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Il problema degli altri è uguale al mio

Dal numero di marzo/aprile di Note di Pastorale Giovanile.

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di Michele Pitino

«Dimmi e dimenticherò, insegnami e forse ricorderò, coinvolgimi e imparerò» (Benjamin Franklin). È iniziato tutto così e forse per questo ha funzionato bene. Non era un tempo che prometteva bene: primavera 2020. Eravamo chiusi in casa per il lockdown, vivevamo nella paura di ciò che accadeva e si soffriva il peso della solitudine. Allo stesso tempo, si avvertiva il bisogno dell’incontro, la spinta ad un impegno di maggiore solidarietà, il sogno (o l’illusione?) di un possibile futuro più buono. “Saremo migliori”, dicevamo.
Tutto è iniziato con un invito. La proposta di incontrarci in videochiamata per qualche chiacchierata su ciò che stava accadendo e per discutere insieme le questioni sociali e politiche che si rivelavano urgenti in quel nuovo contesto. Non tutti si conoscevano già. Io ho solo preso l’iniziativa, ma poi tutto è andato avanti da solo con la forza dell’amicizia, radice e insieme frutto più bello di questo percorso condiviso. Definirlo “corso di formazione socio-politica” è forse troppo per come è iniziato. Più semplicemente, desideravo far incontrare tra loro alcuni giovani che avevo conosciuto negli anni: universitari, ricercatori o da poco avviati ad una prima esperienza di lavoro. Conoscevo la loro passione ed entusiasmo, i diversi campi di impegno e competenza e, soprattutto, la condivisione di valori intorno ai quali poterci ritrovare (la pace e la cura dell’ambiente, la giustizia sociale e la sostenibilità, la difesa della dignità della vita di ogni persona, specialmente se fragile ed esclusa, il sogno europeo…). Il gruppo, pur destinato ad allargarsi, nasceva volutamente ristretto (inizialmente otto) per mantenere un numero adatto al confronto e al dialogo. L’invito aveva la forma dell’impegno: non solo: “Vieni per ascoltare, perché hai qualcosa da imparare”, ma anche: “Vieni, perché hai qualcosa da dire, vogliamo ascoltare la tua passione, la tua competenza, i tuoi studi”. Un percorso di formazione che ha dato vita a una bellissima esperienza educativa.
Da quella primavera abbiamo iniziato ad incontrarci con ritmo settimanale. Due persone alla volta proponevano un tema, a seguire si dialogava e insieme si arrivava a delle buone sintesi. Nessun argomento era tabù, ciascuno proponeva varie tematiche legate alla politica e al bene comune, e così abbiamo parlato di diritto alla salute e di scuola, di educazione e di città più verdi e sostenibili, di urbanistica e di informazione, di divario di genere, di immigrazione e interculturalità… Ci hanno accompagnato, come utili tracce, l’agenda ONU 2030 e la Costituzione Italiana. Gli incontri sono proseguiti online per due mesi, poi finalmente è stato possibile incontrarsi di persona. Tra un incontro e l’altro l’amicizia cresceva e si allargava. Nell’estate 2020 abbiamo anche avviato la tradizione di organizzare campi formativi in montagna aperti a tutti.
