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Educare i giovani alla pace, l’esperienza della cittadella internazionale “Rondine”

Da Note di Pastorale Giovanile, di Marcello Scarpa.

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Dopo due anni di pandemia, quando le difficoltà sanitarie, economiche, sociali sembravano lasciare il posto a un futuro di speranza, la guerra scoppiata in Ucraina ha riportato indietro le lancette della storia di settant’anni,[1] ai tempi della cortina di ferro e della guerra fredda. Le immagini dei combattimenti che quotidianamente inondano le nostre case hanno reso evidente che il sistema di democrazia occidentale non è sufficiente a garantire la pace nel mondo; il benessere economico non basta ad arginare le ondate del male, perché il male non è al di fuori dell’uomo, ma può prendere drammaticamente dimora dentro di lui, fino a portarlo alla distruzione di sé, oltre che dei suoi simili.
Qual è l’origine del male? La guerra attuale è frutto di una sola mente desiderosa di ricostruire il grande impero degli zar, oppure è un’operazione militare portata avanti dai russi per evitare di ritrovarsi circondati dagli armamenti della coalizione atlantica? Non è nostra intenzione limitarci allo studio di un singolo episodio, seppur drammaticamente attuale, analizzando le motivazioni dell’una e dell’altra parte, né di offrire criteri o soluzioni per il conseguimento di una pace durevole. Piuttosto, vogliamo allargare l’orizzonte chiedendoci: è possibile prevenire la violenza? È possibile sanare dal di dentro le ferite della guerra, perché non siano il punto di partenza per l’innesco di ulteriori conflitti?
In questa sede, ci lasciamo prendere per mano dall’esperienza messa in atto nella cittadella internazionale di Rondine dove un gruppo di giovani, provenienti da paesi in guerra fra di loro, vivono, studiano e progettano insieme un futuro di riconciliazione, dapprima con se stessi, poi con il “nemico”, infine con l’umanità intera.

Rondine, cittadella della pace

L’antico borgo medievale di Rondine, piccola frazione del comune di Arezzo, sorge sulla riva destra del fiume Arno ed è immerso nella Riserva naturale di Ponte Buriano, il ponte dipinto da Leonardo da Vinci alle spalle di Monna Lisa.[2] Con il passare degli anni la cittadella, che nel passato era stata una fortezza militare, si era svuotata e alla fine della seconda guerra mondiale versava in stato di incuria ed abbandono. Nel 1976 un gruppo di giovani, fra cui Franco Vaccari,[3] ispirandosi alla pedagogia educativa di don Lorenzo Milani, ai movimenti pacifisti internazionali, alle nuove esperienze di vita comunitaria nate nel postconcilio, all’impegno civile di Giorgio La Pira,[4] iniziarono a restaurare l’antico borgo che, poco alla volta, da avamposto bellico fu trasformato in un centro di formazione internazionale per la pace.

Nel 1988, dopo i primi anni di volontariato trascorsi vivendo i valori dell’ospitalità e del dialogo, Franco Vaccari e il gruppo dei fondatori di Rondine, nonostante non avessero nessuna esperienza nel campo diplomatico e della risoluzione dei conflitti, inviarono una lettera a Raissa Gorbaciova con l’obiettivo di superare la logica della contrapposizione della guerra fredda e di aprire un canale di comunicazione con l’Unione Sovietica. Inaspettatamente, la first lady accolse la loro proposta e li invitò a Mosca, dando così avvio a una serie di incontri bilaterali sul tema della pace. Nel 1995, anno segnato dalla guerra di Cecenia, i fondatori di Rondine furono invitati nella capitale russa per cercare una tregua al conflitto, ma la loro opera di mediazione non ebbe successo.[5] Sulla scia del credito di fiducia che si erano guadagnati nelle trattative di pace, una sera di fine estate del 1997, al termine del primo conflitto armato in Cecenia, il rettore dell’Università di Groznyj, Mukadi Izrailov, telefonò a Franco Vaccari chiedendo di ospitare a Rondine tre giovani ceceni perché potessero completare gli studi interrotti a causa della guerra. Ispirato dal pensiero di La Pira, Vaccari rispose spontaneamente: «Sì, se accettano di venire insieme ai russi»; la replica del Rettore fu immediata: «Ah, noi non abbiamo problemi! Se riuscite a trovare un russo che dorma in camera con un ceceno».[6] Una volta fatto il primo passo, nel giro di poche settimane i russi trovarono due giovani disposti a dormire in camera con dei ceceni; in tal modo, salendo su due normali aerei di linea, cinque giovani universitari iniziarono il loro viaggio verso Rondine con lo scopo di «vivere insieme, dormire insieme, studiare insieme, mangiare insieme, dialogare insieme»,[7] con quelli che fino al giorno precedente erano i loro nemici.

