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Oratorio, una luce nel quotidiano Storia di Sofia (e anche mia)

Dalla rubrica “Ritratti di adolescenti” di Note di Pastorale Giovanile.

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di Maria Gloria Assenza *

“Beatus qui invenit amicum verum”, vorrei cominciare così, con un tocco quel latino che sto studiando adesso all’Università, la mia testimonianza, che spero possa essere – per te che leggi – stimolo di speranza e di consapevolezza che per ognuno di noi c’è un progetto, che giorno dopo giorno si costruisce grazie ai segni che Dio dona attraverso gli incontri. È davvero la mia esperienza, da un anno a questa parte, per cui non ho mai smesso di ringraziarLo per avermi aperto il cuore all’incontro con il mondo salesiano. In realtà, sin da piccola ho frequentato l’istituto, avendo fatto lì la scuola materna, crescendo però mi sono allontanata, in inverno non frequentavo mai l’oratorio poiché non sentendomi motivata, preferivo dedicarmi ad altro. Eppure, mi domandavo spesso cosa spingesse gli altri a donare parte del loro tempo per i piccoli e soprattutto mi stupiva il fatto che ci tenessero così tanto. Fin quando arriva luglio del 2022: ammetto che d’estate, finita la scuola, ho sempre dato un aiuto, ma quella estate aveva un sapore diverso. Cominciavo in effetti a vedere i primi segni, ad avere vicino determinati volti che sarebbero diventati parte essenziale della mia vita.
Lo racconto in breve. Accade che la nostra coordinatrice è in dolce attesa e noi animatori più grandi, tra diciassette e diciotto anni, capiamo che è giunto il momento di divenire più responsabili, poiché se non portiamo avanti noi la realtà, questa rischia di spegnersi. Così cominciamo a trascorrere ogni pomeriggio in oratorio a immagnare, progettare e preparare le giornate di grest; e al termine di ogni giorno, notavo che il legame in questo piccolo gruppo di animatori si intensificava. Vedevo in tutti una luce, una voglia di mettersi al servizio che mi meravigliava sempre di più e non lo davo affatto per scontato, visti tutti i giudizi “autorevoli” sul mondo giovanile.
All’interno di questo gruppo c’era una ragazza, Sofia, animatrice dal 2017, che aveva qualcosa di speciale, un amore verso l’oratorio che non mi riuscivo a spiegare, e proprio lei qualche anno prima mi aveva suscitato quelle domande. Decido allora di avvicinarmi, con la mia usuale timidezza, ma in realtà è come se lei mi stesse aspettando da sempre, poiché sin dal primo momento ho sentito che la nostra amicizia andava oltre le domande e le risposte del cuore, ma avesse origine da qualcosa più grande… probabilmente don Bosco ma forse anche qualcosa più su… Ma ciò che ancor più mi suscitava gratitudine era aver trovato qualcuno della mia stessa età, che avrebbe condiviso i travagli e le speranze della vita di un giovane. Piano piano procediamo nella nostra conoscenza reciproca, fin quando arriva un giorno – che oggi ci piace definire l’inizio della nostra amicizia – in cui io confido a lei una mia nascosta fragilità… e mentre temevo di deluderla e di segnare così la fine dell’amicizia, proprio in quel momento vedo davanti a me un cuore sciogliersi e un volto bagnarsi. Così capisco davvero il senso di “beato chi trova un amico vero”, come dicevo all’inizio. Avevo trovato una persona semplice ma di un cuore così grande, che non immaginavo possibile. E da quel giorno non ha mai smesso di essere presente nella mia vita, di sostenermi e aiutarmi. La mia “confessione” ha preceduto un pellegrinaggio che avremmo fatto a Torino ad agosto del 2022. Questo è stata la svolta per entrambe. Sia per la bella scoperta del carisma salesiano, quello a cui ci ispiriamo nell’oratorio e con i ragazzi, che una scoperta ancora più profonda e vera di lei. Ricordo che – sedute nel gradino dell’urna di don Bosco – mi ha parlato di sé e io l’ho accolta (protetta?) con quei pochi strumenti che possedevo: l’abbraccio accogliente, il sorriso, il cuore. Qui finalmente ricevo la risposta alle domande che mi aveva suscitato al tempo, ciò che in fondo l’aveva sempre spinta a continuare questo cammino. E cioè che l’oratorio per lei è sempre stato famiglia, luogo di relazioni sane, dove si è sempre sentita accettata, senza giudizi e pregiudizi. Ama definirlo, “il faro della sua esistenza”. Luogo dove ha ritrovato se stessa, dove ha scoperto talenti che non credeva di avere. In ogni tappa della sua vita è sempre stato presente e, in modo particolare, ricorda un avvenimento, risalente al 2018, dove per la prima volta ha sperimentato il significato concreto dell’amore, grazie al dono di una giovane suora, che in un momento non semplice della sua vita le è rimasta vicino prendendosi cura.
Ma all’inizio di questo pellegrinaggio, eravamo completamente ignare di ciò che sarebbe accaduto solo un mese dopo. Torino è stato per noi il centro del cambiamento, perché dopo quella tappa abbiamo compreso che in fondo dietro l’oratorio c’è qualcosa di più profondo, di vero, o meglio Qualcuno, che poi è il vero centro. Grazie a questo viaggio Sofia cambia prospettiva, comincia a comprendere la ragione profonda del suo servizio, comincia a spendersi con più entusiasmo e si nota in lei una luce diversa. Ma in questo processo di cambiamento, non era sola, penso che la frase di Don Pino Puglisi qui calzi pienamente: ‘’Dio ti ama ma sempre tramite qualcuno”, e davvero ha sentito sulla sua pelle questo, poiché proprio in questa esperienza ha trovato un punto di riferimento nella fede, la sua guida. E mentre lei proseguiva nel suo cammino, mi rendevo conto che ci ritrovavamo a condividere le stesse tappe di vita, come il dono della guida, l’inizio di un cammino di fede con essa, le scelte difficili e importanti e le responsabilità in oratorio.
Terminato il viaggio, torniamo a casa pieni di luce, di vita e di forza. Toccata nel profondo da questa esperienza, anch’io prendo a cuore l’oratorio, e capisco che ciò che stava spingendo tutto era l’amore. A tal proposito ricordo proprio la frase dell’inno MGS di quell’anno, dal titolo “Share the dream”: ‘’perché è solo se ti senti amato che ami e dici sì”. E riconosco che Sofia è stata sin da piccola testimonianza ed esempio per me di quest’amore, e tutt’ora se continuo a esserci, è perché mi sento chiamata a testimoniare e a donare questo amore che ricevo da Lui, attraverso i salesiani che mi guidano nel cammino di fede, don Bosco e i ragazzi dell’oratorio.
Così, da un anno a questa parte, siamo in cammino, ogni sabato curiamo l’oratorio, animati sempre da quella forza e cerchiamo nel nostro piccolo di trasmettere quanto ci viene donato dalla sorgente più grande. Stare con i bambini, vedere come i ragazzi cominciano ad appassionarsi sempre di più, accompagnarli nella crescita sull’esempio di don Bosco, ci riempie di gratitudine e ci ripaga da tutta la fatica.
Nella speranza di tener vivo questo sogno, ci auguriamo di continuare a testimoniare la bellezza dell’amore.

