non farsi contenere nelle Palestina di duemila anni fa, ma per investire della sua presenza ogni luogo, ogni casa, ogni uomo, ogni angolo del mondo, ogni frammento di bene.

Un ultimo pensiero. Così come ci veniva spiegato, ogni particolare qui è stato pensato in funzione della presenza di Gesù Cristo, della memoria della sua morte e resurrezione, nell’attesa della sua vita. Chiunque entra qui comprende che c’è un centro e che tutto il resto è in funzione di questo centro: un pezzo di edificio che non ha altra ragione che la presenza di Gesù che qui viene pregato, celebrato e poi assunto per essere nutrimento della nostra vita. Ma il vero culto spirituale è che ciò possa dirsi della nostra esistenza individuale, personale e della nostra comunità: noi ci siamo solo perché c’è Lui, solo in funzione della presenza di Cristo, solo per poter cercare di riconoscerlo, celebrarlo, testimoniarlo nell’amore ai più piccoli, ai nostri ragazzi in modo assoluto.

E così è la testimonianza cristiana: che gli uomini possano – come abbiamo sentito nella seconda lettura – guardarci e dire [di noi]: “ci sono e sono così capaci di condivisione, capaci di ascolto della Parola, lieti e accoglienti! E non c’è altra ragione che la presenza di Gesù fra di loro”. Siamo Cristo, gente che porta Cristo nella propria umanità trasfigurata, ma non perché siamo angeli! Perché siamo per Lui, viventi per Lui, che in fondo è la vera definizione del culto: viventi per Gesù Cristo, nel Padre».

Renner Italia e CNOS FAP Castel de’ Britti: per i giovani immigrati contratto a tempo indeterminato e alloggi

Pubblichiamo il comunicato stampa di Renner Italia e i Salesiani della Lombardia ed Emilia Romagna sul progetto con il Cnos-Fap Salesiani Castel de’ Britti. 

***

Contratto a tempo indeterminato e alloggi per giovani rifugiati. Il progetto di welfare abitativo voluto da Renner Italia ribalta i paradigmi dell’immigrazione. «Ha ragione il Centro studi di Confindustria: se il sistema produttivo del Paese vuole reggere, bisogna smetterla di pensare all’immigrazione come emergenza perché è un’opportunità», chiarisce Lindo Aldrovandi, amministratore delegato dell’industria di vernici di Minerbio (Bologna). «Le imprese fanno fatica ad assicurarsi operai indispensabili alla produzione. Diciamola tutta: gli italiani non ne hanno più voglia, nonostante da noi le condizioni siano molto più vantaggiose di quelle previste dal contratto nazionale della chimica – aggiunge -. D’altro canto, ci sono persone che fuggono da guerre e povertà. È gente che chiede la possibilità di lavorare. Basta fare due più due». 

Operai? Difficili da trovare. 

Il nuovo progetto di welfare abitativo avviato dal colosso bolognese delle vernici è tutt’altro che romantico. Al contrario. C’è tutto il pragmatismo di due esigenze che si incontrano. Domanda e offerta. Da una parte, le persone in cerca di una vita migliore fondata sul lavoro. Dall’altra, la manifattura che negli ultimi anni sta riscontrando sempre più difficoltà nell’assicurarsi manodopera. Sempre meno connazionali sono interessati al lavoro nei reparti produttivi. Gli ultimi dati del Centro studi di Confindustria parlano chiaro (agosto 2024): il 58,9% delle imprese italiane ha difficoltà ad assumere per lo svolgimento di mansioni manuali. Renner Italia non fa eccezione, nonostante sia all’avanguardia nelle politiche in favore dei propri 390 dipendenti, tanto da meritare l’appellativo di “olivettiana”.

Lavorare in Renner: premi e settimana corta.

Da sempre in Renner Italia sono istituite 14 mensilità al cospetto di un contratto nazionale che ne contempla 13. Ogni anno tutti i dipendenti ricevono un premio di circa 1700 euro e 700 euro di welfare. Cogliendo la difficoltà derivante dall’inflazione, la società ha deliberato maggiorazioni di 200 euro per chi va a lavorare volontariamente di sabato. Inoltre, Renner è stata tra la prime realtà in Italia a varare la settimana corta, ovviamente a parità di stipendio e monte ferie. Insomma, quella di Minerbio (Bologna) è un caso-scuola di best workplace. Eppure, l’azienda ha difficoltà ad assicurarsi operatori.

