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Nuovo Direttore Generale di “Salesiani per il Sociale”: Renato Cursi

Salesiani per il Sociale APS ha un nuovo direttore, Renato Cursi, che torna in Italia dopo l’esperienza a Bruxelles.

Di seguito l’articolo pubblicato su ANS:

Dal 1° settembre scorso Salesiani per il Sociale APS – l’ente civilistico dei salesiani d’Italia che accompagna la dimensione pastorale del disagio e della povertà educativa – ha un nuovo Direttore Generale, nella persona di Renato Cursi.

Dopo l’esperienza di cinque anni a Bruxelles, dove ha ricoperto l’incarico di segretario esecutivo del “Don Bosco International”, l’organismo di rappresentanza presso l’Unione Europea dei Salesiani di Don Bosco, Renato Cursi torna in Italia per guidare l’associazione Salesiani per il Sociale. Prima del trasferimento a Bruxelles aveva lavorato per cinque anni al Dicastero per la Pastorale Giovanile come Segretario Esecutivo e seguendo il coordinamento internazionale del Movimento Giovanile Salesiano.

Due esperienze che saranno preziose per il nuovo lavoro in Salesiani per il Sociale:

Sono contento di tornare in Italia – spiega – e di assumere questo ruolo in Salesiani per il Sociale. Lavorare per i giovani più poveri e vulnerabili, in linea con il carisma di Don Bosco rappresenta un privilegio e una responsabilità. Come ho detto ai dipendenti della sede nazionale, ci sono tre parole che descrivono la prospettiva che mi piacerebbe per Salesiani per il Sociale: partecipazione, internazionalizzazione e cura.

E poi spiega:

PARTECIPAZIONE, dei minori e giovani come soggetti e protagonisti del cambiamento; e dell’associazione come laboratorio creativo per i soci. INTERNAZIONALIZZAZIONE, come metodo, basato sul confronto con altri sistemi educativi e di welfare; e come orizzonte, verso l’Europa e il mondo; e la riforma del Terzo Settore che guarda al Social Economy Action Plan e alle transizioni ecologica, digitale e sociale. E infine CURA: delle relazioni con le persone, con soci e istituzioni; della formazione del personale, dei soci e dei comitati territoriali; e del modo in cui comunicare tutto questo.

Sulla partecipazione, l’assemblea che stiamo per vivere dal 16 al 18 settembre a Roma sarà la prima tappa di un cammino triennale di ridisegno dell’associazione, con una programmazione che verrà pensata e scritta con un processo dal basso, coinvolgendo i territori e i soci.

Salesiani per il Sociale APS è composta da 88 organizzazioni (soci ordinari) diversificate in enti ecclesiastici, organizzazioni di volontariato, associazioni e cooperative sociali presenti su tutto il territorio nazionale. In numeri, anima: 46 Comunità residenziali (case-famiglia, comunità alloggio e semiautonomia), 30 Centri Diurni per minori e giovani e 10 Centri di accoglienza ed accompagnamento contro le dipendenze.

Il suo lavoro viene portato avanti grazie a 901 operatori qualificati, 102 Soci Sostenitori che svolgono attività educative legate principalmente al Servizio Civile e ben 2983 volontari che prestano il loro servizio gratuitamente, avendo a cuore i giovani, in particolare quelli che dalla vita hanno avuto di meno.

RMG – Corso per Delegati della Famiglia Salesiana

Dal sito dell’agenzia salesiana ANS.

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(ANS – Roma) – Immediatamente al termine delle prossime Giornate di Spiritualità della Famiglia Salesiana (GSFS), in quel di Valdocco e sui Luoghi Salesiani del Piemonte avrà luogo un altro evento di condivisione dello spirito salesiano per alcuni membri dei diversi gruppi di questa grande famiglia spirituale: il corso per Delegati della Famiglia Salesiana (FS).

L’appuntamento occuperà quasi un’intera settimana, dal 16 al 22 gennaio, e vedrà coinvolti una trentina di partecipanti, tra Delegati salesiani di vari Paesi e Ispettorie del mondo, Delegati di altri gruppi della Famiglia Salesiana e relatori.