* 19 anni, vive a Pozzallo, dove continua il suo impegno in oratorio, presso l’istituto delle FMA. Segue all’interno dell’MGS i cammini formativi. Frequenta il primo anno di Lettere Classiche presso l’università di Catania

Abbandono, conforto, ascolto: storie di Mussa, Angelica, Mariana

Dalla rubrica Ritratti di adolescenti su NPG, a cura dei giovani del MGS.

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Raccontare di un giovane, di un adolescente o di un bambino, significa dipingere quel ritratto che ha caratterizzato la vita di ognuno di noi. E allora partirei proprio da questo, dal ritratto di me, per poi arrivare a quei tanti volti che nel corso della mia vita, attraverso le esperienze oratoriane, hanno aiutato a comprendere chi fossi, i miei sogni, aspirazioni, paure, insicurezze e obiettivi. Volti, occhi e sguardi che mi hanno fatto guardare al mondo da diverse prospettive, giovani che hanno reso e rendono la mia vita qualcosa di unico, nonostante tutto.
Fin da piccola ho sempre amato lo sport e il movimento nella sua complessità e, nonostante l’impossibilità di una pratica agonistica, ho sempre utilizzato questo mezzo per fuggire da ciò che mi facesse male, per evadere da quelle situazioni che non mi facevano stare tranquilla, per trovare conforto, per riscattarmi, per scoprire il mio io. La corsa che tanto amavo, come pratica individuale rispondeva in parte a questo scopo, però non mi bastava, avevo bisogno di comunità, di calore fraterno, di gruppo, di unione, di sorrisi, di condivisione. L’oratorio è stato questo, ha saputo mettere insieme due elementi essenziali che credo siano indispensabili per ogni essere umano, ovvero la voglia di scoprire se stessi e trovare equilibrio psico-fisico, ma anche la costante voglia di non sentirsi soli ed abbandonati.
Le tante esperienze vissute in oratorio, attraverso l’animazione missionaria, le esperienze estive in contesto povero, le esperienze per le strade della mia città, mi hanno aiutata a capire quanto ognuno di noi nella propria diversità è simile. I tanti volti, sguardi incontrati e le tante parole ascoltate, e soprattutto le tante parole non dette, mi hanno aiutato a comprendere quanto ognuno di noi sia accomunato dalla sofferenza che aiuta a cambiare, e dalla voglia di sentirsi accettati e ascoltati, dalla voglia di sentirsi abbracciati. Ecco che in queste righe non voglio raccontare la storia di una singola persona conosciuta, perché sono davvero tante, ma ci tengo a trasmetterti – a te che stai leggendo – che la mia storia di animatrice, educatrice, ragazza è forse molto simile alla tua, anzi è molto simile in alcune sfaccettature a quella dei tanti giovani incontrati durante il mio percorso di vita. Io così come i tanti giovani conosciuti mi sono sentita persa, non accettata, non compresa, usata, ho sempre pensato di non valere nulla, ma ad oggi sono consapevole che grazie a voi giovani mi sento cambiata, maturata, ho potuto capire il significato di quel “punto accessibile al bene” di cui tanto parlava Don Bosco, ho riscoperto me stessa, ma soprattutto ho imparato ad accettare la diversità, le povertà, le tante personalità che ognuno di noi vive quotidianamente.
Ecco che in queste righe dopo averti raccontato una piccola parte di me voglio farti conoscere alcuni volti conosciuti durante la mia vita da oratoriana, ragazzi e ragazze, bambini e bambine, che ad oggi sono la fonte del mio cambiamento, fonte essenziale che giorno per giorno continuano a motivarmi nel mio percorso di studi, formativo e di vita, giovani che mi ricordano che la strada che ho intrapreso possa/debba nel futuro essere messa al loro servizio grazie al valore dello sport.
Mussa, 18 anni; lui mi ricorda i volti dei tanti migranti che hanno lasciato la propria terra, e che sono arrivati sulle coste delle nostre spiagge, lui rappresenta anche il volto di quei tanti senza fissa dimora che occupano le nostre strade, ritrovandosi in contesti disumani. Con Mussa e con tanti altri migranti ho avuto modo di dialogare, scambi di commozione e di occhi lucidi, di sofferenza, di voglia di vivere. Loro mi ricordano quanto possa essere importante lottare per ciò che si crede, per i propri obiettivi. È impressa nella mia mente una frase di Mussa: “Perché il mondo è grandissimo e possiamo starci tutti senza problemi”, ogni volta me la ripeto, quando penso che tutto quello che sto facendo sia inutile, e invece no! C’è posto anche per me, c’è posto per tutti. Mussa mi ricorda la parola ABBANDONO.
Angelica, 7 anni; lei è il volto dell’accoglienza, del prendersi cura. In un momento di pura difficoltà in Guatemala, lei ha saputo tendermi la sua piccola mano, mi è stata accanto, ha saputo comunicare nonostante la difficoltà linguistica. Non mi ha lasciata mai sola, aveva percepito che avevo bisogno di aiuto, e così in maniera silenziosa ha saputo colmare il mio vuoto. Angelica mi ricorda la parola CONFORTO.
Mariana, 19 anni; lei è “amicizia” nata nel momento del racconto, dell’ascolto della propria storia di vita, dove ci si mette a nudo, in cui le proprie fragilità vengono consegnate nelle mani di chi sa ascoltare. Con lei si è creata connessione, spesso tra educatore ed educando ci si ritrova in sintonia perché magari simili in alcuni aspetti, con lei è stato così, ha saputo “tirar fuori” come un’educatrice, una parte di me nascosta. Mariana mi ricorda la parola ASCOLTO.
Abbandono, conforto e ascolto, forse possono essere tre elementi che caratterizzano i giovani di oggi. Nel momento in cui ci si sente soli ed abbandonati si ha semplicemente bisogno di ascolto e conforto. Io nel mio piccolo non ho utilizzato tante parole, perché forse non bastano, ma attraverso uno sguardo come presenza e un abbraccio sono riuscita ad entrate in connessione con loro, ma soprattutto l’approccio di Mussa, Angelica e Mariana dovrebbero essere da esempio anche per noi educatori.
Concludo queste mie riflessioni, come vedi più su di me che su giovani di cui tracciare un ritratto, ma ti ho voluto mostrare, e farti conoscere attraverso piccoli ricordi, tre giovani completamente diversi ma inevitabilmente vicini, tre giovani che hanno saputo colmare i miei vuoti – dalla solitudine, al senso di inadeguatezza, alle incomprensioni, alla mancanza di ascolto – in momenti differenti del mio percorso di educatore, animatore.
All’inizio del mio percorso di animazione pensavo di salvare il mondo o di essere da esempio per tanti giovani, non so se questo sia successo nel corso del tempo, ma ciò che rimane certo è che i tanti giovani conosciuti dai più piccoli ai più grandi, dalle zone di periferia, ai villaggi, alla mia città, sono stati loro il mio più grande esempio. Attraverso di loro ho saputo riconoscere il volto di Cristo: mi hanno aiutata a comprendere la bellezza di una vita degna di essere accolta, vissuta e amata.