[1] Su questa linea, le parole del Presidente della Repubblica italiana, Sergio Mattarella: «Non possiamo accettare che la follia della guerra distrugga quello che i popoli d’Europa sono stati capaci di costruire e realizzare in questi sette decenni in termini di collaborazione, di pace, di ricerca di obiettivi comuni nel nome dell’umanità»: https: // www .adn kronos.com /ucraina-russia-mattarella-follia-guerra-non-puo-distruggere-70-anni-di pace_20dUcOoo7 DowOPAcf4Hrr (consultato il 4/5/2022); per un diverso parere, cfr. F. Ganeo, L’unione europea ha davvero garantito 70 anni di pace? No, nemmeno in Europa, in: https://www.ilprimatonazionale.it/esteri/unione-europea-70-anni-pace-nemmeno-europa-183159
(consultato il 4/5/2022).
[2] Per la storia di Rondine e i suoi progetti, attuali e futuri, cfr. https://rondine.org
[3] Psicologo, direttore del Nuovo Laboratorio di psicologia ad Arezzo e docente di Psicologia, è autore di numerosi articoli su quotidiani e riviste; fra i volumi segnaliamo: F. Vaccari, Portici. Politica vecchia, nuova passione, Ave, Roma 2007; Idem, S-confinamenti, Pazzini, Villa Verrucchio (Rn) 2018; Idem, stoRYcycle, Pazzini, Villa Verrucchio (Rn) 2018; Idem, L’approccio relazionale al conflitto. Quattro lezioni sul Metodo Rondine, Franco Angeli, Milano 2021.
[4] Cfr. Idem, Il diritto a parole di pace, in: L. Alici (ed.), Dentro il conflitto, oltre il nemico. Il “metodo Rondine”, Il Mulino, Bologna 2018, 34-35.
[5] Sul fallimento delle trattative, cfr. F. Vaccari, Il Metodo Rondine. Trasformazione creativa dei conflitti, Pazzini, Villa Verrucchio (Rn) 2018, 21-24.
[6] Idem, Il diritto a parole di pace, in: L. Alici (ed.), Dentro il conflitto, oltre il nemico. Il “metodo Rondine”, Il Mulino, Bologna 2018, 34.
[7] Ibidem, 36.

L’antico e il nuovo nella vita cristiana

Dal numero di marzo di Note di Pastorale Giovanile, la rubrica “Pastorale giovanile come apprendistato alla vita cristiana” di Marcello Scarpa.

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Iniziamo in questo numero una rubrica sulla Pastorale giovanile come apprendistato alla vita cristiana. Un tema impegnativo: come evitare il rischio del “già detto”, di ripetere i soliti discorsi teorici, formalmente accurati, ma spesso disincarnati, svincolati dalla realtà? Eppure, ciò rende la sfida ancora più affascinante: non sono forse gli stessi giovani, pur fra luci e ombre, ad aver espresso al Sinodo il desiderio di essere formati, accompagnati, resi protagonisti della vita ecclesiale?[1]
Nell’intraprendere questo cammino, nella scelta del titolo del primo numero della rubrica ci siamo lasciati ispirare dalle parole iniziali della poesia “L’aquilone” di Giovanni Pascoli:

          C’è qualcosa di nuovo oggi nel sole,
anzi d’antico: io vivo altrove, e sento
che sono intorno nate le viole.
Son nate nella selva del convento
dei cappuccini, tra le morte foglie
che al ceppo delle querce agita il vento.[2]