L’avvio ai lavori si avrà già nel pomeriggio di domenica 16 – quindi subito dopo la chiusura della 40° edizione delle (GSFS) – e prevede la presentazione del corso e i saluti da parte del Rettor Maggiore, Don Ángel Fernández Artime.

Nella mattinata di lunedì 17 le attività prevedono un intervento di don Giuseppe Casti, già Delegato Mondiale per i Salesiani Cooperatori, sul tema “Don Bosco fondatore: Il movimento salesiano. I laici nella mente di Don Bosco”; oltre alla presentazione di diversi gruppi della FS: Salesiani Cooperatori, Exallievi/e di Don Bosco e l’Associazione di Maria Ausiliatrice (ADMA). La giornata sarà completata alla visita al Museo Casa Don Bosco.

Martedì 18 gennaio è in programma la visita al Colle Don Bosco. Oltre al tempo per la visita ai Becchi e a quello per l’Eucaristia nel Santuarietto di Maria Ausiliatrice, nella giornata spiccano le due relazioni – una al mattino, una al pomeriggio – di Don Pascual Chávez, Rettor Maggiore Emerito, sulla Carta d’Identità della Famiglia Salesiana.

Mercoledì 19 verrà dedicato all’approfondimento della figura, del ruolo e della missione del Delegato per la FS, grazie al contributo di don Joan Lluís Playà, Delegato centrale del Rettor Maggiore per il Segretariato per la Famiglia Salesiana; e della relazione tra la FS e la Pastorale Giovanile e la FS e la Formazione. Su questi due temi sono previsti gli interventi, rispettivamente, di don Miguel Angel García, Consigliere Generale per la Pastorale Giovanile, e don Francisco Santos, del Settore per la Formazione.

Giovedì 20 al centro delle riflessioni e delle esperienze sarà la spiritualità salesiana al femminile. Presso Mornese i partecipanti all’incontro potranno ascoltare la relazione di suor Lucrecia Uribe, Delegata mondiale delle Figlie di Maria Ausiliatrice (FMA) per l’ADMA, e quella di suor Leslie Sándigo, Consigliera Generale per la Famiglia Salesiana, oltre a conoscere più da vicino l’Associazione delle Exallieve ed Exallievi delle FMA, e a vivere un momento di preghiera nella Cameretta di Madre Maria Domenica Mazzarello.

Venerdì 21 gennaio, infine, ultimo giorno completo di lavori – il sabato è riservato al disbrigo delle ultime formalità logistiche – ci sarà ancora spazio per ragionare sul ruolo dei laici nella Famiglia Salesiana, grazie all’intervento di Renato Cursi, Segretario Esecutivo del “Don Bosco International”; e per assistere alla presentazione dei gruppi delle Volontarie di Don Bosco e dei Volontari con Don Bosco, all’esposizione sulla santità della FS, da parte del Postulatore Generale per le Cause dei Santi della FS, don Pierluigi Cameroni, e alla presentazione delle funzioni del Segretariato per la FS, da parte di don Joan Lluís Playà.