Il progetto con i Salesiani di Castel de’ Britti. 

A San Lazzaro di Savena c’è il Cnos-Fap Salesiani Castel de’ Britti, centro di formazione professionale per operatori del legno, accreditato dalla Regione Emilia Romagna. Renner Italia collabora da anni alla realizzazione del piano didattico per la parte della verniciatura dei mobili. L’Opera Salesiana di Castel de Britti è impegnata in prima linea anche ad accogliere e a formare giovani rifugiati. Attraverso due strutture, il centro di accoglienza straordinaria e il sistema accoglienza e integrazione, i salesiani a San Lazzaro ospitano più di cinquanta persone. Del resto, la congregazione salesiana si ispira a Don Bosco ed è un pilastro dell’inclusione dei migranti in Africa e in Europa. «Quando mi hanno contattato per sapere se ci fossero allievi disponibili a lavorare per Renner – racconta Carlo Caleffi, direttore dell’Opera Salesiana di Castel de’ Britti -, ho subito realizzato che era una preziosa opportunità. Siamo impegnati quotidianamente nella formazione di qualità e riusciamo a inserire molti validi elementi nel circuito del lavoro. Nel tempo ho verificato che per i nostri giovani il problema principale non è occupazionale, ma abitativo. L’affitto resta inaccessibile. Per questo, quando Renner mi ha contattato, ho suggerito di farsi carico del problema e di avviare un innovativo programma di welfare abitativo».

L’emergenza abitativa a Bologna.

Il mercato delle locazioni a Bologna vive una stagione senza precedenti. Della turisticizzazione degli affitti si sono nuovamente occupati i media una settimana fa. Bologna svetta in cima alla classifica delle città europee con il maggior incremento dei canoni in un solo anno: +20,2% rispetto al 2023 per l’affitto di una stanza. Ma non è soltanto un problema economico. Gli alloggi in affitto sono pressoché irreperibili in tutta la provincia. «Quindi abbiamo deciso di crearli noi, recuperando un vecchio immobile a Minerbio – chiarisce Lindo Aldrovandi -. Da metà novembre saranno arredati e pronti all’utilizzo». Il primo dei quali, Sulayman Waggeh, è già stato assunto a tempo indeterminato dall’azienda. 

Otto nuovi alloggi per iniziare.

Saranno otto i primi alloggi. Non si poteva fare di più. Il RUE è lo strumento urbanistico comunale – ormai superato dall’attualità – che a Minerbio dispone che, per ogni lotto produttivo, possa essere realizzata una superficie abitativa di massimo 150 metri quadrati. Locali asserviti esclusivamente all’attività. È un parametro secco: vale sia per l’artigiano che impiega due operai, sia per organizzazioni con centinaia di dipendenti. Un limite anacronistico che provvisoriamente Renner riuscirà a gestire.

Nel primo semestre del 2025 arriveranno altri due ragazzi dal centro salesiani di San Lazzaro. «Ho suggerito a Renner di farsi pagare un canone sostenibile, di carattere simbolico, perché i ragazzi devono avere chiaro che è un affitto e che si tratta di una tappa provvisoria. L’obiettivo è che presto siano in grado di stare in piedi da soli, di trovarsi una casa e di lasciare il posto alle nuove leve bisognose», racconta Carlo Caleffi

La formazione parte dai Salesiani.

Renner investirà nel Cnos-Fap per sostenerne l’attività didattica e creare un percorso specifico. Gli allievi potranno formarsi sulla sicurezza e su quello che troveranno al loro ingresso in azienda. «Il progetto è ambizioso. Con Carlo Caleffi e il suo magnifico team abbiamo stretto una sinergia per una formazione mirata già presso la struttura di Castel de’ Britti -conclude il manager di Renner Italia, Lindo Aldrovandi -. Siamo convinti che questo modello funzioni». 

Un modello in cui vincono tutti. I giovani immigrati che possono inserirsi nel tessuto comunitario e nella popolazione attiva. Il territorio che non è costretto a sobbarcarsi dei costi sociali. Le imprese che si assicurano continuità attraverso la forza lavoro.

