Francesco Paolo Convertini. Chi non ha mai sentito parlare di lui? Spero nessuno, è stato realmente un uomo straordinario, un salesiano missionario in India, un’anima pura proprio come quelle dei santi e beati di cui abbiamo letto nei mesi precedenti. La sua infanzia ricorda moltissimo quella di don Bosco, orfano di padre e una madre sempre attenta alla preghiera durante il lavoro.
La mamma gli ricordava sempre di mettere amore nelle coese che faceva e se non dalla preghiera da dove doveva prenderlo questo amore? Aveva un temperamento vivace, furbo, impertinente, irrequieto e dispettoso, in paese lo conoscevano tutti. Crescendo però perde anche la mamma e per imparare a scrivere e leggere va a scuola dal nonno che sapeva farlo. Nel maggio del 1917 entra nel 124 Reggimento per combattere in trincea nella prima guerra mondiale. Ma già a novembre dello stesso anno finisce prigioniero in polonia, territorio tedesco, e ci rimase per 11 mesi. Solo a guerra terminata venne rimpatriato, malato di meningite e denutrito fu condotto a Cuneo per le cure adeguate. Tornato a casa però, mirando quell’orizzonte e quel mare dall’alto dei suoi monti sapeva che non c’era più mistero: sapeva che c’erano un altro mondo, con un’altra vita e questo lo lasciava irrequieto.
Si trasferì a Torino con la guardia di finanza ma è qui che fa l’Incontro della sua vita: i salesiani di don Bosco, nella figura di don Angelo Amadei. Nei salesiani riscopre l’allegria che aveva visto andar via con la guerra, trova una famiglia con un padre che pur se morto, era ancora molto vivo nei ricordi di chi lo aveva incontrato e conosciuto. Mentre era ancora nella finanza si avvicinò all’istituto “card. Cagliero”, istituto di preparazione per i missionari salesiani, ma solo una volta congedato vi entrò. Scrisse ai parenti rimasti a casa che sentiva di aver ricevuto una chiamata e non sapeva come doveva regolarsi in tal proposito. Non aveva beni da dare, non aveva piaceri a cui rinunciare: doveva dare solo sé stesso. Nonostante le difficoltà nello studio terminò il suo periodo di preparazione da chierico e ricevette la sua destinazione: l’india.
Il 22 settembre del 1927 a Torino, nella Basilica di Maria Ausiliatrice ricevette il mandato da don Rinaldi, terzo successore di don Bosco. Solo nel dicembre dello stesso anno partì definitivamente e approdò a Bombay con i suoi compagni. Partì da chierico, ma una volta in India si mise a studiare filosofia e teologia per prepararsi al sacerdozio. Una volta ordinato sacerdote fu inviato nel Bengala, una delle regioni più estese e con il maggior numero di non-cristiani, tra musulmani e indù. Ma questo non spaventava di certo Francesco che era solito avvicinare i non-cristiani e parlare loro di Cristo. Fhader Francis of Krishnagar, un missionario mistico, un uomo totalmente rivolto a Dio, che camminava in Lui e per Lui verso tutti gli uomini suoi fratelli. Aveva una fede semplice e genuina, come quella dei bambini, e fu proprio questa fede che gli permise di compiere gesti che sapevano di miracolo. Riuscì a convertite molte persone e a portare al battesimo anche molti adulti.
Il suo segreto? Prima di partire e andare tra la gente nei vari villaggi era solito fermarsi in adorazione almeno una mezz’ora. In tanti raccontano che guariva i malati grazie a pillole di Pane, pane di vita eterna. In uno dei suoi viaggi con mansuetudine e amorevolezza riuscì a tranquillizzare una tigre. Era sera quando arriva un uomo da un altro villaggio per informarlo che un uomo in fin di vita chiedeva la presenza di un sacerdote. Nonostante tutti gli avessero suggerito di non muoversi durante la notte per via dei pericoli della foresta, padre Francis sentiva l’urgenza di giungere da quest’uomo malato. Nella foresta di notte si aggirava una tigre di cui tutti avevano paura, è uno degli animali più feroci e spietati di quelle zone. Si incamminò ugualmente seguito da un gruppo di persone armate di lance che lo proteggevano da eventuali pericoli. Cosi fu, nel mezzo del cammino incontrarono una tigre ma lui disse a tutti di fermarsi e non muoversi, si avvicinò lui soltanto e disse alla bestia di mettersi da parte e far passare il Signore (sul petto portava Gesù eucarestia), la tigre si accostò e li fece passare, si mise dietro di loro come se li scortasse, rimase con loro fino all’ingresso del villaggio. Se fosse stato per lui non avrebbe mai raccontato di questo avvenimento per sua modestia, ma chi era con lui lo ritenne un evento di una certa importanza: con mansuetudine e amorevolezza tranquillizzò la tigre salvando chi era con lui e confessando quell’uomo malato per l’ultima volta in fin di vita. Come a Francesco ci è capitato di sentirci irrequieti e di non saper gestire una scelta importante della nostra vita, ma ci siamo fidati del Signore e delle persone che ci hanno guidato in questa scelta per prendere la strada che realmente è stata disegnata per noi?