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Europa e post-umano

di Renato Cursi

da NPG di novembre 2021

“Le gioie e le speranze, le tristezze e le angosce degli uomini d’oggi, dei poveri soprattutto e di tutti coloro che soffrono, sono pure le gioie e le speranze, le tristezze e le angosce dei discepoli di Cristo, e nulla Vi è di genuinamente umano che non trovi eco nel loro cuore”. Con queste parole si apriva, cinquantasei anni fa, la Costituzione pastorale del Concilio Ecumenico Vaticano II Gaudium et Spes, sulla Chiesa nel mondo contemporaneo. Si trattava della dichiarazione autorevole di una comunità che “si sente realmente e intimamente solidale con il genere umano e con la sua storia”. Neanche un secolo più tardi, poco dopo aver varcato il secondo millennio dalla nascita di Cristo, la Chiesa, “esperta di umanità” (Populorum Progressio 13), si trova tuttavia a dover fronteggiare con urgenza quella che definirei la sfida del “post-umano”.
L’umanità, così come l’abbiamo conosciuta in secoli di storia, si sta forse congedando dal mondo? Siamo ad un passo dal momento storico in cui le possibilità della tecnica, unite ad un pensiero transumanista, consentiranno il superamento dell’uomo, profetizzato più di cento anni or sono da Nietzsche e rilanciato problematicamente da Harari con il suo Homo Deus pochi anni fa? In cosa consisterà questo superamento? E, in caso ci fosse, si tratterà di un superamento alla portata di tutti o solo di alcuni? Dietro il velo delle questioni intorno all’inizio e alla fine della vita, intorno al significato della malattia e del dolore, come anche dietro all’altro velo delle questioni sull’enhancement (accrescimento, potenziamento delle capacità umane), sull’interazione uomo-macchina e l’intelligenza artificiale, si intravedono ormai sempre più con chiarezza e preoccupazione queste domande. Diventano, cioè, sempre più vicine e inaggirabili, ineludibili, anche se il transumanesimo di oggi (domani chissà) non ha purtroppo ancora quasi nulla a che vedere con il “trasumanar” del Paradiso di Dante, poeta italiano ed europeo, di cui quest’anno si sono celebrati i 700 anni dalla morte e dalla prima pubblicazione della Divina Commedia.
Insieme alla questione dell’essere umano, tutte le fattispecie menzionate sopra sottendono anche quella della (volontà di) “potenza”. Cosa può dire riguardo a questa sfida un’Europa priva di un’idea condivisa di persona umana e “nana” in un mondo di “giganti digitali”? In quale rapporto sta, alla lunga, il crescere del potere con l’umanità dell’uomo? Come stanno insieme, da una parte, l’impegno per la prevenzione dei cambiamenti climatici, i nuovi stili di vita più rispettosi del pianeta e delle altre specie e, d’altra parte, una ricerca tecnica orientata allo scopo di generare e far crescere l’uomo nei suoi primi mesi di vita in una condizione artificiale, al di fuori dei corpi dei propri genitori? Non è dato sapere oggi se una nuova sintesi tra i concetti di ecologia integrale, da una parte, e di nonviolenza (intesa anche come rinuncia alla violenza culturale e strutturale), dall’altra, riuscirà ad evidenziare queste contraddizioni e a superarle promuovendo un nuovo rinascimento, una vera fraternità, una nuova armonia tra uomo e natura, che con gli occhi della fede significa armonia tra creature, creazione e creatore.
Nel vuoto delle ideologie e delle teleologie, l’unica narrazione diffusa nell’opinione pubblica che oggi sembra volere andare oltre l’orizzonte umano schiacciato sul presente del consumismo e del benessere, è quella del ritorno del mito della conquista dello spazio extra-atmosferico da parte dell’uomo, la corsa verso la colonizzazione della Luna e del pianeta Marte. Con una novità, rispetto agli anni del secondo dopoguerra: cioè che a parlarne e a lavorarci non sono più solo Stati profondi in competizione tra loro, ma anche privati visionari dotati del capitale necessario all’impresa. Anche qui, tuttavia, sembra mancare una riflessione su che tipo di umanità e di società si vogliano sviluppare in queste nuove terre di frontiera. Che uomo arriverà su questi pianeti? Che tipo di società umana vi costruirà? Cosa lascerà dietro di sé sulla Terra? Occorre riconoscere che in Europa si parla molto poco di tutto questo. Eppure potrebbe essere oggetto di decisioni concrete tra pochi anni.
Ebbene, considerati tutti questi fronti aperti, cosa può proporre la pastorale giovanile europea in un eventuale dibattito sul tema del post-umano? Come accompagnare i giovani europei affinché le loro decisioni quotidiane, come quelle di consumo, di uso del tempo, delle tecnologie, dell’ambiente o del corpo, apparentemente semplici e innocue, tengano conto di questi scenari e siano illuminate da uno sguardo di fede? Il disagio che proviamo nel tentare una risposta ci spiega perché questa enorme sfida necessita uno studio, un orizzonte e spazi adeguati per essere affrontata.
Alcuni anni prima del Concilio Ecumenico Vaticano II, in uno dei periodi più bui della sua Germania e dell’intero continente europeo, il filosofo e teologo Romano Guardini identificava la missione dell’Europa nella “critica” della potenza. L’Europa, forte di quella che molti considerano la sua debolezza, ovvero la sua vecchiaia, avrebbe quindi il compito di non limitarsi ad accrescere la potenza, ma di domarla. Di “scommessa cattolica” parlano invece più di recente Chiara Giaccardi e Mauro Magatti, puntando su una Chiesa che si rigenera anche in Europa “facendosi interpellare dalla realtà”, nel dialogo con le altre religioni, con la politica, con la tecnica. La Chiesa, inclusa la pastorale giovanile, potrebbe allora contribuire a fondare una società capace di “tenere aperta la potenza”, rinunciando a bloccarla ad ogni costo, ma allo stesso tempo liberandola dalle logiche post-umane della tecnica, attraverso una pluralità di “proiezioni eccentriche”, come l’arte, la politica, la religione. In chiave di proposta costruttiva ai giovani europei, quella di “tenere aperta la potenza” ha il merito di salvaguardare la dimensione creatrice e partecipativa rispetto alla formula del “disciplinamento etico” della potenza, profetizzato da Guardini, con il quale pure quest’ultima proposta condivide molti aspetti.
Lo stesso Guardini, qualche anno più tardi, affermava:

“Se l’Europa si staccasse totalmente da Cristo – allora, e nella misura in cui questo avvenisse, cesserebbe di essere […] Se l’Europa deve esistere ancora in avvenire, se il mondo deve ancora aver bisogno dell’Europa, essa dovrà rimanere quella entità storica determinata dalla figura di Cristo, anzi, deve diventare, con una nuova serietà, ciò che essa è secondo la propria essenza. Se abbandona questo nucleo – ciò che ancora di essa rimane, non ha molto più da significare”.

Senza l’incontro decisivo con Cristo, secondo Guardini, dopo il tramonto del mondo classico greco e poi romano, l’Europa sarebbe tramontata nel vortice di una “migrazione dei popoli”. Ebbene, che forma può assumere oggi, al tramonto di un’altra epoca e all’alba di nuove grandi migrazioni, un radicamento in Cristo come fonte essenziale per l’Europa? Saranno forse nuovi santi europei a dircelo con la loro vita e le loro opere, e magari nuovi giovani santi, insieme alle comunità che sapranno accompagnarli e farli germogliare. La Chiesa in Europa, per riscoprirsi sinodale, popolo di Dio in cammino, ha bisogno di una pastorale giovanile missionaria e popolare, che si fidi della chiamata che Dio continua a rivolgerle nei giovani che nascono e che arrivano qui.

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Europa e laicità

Di Renato Cursi

La parola “laicità”, tra le più abusate del nostro tempo, è radicata nell’idea di popolo. Sul piano etimologico, è laico ciò che è del popolo, di tutto il popolo, in contrapposizione a ciò che appartiene ad una o più parti separate dal resto. Se è in pericolo la laicità, è in pericolo l’esistenza stessa del popolo che la esprime.
I popoli europei hanno imparato a conoscere interpretazioni diverse di questo concetto nel corso della storia, con particolare riferimento al rapporto tra religioso e civile nell’ordinamento giuridico e nella vita sociale e politica. In questo percorso storico, certamente la parola di Gesù nel Vangelo (Mt 22,21; Mc 12,17; Lc 20,25) segna una forte discontinuità con il passato (come testimoniato da alcune descrizioni della vita delle prime comunità cristiane, non ultima la cosiddetta Lettera a Diogneto), anche se lo stesso non si può sempre dire delle sue interpretazioni e applicazioni successive da parte degli stessi cristiani.