 

Il Resto del Carlino

Cagliari, spot realizzato dai ragazzi

Dal sito dei Salesiani di Cagliari.

***

Da oltre 100 anni i Salesiani crescono con i giovani accompagnandoli nella loro crescita.
Loro ne fanno esperienza concreta nel loro quotidiano e lo hanno sintetizzato nella realizzazione di questo Spot preparato durante il workshop che i Salesiani hanno proposto invitando una equipe di professionisti nel campo dei social (IME comunicazione) che lavorano a servizio della Congregazione Salesiana a livello mondiale.

Ai ragazzi, ai giovani e adulti che hanno partecipato al workshop il nostro sincero ringraziamento per l’impegno e la realizzazione di quanto vedrete.

Il video vuole trasmettere un messaggio chiaro: a Cagliari, don Bosco si è fatto in tre, per rendere più visibile il carisma in una missione sempre più unitaria, che non annulli le differenze e le peculiarità di ogni singolo ambiente educativo, ma che vive iniziative e attività inserite in un’unica offerta educativa. Tre storie di ragazzi vissute all’interno dell’unica missione educativa salesiana: Scuola, Oratorio, Formazione Professionale!

GRAZIE DI CUORE a Dio che ha suscitato don Bosco nella Chiesa e ai giovani che sono il centro dell’azione educativa salesiana.
Con don Bosco, continuiamo a sognare insieme, alla grande!

don Angelo Santorsola

 

Visita del Vicario del Rettor Maggiore ad Ancona per i 125 anni dell’opera

Dall’agenzia ANS.

***

(ANS – Ancona) – Nella prima settimana di ottobre 2024 i salesiani dell’opera “San Luigi” di Ancona, appartenente alla Circoscrizione Italia Centrale (ICC), hanno celebrato i 125 anni dalla posa della prima pietra. Si è trattato di un evento che ha riempito di energia tutta la comunità educativo-pastorale e l’intera cittadinanza anconetana, che è stato preparato da una tre giorni di festeggiamenti, e che ha trovato il suo apice nella visita, nella giornata di domenica 6 ottobre, del Vicario del Rettor Maggiore, don Stefano Martoglio.

La festa è iniziata con tutta una serie di attività avviate già durante la settimana, all’insegna di giochi, delle olimpiadi salesiane, della presenza di tante associazioni sportive e non del territorio che hanno desiderato essere parte della rete di vita allestita dai Figli di Don Bosco. Per l’occasione anche l’arcidiocesi di Ancona-Osimo ha deciso di omaggiare significativamente l’azione sociale dei salesiani eleggendo il cortile salesiano, frequentato da ragazzi provenienti da più di 101 nazioni, come sede per la veglia diocesana dei migranti.

Il programma generale ha previsto mercoledì 2 ottobre la cerimonia d’apertura dei festeggiamenti, con poi giochi in cortile, sport di varie discipline e tipologie (anche per diversamente abili), laboratori d’arte, la cena giovanile e l’adorazione eucaristica.

Giovedì 3, oltre ai laboratori ludico-ricreativi, cui è prevista la partecipazione di Polizia di Stato e Vigili del Fuoco, nel pomeriggio ha avuto luogo una tavola rotonda condotta dal Cinecircolo Giovanile Socio-culturale “Dorico”, sul tema “125: le radici e i nuovi semi”, con la proiezione di un cortometraggio di Davide Vassallo il cui protagonista è Tarik, un ragazzo che ha svolto il Servizio Civile in Oratorio. All’evento hanno preso parte varie autorità civili e del Terzo Settore.

Venerdì 4 ottobre, invece, dopo i giochi in oratorio e l’esibizione della squadra di calcio cittadina, l’SSC Ancona, ha avuto luogo la Veglia Diocesana per i Migranti, con la presenza dell’Arcivescovo Mons. Angelo Spina, e un tempo di riflessione e preghiera sulle sfide legate alla migrazione. La serata è stata accompagnata da una cena etnica, per assaporare piatti provenienti da diverse culture, e lo spettacolo giovanile a tema “Il Sogno dei Nove Anni”, ispirato alla visione di Don Bosco del 1824.

