La Repubblica, ed. Palermo, ha intervistato il Rettor Maggiore in visita nelle opere salesiane della città.
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«Non è più il tempo di ripetere ai nostri giovani: “Si fa così perché lo dico io”. Non vale nella famiglia, non vale nella società».
Don Angel Fernandez Artime ha parole schiette: «I nostri giovani vanno ascoltati. Ed è il dialogo la via maestra per fronteggiare il disagio sempre più diffuso». Il rettore maggiore dei Salesiani ha appena finito di parlare ai ragazzi dell’istituto don Bosco Ranchibile, oggi riceverà la cittadinanza onoraria di Palermo e poi la laurea honoris causa in Scienze pedagogiche all’Università. «Bisogna investire di più sui giovani, per prevenire il disagio e la violenza», ripete il sacerdote. Invece, il tema dei giovani non è stato affatto al centro dell’ultima campagna elettorale.
Perché, secondo lei?
«Sa cosa diceva don Bosco 150 anni fa ai governanti: “Se oggi la politica non si occuperà dei ragazzi di strada, domani la società si troverà con gravi problemi. Si troverà con delle persone con una pistola in mano”. Sono parole di grande attualità, che dovrebbero richiamare tutti a un impegno straordinario verso un’unica direzione: i giovani».
Negli ultimi mesi, Palermo ha scoperto la violenza delle bande giovanili. Come si fronteggia?
«È un’emergenza di molti paesi, un tema complesso. Nel Salvador, le scorribande delle maras hanno raggiunto livelli preoccupanti. Solo un’azione congiunta fra le istituzioni e la società può dare una risposta. Perché non bastano gli arresti, bisogna incidere più a fondo nella società».
Cosa esprime la violenza delle gang giovanili?
«Bisogna saper cogliere il grande senso di sfiducia che oggi i giovani sentono per il loro futuro. È davvero un momento delicato, ma come educatore non posso che insistere nell’unica strada che conosco, quella del dialogo.
Da realizzare ognuno nel proprio ambito, e poi anche in modo organizzato. Ad esempio, bisognerebbe realizzare sempre di più tavoli attorno a cui sedersi, per risolvere i problemi che affliggono la nostra gente».
Quali dovrebbero essere le priorità oggi?
«Ci sono famiglie che fino a qualche tempo fa vivevano con dignità: adesso, vanno al banco alimentare per chiedere aiuto. Abbiamo la responsabilità di essere sempre vigili e attenti rispetto a quello che accade attorno a noi».
Quanto la crisi delle famiglie incide sul disagio giovanile?
«La fragilità riguarda innanzitutto le famiglie, che vanno sostenute in tutti i modi nella fase storica che viviamo, resa complessa dalla pandemia».
Gli interventi fatti in questo periodo su vari versanti del disagio sono stati efficaci secondo lei?
«È sempre un problema intervenire sull’onda dell’emergenza. Piuttosto, bisogna investire profondamente sul domani. Soprattutto, nell’educazione e nella cultura. Solo così potremmo ottenere risultati significativi».
Qual è il modello di scuola che parla davvero ai giovani, anche nei territori più difficili dei sud
del mondo?
«Il metodo educativo di don Bosco e l’impegno dei salesiani in 140 paesi ci dice che c’è un solo modo: essere fra i ragazzi, sempre».