* 25 anni, di Salerno, laureata in scienze motorie e attualmente sta concludendo il percorso di studi magistrali. Frequenta l’oratorio salesiano di Salerno da quando è nata, e al suo interno è animatrice della fascia di 4° superiore (gruppo che segue dalla prima elementare) e animatrice del gruppo missionario VIS Pangea (Volontariato Internazionale per lo Sviluppo).

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Un sogno che vola Storia di Anita, Giulia, Sofia, Giulia e Veronica

Pubblichiamo una nuova puntata della rubrica: Ritratti di adolescenti, a cura dei giovani del Movimento Giovanile Salesiano.

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Di Anita Marton *

Risuona spesso in me una frase. La tengo appesa sopra la scrivania, è tratta da una poesia di Pedro Salinas; recita: “Quando ti doni, riconquisti te stessa, ti volgi in dentro, cresci”. Mi ricorda che, se vale più dare che ricevere, si riceve sempre più di quanto si dona.
Le ho conosciute al Meeting dei Giovani del Triveneto, a Mestre, appuntamento per tutti gli animatori delle superiori. Io ero lì come accompagnatrice dei ragazzi della mia realtà, loro avevano appena terminato la prima estate da animatrici. Il Don mi ha fatto incontrare un piccolo gruppo di ragazze: avrei dato loro una piccola testimonianza di come ho vissuto e come vivo le mie amicizie, soprattutto nell’impegno del dono verso gli altri. Non sapevo cosa aspettarmi e nemmeno cosa avrei detto, ma quando abbiamo iniziato a parlare, mi sono accorta che erano loro a darmi una bellissima testimonianza di amicizia: avevano una luce che brillava negli occhi, un fuoco nel petto. Mi sono rimaste aggrappate al cuore e non se ne sono andate più. Ci siamo trovate di nuovo, abbiamo parlato ancora, abbiamo condiviso le nostre esperienze, risate, studio e biscotti. E mi hanno raccontato la loro storia, che inizia da un sogno in cordata.

La missione di Anita, Giulia, Sofia, Giulia e Veronica nasce da un desiderio condiviso, germogliato tra i banchi di scuola quando erano in terza media. La realtà da cui provengono è l’Istituto Salesiano “E. Sardagna” di Castello di Godego, in provincia di Treviso, dove convivono l’oratorio e la scuola, primaria e secondaria di primo grado. Come in molti oratori, ci sono gruppi di animazione, ma esiste anche un gruppo di chierichetti, il Santissimo Sacramento, rivolto solo ai ragazzi. Per le ragazze non c’era altro. Per le cinque amiche era bello e stimolante frequentare la scuola e l’oratorio, ma sentivano di dover fare di più, desideravano fare del bene, servire nella misura in cui potevano, nelle cose pratiche e nello sguardo buono verso i compagni. Volevano avere uno spazio e un tempo per vivere più intensamente nella realtà in cui si trovavano, così come già faceva il Santissimo Sacramento. Per quattro mesi hanno custodito questo desiderio nel cuore, si sono confrontate tra loro e con il Don, e piano piano, dal basso e in silenzio, è nata Opzione Mornese. Il nome l’aveva suggerito il don, facendo scoprire alle ragazze la figura di Madre Mazzarello e delle giovani di Mornese, che come loro si davano da fare per gli altri. Il primo anno è stato di attesa e lentezza, era da tracciare la giusta rotta, c’era l’ardore di fare una buona cosa e la paura che tutto si sgretolasse da un momento all’altro. Una piccola stanza, a volte il cortile, diventava il luogo dove incontrarsi: parlavano della loro vita, delle fatiche e delle gioie quotidiane, del loro gruppo, degli amici e dei compagni. Il Don, sempre vigile e presente, le aiutava a navigare. Ogni tanto, invitavano le ragazze di seconda media, perché quel loro desiderio non rimanesse come il lume sotto al giaciglio, ma potesse intercettare altri animi tesi alla ricerca di qualcosa di più. Poi, nell’estate tra la loro terza media e la prima superiore, il gruppo ha preso forma, e a settembre Opzione Mornese è cresciuto. Quelle ragazze di seconda media sono entrate a far parte del gruppo, e a loro volta hanno invitato le ragazze più piccole a parlare con loro, a condividere. Le ragazze di terza media avevano organizzato la raccolta di cibo e beni di prima necessità per l’Ucraina, insieme al Santissimo Sacramento avevano allestito il presepe. Un circolo di bene.

Ora sono in seconda superiore. Da quando hanno finito le medie, non studiano più al Sardagna e frequentano scuole diverse. Adesso è più difficile, perché si cresce, si cambia scuola e incontrarsi tra loro diventa una scelta che costa tempo, rinunce e impegno. Anche portare avanti il gruppo non è semplice, sono ormai tante le ragazze che hanno seguito questo desiderio, e nonostante ci sia il Don e una ragazza più grande che le accompagnano, “è nelle nostre mani, nessuno tira se non tiriamo noi”, mi dicono. Camminare con Opzione Mornese dipende da loro, responsabilizza, mette alla prova quando si presentano solo tre persone agli incontri. Perché rimaniamo? Se nessuno viene, qual è il senso? Ma il sogno nato ormai tre anni fa continua a vivere, e già è partito un nuovo gruppo alle medie, sempre più ragazze si lasciano affascinare da questa missione fatta di amicizia e dono gratuito. Non smettono di sognare in grande: desiderano andare a Mornese, conoscere meglio la storia di Madre Domenica Mazzarello, tornare a casa e trovare un gruppo grande di ragazze che vanno avanti da sole, senza che per forza ci siano loro a guidare. Un desiderio che cammina con i piedi per terra e gli occhi rivolti al cielo.

Le ho viste di nuovo al Meeting MGS la settimana scorsa, a un anno esatto dal nostro primo incontro. Quando ci siamo salutate, ho pensato che averle conosciute è stata una grazia. Vedere delle ragazze così giovani dare vita a un gruppo come Opzione Mornese con le loro mani, mettersi in gioco e continuare a sognare nonostante le fatiche e i momenti di sconforto, mi dà fiducia. Significa che il Signore ancora lavora nei cuori dei ragazzi, che le amicizie belle e al servizio degli altri esistono e crescono, se custodite e donate. Significa che è molto semplice lamentarsi e molto coraggioso fare un passo per costruire qualcosa. Significa che nelle mie amicizie gli ingredienti devono tornare ad essere correzione fraterna, il sostegno reciproco, essere matite nelle mani di Dio per gli altri; avere quel loro sorriso palpitante nel cuore. È lì che è nato questo sogno. Un sogno che vola, ancora.