Oggi la laicità in Europa è in pericolo, sotto i colpi di opposti fondamentalismi che fingono di combattersi per alimentarsi a vicenda. Una laicità di Stato che nega il diritto dei cittadini a vivere e testimoniare una fede trascendente o che comunque relega queste persone ad una cittadinanza di livello inferiore rispetto agli altri, è infatti la migliore alleata dei fondamentalismi religiosi. Non a caso, papa Francesco nel suo messaggio per le celebrazioni del 40° anniversario della Commissione degli Episcopati dell’Unione Europea (COMECE), ha affermato di sognare “un’Europa sanamente laica, in cui Dio e Cesare siano distinti ma non contrapposti. Una terra aperta alla trascendenza, in cui chi è credente sia libero di professare pubblicamente la fede e di proporre il proprio punto di vista nella società”. Papa Francesco afferma inoltre di sperare che sia finito, con il tempo dei confessionalismi, “anche quello di un certo laicismo che chiude le porte verso gli altri e soprattutto verso Dio, poiché è evidente che una cultura o un sistema politico che non rispetti l’apertura alla trascendenza, non rispetta adeguatamente la persona umana”. Una laicità atea non è laica: divide il popolo in se stesso e lo lacera.

Non si tratta quindi di abbracciare mode e ideologie dell’ultima ora, volte a negare acriticamente le radici per darsi slanci illusori con ali di cera. La sfida della cancel culture, ad esempio, forma moderna di ostracismo neopuritano, impone di educare al pensiero critico e ad una “coscienza storica”, come leggiamo nella Lettera Enciclica Fratelli Tutti (FT) dedicata da papa Francesco alla fraternità e all’amicizia sociale (FT 13-14). In quest’Enciclica papa Francesco rivolge due appelli fondamentali ai giovani, entrambi connessi esplicitamente con l’Esortazione Apostolica Christus Vivit. Il primo di questi due appelli è dedicato esattamente al tema che stiamo affrontando: «Se una persona vi fa una proposta e vi dice di ignorare la storia, di non fare tesoro dell’esperienza degli anziani, di disprezzare tutto ciò che è passato e guardare solo al futuro che lui vi offre, non è forse questo un modo facile di attirarvi con la sua proposta per farvi fare solo quello che lui vi dice? Quella persona ha bisogno che siate vuoti, sradicati, diffidenti di tutto, perché possiate fidarvi solo delle sue promesse e sottomettervi ai suoi piani. È così che funzionano le ideologie di diversi colori, che distruggono (o de-costruiscono) tutto ciò che è diverso e in questo modo possono dominare senza opposizioni. A tale scopo hanno bisogno di giovani che disprezzino la storia, che rifiutino la ricchezza spirituale e umana che è stata tramandata attraverso le generazioni, che ignorino tutto ciò che li ha preceduti» (FT 13, ChV 181).

 

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Lettere europee – Europa e democrazia

Dal numero estivo di NPG, di Renato Cursi, segretario esecutivo di Don Bosco International.