Pur con l’allargarsi dei partecipanti e l’evolversi dell’esperienza, una cosa è sempre stata chiara: il focus del gruppo doveva essere la formazione alla “politica”, come parola buona che esprime un servizio al bene comune. Tutti i giovani del gruppo sono impegnati in diversi campi di impegno e volontariato, la prospettiva politica li ha uniti in una visione più ampia. Avvertendone l’assenza, ci siamo esercitarci a maturare quel “pensiero politico” che prova a tenere insieme temi e obiettivi, sogni e visioni, considerando sempre la complessità degli elementi in gioco. Qualcosa di controcorrente rispetto alle semplificazioni riduttive dei populismi che impediscono il dialogo e trasformano tutto in slogan inutili che riempiono di applausi, ma svuotano le teste. Siamo anche consapevoli che il pensiero politico deve tendere all’azione politica che coinvolge tutti senza esclusioni, pur nella pluralità di forme con cui questa si può esprimere. Il contrario – il disimpegno – ci sembra essere il nemico più insidioso. Ci guidano le parole di un grande maestro, don Milani, che scriveva: “Ho imparato che il problema degli altri è uguale al mio. Sortirne da soli è avarizia, sortirne insieme è la politica” (Lettera a una professoressa). Più volte ci siamo chiesti: “Chi siamo?”. Ci ha aiutato papa Francesco che provocatoriamente si rivolge ai giovani, dicendo: «Tante volte, nella vita, perdiamo tempo a domandarci: “Ma chi sono io?”. Tu puoi domandarti chi sei tu e fare tutta una vita cercando chi sei tu. Ma domandati: “Per chi sono io?”» (Christus Vivit, 286). Questa conversione non riguarda solo le singole persone, ma anche i gruppi e ancor di più chi si dedica all’impegno politico. Scrive ancora papa Francesco in Laudato si’: “Occorre prendere dolorosa coscienza, osare trasformare in sofferenza personale quello che accade al mondo, e così riconoscere qual è il contributo che ciascuno può portare” (n. 19).
Da questa rinnovata consapevolezza, è nato il desiderio di mettere per iscritto quanto emerso e così abbiamo iniziato una nuova avventura. Riprendendo le varie tematiche affrontate, ci siamo accorti che, più che i singoli contenuti, erano importanti alcuni “fili rossi” che sempre ritornavano. Si tratta di alcuni stili e obiettivi che crediamo necessari, affinché il pensiero e l’azione politica possano essere liberati da molte attuali storture. Inizialmente scrivevamo per noi stessi, per aiutarci a riordinare i pensieri, e non avremmo immaginato che questo lavoro potesse diventare un libro. Interessante è stato anche il metodo di scrittura che ci ha visti dividerci in gruppetti, poi rimescolati per ulteriori e costanti revisioni. Così facendo il tempo si è allungato, ma il risultato è un’opera collettiva per cui tutti possiamo sentirci autori dell’intero libro, senza suddivisioni tra i diversi capitoli. Il libro, dal titolo È ancora possibile una buona politica? Stili e obiettivi (Paoline 2023), crediamo possa essere un valido strumento per continuare a creare occasioni di formazione per noi e per altri gruppi e persone. In particolare, è pensato per supportare il lavoro di educatori e insegnanti. Pur con un contenuto denso e impegnativo, è volutamente scritto con un linguaggio semplice e chiaro, accessibile a tutti. Il volume si arricchisce di diversi elementi, tra cui molte citazioni, una sintesi dell’agenda ONU 2030 e una postfazione del cardinal Oscar Cantoni, vescovo di Como, che ci ha sempre sostenuti e incoraggiati. Oggi desideriamo diffondere il messaggio contenuto nel libro, poiché crediamo che la politica – “sortire insieme” – possa davvero essere una forma di servizio attraverso cui realizzare valori che contribuiscono a far crescere le persone e le comunità. Crediamo che educare sia soprattutto questo: aiutarci, insieme, ad essere migliori.