* 24 anni, laureanda in Lettere Classiche presso l’Università Ca’ Foscari di Venezia. Appassionata di disegno, scrittura e teatro. Da tempo legata ai salesiani del Triveneto; attualmente fa animazione a un gruppo di ragazzi del triennio delle superiori ed è impegnata nell’MGS Ispettoriale.

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Il filo di Arianna della politica – Propoaganda

di Raffaele Mantegazza

Come parlare 

“Quando il partito dice che il bianco è nero bisogna convincersi che lo è davvero”: che sia una battuta, un aneddoto, una leggenda metropolitana, questa frase è di volta in volta attribuito a demagoghi di destra o di sinistra per mostrare come la propaganda sappia mettere in discussione qualunque verità, ovviamente non dal punto di vista oggettivo ma da quello soggettivo di chi si autoconvince della verità di ciò che viene propagandato.
A rigore ovviamente la propaganda si rivolge a persone adulte, perché ha bisogno comunque di un minimo di base di conoscenza da parte dell’interlocutore. Ma altrettanto ovviamente, più si abbassa il livello culturale di quest’ultimo, più la propaganda diventa becera, rozza, schematica. Forse una visione in bianco e nero del mondo è molto più accettabile da parte di persone semplici e in un effetto circolare disincentiva la loro capacità critiche e la loro ricerca di informazioni verificabili.
In ambito politico però almeno a partire dalla seconda metà del ventesimo secolo la propaganda è stata sostituita o perlomeno affiancata da qualcosa di molto più subdolo: si inizia infatti ben presto, fin dalla più tenera età, a sottoporre i bambini e le bambine a messaggi iper-semplificati, che colpiscono direttamente le emozioni senza permettere una crescita razionale. A rigore non si tratta più nemmeno di propaganda ma di mero condizionamento, che bypassa quasi completamente il livello della coscienza e dello spirito critico. Stiamo dunque parlando di messaggi molto subdoli, che oltretutto conferiscono all’ascoltatore una specie di senso di superiorità. Si è sentito molto spesso dire a proposito del terrapiattismo o della polemica contro i vaccini che solo coloro che predicavano queste pseudo-verità erano i veri saggi, che tutti gli altri erano ignoranti, schiavi del sistema, squalificati nella loro intelligenza per il semplice fatto di non condividere le idee di questa specie di nuovi profeti.
Questo tipo di propaganda, che a rigore non si potrebbe nemmeno definire tale tanto è ancora più pervasiva della propaganda classica, va dunque a sollecitare e solleticare l’amor proprio e il narcisismo di coloro a cui si rivolge. Ed è ovviamente molto difficile di fronte a un discorso che scavalca totalmente la ragione affrontare queste persone con le armi del ragionamento, delle statistiche, delle cifre, delle prove scientifiche.

Come pensare 

Opere analizzate
– Peter Bichsel, “Un tavolo è un tavolo”, da “Storie per bambini”;
– Hans Magnus Enzensberger, “Ulteriori motivi per cui i poeti mentono”, da “La fine del Titanic”;
– Cesar Vallejo, “Un uomo passa”, da “Spagna allontana da me questo calice”.

La propaganda si serve del linguaggio, e lo fa spesso rimanendo all’interno del linguaggio stesso, come se non le importasse nulla della verità delle proprie affermazioni e del rapporto con la realtà.
Il racconto di Bichsel prova a capire cosa accadrebbe a una persona che pensasse davvero che basti cambiare il nome a un oggetto per cambiare l’identità dell’oggetto stesso. Il delirio raccontato dal narratore è interessante perché molto simile ai discorsi della propaganda che appaiono estremamente seducenti quando modificano le parole quotidiane (basti pensare alle strategie di rinominazione operate da tutti i totalitarismi, nei confronti delle parole straniere, dei nomi di città, dei cognomi, ecc.). Bichsel va fino in fondo nell’illusione di un discorso autoreferenziale che alla fine porta alla totale solitudine
La poesia di Enzensberger invece opera un continuo va-e-vieni tra linguaggio e realtà mostrando come il primo ha un senso solo se in qualche modo fa i conti con la durezza della seconda e non ne rifugge; la stessa cosa avviene nella poesia di Vallejo nella quale la povertà, il dolore, la morte si trovano escluse da un discorso filosofico che non ha alcun altro scopo che non sia celebrare se stesso.

Cosa fare 

Oltre a far discutere i ragazzi sui grandi temi della politica sarebbe opportuno anche abituarli a proteggersi dalla demagogia e dalla propaganda a proposito della loro vita quotidiana. Dunque si potrebbe organizzare un ciclo di comizi tenuti da loro nei panni degli insegnanti, dei professori e dei genitori sui temi:
– È possibile una scuola senza voti?
– Le interrogazioni sono l’unico modo per verificare la preparazione?
– Ha ancora senso l’esame di maturità?
– Le note disciplinari sono uno strumento utile?

Matteo Leone, studente universitario dello IULM di Milano, mi segnala che per l’esame di Public speaking vengono assegnati ai ragazzi alcuni temi sui quali strutturare un breve discorso:
– Gli asparagi e l’immortalità dell’anima
– 4 + 4 = 9
– La cura dell’uva
– Perché seppie con piselli

Come provare

Il “debate” è una metodologia molto usata in ambito scolastico. Come è noto si tratta di proporre ai ragazzi alcuni argomenti sui quali operare prima di tutto una ricerca e una riflessione critica, e poi presentare davanti ai compagni di classe o di istituto un dibattito nel quale ogni squadra di ragazzi ha il compito di illustrare le tesi a favore o contro l’argomento scelto. Si tratta sicuramente di una tecnica interessante, ma il limite che personalmente ne vedo è che troppo spesso l’aspetto competitivo ha la meglio sui contenuti, per cui la discussione spesso si riduce a uno sfoggio di mezzi sofisticati dal punto di vista dialettico ma non a un reale approfondimento. Occorrerebbe in realtà far riflettere i ragazzi sulle procedure utilizzate per arrivare a proporre un discorso e sulle strategie comunicative utilizzate senza necessariamente procedere alla fine a proclamare un vincitore.
Inoltre le regole del gioco prevedono che l’assegnazione delle posizioni pro o contro il tema ai gruppi di ragazzi sia fatta per sorteggio. Se le ragioni di questa scelta hanno un senso (cioè chiedere ai giovani di provare a mettersi nei panni dell’altro) occorre essere molto cauti soprattutto con i ragazzi più giovani proprio perché, come detto sopra, questa operazione può ridursi semplicemente a una ricerca di strategie dialettiche e sofistiche. Forse sarebbe meglio partire dalle reali opinioni dei ragazzi e solo successivamente, dopo aver testato questo metodo, passare alla richiesta di cercare motivazioni per l’idea opposta alla propria.