“Il nostro oratorio si è fatto casa che accoglie e abbraccia i giovani al di là della cultura o religione di origine e ha offerto a tutti un’esperienza di famiglia – ha affermato da parte sua don Giampiero De Nardi, Direttore della comunità salesiana di Ancona –. Abbiamo voluto condividere queste tre giornate di festa e bellezza e riaprire le porte dell’oratorio al cuore della nostra comunità, offrendo ai ragazzi la possibilità di scoprire nuovi orizzonti, di vivere esperienze che altrimenti non avrebbero incontrato, e di crescere insieme, tra sport, amicizia e impegno”.

L’ultimo atto della festa è stato vissuto domenica 6 ottobre, con la Celebrazione Eucaristica presieduta da don Martoglio, che nel corso della celebrazione ha anche consegnato il mandato a tutti gli operatori pastorali. Nel corso della celebrazione, anche con riferimento alla liturgia del giorno, è stato sottolineato il valore della famiglia, e del ruolo che la comunità cristiana può svolgere per essere “famiglia per chi non ha famiglia”. “Nell’oratorio c’è l’amore di Dio che attende, accoglie, ascolta e abbraccia. Lì i giovani sono attesi dal suo amore. Lì ritrovano vita e speranza” è stato ricordato.

Per questo l’invito del Vicario del Rettor Maggiore a tutti i presenti è stato quello di vivere “un anno di servizio, per far prendere coscienza a tanti giovani di essere amati”.

La prima pietra dell’opera salesiana fu posta ad Ancona nel 1899, quando la città iniziava ad estendersi verso la stazione ferroviaria. Allora posta in aperta campagna, ora si trova al centro di uno dei quartieri più multietnici della città. L’oratorio accoglie oggi più di 600 bambini e ragazzi, seguiti da 120 volontari, che si alternano nelle attività didattiche e formative, da cinque sacerdoti e un coadiutore.

Sicilia, undici giovani hanno detto Sì per sempre a Messina

Dall’ufficio di Comunicazione sociale dell’Ispettoria sicula.

***

Con grande gioia e gratitudine, l’Ispettoria Salesiana Sicula “San Paolo”, la Comunità Salesiana “San Tommaso” di Messina e le famiglie dei candidati hanno celebrato la Professione Perpetua di undici giovani, che hanno scelto di donarsi completamente al Signore attraverso il carisma di Don Bosco. La cerimonia si è svolta il 5 ottobre 2024, alle ore 17:30, presso la Concattedrale del SS. Salvatore di Messina, durante una solenne Celebrazione Eucaristica presieduta da Don Alphonse Owoudou, Consigliere Regionale per Africa-Madagascar.

I candidati alla Professione Perpetua, provenienti da diverse parti del mondo, si sono formati presso l’Istituto Teologico “San Tommaso” di Messina e, dopo un lungo cammino di discernimento e formazione, hanno offerto la loro vita al servizio di Dio e dei giovani, secondo lo spirito di Don Bosco. Tra loro vi sono: Rogers Berocan, Sérgio A. Dos Santos, Francisco Horta, Fidel Junior, Georges Niyonkuru, U. Frank T. Bayiha, A. Melsior Porseni, Déo Nizirimana. Con loro, anche tre giovani siciliani: Emanuele Geraci di Messina, Vito Mangano di Mascali e Orazio Moschetti della comunità di Biancavilla.

La Professione Perpetua rappresenta uno dei momenti più significativi nella vita di un religioso. Si tratta di un atto solenne che rinnova e conferma l’alleanza battesimale, esprimendo il pieno dono di sé a Dio e alla missione a cui si è chiamati. Le Costituzioni dei Salesiani di Don Bosco, al n. 23, descrivono la professione religiosa come un segno dell’incontro d’amore tra Dio, che chiama, e il discepolo, che risponde con la totale donazione di sé al Signore e ai fratelli.

Durante l’omelia, Don Owoudou ha riflettuto sul ruolo del buon pastore, modello per ogni salesiano. “Il salesiano deve poter dire: ‘Io sono un pastore’. Dio è l’unico pastore e maestro, e noi dobbiamo riconoscere la sua voce e obbedire, sull’esempio di Gesù. Oggi molti giovani si perdono perché mancano di guide sicure, di pastori capaci di indicare loro la via giusta”.