* Responsabile pastorale vocazionale e universitaria della diocesi di Como.
Coautore del libro È ancora possibile una buona politica? (Paoline, 2023)

Educare alla politica – Il Filo di Arianna

Da NPG di novembre/dicembre 2022

di Raffaele Mantegazza

Come parlare

Cum-flangere significa sbattere due pietre l’una contro l’altra; provocare un rumore, ma anche un ritmo, un po’ come il ritmo della vita: sistole-diastole, inspirazione-espirazione. Gli esperti di lingua ci dicono che all’origine della parola “conflitto” c’è questa espressione, il che è estremamente interessante perché dimostra come il conflitto sia qualcosa di totalmente differente dalla guerra.
Nella guerra una pietra vuole sgretolare l’altra, nel conflitto vogliono mantenersi entrambe integre, magari un po’ scheggiate, perché altrimenti il ritmo della vita scomparirebbe sostituito solo dal silenzio. La sovrapposizione semantica e anche filosofica tra guerra e conflitto è stata deleteria nell’educazione dei ragazzi e dei bambini. E come se si dicesse che non esiste altro modo di risolvere il conflitto che la guerra, il che è falso in un duplice senso: anzitutto perché ci sono molti altri modi di affrontare i conflitti, e soprattutto perché la guerra non risolve proprio nulla, ma annienta una delle parti in causa, o almeno sceglie farlo, il che è vero soprattutto nelle nuove guerre, dal XX secolo in poi. Il pensiero nonviolento ha insistito per anni sull’importanza del riconoscimento e della gestione del conflitto, sia a livello individuale che a livello politico e internazionale.
Rimanere nel conflitto significa riconoscere le ragioni delle parti in causa, ma anche i torti di ciascuno; non vuol dire banalmente incontrarsi a metà strada, ma costruire insieme la soluzione per rendere creativo il conflitto. L’esempio dell’Assemblea Costituente è fin troppo noto: differenti mondi ideologici e diversi universi di pensiero che avevano combattuto contro il fascismo si sono ritrovati non a tentare di distruggersi a vicenda. ma a lavorare quotidianamente per fare dei conflitti, a volte culturalmente e filosoficamente irriducibili, il motore e il cuore della nuova identità della democrazia italiana.
Spesso quando due bambini entrano in conflitto per un oggetto si cerca di risolvere la situazione raddoppiando l’oggetto stesso: se entrambi vogliono giocare con l’orsacchiotto, si cerca un altro orsacchiotto… uno per uno! Il problema è che le risorse non sono infinite, sia a livello micro che a livello macro, e che questo modo di intervenire inibisce la fertilità del conflitto, spegnendolo e depotenziandolo. Semmai occorrerebbe chiedersi e chiedere ai bambini come possiamo fare a giocare insieme (o anche separatamente) con quell’unico giocattolo?
Il senso del limite delle risorse dovrebbe costituire la cornice dei conflitti; e per questo motivo la guerra, soprattutto nell’era atomica (nella quale ci siamo dimenticati di vivere finché una guerra non ce l’ha brutalmente ricordato) è un vero tabù perché spazza via, con tutto il pianeta, la condizione necessaria per ogni conflitto, come se un giocatore di scacchi incendiasse la scacchiera nell’illusione di poter vincere in questo modo folle.
Dunque il conflitto è un elemento per ora costitutivo dell’avventura umana sulla Terra: diciamo “per ora”, perché sarebbe molto interessante aprire un dibattito sulla possibilità di una convivenza del tutto pacificata, perché forse il conflitto è solo una delle modalità storiche di rapporto tra esseri umani, ed è legato a una società intrinsecamente conflittuale che forse è a sua volta superabile. Forse allora anche il conflitto non è un destino ma una scelta, e come tute le scelte è reversibile.

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Il filo di Arianna della politica: il potere

Da Note di Pastorale Giovanile.

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Raffaele Mantegazza

Come parlare

Il potere ce l’hanno sempre gli altri. Il dittatore, il presidente, il capufficio, il preside: sembra quasi che il potere sia un oggetto che qualcuno detiene e che qualcun altro può sottrargli. Non stiamo dicendo che questa rappresentazione del potere sia sbagliata, ma è molto semplicistica. Il potere probabilmente è un sistema di relazioni, un modo di rapportarsi con le altre persone; c’è ovviamente chi usufruisce di maggior potere e chi lo subisce, ma pensare il potere in dimensione relazionale vuol dire provare a capire come ridistribuirlo e come affrontare le iniquità e gli squilibri.