Cosa domandarsi 

I ragazzi sono esposti alla logica della propaganda soprattutto nelle sue versioni più subdole e sottili, ma sono anche a volte in grado di raccogliere e criticare informazioni vere e autentiche. Occorre che gli adulti si pongano qualche domanda in proposito:
– Quali sono le principali fonti di informazione alle quali accedono i giovani?
– Cosa significa per loro che una informazione è “vera”?
– Quali sono le strategie di verifica delle informazioni che essi usano?
– Qual è la differenza tra una notizia vera e una notizia popolare?
– Qual è il tasso di penetrazione dell’atteggiamento misterico e narcisistico di posizioni come quelle dei terrapiattisti secondo i quali solo chi crede nelle loro affermazioni è saggio e dunque non c’è bisogno di alcuna dimostrazione?
– Qual è il lavoro di rielaborazione critica di una informazione compiuto dai ragazzi prima di comunicarla ad altri?
– Come le risposte alle domande di cui sopra mutano (o meno) a seconda del mutare dello strumento di accesso alle informazioni (fonti orali, fonti cartacee, digitale, ecc.)?
– …

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Educare i giovani alla pace, l’esperienza della cittadella internazionale “Rondine”

Da Note di Pastorale Giovanile, di Marcello Scarpa.

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Dopo due anni di pandemia, quando le difficoltà sanitarie, economiche, sociali sembravano lasciare il posto a un futuro di speranza, la guerra scoppiata in Ucraina ha riportato indietro le lancette della storia di settant’anni,[1] ai tempi della cortina di ferro e della guerra fredda. Le immagini dei combattimenti che quotidianamente inondano le nostre case hanno reso evidente che il sistema di democrazia occidentale non è sufficiente a garantire la pace nel mondo; il benessere economico non basta ad arginare le ondate del male, perché il male non è al di fuori dell’uomo, ma può prendere drammaticamente dimora dentro di lui, fino a portarlo alla distruzione di sé, oltre che dei suoi simili.
Qual è l’origine del male? La guerra attuale è frutto di una sola mente desiderosa di ricostruire il grande impero degli zar, oppure è un’operazione militare portata avanti dai russi per evitare di ritrovarsi circondati dagli armamenti della coalizione atlantica? Non è nostra intenzione limitarci allo studio di un singolo episodio, seppur drammaticamente attuale, analizzando le motivazioni dell’una e dell’altra parte, né di offrire criteri o soluzioni per il conseguimento di una pace durevole. Piuttosto, vogliamo allargare l’orizzonte chiedendoci: è possibile prevenire la violenza? È possibile sanare dal di dentro le ferite della guerra, perché non siano il punto di partenza per l’innesco di ulteriori conflitti?
In questa sede, ci lasciamo prendere per mano dall’esperienza messa in atto nella cittadella internazionale di Rondine dove un gruppo di giovani, provenienti da paesi in guerra fra di loro, vivono, studiano e progettano insieme un futuro di riconciliazione, dapprima con se stessi, poi con il “nemico”, infine con l’umanità intera.

Rondine, cittadella della pace

L’antico borgo medievale di Rondine, piccola frazione del comune di Arezzo, sorge sulla riva destra del fiume Arno ed è immerso nella Riserva naturale di Ponte Buriano, il ponte dipinto da Leonardo da Vinci alle spalle di Monna Lisa.[2] Con il passare degli anni la cittadella, che nel passato era stata una fortezza militare, si era svuotata e alla fine della seconda guerra mondiale versava in stato di incuria ed abbandono. Nel 1976 un gruppo di giovani, fra cui Franco Vaccari,[3] ispirandosi alla pedagogia educativa di don Lorenzo Milani, ai movimenti pacifisti internazionali, alle nuove esperienze di vita comunitaria nate nel postconcilio, all’impegno civile di Giorgio La Pira,[4] iniziarono a restaurare l’antico borgo che, poco alla volta, da avamposto bellico fu trasformato in un centro di formazione internazionale per la pace.

Nel 1988, dopo i primi anni di volontariato trascorsi vivendo i valori dell’ospitalità e del dialogo, Franco Vaccari e il gruppo dei fondatori di Rondine, nonostante non avessero nessuna esperienza nel campo diplomatico e della risoluzione dei conflitti, inviarono una lettera a Raissa Gorbaciova con l’obiettivo di superare la logica della contrapposizione della guerra fredda e di aprire un canale di comunicazione con l’Unione Sovietica. Inaspettatamente, la first lady accolse la loro proposta e li invitò a Mosca, dando così avvio a una serie di incontri bilaterali sul tema della pace. Nel 1995, anno segnato dalla guerra di Cecenia, i fondatori di Rondine furono invitati nella capitale russa per cercare una tregua al conflitto, ma la loro opera di mediazione non ebbe successo.[5] Sulla scia del credito di fiducia che si erano guadagnati nelle trattative di pace, una sera di fine estate del 1997, al termine del primo conflitto armato in Cecenia, il rettore dell’Università di Groznyj, Mukadi Izrailov, telefonò a Franco Vaccari chiedendo di ospitare a Rondine tre giovani ceceni perché potessero completare gli studi interrotti a causa della guerra. Ispirato dal pensiero di La Pira, Vaccari rispose spontaneamente: «Sì, se accettano di venire insieme ai russi»; la replica del Rettore fu immediata: «Ah, noi non abbiamo problemi! Se riuscite a trovare un russo che dorma in camera con un ceceno».[6] Una volta fatto il primo passo, nel giro di poche settimane i russi trovarono due giovani disposti a dormire in camera con dei ceceni; in tal modo, salendo su due normali aerei di linea, cinque giovani universitari iniziarono il loro viaggio verso Rondine con lo scopo di «vivere insieme, dormire insieme, studiare insieme, mangiare insieme, dialogare insieme»,[7] con quelli che fino al giorno precedente erano i loro nemici.

[1] Su questa linea, le parole del Presidente della Repubblica italiana, Sergio Mattarella: «Non possiamo accettare che la follia della guerra distrugga quello che i popoli d’Europa sono stati capaci di costruire e realizzare in questi sette decenni in termini di collaborazione, di pace, di ricerca di obiettivi comuni nel nome dell’umanità»: https: // www .adn kronos.com /ucraina-russia-mattarella-follia-guerra-non-puo-distruggere-70-anni-di pace_20dUcOoo7 DowOPAcf4Hrr (consultato il 4/5/2022); per un diverso parere, cfr. F. Ganeo, L’unione europea ha davvero garantito 70 anni di pace? No, nemmeno in Europa, in: https://www.ilprimatonazionale.it/esteri/unione-europea-70-anni-pace-nemmeno-europa-183159
(consultato il 4/5/2022).
[2] Per la storia di Rondine e i suoi progetti, attuali e futuri, cfr. https://rondine.org
[3] Psicologo, direttore del Nuovo Laboratorio di psicologia ad Arezzo e docente di Psicologia, è autore di numerosi articoli su quotidiani e riviste; fra i volumi segnaliamo: F. Vaccari, Portici. Politica vecchia, nuova passione, Ave, Roma 2007; Idem, S-confinamenti, Pazzini, Villa Verrucchio (Rn) 2018; Idem, stoRYcycle, Pazzini, Villa Verrucchio (Rn) 2018; Idem, L’approccio relazionale al conflitto. Quattro lezioni sul Metodo Rondine, Franco Angeli, Milano 2021.
[4] Cfr. Idem, Il diritto a parole di pace, in: L. Alici (ed.), Dentro il conflitto, oltre il nemico. Il “metodo Rondine”, Il Mulino, Bologna 2018, 34-35.
[5] Sul fallimento delle trattative, cfr. F. Vaccari, Il Metodo Rondine. Trasformazione creativa dei conflitti, Pazzini, Villa Verrucchio (Rn) 2018, 21-24.
[6] Idem, Il diritto a parole di pace, in: L. Alici (ed.), Dentro il conflitto, oltre il nemico. Il “metodo Rondine”, Il Mulino, Bologna 2018, 34.
[7] Ibidem, 36.