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La democrazia non è sempre stata una parola amica della pastorale giovanile. Ci son voluti quasi duemila anni e ben due guerre mondiali, perché il magistero pontificio arrivasse a riconoscerne esplicitamente l’importanza e l’idoneità. Era infatti la Vigilia del Natale del 1944, con il secondo conflitto mondiale che volgeva al termine, quando papa Pio XII apriva il suo “radiomessaggio ai popoli del mondo intero” affrontando “il problema della democrazia”. Dopo aver premesso che “la democrazia, intesa in senso largo, ammette varie forme”, Pio XII individuava due diritti del cittadino alla base del concetto di democrazia: quello di “esprimere il proprio parere sui doveri e i sacrifici, che gli vengono imposti” e quello di “non essere costretto ad ubbidire senza essere stato ascoltato”. Da allora, possiamo dire che questi diritti e questa visione sono stati necessariamente compagni di strada della Chiesa e della pastorale giovanile.
Più avanti, infatti, esattamente nel centesimo anniversario della promulgazione da parte di Leone XIII della celebre Enciclica Rerum Novarum, san Giovanni Paolo II indicò (nell’Enciclica intitolata appunto Centesimus Annus) che “la Chiesa apprezza il sistema della democrazia, in quanto assicura la partecipazione dei cittadini alle scelte politiche e garantisce ai governati la possibilità sia di eleggere e controllare i propri governanti, sia di sostituirli in modo pacifico, ove ciò risulti opportuno”. Si capisce in questo modo come la democrazia non rappresenti in sé un principio fondamentale dell’insegnamento o dottrina sociale della Chiesa (DSC), quanto piuttosto “un sistema” apprezzabile nella misura in cui, tra le altre cose, garantisca un’autentica “partecipazione” (questa sì, tra i principi fondamentali della DSC, in qualità di “conseguenza” del principio della “sussidiarietà”).
A ben vedere, già nel corso del conflitto mondiale citato sopra, un professore francese che si trovava in quegli anni negli Stati Uniti d’America per sfuggire al nazismo, scrisse un’opera in cui argomentava come il Cristianesimo sia all’origine della democrazia stessa, individuando quegli elementi fondamentali della democrazia che il Vangelo ha saputo risvegliare nelle coscienze dei popoli nel corso del loro cammino storico verso questo determinato sistema di convivenza politica. Questo professore, Jacques Maritain, esponente di spicco del personalismo comunitario e propugnatore di un umanesimo integrale, avrebbe poi ispirato molti lavori del Concilio Ecumenico Vaticano II e del pontificato di Paolo VI. In quegli anni Maritain scriveva di “fine di un’epoca”, di “tragedia delle democrazie” e del problema per l’Europa di “ritrovare la forza vivificatrice del cristianesimo nell’esistenza temporale”. Ottant’anni più tardi, papa Francesco ci parla di “cambiamento d’epoca” e di “dimensione sociale dell’evangelizzazione”. Quelle sfide, insomma, sono ancora valide, sono anche le nostre sfide.
Nuove forme di totalitarismo e nuove condizioni di vita minacciano le democrazie oggi, non solo in Europa. Al termine della cosiddetta Guerra Fredda, onda lunga ed eredità del secondo conflitto mondiale, nonché epilogo del cosiddetto “secolo breve”, sempre più popoli del subcontinente europeo si sono cercati per trovare forme soddisfacenti di cooperazione regionale in un mondo improvvisamente globalizzato, dove presto nuovi grandi attori sono sorti con il progetto di contrastare il monopolio culturale, economico e politico del cosiddetto “occidente”. La democrazia fa parte di questa eredità pericolante? L’Unione Europea, sorta formalmente nel 1993, dopo decenni di sforzi tesi ad una maggiore integrazione tra i popoli dell’Europa occidentale, e allargata in particolare dal 2004 anche a molti popoli della sua parte orientale, come si colloca in questo scenario?
Alcuni osservatori del sistema decisionale delineato dal Trattato di Lisbona, che determina gli obiettivi, le competenze e il funzionamento dell’Unione Europea dal 2009, ritengono che oggi i cittadini europei si trovino a confrontarsi con una forma, più o meno partecipativa, di “tecnocrazia” piuttosto che con una vera e propria democrazia. Per trovare una via all’unità regionale rispettosa delle identità nazionali, i popoli europei hanno sostituito il concetto verticale di “government” statuale, semplice e chiaro a tutti ma non applicabile oltre i confini nazionali senza pregiudicare le pretese sovrane, con il concetto di “governance” multilivello, più complesso e di difficile comprensione, quanto basta per resistere ostinatamente ad una soluzione autenticamente federalista.
Se da una parte le elezioni europee del maggio 2019 hanno registrato un’affluenza alle urne senza precedenti, d’altra parte ricerche e sondaggi confermano che i cittadini europei rivendicano un ruolo più incisivo in un processo decisionale chiamato a diventare più trasparente e più efficace. La pandemia di covid-19 ha dimostrato una volta di più che l’Europa, così com’è organizzata oggi, non è in grado di proteggere e promuovere il bene comune dei propri cittadini. Con il proposito di rilanciare il processo di integrazione e di ridisegnarne dal basso le priorità, le istituzioni europee hanno quindi convocato una “Conferenza sul futuro dell’Europa”. Questo ambizioso esercizio democratico paneuropeo è stato aperto ufficialmente nella data simbolica del 9 maggio, giorno dell’Europa, ed è destinato a concludere i suoi lavori nella primavera del 2022. Più che in una classica conferenza, questa iniziativa consisterà in una serie di dibattiti e discussioni avviati su iniziativa dei cittadini, una moltitudine di eventi e dibattiti organizzati in tutta l’UE in presenza e tramite una piattaforma digitale interattiva multilingue.

