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Il prof ti viene a prendere attraverso la webcam – Il Sole 24 Ore

Si riporta di seguito un interessante articolo dedicato a queste giornate di emergenza, in particolare per ciò che riguarda le modalità di apprendimento e il rapporto tra alunni e insegnati, grazie all’intervista su Il Sole 24 Ore a Daniela Lucangeli, psicologa dello sviluppo, prorettrice dell’università di Padova. Di seguito l’articolo a cura di Maria Piera Ceci, pubblicato il 16 marzo 2020.

Quello che stiamo vivendo in questi giorni di chiusura delle scuole per l’emergenza coronavirus è un passaggio epocale. Ne è convinta Daniela Lucangeli, psicologa dello sviluppo, prorettrice dell’università di Padova, in libreria con «Cinque lezioni leggere sull’emozione di apprendere», edito da Erickson.

Professoressa, perché passaggio epocale?

Per la situazione che stiamo vivendo, la didattica a distanza, che in realtà non è una nuova tecnologia, ma una tecnologia quasi primitiva rispetto a quella che potremmo adoperare, ha fatto una rivoluzione. È la prima volta che non sono i ragazzi ad andare a scuola, ma è la scuola che va ai ragazzi. Questa non è un’osservazione banale perché questo cambia completamente il meccanismo di significato con cui viene letta, perché la tecnologia, invece di essere qualcosa che sostituisce la presenza del professore, è qualcosa che consente la presenza del professore.

È questa la rivoluzione. Questa non è didattica a distanza nel senso che è mediata tecnologicamente, come potevamo immaginarci solo quindici giorni fa. Questa é tutt’altra cosa perché il messaggio che dà ai ragazzi è: attraverso un mezzo, viene da te il tuo adulto di riferimento. Non è una tecnologia che sostituisce l’adulto, ma una tecnologia che consente la connessione con il proprio docente, con la propria scuola, con i propri compagni. Quindi diventa esattamente ciò che è: un media perfetto. Siamo di fronte ad un passaggio epocale che va compreso, che ci fa capire il giusto senso dell’utilizzo della tecnologia. Il positivo in questo è che la tecnologia come media in questo caso consente la connessione umana al professore, alla società. La tecnologia che fa la tecnologia e non che fa qualcosa al posto nostro. A cui non viene più affidato il compito di impegnare il nostro tempo e di risolvere le nostre difficoltà, ma la tecnologia in cui l’umano utilizza un mezzo per arrivare all’altro umano.

Ma a livello di apprendimento cambia qualcosa? Il fatto di assistere alla lezione in pigiama dalla propria cameretta come cambia l’apprendimento? La didattica a distanza è più o meno efficace di quella tradizionale?

A livello di apprendimento abbiamo esattamente quello che avremmo in presenza di un docente, la videolezione non fa qualcosa di diverso da quello che fa il docente in presenza. Ma il processo di apprendimento non passa attraverso la via cognitiva o prestazionale, bensì attraverso una via di significati nuovi che sono significati emotivi, affettivi. Cambia il potere emozionale, perché quella lezione verrà ricordata dai ragazzi con emozioni di vicinanza dell’adulto, di alleanza dell’adulto, di impegno del docente, di volontà di andare ad aiutarli e a evitare la paura che si scatenando in questo momento di emergenza coronavirus. L’apprendimento con la lezione a distanza consente é accompagnata da emozioni positive e per questo è molto efficace, non perché sia diversa la lezione in quanto non cambia nulla se il ragazzo vede l’insegnante dal vivo in cattedra o su uno schermo del computer. Cambia proprio il significato. Con la lezione a distanza il professore dice al ragazzo: «Io ti vengo a prendere attraverso la webcam». E le emozioni non sono qualcosa di esterno all’apprendimento. Quando io apprendo una cosa, se sperimento paura, tutte le volte che la riprendo dalla memoria, riprendo anche la paura. In questo caso i ragazzi, ogni volta che riprenderanno dalla memoria quello che ha spiegato il professore in quell’ora attraverso la lezione a distanza, riprenderanno emozioni che gli dicono: «Tu sei importante per la tua scuola, tu vali». E l’apprendimento si fissa sulla memoria emozionale, che in questo caso ha un significato molto potente.

Quindi cambierà per sempre il rapporto fra alunni e insegnanti? Quando i ragazzi torneranno a scuola, rivedendo quell’insegnante che è stato loro vicino attraverso le lezioni a distanza, recupereranno quella dimensione di fiducia.