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Il sogno della pace. La GMG di Lisbona, profezia di fraternità universale

Dalla newsletter di Note di Pastorale Giovanile di novembre.

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di don Rossano Sala

Un nuovo inizio

La Giornata Mondiale della Gioventù di Lisbona ha segnato una vera e propria ripartenza dopo la drammatica esperienza della pandemia. Si respirava una certa tensione ecclesiale rispetto alla riuscita di questo incontro mondiale. Gli organizzatori erano realmente preoccupati. Alcuni pensavano che dopo la pandemia sarebbe finito il tempo dei grandi raduni internazionali, altri invece immaginavano una presenza molto ridotta di giovani. La Chiesa invece ha scommesso di nuovo sui giovani e ancora una volta ha avuto ragione! E dopo questo evento l’aria è finalmente cambiata, come ha ben commentato papa Francesco qualche giorno dopo il termine degli eventi:

Questa GMG di Lisbona, venuta dopo la pandemia, è stata sentita da tutti come dono di Dio che ha rimesso in movimento i cuori e i passi dei giovani, tanti giovani da tutte le parti del mondo – tanti! – per andare a incontrarsi e incontrare Gesù.
La pandemia, lo sappiamo bene, ha inciso pesantemente sui comportamenti sociali: l’isolamento è degenerato spesso in chiusura, e i giovani ne hanno risentito in modo particolare. Con questa Giornata Mondiale della Gioventù, Dio ha dato una “spinta” in senso contrario: essa ha segnato un nuovo inizio del grande pellegrinaggio dei giovani attraverso i continenti, nel nome di Gesù Cristo. E non è un caso che sia accaduto a Lisbona, una città affacciata sull’oceano, città-simbolo delle grandi esplorazioni via mare[1].

Un nuovo inizio, dunque, che ha invertito la rotta. Speriamo che lo sia anche per la pastorale giovanile e la Chiesa in Italia. Non è poco aver accompagnato 65.000 giovani italiani a Lisbona. Significa aver messo da parte un certo “tesoretto” da far ora fruttificare nella vita quotidiana, nei nostri ambienti ecclesiali e nella società tutta. Si può ripartire prendendo sul serio il “mandato” che Francesco ha consegnato a tutti i giovani nel giorno della trasfigurazione del Signore, ultimo della GMG di Lisbona:

«Signore, è bello per noi essere qui!» (Mt 17,4). Queste parole, che disse l’apostolo Pietro a Gesù sul monte della Trasfigurazione, vogliamo farle anche nostre dopo questi giorni intensi. È bello quanto stiamo sperimentando con Gesù, ciò che abbiamo vissuto insieme, ed è bello come abbiamo pregato, con tanta gioia del cuore. Allora possiamo chiederci: cosa portiamo con noi ritornando alla vita quotidiana?
La prima: brillare. Gesù si trasfigura. Il Vangelo dice: «Il suo volto brillò come il sole» (Mt 17,2). […] Il nostro Dio illumina. Illumina il nostro sguardo, illumina il nostro cuore, illumina la nostra mente, illumina il nostro desiderio di fare qualcosa nella vita. Sempre con la luce del Signore.
Il secondo verbo è ascoltare. Sul monte, una nube luminosa copre i discepoli. E questa nube, dalla quale parla il Padre, che cosa dice? «Ascoltatelo», «questi è il Figlio mio prediletto, ascoltatelo» (Mt 17,5). È tutto qui: tutto quello che c’è da fare nella vita sta in questa parola: ascoltatelo. Ascoltare Gesù. Tutto il segreto sta qui. Ascolta che cosa ti dice Gesù.
Brillare è la prima parola, siate luminosi; ascoltare, per non sbagliare strada; e infine la terza parola: non avere paura. Non abbiate paura. Una parola che nella Bibbia si ripete tanto, nei Vangeli: “non abbiate paura”. Queste furono le ultime parole che nel momento della Trasfigurazione Gesù disse ai discepoli: «Non temete» (Mt 17,7)[2].

Brillare, ascoltare e non avere paura. Un piccolo ma prezioso programma non solo per tutti i giovani, ma per la Chiesa nel suo insieme. Diventa un compito chiaro, un manifesto da prendere sul serio, una prospettiva attorno a cui creare coinvolgimento e corresponsabilità tra giovani e adulti.

Un messaggio chiaro

Per chi ha vissuto una delle tante GMG degli ultimi decenni, sa che questo evento è un’esperienza di fratellanza universale più unica che rara. Effettivamente trovare tante nazionalità così diverse che vivono insieme in un clima di festa e di comunione è praticamente quasi impossibile. La GMG è un’esperienza di pace universale, un momento magico in cui si prende atto che la convivenza pacifica dei popoli è una possibilità reale. Effettivamente,

mentre in Ucraina e in altri luoghi del mondo si combatte, e mentre in certe sale nascoste si pianifica la guerra – è brutto questo, si pianifica la guerra! –, la GMG ha mostrato a tutti che è possibile un altro mondo: un mondo di fratelli e sorelle, dove le bandiere di tutti i popoli sventolano insieme, una accanto all’altra, senza odio, senza paura, senza chiusure, senza armi! Il messaggio dei giovani è stato chiaro: lo ascolteranno i “grandi della terra”? Mi domando, ascolteranno questo entusiasmo giovanile che vuole pace? È una parabola per il nostro tempo, e ancora oggi Gesù dice: “Chi ha orecchie, ascolti! Chi ha occhi, guardi!”. Speriamo che tutto il mondo ascolti questa Giornata della Gioventù e guardi questa bellezza dei giovani andando avanti[3].