In fin dei conti il principio di divisione dei poteri, già per il fatto di parlare al plurale, ci mostra una possibile strada. Il potere è una questione di equilibrio e di squilibrio, di relazioni che vanno controllate, monitorate e se necessario modificate.

Chi ha il potere dunque in una classe scolastica? Da un certo punto di vista sicuramente l’insegnante, ma anche il leader positivo o negativo, il ragazzo o la ragazza più grandi, il gruppetto che determina l’umore e la possibile collaborazione dei ragazzi alla lezione. Impostare il potere come strategia di relazioni aiuta i ragazzi e le ragazze a capire che stiamo parlando di un oggetto molto complesso, che non si riduce all’utilizzo della violenza fisica.
C’è inoltre un potere evidente, che si manifesta in modo esplicito, che si presenta in tutta la sua fisicità e la sua forza, anche con la violenza; e c’è accanto ad esso un potere più suadente, più sottile, evidente nella pubblicità o in una certa propaganda elettorale. C’è un potere che ti fa star male, che ti ferisce, che ti punisce, ma c’è anche un potere che ti fa stare bene, un poter-fare le cose, un poter alleviare le sofferenze. Ogni visione solamente negativa del potere ci sottrae la possibilità di comprenderlo in tutte le sue articolazioni, e ci nega l’opzione di stare all’interno del potere con l’intenzione di promozione e di miglioramento della dignità umana su questo pianeta.

Dunque proporre il problema del potere ai ragazzi e alle ragazze significa aiutarli a capire come il potere circola tra di loro; non solo il potere dei genitori e degli insegnanti, ma tutte le relazioni nelle quali qualcuno tra loro, nei loro gruppi, nelle loro aggregazioni, sente di esercitare o di subire un potere. E tutti gli spostamenti, i cambiamenti, le ridefinizioni che questo sistema subisce e agisce con il passare del tempo. Abituare a vivere il potere nella quotidianità è fondamentale per poi capire quanto la ritualizzazione del potere tipica dei meccanismi democratici ammorbidisca da un certo punto di vista la sua pervasività e lo renda padroneggiabile o perlomeno controllabile.

Esiste poi un potere che cancella, che punisce, che ferisce, il tipico potere della censura, ma anche un potere che costruisce, che fa essere le cose; e c’è poi anche un potere che lascia essere, che si fa da parte, che lascia il campo agli altri. Quando si parla di educazione alla politica, il tema del potere deve essere trattato in ogni suo aspetto, altrimenti si conduce a una a semplificazione che porta a pensare semplicemente che si possa prendere il potere e cambiare le cose; il che ovviamente è anche vero; ma se non si modificano le dinamiche di relazione tra le persone, la semplice presa del potere di per sé non può assolutamente bastare.

Come pensare

→ Opera analizzata: Nella mia ora di libertà di Fabrizio de Andrè

In questa canzone l’autore immagina che un prigioniero voglia eliminare tutto ciò che potrebbe fargli dimenticare di trovarsi in carcere, e in particolare per questo motivo rinuncia all’ora di libertà. È come se volesse incarcerare psicologicamente i suoi stessi secondini mantenendo le distanze da essi e relegandoli al ruolo di guardie.
Si possono porre a questo proposito alcune domande:
– È giusto questo atteggiamento che cerca un allontanamento totale dalla guardia senza nessuna possibilità di incontrarsi umanamente?
– quale potrebbe essere invece un gesto fatto dal prigioniero o dalla guardia per trovare un incontro al di là dei ruoli?
– quali sono le altre situazioni nelle quali rischiamo di essere imprigionati nei ruoli di potere e non riuscire ad uscirne vedendo l’umanità nell’altro?