Parole familiari, che accompagnano i nostri ricordi scolastici, che richiamano l’odore del gesso sulla lavagna, il sapore di merende in aule affollate, di giochi in cortile, all’aria aperta. Parole con le quali vogliamo accompagnare la nostra riflessione: cosa c’è di nuovo, anzi d’antico, nella formazione alla vita cristiana? In quale “altrove” vivono le nuove generazioni? Quale vento agita le querce secolari della Chiesa, e quali sono le viole che spuntano “nella selva del convento dei cappuccini, tra le foglie morte”, come recitano i versi della poesia di Pascoli?

C’è qualcosa di nuovo oggi nella vita cristiana…

Viviamo in un tempo di rapide trasformazioni culturali, sociali, mediatiche, un «cambiamento d’epoca» che richiede un rinnovamento delle prassi ecclesiali e pastorali, per sottrarle al rischio di cristallizzarsi in forme non più comprensibili agli uomini del nostro tempo. I due anni di pandemia, che hanno segnato la vita delle persone a livello mondiale, hanno fatto maturare nella coscienza collettiva alcune consapevolezze che, riecheggiando le parole di papa Francesco,[3] hanno trovato ampio spazio sui mezzi della comunicazione sociale: “siamo tutti sulla stessa barca”, “viviamo in un mondo dove tutto è connesso”, “nessuno si salva da solo”, sono diventate espressioni comuni, purtroppo confermate dagli imprevedibili e tragici avvenimenti della guerra in Ucraina.
All’interno di questo contesto, anche il cammino della Chiesa si è andato rivestendo di novità: papa Francesco ha aperto la stagione della sinodalità,[4] ovvero ha inaugurato il tempo dell’ascolto reciproco, dell’incontro, del dialogo, della collaborazione. Per rimanere nella metafora della poesia del Pascoli, il vento che agita le querce (= le tradizioni radicate nel tempo) della Chiesa è proprio quello della sinodalità, di cui ampiamente si scrive sulle pagine di questa rivista. Non è questa la sede per ulteriori approfondimenti sul tema; è sufficiente ricordare che l’espressione indica il “camminare insieme” di vescovi, laici, giovani, come un unico popolo di Dio. Purtroppo, dobbiamo riconoscere che per molto tempo nel campo dell’azione evangelizzatrice della Chiesa si è invece camminato per settori o ambiti separati: l’evangelizzazione, il primo annuncio, la catechesi, la pastorale giovanile, hanno viaggiato lungo binari paralleli, dialogando poco fra di loro, il più delle volte ignorandosi reciprocamente.
È invece importante ricordare che lavoriamo tutti, ognuno secondo i propri ruoli e responsabilità, per lo stesso Signore che guida la barca dell’umanità. In un tragitto comune non si tratta di dividersi i compiti e poi agire da soli, ma di mettere insieme le energie valorizzando il contributo di tutti, perché la vita cristiana non è appannaggio di nessuna delle diverse competenze pratiche o dei vari uffici diocesani e parrocchiali, che sono tutti, invece, a servizio del popolo di Dio. Pertanto, è bene che la pastorale giovanile e la catechesi, distinte tra loro ma non del tutto separate,[5] lavorino in sinergia nel contesto della formazione dei giovani. Da un lato la pastorale giovanile non può accontentarsi di fare solo un ottimo servizio educativo, ma deve interrogarsi sull’urgenza dell’evangelizzazione;[6] dall’altro, la catechesi non può limitarsi alla nuda enunciazione dei contenuti di fede, ma deve elaborare percorsi formativi in riferimento alle esperienze di vita dei giovani.[7]