L’impegno del salesiano, ha aggiunto il celebrante, è duplice: seguire il proprio pastore e, allo stesso tempo, essere pastore per gli altri, specialmente per i giovani. Ha sottolineato l’importanza di prendersi cura della propria vocazione e di quella altrui, ispirandosi all’amore e alla libertà. “Curare” è una parola che, come ha ricordato, piace molto a Papa Francesco. “Dovete curare la vostra vocazione per non perdervi e per non fare del male alle anime”.

La vocazione salesiana, ha concluso, si realizza nel servizio ai giovani, specialmente ai più poveri e bisognosi, incarnando la visione di Don Bosco. Il salesiano, nel suo impegno quotidiano, rende visibile e credibile Dio. La cura della propria vocazione richiede una costante relazione con Dio, con i confratelli e con i giovani, per operare insieme al servizio di una missione più grande.

Questa celebrazione segna per questi giovani non solo un passo decisivo nella loro vita personale, ma anche un forte segno di speranza per la Chiesa e la società, che trovano nella loro donazione una testimonianza di fede viva e concreta.

Albania – La prima assemblea della Delegazione AKM

Dall’agenzia ANS.

***

(ANS – Scutari) – Un nuovo capitolo della storia della missione salesiana e dell’Ispettoria “Beato Michele Rua” dell’Italia Meridionale è stato scritto il 5 e 6 ottobre 2024 a Scutari, dove si è tenuta la prima Assemblea della Delegazione Ispettoriale comprendente Albania, Kosovo e Montenegro (AKM). L’appuntamento ha riunito i 22 salesiani presenti in questi tre Paesi balcanici, provenienti dalle opere salesiane di Gjilan, Lushnjë, Pristina, Podgorica, Scutari, e Tirana.

La nuova Delegazione, come evidenziato nei documenti ufficiali della Congregazione Salesiana, ha l’obiettivo di promuovere uno sviluppo armonioso delle realtà salesiane nei territori balcanici, coordinando e animando le attività pastorali, in vista della futura istituzione di una Visitatoria.

Nell’occasione, si è vissuto anche il tradizionale incontro fra Salesiani e Figlie di Maria Ausiliatrice, in cui si è programmato insieme l’agire educativo congiunto per il nuovo anno pastorale. L’Assemblea è stata guidata dal Delegato ispettoriale per l’AKM, don Gino Martucci, affiancato dall’Ispettore di IME, don Gianpaolo Roma.

Uno dei momenti più sentiti è stato l’affidamento della nuova Delegazione alla Madonna del Buon Consiglio, presso l’omonima Basilica, al termine della Celebrazione Eucaristica.

Proprio in quel luogo santo per la comunità cattolica albanese, nell’estate del 1992, i salesiani celebrarono la prima Messa, tra le rovine del tempio distrutto dal regime totalitario di Enver Hoxha, affidando la loro missione e i giovani a Maria.

Oggi, dopo oltre tre decenni, la Famiglia Salesiana si ritrova nello stesso luogo, dove il 25 aprile 1993 Papa Giovanni Paolo II posò la prima pietra dell’attuale edificio religioso; e in questo contesto di profonda spiritualità, ha rinnovato la richiesta di protezione alla Madonna per il cammino della Delegazione e ufficialmente insediato don Martucci alla sua guida, per il primo triennio 2024-2027.

“È stato un momento di famiglia, con la gioia per una vita che prosegue”, ha sottolineato il Superiore di IME, don Roma, durante la Messa. “Come un padre che vede il proprio figlio, ormai maturo, lasciare la casa d’origine per costituire una propria vita, così noi guardiamo a questa nuova esperienza salesiana. Un padre che, pur lasciando andare il figlio, continua a garantirgli vicinanza e sostegno, affinché possa crescere pienamente nella missione a cui è chiamato”.

Salesiani Nord Est, professioni perpetue di suor Federica e Antonino

Sabato 28 settembre 2024, presso il Collegio Don Bosco di Pordenone, si è svolta una solenne celebrazione in cui Antonino Mazara e suor Federica Zof hanno emesso la loro Professione Perpetua, promettendo di consacrare definitivamente la loro vita a Dio e al servizio della missione salesiana. La frase guida della celebrazione, tratta dal Vangelo di Matteo, era “Date loro voi stessi da mangiare” (Mt 14,16), un invito a rendersi pane spezzato per il prossimo, nella logica del dono e del servizio.