→ Opera analizzata: La ronda dei prigionieri di Vincent van Gogh

In questo quadro i prigionieri girano a vuoto continuamente.
Anche qui si possono porre alcune domande:
– dove si trova il potere in questo quadro?
– qual è il sentimento che possano provare i prigionieri sapendo che stanno camminando senza fare nulla e senza produrre nulla?
– se dovessimo aggiungere al quadro la figura del secondino, lo faremmo visibile oppure nascosto mentre osserva i prigionieri?
– quale gesto di ribellione possono fare i prigionieri per riuscire a contrapporsi al potere che stanno subendo?

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Presentazione della rubrica “Il filo d’Arianna della politica”

di Raffaele Mantegazza

Durante uno dei miei viaggi ho conosciuto una guida turistica, un uomo estremamente simpatico e gentile, con una grande capacità comunicativa. Entrato in confidenza gli chiesi qualcosa a proposito del suo lavoro; lui mi disse che la prima regola che veniva insegnata a coloro che guidavano i gruppi italiani nei viaggi organizzati era: “non parlate mai di calcio e di politica”. Una regola ferrea pensata per evitare qualunque tipo di conflitti con i turisti.

Evidentemente la politica è un oggetto complesso, si porta dietro tutta una scia di conflitti e di nodi non risolti, e soprattutto in ambito educativo molti condividono questa regola imposta alle guide turistiche; non si parla di politica, farlo significa condizionare, fare propaganda, plagiare. Questa confusione tra scienza della politica e propaganda, tra educazione alla politica e indottrinamento ha alle spalle una lunga storia nel nostro Paese, a partire ovviamente dal regime fascista che educava certo alla politica ma a una politica totalitaria e distruttrice, ma anche dalla storia più recente, dalla quale ci si tiene ben alla larga, come se nominare Silvio Berlusconi o Massimo d’Alema avesse immediatamente il sapore della propaganda e trasformasse un ambito educativo in una Tribuna elettorale.
In questa rubrica cercheremo di capire come muoversi nel labirinto della politica attraverso il filo di Arianna dell’educazione. Capiremo anzitutto che la politica non è soltanto quella che viene rappresentata dalle istituzioni, anche se quest’ultima è fondamentale e ogni cittadino o cittadina civile dovrebbe conoscerla anche molto a fondo. Capiremo però che la politica è anche altro, è il proprio modo di collocarsi all’interno di una comunità e di una collettività, e dare senso e valore ai gesti quotidiani in una prospettiva che li trascende e che va oltre. Questo andare oltre è tipico anche dell’educazione, e infatti a questo proposito educazione e politica possono stringersi la mano.

Fare politica significa credere nel futuro, alimentare la speranza, pensare ad una collettività futura per uomini e donne felici e solidali; in fin dei conti significa realizzare la speranza di Martin Luther King: “non potrò essere felice finché uno solo dei miei fratelli sarà schiavo”; fare educazione significa dare futuro a un ragazzo o una ragazza, immaginarseli adulti, e quindi compiere un gesto politico nel senso di tenere insieme il progetto individuale (rivolto a questo specifico giovane che ho davanti a me) e il progetto collettivo per la polis nella quale cresce e che lo vedrà sempre più protagonista. Quando si dice che i giovani non amano la politica si fa un’affermazione frettolosa e superficiale: nei miei corsi di scuola di politica svolti sul territorio ho visto ragazzi che hanno un’idea altissima, quasi platonica dell’uomo politico, che deve essere di esempio, ancora più onesto delle persone oneste ancora più irreprensibile del cittadino modello. Un’idea nobile di politica che a volte i ragazzi vedono smentita nei fatti. Ma anche questa rischia di essere un’affermazione superficiale: nel nostro Paese ci sono tanti ottimi amministratori ed eccellenti uomini e donne di politica che hanno messo l’interesse collettivo davanti a quello individuale o di partito, e dei quali e della quale purtroppo si parla troppo poco. Semmai i ragazzi accusano gli adulti di fuggire di fronte ai temi politici e soprattutto di ignorare il contributo che i giovani possono fornire alla politica nel senso più ampio: la storia degli organi di rappresentanza studentesca spesso ignorati dagli adulti all’interno della scuola e soprattutto dell’Università ha un enorme peso sulla percezione che i giovani hanno del rapporto tra adulti e democrazia.