Anzi d’antico…

Siamo nani sulle spalle dei giganti. La celebre frase di Bernardo di Chartres mette in evidenza che qualsiasi opera di rinnovamento non fa mai tabula rasa delle conoscenze ed esperienze maturate nel passato, anzi, ne fa tesoro per svilupparle in maniera più adeguata ai nuovi contesti del presente. Senz’altro con il trascorrere del tempo la formazione cristiana dei giovani, riprendendo l’immagine della poesia di Pascoli, ha lasciato dietro di sé alcune foglie morte. Pensiamo al fallimento del catechismo per i giovani, che aveva come meta finale dell’itinerario in dieci capitoli l’incontro con Gesù: nonostante lo stile narrativo dei discorsi formativi, l’orizzonte di comprensione del testo era quello di trasmettere dei contenuti dal punto di vista antropologico, biblico, kerigmatico, cristologico. Tutto ciò non ha intercettato le dinamiche esperienziali delle nuove generazioni, più sensibili al mettersi in gioco, fin da subito, nella realtà concreta della vita. Infatti, i giovani preferiscono più i “sapori” che i “saperi”, «vogliono toccare con le loro mani, […] si fidano solo della loro esperienza»[8] personale, pertanto questo è il tempo propizio per far “gustare” loro la bellezza della vita cristiana.
Inoltre i giovani, similmente a quanto il poeta G. Pascoli dice di sé, vivono “altrove”. Troppo facilmente siamo portati a dare per scontato che i giovani che frequentano gli ambienti ecclesiali abbiano dimestichezza con il Vangelo e conoscano i nuclei essenziali della fede cristiana. In realtà, come confermano le indagini sociologiche, i giovani evidenziano una povertà della conoscenza dei contenuti di fede «sproporzionata rispetto al tempo passato al catechismo e agli anni di formazione».[9] Si avverte, perciò, l’urgenza di rigenerare la fede e di introdurre alla vita cristiana tanti giovani per i quali i sacramenti dell’iniziazione cristiana sono stati l’addio, e non l’avvio, al cammino di fede.
Ma cosa vuol dire iniziazione cristiana? L’antica prassi del catecumenato, ripristinata dopo il Concilio Vaticano II, si rivolgeva ai convertiti non battezzati e si strutturava come un complesso organico e graduale per iniziare alla fede e alla vita cristiana. Proprio perché si rivolgeva a chi doveva essere introdotto (=iniziato) al cristianesimo, oggi lo stile del catecumenato «può anche ispirare la catechesi di coloro che, pur avendo già ricevuto il dono della grazia battesimale, non ne gustano effettivamente la ricchezza: in questo senso, si parla di ispirazione catecumenale della catechesi o catecumenato post-battesimale o catechesi di iniziazione alla vita cristiana» (DC 61).

 

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Il percorso formativo del “Gruppo Samuele”

di Marcello Scarpa

Nell’attuale società liquida, caratterizzata da scelte provvisorie e reversibili, incertezza del futuro e ristrettezza di orizzonti progettuali, non è facile proporre ai giovani né la ricerca di una forma di vita “solida” intorno a cui imperniare la propria esistenza, né parlare di “vocazione”, una parola che evoca l’esigenza di impegni definitivi che limitano la libertà della persona. Eppure, nonostante le intemperie dell’attuale cultura postmoderna, il termine “vocazione” non è estraneo al background culturale dei giovani d’oggi. Essi, infatti, sentendosi chiamati a prendere delle decisioni in ambito professionale, sociale, politico e affettivo, sono alla ricerca di una direzione da assegnare alla propria vita, di qualcuno con cui confrontarsi sul proprio futuro. Pertanto, è doveroso accompagnare i giovani nella ricerca della propria “vocazione”, ovvero del modo di collocarsi nel mondo con l’originalità e la specificità della propria esistenza.
Lungo il corso della storia ecclesiale il concetto di vocazione ha conosciuto differenti modalità di comprensione. Il Concilio Vaticano II ha recuperato il significato biblico della vocazione, Dio non solo ha creato l’uomo, ma l’ha pensato e amato sin dall’eternità, assegnandogli un nome preciso con il quale lo chiama ad entrare in comunione con Lui «per collaborare alla trasformazione del mondo» (CV 178); in tal senso, ogni vita umana ha un orizzonte vocazionale in rapporto a Dio. Al dato originario che la vita è vocazione, bisogna aggiungere un secondo elemento, il “come” rispondere alla vocazione della vita. Il cardinale Martini, che nell’anno pastorale 1990-1991 iniziò con alcuni giovani dai 17 ai 25 anni l’esperienza del Gruppo Samuele, spiegò loro che il senso della vocazione consisteva nell’«orientare la libertà verso la realizzazione del progetto di Dio sul mondo, per quella parte che mi riguarda». Nei suoi quarant’anni di storia, il Gruppo Samuele è stato insieme un cammino di grazia e libertà per molti giovani che, già familiari ad un annuncio minimale del Vangelo, «avvertivano il bisogno di un approfondimento serio della loro fede e la necessità di un itinerario concreto per scoprire la loro vocazione». Ancora oggi, «stupiscono la disponibilità dei giovani a intraprendere l’itinerario, la serietà e l’assiduità agli incontri mensili da novembre a giugno, la disponibilità a lasciarsi guidare dalla Parola del Signore in un discernimento reale della propria vita».