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“Sulle strade d’Europa”, il 14 luglio presentazione del libro sulla dimensione sociale della fede di Renato Cursi

L’Università Pontificia Salesiana con l’editrice LAS presenterà il 14 luglio, con un evento on line, il libro di Renato Cursi, segretario esecutivo di Don Bosco International, “Sulle strade d’Europa. Giovani e dimensione sociale della fede per costruire il futuro”.

Si tratta di un volume su pastorale giovanile e dimensione sociale della fede, frutto della collaborazione di questi ultimi anni con la Rivista Note di Pastorale Giovanile e della rielaborazione quindi dei contenuti della rubrica “Lettere Europee”. Il volume offre pertanto un punto di vista su questi temi aperto all’orizzonte dell’integrazione europea, nell’anno della Conferenza sul Futuro dell’Europa.

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Europa e migrazioni

di Renato Cursi

(NPG 2021-03-2)

Dopo secoli in cui è stata soprattutto terra di emigrazione verso altri continenti, in particolare quello americano, l’Europa da qualche decennio è tornata ad essere la meta di flussi migratori continui, multipli e misti. Continui, perché si assiste ormai da più decenni all’arrivo di centinaia di migliaia di persone in Europa ogni anno, con alti e bassi (compresi quelli registrati nell’anno della pandemia) che non alterano significativamente una tendenza crescente. Multipli, perché provenienti da diversi continenti e direzioni. Misti, perché questi flussi vedono protagoniste persone che migrano verso l’Europa con motivazioni differenti: dalla ricerca di migliori opportunità di vita in senso ampio, alla ricerca di asilo e protezione da catastrofi o persecuzioni di vario tipo. Da una parte, occorre riconoscere che anche nei secoli in cui è stata terra di emigrazione, l’Europa ha pur sempre assistito al continuo movimento delle popolazioni all’interno del suo territorio. D’altra parte, è pure evidente che la recente realtà delle migrazioni verso l’Europa da diversi continenti contemporaneamente rappresenta una sfida e un’opportunità inedita, cui sarebbe inadeguato paragonare altri episodi del passato come i movimenti delle popolazioni nord-asiatiche dei primi secoli dopo Cristo.

La storia dell’umanità e dell’Europa è da sempre segnata dalle dinamiche innescate da questi movimenti di popolazione, e la risposta che i popoli europei sapranno offrire oggi a questa sfida e opportunità ne segnerà certamente il futuro. Lo stesso Vangelo migrò in Europa due millenni or sono da quella regione chiamata oggi dagli europei “Medio Oriente”, segnando da allora profondamente il futuro dei popoli europei, che in fondo è anche il nostro oggi. Come sono chiamati a porsi oggi gli eredi di quel dono nei confronti di un fenomeno migratorio in parte inedito? Analizziamo il contesto di questo discernimento prima di presentare la proposta che oggi sfida su questo terreno la pastorale giovanile in Italia ed in Europa.
La storia consegna oggi ai popoli europei l’eredità di un processo di integrazione che assume nella sua forma più recente le vesti di un’Unione Europea. L’organo dotato di iniziativa legislativa all’interno di quest’organizzazione, la Commissione Europea, ha presentato il 23 settembre scorso un insieme complesso di misure volte a costituire un “Nuovo Patto sulla Migrazione e sull’Asilo”, con il proposito di offrire “un nuovo inizio in materia di migrazione in Europa”. L’aggettivo “nuovo” fa riferimento ad un “vecchio” sistema di regole comuni, in particolare in tema di esame delle domande di asilo.