La moda del parlar male della politica a prescindere dalle analisi più specifiche è parallela e speculare a quella del non parlarne. Noi scegliamo invece di parlare di politica e scegliamo di farlo proprio partendo da quelli che sono i fondamenti, riferendoci continuamente alla Costituzione che è il vero testo fondante della nostra democrazia, e proponendo esempi concreti e praticabili con gruppi di ragazzi e di ragazze di qualunque provenienza.

A questo punto può sorgere una domanda: l’educazione alla politica si colloca sul terreno delle emozioni o su quello della razionalità? È del tutto evidente che questi due terreni, per quanto separabili, si incontrano poi nell’esperienza quotidiana di ciascuno. Una politica che parli soltanto alla parte razionale dell’essere umano rischia di essere vanificata dallo scatenarsi di quel mondo emotivo che caratterizza ciascuno di noi: l’esperienza tragica della Repubblica di Weimar e della sua Costituzione avanzatissima travolta dalle emozioni nere scatenate dal nazismo dovrebbe servire da monito; del resto una politica che si rivolge soltanto alle emozioni è estremamente pericolosa, perché va a vellicare quel mondo senza farlo crescere, senza portare le emozioni al concetto e alla ragione.
Il nostro discorso dunque si articolerà in quello spazio di cerniera che collega mondo emotivo e mondo cognitivo e che potremmo definire spazio “prepolitico”; non più emozione e non ancora progetto. È in questo spazio grigio (non nel senso della “zona grigia” di Primo Levi, ma di un territorio che vive anche di sfumature e di ombre) che si colloca la possibilità di educare alla politica.
Il nostro viaggio attraverserà alcune parole chiave, alcuni termini che non possono mancare nel vocabolario di chi si occupa o si interessa di politica e che cercheremo di indagare in tutto il loro spessore semantico e soprattutto storico; semantico perché le parole hanno un significato preciso e soprattutto in ambito politico esse non sono mai neutre; storico perché la politica ha una storia, non è stata inventata ieri e deve essere conosciuta con un atteggiamento di curiosità e interesse per il passato, anche quello più lontano da noi. Molto spesso si afferma retoricamente che è assurdo che i nostri ragazzi studino Cesare e non Aldo Moro; dato per scontato che il fatto che i nostri giovani arrivino alla maggiore età senza che la scuola spieghi loro la storia degli ultimi 50 anni è una totale follia, non è certo Cesare a dover essere sacrificato. Anzi Cesare e Aldo Moro si integrano a vicenda nella loro infinita lontananza perché l’interesse per Cesare nasce sempre da un’esigenza contemporanea, come diceva Benedetto Croce: “il bisogno pratico, che è nel fondo di ogni giudizio storico, conferisce a ogni storia il carattere di ‘storia contemporanea’, perché, per remoti e remotissimi che sembrino cronologicamente i fatti che vi entrano, essa è, in realtà, storia sempre riferita al bisogno e alla situazione presente, nella quale quei fatti propagano le loro vibrazioni”.

Anzitutto analizzeremo la parola Politica, come termine introduttivo a tutto il discorso; e poi parole quali Potere, Conflitto, Democrazia, Dittatura/totalitarismo, Partecipazione, Istituzione, Movimento/partito, Maggioranza/minoranza, Leader, Violenza/nonviolenza, Propaganda.
Ogni articolo sarà strutturato in più parti:
– come parlare (una indagine sul vero significato delle parole, nella consapevolezza che saper attribuire il giusto significato a un termine è già un gesto politico);
– come pensare (un approfondimento culturale che porti la politica a confrontarsi con i grandi pensatori, artisti, intellettuali, scienziati, ecc.);
– cosa fare (proposte di lavoro educativo concreto con i ragazzi e le ragazze);
– come provare (cosa significa “fare politica” anche al di fuori delle istituzioni);
– cosa domandarsi (qualche dubbio e qualche domanda aperta).