Certamente. Dopo le lezioni a distanza, l’apprendimento per i ragazzi sarà warm, caldo, che si fonda su memorie profonde, che sono le memorie che ricorderanno per sempre agli studenti che quell’esperienza è accaduta per loro. E questa esperienza, quando l’avremo superata, se avremo la consapevolezza che la tecnologia è un mezzo, ci cambierà anche nella voglia di utilizzarla nella didattica del quotidiano. Questo mezzo consente infatti che a guidare il processo sia il docente, ma che la fase di apprendimento autonomo sia affidata al ragazzo con fiducia.

Quindi gli insegnanti che non stanno contattando in qualche modo i loro alunni, perché non hanno le competenze tecniche per farlo o perché non hanno ricevuto alcuna formazione in tal senso, stanno perdendo un’occasione importante di vicinanza con i ragazzi con cui faranno i conti poi?

Infatti il mio appello agli insegnanti è di inviare agli studenti almeno un messaggio vocale, di non sprecare questa occasione. Non c’è bisogno di chissà quale competenza tecnologica. Perché anche in un banale messaggio vocale c’è una forza che dice: “Io mi ricordo di te e sono con te oggi, in questo momento in cui tu sei forzatamente a casa. La scuola è con te”. Il mio è un appello agli insegnanti perché si sveglino, perché sarà importante anche per il prosieguo dell’attività didattica e del rapporto con i loro studenti.

“Il magistero dell’Amazzonia può vincere lo scetticismo”

Si è aperto in Vaticano l’importante Sinodo dei Vescovi sull’Amazzonia. Un Sinodo, per alcuni versi, dall’intreccio “esplosivo”. Un Sinodo strategico per il Pontificato di Papa Francesco. Ne parliamo con il teologo Andrea Grillo. Grillo è docente ordinario di Teologia al Pontificio Ateneo “Sant’Anselmo” di Roma.

Professore, domani, in Vaticano, si apre l’importantissimo Sinodo dei Vescovi sull’Amazzonia. Un Sinodo, definito “speciale”, strategico per il Pontificato di Jorge Mario Bergoglio. Perché è così importante per Francesco?

Direi che la rilevanza del Sinodo dedicato alla Amazzonia deriva da due fattori: il primo è il rapporto con una “periferia integrale”, a differenza dei Sinodi su Famiglia e sui giovani, che hanno affrontato un tema universale, di cui hanno poi scandagliato elementi periferici. Qui il centro è la “periferia amazzonica”, come pienezza di espressione ecclesiale con un “rostro” peculiare. Per questo, ed è il secondo elemento, questo Sinodo esige risposte immediatamente praticabili: non essendo rivolto ad una Chiesa universale, chiede concrete decisioni sulla liturgia, sul ministero, sull’annuncio, sui soggetti autorevoli e sulle forme ecclesiali davvero credibili.

Sappiamo che è un Sinodo, come già detto “”speciale”, che ha un doppio livello uno geopolitico, la difesa del bioma Pan-Amazzonico, e l’altro la ricerca di un cammino per una Chiesa dal volto amazzonico. L’intreccio è esplosivo: solo una chiesa non coloniale può preservare il bioma amazzonico. Bioma visto come “luogo teologico” fondamentale per la testimonianza evangelica. È così professore?

Direi che proprio questo intreccio, che lei ha bene rilevato, chiede al Sinodo un respiro profondo e una vista lunga. Difendere una “forma di vita”, senza nessuna concessione al tradizionalismo, e “giocare il gioco linguistico ecclesiale” con regole più semplici e insieme più articolate diventa una sfida per il pensiero e per la prassi ecclesiale. Si tratta, in fondo, di ripetere ciò che Dante diceva quando distingueva tra “ciò che non muore e ciò che può morire”. E questo deve essere fatto, in modo intrecciato, tra forme di vita locale e gioco linguistico ecclesiale. Sarà una esperienza di crescita e di maturazione, per la Amazzonia e per tutta la Chiesa.

 

Salesiani Lombardia-Emilia: gli studenti intervistano il Prefetto di Brescia, ex allievo di Messina

Nell’Ispettoria Lombardo-Emiliana, per il progetto di alternanza scuola-lavoro, si svolge un corso di comunicazione sociale durante il quale gli studenti intervistano dei personaggi.
Riportiamo qui l’intervista fatta al Prefetto di Brescia, Attilio Visconti, ex allievo della scuola salesiana di Messina.