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Tavola rotonda “Sguardi sulla pastorale giovanile”: confronto online

Nella giornata di ieri, 26 aprile, si è tenuto online la tavola rotonda “Sguardi sulla pastorale giovanile“, un confronto a partire da alcune recenti pubblicazioni con l’intervento di alcuni docenti della Facoltà di Teologia dell’Università Pontificia Salesiana come Salvatore Currò, Gustavo Cavagnari e Rossano Sala. Di seguito il Report dell’incontro a cura di Eric Strollo.

Sguardi sulla Pastorale Giovanile. È stato questo il titolo scelto per la Tavola Rotonda organizzata dall’Istituto di Teologia Pastorale dell’UPS, che si è svolta lunedì 26 aprile dalle 15.00 alle 17.00 e che ha visto coinvolte oltre 150 persone collegate in videoconferenza. L’evento è iniziato con il saluto del Decano della Facoltà di Teologia don Antonio Escudero che ha espresso la sua gratitudine nei confronti dei tre relatori e dei partecipanti tutti.

Il moderatore, il prof. Marcello Scarpa, ha successivamente introdotto la biografia di don Salvatore Currò, direttore dell’Istituto di Teologia Pastorale e autore del volume: “Giovani, Chiesa e comune umanità. Percorsi di teologia pratica sulla conversione pastorale”.

La prima domanda è stata suscitata direttamente da questo sottotitolo:

Cosa s’intende per «conversione pastorale»?

Secondo Currò, la chiave fondamentale per il rinnovamento ecclesiale è quella di mettere al centro la dinamica dell’incontro. In questa trama relazionale, la prospettiva antropologica si incontra con quella teologica. All’inizio della fede cristiana, infatti, come sottolineava Benedetto XVI, c’è proprio l’incontro-evento con una Persona. La conversione pastorale suggerita da don Salvatore passa, inoltre, per il recupero della misura della Rivelazione (per una pastorale giovanile secondo le Scritture) e per la riconfigurazione (trasfigurazione) della dimensione corporea della fede in prospettiva fenomenologica. 

È arrivato poi il turno di Don Gustavo Cavagnari, docente di teologia pastorale e autore della nuova pubblicazione «Andate e fate discepoli tutti i giovani. Per una pastorale giovanile evangelizzatrice», al quale è stato chiesto come poter intendere l’inclusività della pastorale giovanile oggi. Il prof. Cavagnari ha ricordato che la Evangelii Gaudium ci spinge a una pastorale inclusiva (successivamente declinata nel capitolo ottavo di Amoris Laetitia) ovvero che sappia integrare diversi soggetti o, meglio, che sia in grado di «creare spazi inclusivi, dove ci sia posto per ogni tipo di giovani» (Documento Finale del Sinodo dei Giovani, n. 234). È una pastorale giovanile «popolare», non elitaria, in grado di arrivare a tutti. In sintesi, è inclusiva: una pg che coinvolge «persone con competenze adulte» (1), una pg che collabora con le altre agenzie educative (2), una pg che raggiunge tutti i giovani, nei loro ambienti e contesti, anche e soprattutto extraecclesiali (3). 