Se già nei primi decenni del processo di integrazione intrapreso all’indomani della seconda guerra mondiale, i singoli Stati europei iniziarono a dotarsi di misure nazionali per adeguarsi al fenomeno delle migrazioni da Paesi non europei, è solo all’indomani della cosiddetta “guerra fredda”, che si arrivò ad un accordo comune sulla determinazione dello Stato competente per l’esame di una domanda di asilo presentata in uno degli Stati Membri delle Comunità Europee. Questa Convenzione, siglata nel 1990 a Dublino a partire da quanto già previsto dalla Convenzione internazionale di Ginevra del 1951, è il pilastro su cui si sono fondate negli ultimi trent’anni le politiche europee in tema di asilo e rifugiati. Le disposizioni europee adottate nel frattempo, infatti, hanno sempre confermato la regola per cui lo Stato Membro competente all’esame della domanda d’asilo è il primo Stato attraverso cui il richiedente asilo ha fatto il proprio ingresso nell’Unione Europea. Questa regola comportava un sistema iniquo, per cui l’onere dell’esame delle domande di asilo, cresciute in maniera significativa nel tempo fino a superare il numero di un milione all’anno nel biennio 2015-16, ricadeva esclusivamente sui Paesi posti alla frontiera meridionale e sudorientale dell’Unione (Cipro, Grecia, Italia, Malta, Spagna).

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Europa e ambiente

di Renato Cursi

Il 24 maggio scorso, nel giorno in cui si celebra la memoria liturgica di Maria Aiuto dei Cristiani, la pastorale giovanile e tutta la Chiesa italiana sono potute tornare a celebrare l’Eucaristia domenicale con il popolo, dopo oltre due mesi di sospensione per prevenire il contagio pandemico. In tale data ricorreva, inoltre, il quinto anniversario della prima Lettera Enciclica di Papa Francesco: Laudato si’, sulla cura della casa comune. Questa coincidenza provvidenziale ha probabilmente aiutato molte persone a fare sintesi tra il desiderio di un nuovo inizio, pur tra nuove e non semplici sfide, e il richiamo alla cura del creato. Questo richiamo è risuonato in questi mesi tanto nelle iniziative intraprese a più livelli per celebrare il quinto anniversario di quest’Enciclica, quanto nelle immagini che molti di noi hanno ammirato a distanza nei giorni dell’isolamento forzato: immagini di un ambiente e di una natura che tornavano a respirare dopo anni di sofferenza sotto i colpi della progressiva antropizzazione del pianeta. Acque di nuovo limpide, animali a loro agio negli spazi urbani, immagini satellitari ripulite dalle nuvole dell’inquinamento atmosferico.

A sostegno di questo appello alle nostre coscienze, sono poi stati pubblicati diversi studi scientifici internazionali che hanno certificato la correlazione tra inquinamento dell’aria e diffusione del contagio del coronavirus. Tutto ciò faceva sperare che avremmo imparato la lezione. “Andrà tutto bene”, “questa crisi è un’opportunità”, “ne usciremo migliori”, ci ripetevamo nelle settimane di isolamento domestico. Eppure appena si è potuti ripartire, in Italia abbiamo preferito, per fare un esempio tra i tanti possibili, la produzione all’educazione. Molte fabbriche sono tornate a produrre senza tradurre questo tempo in un’opportunità di conversione ecologica, mentre milioni di studenti, docenti ed educatori sono rimasti a casa senza indicazioni chiare per una ripartenza. Diversi fiumi sono tornati ad essere inquinati, code chilometriche di macchine si sono riproposte in luoghi di consumo non sostenibile e alcune altre brutte abitudini sono riemerse.

Guardando oltre queste prime reazioni, tuttavia, possiamo riconoscere di avere imparato qualcosa. Volenti o nolenti, abbiamo constatato di essere impreparati, in Italia come altrove, a sfide globali come questa. Abbiamo appurato che la globalizzazione comporta anche la condivisione mondiale dei rischi di uno sviluppo incurante di quelli che etichetta come “effetti collaterali”. Una volta di più, l’Italia e gli altri Stati Membri dell’Unione Europea hanno risposto inizialmente in ordine sparso, mostrando la debolezza e le contraddizioni di un’Unione fondata quasi unicamente sui valori del mercato. Non paghi, quando hanno compreso di dover rispondere insieme, è ancora all’economia e alla finanza che questi Stati hanno voluto affidare la cosiddetta “ripresa” (“Recovery”), concetto peraltro che guarda ad un ritorno al passato piuttosto che “ricostruire” o “ripensare” il futuro.

 

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