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Oggi abbiamo avuto modo di intervistare il prefetto di Brescia sig. Attilio Visconti, chiedendogli del suo passato salesiano e del rapporto che è rimasto tra lui e l’Istituto di Don Bosco.

D: Quali furono le motivazioni che la spinsero, all’epoca, a frequentare una scuola Salesiana?

R: Le ragioni sono legate al fatto che, essendo figlio di un Generale dei Carabinieri, mio papà fu trasferito da Roma a Messina e preferì consigliarmi la frequentazione della scuola Salesiana sul fermo convincimento che mi avrebbe aiutato moltissimo ad inserirmi nella nuova realtà. Credo che tale consiglio paterno fosse legato al fatto che mio padre visse per oltre 30 anni a Torino e conoscesse bene la realtà Salesiana e la sua vicinanza al mondo giovanile

D: Quale fu la prima impressione di quella realtà per lei che proveniva da una frequentazione scolastica diversa e per giunta da una metropoli come Roma?

R: Fui immediatamente colpito dal grande affiatamento che notai tra i miei nuovi compagni che non era esclusivo, o meglio respingente, ma che suonava come un invito di gruppo ad entrare a far parte di quella realtà senza alcun timore o timidezza. Insomma, mi sentii subito a mio agio nell’Istituto.

D: Ma con il passare dei mesi ha confermato queste sensazioni iniziali e, sopratutto, quale altra considerazione ha potuto aggiungere a supporto della sua scelta di frequentare un Istituto Salesiano?

R: Tre cose, mi ricordo, mi segnarono nei primi mesi di frequentazione e che porto sempre con me e che fanno parte del mio “zaino della vita” tra le cose care. La prima: i dieci minuti di preghiera mattutina nella Chiesa dell’Istituto S.Luigi di Messina insieme a tutti gli studenti di tutte le classi. Sembra poco ma, oltre a ricevere un beneficio morale che ti accompagnava per tutta la giornata ed a cui con il tempo ho attribuito un altissimo valore, era un modo per stare tutti assieme, studenti di tutte le età accomunati da un gesto comune, la preghiera, dopo la quale eravamo davvero tutti uguali.

La seconda: i miei insegnanti che, diversamente da quelli romani erano a nostra disposizione tutto il giorno; in qualsiasi momento erano presente fisicamente e professionalmente, partecipi direttamente delle nostre difficoltà come delle guide di riferimento nel difficile viaggio dell’apprendimento e della maturazione. Una sicurezza che ancora oggi rimpiango.

Infine la terza: lo sport, o meglio, il calcio, per me lo sport degli sport, che nel campo dell’Istituto S.Luigi ci vede protagonisti in appassionanti tornei, in allenamenti pomeridiani, nell’organizzazione di “sfide” accesissime ma parimenti corrette tra le varie classi. Il calcio rappresentò in quel periodo della mia vita, lo sfogo ideale dopo lo studio; l’occasione per cementare amicizie che a distanza di 40 anni sono ancora fortissime; il collante tra me, appena arrivato, e chi c’era prime di me creando in pochissimo tempo uno spirito di appartenenza che è quotidianamente vivo e di cui vado orgoglioso.

D: In conclusione consiglierebbe ai giovani questa scelta?

R: L’ho fatto. L’ho fatto con mio figlio che purtroppo, come me, ha dovuto “subire” le conseguenze della mia professione che mi vede girare per l’Italia, come era per mio padre. Gli ho raccontato delle mie esperienze e dell’aiuto morale e materiale che i “ragazzi di Don Giovanni Bosco” mi avevano dato e di come i dispiaceri per aver lasciato un ambiente nel quale ero già inseritissimo erano stati velocemente confortati da un ambiente accogliente, leale, spontaneo e sincero in ogni manifestazione. E tutto ciò a beneficio della mia crescita e della mia maturazione. Oggi, a distanza di 40, e con un mondo radicalmente mutato, credo con ancora più forza che questa scelta sia la più corretta, poiché gli Istituti Salesiani sono davvero in grado di garantire la formazione di un giovane in una società multietnica, inclusiva, fondata sulle pubbliche relazioni e bisognosa della riscoperta di valori fondanti quali l’amore per il prossimo, il culto della famiglia come cellula base della società, l’apprendimento che si traduce in istruzione e cultura, la cura del fisico a sostegno della mente votato al bene della solidarietà.

Queste le parole del Prefetto Attilio Visconti, che si sono rivelate molto positive e gentili nei confronti dell’Istituto Salesiano, in cui spera che anche il proprio figlio Antonio possa collezionare bei ricordi ed esperienze.