Il terzo intervento è stato quello di Don Rossano Sala, direttore della rivista «Note di Pastorale Giovanile», segretario speciale del Sinodo dei Vescovi sul tema “I giovani, la fede e il discernimento vocazionale” del 2018 e professore ordinario di teologia pastorale all’UPS. Nella sua opera più recente Intorno al fuoco vivo del Sinodo, Sala propone la visione sinodale di una pastorale che evangelizza per attrazione e attraverso la testimonianza di una comunità. Il prof. Scarpa ha perciò domandato un approfondimento sull’espressione «profezia di fraternità». Per Sala, la grande provocazione del Sinodo è quella che ruota attorno alle parole: comunità, fraternità, familiarità, sinodalità. In un’unica espressione: fare casa. Il sogno del Papa per la pastorale giovanile del terzo millennio è che essa diventi una vera scuola di comunione capace di offrire esperienze di vita comune qualificate come «un tempo destinato alla maturazione della vita cristiana adulta», «in vista del discernimento vocazionale» (DF 161).  

Durante il secondo giro di domande si è scesi ancora di più in profondità nella riflessione. Il prof. Currò ha richiamato la spinta del Sinodo a coltivare il desiderio di poter raggiungere tutti i giovani per poter camminare-con-loro, con-camminare. È, in fondo, la prospettiva della Laudato Si’ e della Fratelli Tutti, le quali abbandonano definitivamente uno stile «unilaterale» di evangelizzazione, che cioè mira a portare l’altro «dalla mia parte». È invece il tempo delle alleanze, di sentirsi «tutti sulla stessa barca», di abbandonare i dualismi e le contrapposizioni, di inserirsi in un cammino che ci precede perché si situa su un piano di «comune umanità». «Abbiamo una sfida non soltanto a dire il Vangelo e a mediarlo, ma a farlo risuonare» tramite una evangelizzazione nuova in cui, mentre cresciamo insieme in umanità, diventiamo più cristiani.

Cavagnari ha sottolineato l’importanza del discernimento pastorale. In altre parole, non è possibile prevedere a tavolino strategie ecclesiali per formare discepoli missionari. Ogni intervento non esiste mai in astratto, ma deve sempre tener conto di un determinato contesto sul quale operare un attento discernimento pastorale. Per intraprendere questo cammino è necessario un serio cambiamento di mentalità da avviare e accompagnare. 

Sala ha, infine, proposto tre vie di rinnovamento: 

  1. sul piano pastorale: lavorare seriamente con profondità di pensiero e coraggio per una pastorale giovanile in chiave vocazionale (Cfr. DF 138-143). 
  2. a livello comunitario: entrare nel ritmo del discernimento. Si tratta di capire, ancora una volta, che alla domanda “Che cosa dobbiamo fare?” non abbiamo una risposta preconfezionata. Non abbiamo una soluzione, ma un metodo (riconoscere, interpretare, scegliere). Le soluzioni arrivano solo se ci mettiamo come comunità in ascolto dello Spirito che parla alla Chiesa oggi. 
  3. dal punto di vista accademico: passare dalla tentazione della competizione e del carrierismo allo stile della sinodalità (Cfr. Rm 12,10:  «Gareggiate nello stimarvi a vicenda»). 

È seguito un secondo momento in cui la tavola rotonda si è aperta al dibattito. Tra gli spunti di riflessione più significativi: il superamento della logica applicativa e deduttiva nell’ambito teologico-pastorale (Currò), l’impegno per la ricezione dei documenti sinodali nella Chiesa particolare (Sala), l’attenzione all’integrazione fra pastorale familiare e pastorale giovanile (Cavagnari). Il catecheta Giuseppe Ruta ha, infine, sollecitato i tre relatori ad approfondire il rapporto tra pastorale giovanile, educazione e catechesi. 