I giovani desiderano la pace. Lo hanno detto chiaramente con la loro presenza pacifica e gioiosa per tutti i giorni della GMG. Lo ribadiscono continuamente quando si parla con loro e quando è data loro con serietà la parola.
Lisbona, è stato detto varie volte durante i giovani della GMG, è una città che per sua natura è legata alla ricerca della pace e all’unione tra i popoli. Durante l’incontro con le autorità, con la società civile e con il corpo diplomatico Francesco è stato oltremodo esplicito e diretto sull’argomento della guerra e della pace. Direi perfino provocatorio e profetico. Conviene risentire alcuni passaggi per intero:

Lisbona può suggerire un cambio di passo. Qui nel 2007 è stato firmato l’omonimo Trattato di riforma dell’Unione Europea. Esso afferma che «l’Unione si prefigge di promuovere la pace, i suoi valori e il benessere dei suoi popoli» (Trattato di Lisbona che modifica il Trattato sull’Unione Europea e il Trattato che istituisce la Comunità europea, art. 1,4/2.1); ma va oltre, asserendo che «nelle relazioni con il resto del mondo […] contribuisce alla pace, alla sicurezza, allo sviluppo sostenibile della Terra, alla solidarietà e al rispetto reciproco tra i popoli, al commercio libero ed equo, all’eliminazione della povertà e alla tutela dei diritti umani» (art. 1,4/2.5).
Nell’oceano della storia, stiamo navigando in un frangente tempestoso e si avverte la mancanza di rotte coraggiose di pace. Guardando con accorato affetto all’Europa, nello spirito di dialogo che la caratterizza, verrebbe da chiederle: verso dove navighi, se non offri percorsi di pace, vie creative per porre fine alla guerra in Ucraina e ai tanti conflitti che insanguinano il mondo? E ancora, allargando il campo: quale rotta segui, Occidente? La tua tecnologia, che ha segnato il progresso e globalizzato il mondo, da sola non basta; tanto meno bastano le armi più sofisticate, che non rappresentano investimenti per il futuro, ma impoverimenti del vero capitale umano, quello dell’educazione, della sanità, dello stato sociale.
Lisbona, abbracciata dall’oceano, ci dà però motivo di sperare, è città della speranza. Un oceano di giovani si sta riversando in quest’accogliente città; e io vorrei ringraziare per il grande lavoro e il generoso impegno profusi dal Portogallo per ospitare un evento così complesso da gestire, ma fecondo di speranza. Come si dice da queste parti: «Accanto ai giovani, uno non invecchia». Giovani provenienti da tutto il mondo, che coltivano i desideri dell’unità, della pace e della fraternità, giovani che sognano ci provocano a realizzare i loro sogni di bene. Non sono nelle strade a gridare rabbia, ma a condividere la speranza del Vangelo, la speranza della vita.
Com’è bello riscoprirci fratelli e sorelle, lavorare per il bene comune lasciando alle spalle contrasti e diversità di vedute! Anche qui ci sono d’esempio i giovani che, con il loro grido di pace e la loro voglia di vita, ci portano ad abbattere i rigidi steccati di appartenenza eretti in nome di opinioni e credo diversi[4].

Un grande monito per il mondo degli adulti e dei politici dell’Europa e dell’Occidente a prendere sul serio ciò che dicono a parole e che poi raramente si concretizza nei fatti. Speriamo che non sia inascoltato, ma inneschi un percorso serio e consapevole che ci faccia cambiare rotta.

Dall’agonia al parto

Incontrando i giovani universitari presso l’Università cattolica del Portogallo Francesco ha chiesto di non pensare a questo tempo come a qualcosa di bloccato e incontrovertibile, come fosse legato ad un ineludibile destino di violenza, guerra e morte. Ha chiesto addirittura di interpretare i tempi difficili che stiamo vivendo in modo diverso. Non come percorso a senso unico, ma come sofferenza che potrà dare nuova vita al mondo. Pensiero ardito, il suo:

Amici, permettetemi di dirvi: cercate e rischiate, cercate e rischiate. In questo frangente storico le sfide sono enormi, gemiti dolorosi. Stiamo vedendo una terza guerra mondiale a pezzi. Ma abbracciamo il rischio di pensare che non siamo in un’agonia, bensì in un parto; non alla fine, ma all’inizio di un grande spettacolo. Ci vuole coraggio per pensare questo. Siate dunque protagonisti di una “nuova coreografia” che metta al centro la persona umana, siate coreografi della danza della vita[5].

Viene ripreso in filigrana il pensiero di Gesù nel vangelo di Giovanni, quando afferma che la vita nuova passa attraverso la sofferenza, come nel parto:

La donna, quando partorisce, è nel dolore, perché è venuta la sua ora; ma, quando ha dato alla luce il bambino, non si ricorda più della sofferenza, per la gioia che è venuto al mondo un uomo. Così anche voi, ora, siete nel dolore; ma vi vedrò di nuovo e il vostro cuore si rallegrerà e nessuno potrà togliervi la vostra gioia[6].

Gesù parla della croce, della sua sofferenza offerta per la vita del mondo, come di un parto che dona vita piena al mondo nuovo che si sta affacciando. Proprio nel momento massimo dello sconforto offre ai discepoli una diversa interpretazione della sua morte. È un ribaltamento a cui non sono ancora pronti, ma a cui dovranno aderire, riconoscendo come la più grande catastrofe della storia diventerà radice di una pace e di una gioia che non avranno confini, perché «egli è la nostra pace, colui che di due ha fatto una cosa sola, abbattendo il muro di separazione che li divideva, cioè l’inimicizia, per mezzo della sua carne»[7].
Con questo spirito costruttivo Francesco sfida i giovani: «Abbiate perciò il coraggio di sostituire le paure coi sogni. Sostituite le paure coi sogni: non siate amministratori di paure, ma imprenditori di sogni!»[8]. Certo, perché dove i discepoli erano certi che tutto era andato perduto, Gesù dirà che tutto è stato compiuto: la sua morte sarà fonte di vita piena e abbondante per tutti, nessuno escluso.
Se ci pensiamo bene, il primo “imprenditore di sogni” è proprio Francesco, che ancora una volta ci stupisce per la giovinezza del suo pensiero e della sua proposta. Proprio nel momento conclusivo della GMG ci consegna con commozione il suo grande sogno per questo mondo tanto amato da Dio e tanto lacerato dagli uomini:

In particolare, accompagniamo con l’affetto e la preghiera coloro che non sono potuti venire a causa di conflitti e di guerre. Nel mondo sono tante le guerre, sono molti i conflitti. Pensando a questo continente, provo grande dolore per la cara Ucraina, che continua a soffrire molto. Amici, permettete anche a me, ormai vecchio, di condividere con voi giovani un sogno che porto dentro: è il sogno della pace, il sogno di giovani che pregano per la pace, vivono in pace e costruiscono un avvenire di pace. Attraverso l’Angelus mettiamo nelle mani di Maria, Regina della pace, il futuro dell’umanità.
E, tornando a casa, continuate a pregare per la pace. Voi siete un segno di pace per il mondo, una testimonianza di come le diverse nazionalità, le lingue, le storie possono unire anziché dividere. Siete speranza di un mondo diverso. Grazie di questo. Avanti![9]

Si sogna la pace, si prega per la pace. Proprio in Portogallo, dove la Madonna è apparsa a tre piccoli pastorelli rivelando misteri di guerra e di pace nel mondo moderno e contemporaneo. Mai come oggi il messaggio e le profezie di Fatima è così attuale.
Proprio lì, in questo piccolo e periferico borgo ai confini dell’Europa, nel silenzio adorante e nella preghiera perseverante, il successore di Pietro ha chiesto con insistenza il dono della pace: «Ho pregato, ho pregato. Ho pregato la Madonna e ho pregato per la pace. Non ho fatto pubblicità. Ma ho pregato. E dobbiamo continuamente ripetere questa preghiera per la pace. Lei nella prima guerra mondiale aveva chiesto questo. E io questa volta l’ho chiesto alla Madonna. E ho pregato. Non ho fatto pubblicità»[10].