Speriamo che alla fine di questo viaggio ci sia la passione per la politica; che ce la faccia amare un po’ di più e temere o disprezzare di meno, e soprattutto che ci convinca che alla politica, come a tutte le cose belle e importanti della vita, si può e si deve educare.

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“Nuove sfide: il Covid-19 quale occasione per ripensare strategie e politiche”: webinar di Minori di Diritto

Il 13 maggio 2021 si terrà l’ultimo appuntamento del ciclo di tre webinar previsti dal progetto GLI ADOLESCENTI AL TEMPO DEL CORONAVIRUS. Tra diritti negati, disuguaglianze e prospettive educative, con l’obiettivo di offrire un’ampia riflessione sulle sfide da affrontare per la tutela e la promozione dei diritti dei minori.

Nel primo appuntamento, tenutosi il 4 dicembre 2020, dal titolo “La condizione degli adolescenti di fronte alle nuove regole: tra resilienza e fragilità”, si è parlato di quanto e come la pandemia ha influenzato il mondo delle regole, cercando di capire quale è stata la risposta degli adolescenti a questa situazione di straordinaria eccezionalità e come aiutare i ragazzi a coniugare le nuove regole imposte e i bisogni tipici dell’età adolescenziale.

Nel secondo appuntamento, tenutosi il 5 marzo 2021 dal titolo “I diritti negati al tempo del Covid-19: le nuove disuguaglianze”, si è affrontato il tema delle disuguaglianze e dei diritti negati al tempo del Covid in riferimento alle nuove generazioni, per sollecitare il dibattito e l’attenzione pubblica sulle profonde disuguaglianze emerse a seguito della pandemia, che stanno caratterizzando le condizioni di vita e le opportunità di sviluppo di molti minori.

A seguito di questi due appuntamenti, giovedì 13 maggio 2021, in diretta dalle ore 17.00 sulla pagina Facebook “MinoridiDiritto” e sul canale YouTube “ICC SalesianiDonBosco”, proponiamo il terzo degli incontri organizzati dal titolo NUOVE SFIDE: IL COVID-19 QUALE OCCASIONE PER RIPENSARE STRATEGIE E POLITICHE”.

Obiettivo di questo webinar è quello di rilanciare l’urgente necessità di nuove prospettive e strategie che possano consegnare alle nuove generazioni un futuro più equo e sicuro e di ridisegnare politiche per l’infanzia e l’adolescenza, che si facciano carico della condizione di bambini e ragazzi, i quali stanno pagando un costo molto alto della pandemia.

Si parlerà delle sfide cui siamo chiamati a rispondere in questo particolare momento storico e delle nuove prospettive da adottare per far fronte ai bisogni delle nuove generazioni, proponendo e individuando risposte, strategie e politiche da portare all’attenzione delle istituzioni. 

All’appuntamento del 13 maggio interverranno: Elena Bonetti – Ministra per le Pari Opportunità e la Famiglia; Alessandro Rosina – Docente di Demografia e Statistica sociale nella Facoltà di Economia dell’Università Cattolica di Milano; Vanessa Pallucchi – Vicepresidente nazionale Legambiente; Don Stefano Mondin – Delegato della Pastorale Giovanile dei Salesiani del Piemonte e Valle d’Aosta; Andrea Farina – Osservatorio Salesiano per i diritti dei minori.

Sarà presente anche il Presidente di Salesiani per il Sociale – Italia Centrale Don Emanuele De Maria.

L’incontro, inoltre, vedrà anche la partecipazione dei ragazzi dell’Istituto Salesiano “Pio XI” e “Villa Sora”, che offriranno il loro fondamentale contributo, portandoci una loro personale testimonianza e stimolando gli interlocutori con alcune domande specifiche. 

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