Il prof. Currò ha accolto la provocazione sottolineando la necessità per l’educazione e per la catechesi di un certo «rovesciamento» in senso sinodale: dal «fare per» all’«essere con». La pastorale giovanile del terzo millennio è una pastorale che non intende più i giovani come destinatari, ma che, a partire dai luoghi da loro abitati, ne condivide il vissuto e, per questo, educa ed evangelizza. Sala ha rilanciato l’invito che il Sinodo ha mosso affinché la catechesi trovi i modi più opportuni per far risuonare l’annuncio del Vangelo nel cuore dei giovani di oggi. Cavagnari ha, infine, ribadito che la dimensione evangelizzatrice e quella educativa sono inscindibili nell’unica azione pastorale della Chiesa. 

A seguito del momento dedicato alle domande, ha preso la parola il prof. Alberto Martelli, docente di Teologia dell’Educazione presso IUSTO e consigliere editoriale della ElleDiCi, che nelle sue conclusioni ha espresso gratitudine per la ricchezza e lo spessore degli interventi ascoltati. Nei testi che erano oggetto della Tavola Rotonda ha individuato dei tratti comuni: la fedeltà alla realtà (senza intellettualismi o settorialismi), l’attenzione all’identità ecclesiale, la riscoperta del polo antropologico (vocazione, donazione, corporeità, incontro). Come ulteriori approfondimenti ha suggerito alcune piste: il ruolo della liturgia nella pastorale giovanile, il rapporto tra Chiesa universale, diocesi e singole comunità, il digitale e la «pastorale online», il rilancio del tema eucaristico.                       

Al termine di questo incontro possiamo rilevare che il confronto tra il cardine teologico di Sala, l’orizzonte antropologico di Currò e la prospettiva evangelizzatrice di Cavagnari è stato un momento illuminante e fecondo per la riflessione di studenti, ricercatori ed operatori pastorali. Facciamone tesoro e continuiamo a lavorare insieme per una pastorale giovanile in chiave relazionale e solidale (Currò), popolare e sinodale (Cavagnari); vocazionale e familiare (Sala). Sguardi diversi, ma rivolti tutti verso l’orizzonte di «una Chiesa autentica, luminosa, trasparente, gioiosa» (DF 166)!

L’evento può essere rivisto cliccando qui:

UPS

Tavola rotonda online “Sguardi sulla pastorale giovanile”

Lunedì 26 aprile, dalle ore 15 alle ore 17, si terrà online la tavola rotonda “Sguardi sulla pastorale giovanile“, un confronto a partire da alcune recenti pubblicazioni. Intervengono i docenti della Facoltà di Teologia dell’Università Pontificia Salesiana:

Modera:

  • Marcello Scarpa, Istituto di Teologia Pastorale

Conclusioni:

  • Alberto Martelli, docente di Teologia dell’educazione – Istituto Universitario Salesiano di Torino

Università Pontificia Salesiana
Facoltà di Teologia – Istituto di Teologia Pastorale
Piazza dell’Ateneo Salesiano, 1 Roma
www.unisal.it

Scarica la locandina
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Seminario sul “Direttorio per la catechesi” all’Università Pontificia Salesiana

L’Istituto di Teologia Pastorale e l’Istituto di Catechetica dell’Università Pontificia Salesiana organizzano un Seminario di studio dal titolo: Direttorio per la catechesi: l’antico e il nuovo. Approfondimenti a partire dal numero monografico di Salesianum.

 Durante l’incontro si approfondiranno due aspetti rilevanti: il significato che il Direttorio assume per la riflessione catechetica e la pratica pastorale e il rapporto tra il documento e il recente Sinodo sui giovani. Sullo sfondo si colloca l’ultimo numero monografico della rivista Salesianum dedicato all’approfondimento da diversi punti di vista delle principali indicazioni presenti nel Direttorio.

Intervengono:

Ubaldo Montisci, introduzione al Seminario

Giuseppe Ruta: Il “Direttorio per la catechesi” nel contesto del cammino catechistico post-conciliare

Salvatore Currò: Pastorale e catechesi dei giovani tra Sinodo e “Direttorio”

Marcello Scarpa, conclusioni

Per partecipare: https://us02web.zoom.us/j/86829323012?pwd=YjhGZ1pBU3RaZy9RWFF2dlpndkJ1QT09

Meeting ID: 868 2932 3012

Passcode: 930920