Alla celebrazione hanno partecipato circa 600 persone provenienti da tutto il Triveneto, testimoniando un clima di gioia e di fraternità. Il rito è stato presieduto da don Silvio Zanchetta, ispettore del Triveneto, il quale, durante l’omelia, ha posto l’accento sull’importanza dell’amicizia e del dono di sé.

La festa è poi proseguita fino alla sera con un prezioso spettacolo sulla vita di don Bosco portata in scena dai giovani dell’Oratorio di Chioggia.

Suor Federica Zof: un percorso di fede e servizio

Nata nel 1990, suor Federica Zof ha sviluppato fin da giovane un forte legame con la parrocchia di Santa Maria la Longa, dove ha prestato servizio come animatrice. Durante gli anni delle scuole superiori, frequentate all’istituto Deganutti di Udine, ha coltivato il desiderio di dedicarsi agli altri, il che l’ha portata successivamente a trasferirsi a Mestre per frequentare l’università salesiana IUSVE. Qui ha continuato a collaborare con i salesiani presso l’oratorio di Mogliano Veneto.

Dopo un’esperienza lavorativa come educatrice all’oratorio di Pavia di Udine, suor Federica ha iniziato il cammino di discernimento vocazionale, un percorso che l’ha condotta dapprima a Trieste, poi a Torino per l’anno di postulato e infine a Roma, dove ha vissuto due anni di noviziato, professando per la prima volta il 6 agosto 2018. Nei primi cinque anni ha prestato servizio a Villanova di Fossalta di Portogruaro, mentre attualmente è da un anno impegnata nella comunità di Lendinara, in provincia di Rovigo. Suor Federica proviene da una famiglia fortemente legata alla spiritualità salesiana: suo fratello Emanuele, infatti, è anch’egli salesiano e sacerdote, e attualmente ricopre il ruolo di responsabile della Pastorale giovanile dell’Ispettoria del Nord-est.

In una intervista in merito alla Professione Perpeuta afferma: “La Professione perpetua per me è dire questo: dove sono io c’è anche Lui! Dirò un “sì” a Dio che mi chiede se ci sto a vivere con Lui tutta la vita. Dirò un “per sempre” a Dio perché “fino all’ultimo respiro” non mi basta, voglio essere Sua anche dopo”.

Antonino Mazara: una vita salesiana tra educazione e testimonianza

Antonino Mazara, classe 1993, proviene da una famiglia di origini siciliane ma saldamente radicata in Friuli. Cresciuto nella parrocchia di Santa Maria la Longa, Antonino ha maturato la sua vocazione salesiana attraverso l’esperienza “Live” a La Viarte. Dopo il noviziato a Torino, dove ha celebrato la sua prima professione l’8 settembre 2017, Antonino ha proseguito il suo percorso con due anni di studi filosofici a Brescia. Successivamente, ha vissuto tre anni di tirocinio nelle case salesiane di Verona e Castello di Godego, dove ha insegnato religione nelle scuole e animato gli oratori.

Il cammino formativo lo ha riportato a Torino, dove ha completato il secondo anno di teologia e si appresta ora a concludere il terzo. Le estati di Antonino sono state spesso caratterizzate dal servizio a Pordenone, città in cui, il 28 settembre, ha emesso la sua Professione Perpetua come salesiano, sigillando un cammino di fedeltà e dedizione.

Anche Antonino, in merito alla Professione Perpetua ha affermato: “Credo di aver intuito che la Professione Perpetua è due cose:1. Scegliere una volta per tutte a chi appartengo! Di chi sono!; 2. Rendere evidente agli occhi di tutti l’amore di Dio: nonostante io sia un poveretto, vedi la mia fragilità e i miei peccati, Dio mi vuole per sè, per fare grandi cose nella mia vita e per chi avrò vicino! Sono felice di poter mostrare l’azione di Dio a tutti”.

La celebrazione delle Professioni Perpetue di suor Federica Zof e Antonino Mazara ha rappresentato un momento di grande gioia e testimonianza per la comunità salesiana del Triveneto. Le loro vite, offerte con amore e generosità, sono un segno tangibile di speranza e un richiamo alla vocazione come servizio agli altri, in risposta alle parole del Vangelo.