I diversi testi legati al tema della pace citati sopra e ripresi dalla recente Giornata Mondiale della Gioventù di Lisbona ci sembrano un’ottima introduzione all’articolato e ricco Dossier che segue, dove in molti modi vengono declinati i linguaggi e le pratiche della pace, che così appaiono possibili e realizzabili. Esso vuole essere una grande spinta a diventare in ogni occasione degli operatori di pace nel proprio contesto di azione civile ed ecclesiale, così da essere riconosciuti come amici e familiari di Dio: «Beati gli operatori di pace, perché saranno chiamati figli di Dio»[11]. Che il sogno della pace diventi sempre più una realtà concreta e sperimentabile per tutti i giovani, nessuno escluso. E per tutta la Chiesa e la società. Il mondo ne ha davvero bisogno, soprattutto in questo tempo.
Un grande ringraziamento per la tessitura del presente Dossier va a Renato Cursi, da anni membro attivo e propositivo della redazione di NPG, che con competenza ed eleganza sempre accompagna la nostra rivista in molti modi apprezzati dai lettori. La sua esperienza salesiana internazionale, oltre che la sua competenza specifica nell’ambito delle istituzioni di pace, ne fanno una vera ricchezza per noi tutti. Il suo lavoro quotidiano all’interno del mondo sociale in ottica salesiana rimane una garanzia di concretezza e sensibilità per i giovani, soprattutto per i più poveri e abbandonati.

NOTE

[1] Francesco, Udienza generale del 9 agosto 2023.
[2] Francesco, Omelia del 6 agosto 2023.
[3] Francesco, Udienza generale del 9 agosto 2023.
[4] Francesco, Discorso alle autorità, alla società civile e al corpo diplomatico del 2 agosto 2023.
[5] Francesco, Incontro con i giovani universitari, 3 agosto 2023.
[6] Gv 16,21-22.
[7] Ef 2,14.
[8] Francesco, Incontro con i giovani universitari, 3 agosto 2023.
[9] Francesco, Angelus del 6 agosto 2023.
[10] Francesco, Conferenza stampa del santo padre durante il volo di ritorno del 6 agosto 2023.
[11] Mt 5,9.

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A 14 anni ormai sei grande…

Da Note di Pastorale Giovanile, dalla rubrica “Ritratti di adolescenti”, a cura dei giovani del MGS.

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di Silvia Moretti*

14 anni. Ormai sei grande. Puoi scegliere che scuola fare, quali amici frequentare, quale sport praticare. Se continuare a trascorrere i tuoi pomeriggi tra le attività della parrocchia e dell’oratorio oppure no.
La storia di Laura (nome di fantasia) è simile a quella di molti altri ragazzi che come lei popolano le nostre case salesiane: cresciuta in una famiglia di fede, ha frequentato per volere di mamma e papà il catechismo fino a ricevere il sacramento della Cresima e ora si trova di fronte al bivio di fare proprio il cammino che fino ad ora i suoi genitori hanno scelto per lei. Nel suo caso però la scelta da fare è resa un po’ più difficile dal fatto che nella parrocchia in cui è sempre andata insieme a mamma e papà non c’è più niente per i ragazzi della sua età. Nessun gruppo, nessuna proposta stimolante per una ragazza piena di energia come lei. Che fare? Certo, lei ha piacere ad andare a Messa, ma anche volendo provare qualcosa di nuovo, la sua comunità non ha molto da offrirle.
A 14 ormai sei grande, ma ancora è presto per fare scelte importanti senza il condizionamento dei pari. Per fortuna (o grazie a Dio!) Laura ha un cugino che frequenta l’oratorio dei salesiani. “È un bel posto, ci divertiamo, ti fai tanti amici”. Anche la zia, catechista frizzante, spinge per il coinvolgimento di Laura nelle attività dell’oratorio. La giovane si lascia convincere dalle parole dei suoi cari e si butta in questa nuova avventura.
I nuovi inizi però non sono sempre tutto rose e fiori. I nostri ambienti sanno essere tanto belli e tanto attraenti per chi arriva da fuori ma anche tanto “esclusivi”, quando non escludenti. Laura non molla, non è una che si arrende facilmente. A darle forza sicuramente è stato l’intervento di un salesiano, che con cura le si è fatto vicino; più di tutto, a infonderle coraggio è stato il fatto che l’ingresso in oratorio abbia risvegliato un desiderio che custodiva già nel cuore e che aveva solo bisogno di essere attivato: il desiderio di essere utile, di dare una mano, di mettersi al servizio. Non c’è niente che dia più gioia a Laura dello stare con i bambini. La prima Estate Ragazzi poi diventa per lei l’esperienza più intensa e significativa che abbia mai fatto nella sua giovane vita. Come è possibile che tutta la stanchezza – si chiede – si azzeri di fronte all’abbraccio di un bimbo? Come è possibile che nessuno le avesse mai raccontato di questo santo straordinario, don Bosco, che aveva scommesso tutta la sua vita sui ragazzi, soprattutto quelli più in difficoltà? Visto da fuori, l’entusiasmo di Laura è quasi commovente. Per chi orbita attorno agli ambienti salesiani da tanti anni, osservare lo stupore e l’emozione di chi, approcciandosi all’oratorio per la prima volta, sente veramente di aver trovato una nuova casa, è come respirare l’aria pura e fresca di montagna; permette di ricordare che davvero la missione di don Bosco per le strade delle nostre città non è ancora esaurita ma anzi, fiorisce rigogliosa.
Laura per tanti versi è fortunata, ma come i giovani di tutti i tempi vive le difficoltà della sua età. I ragazzi sono così: schietti, diretti. La loro intrinseca spontaneità a volte li rende letali. Per Laura il confronto con il nuovo gruppo non è sempre facile. Desidera essere profondamente se stessa, e allo stesso tempo questo rischia di escluderla dal gruppo. Certo, nessuno pensa che Laura sia antipatica, che non sia una ok. Però è pur sempre una nuova, e rompere la bolla può essere difficilissimo. Nell’età delle superiori si fanno ordinariamente esperienze che creano legami fortissimi tra i ragazzi. Il fatto per Laura di non aver ancora potuto prendere parte a nessuno di questi eventi con i suoi nuovi compagni di cammino la fa sentire un po’ tagliata fuori da quell’energia potentissima che gli adolescenti generano quando sono in gruppo.
Laura non molla, non è una che si arrende facilmente. Senza saperlo, Laura inizia ad essere circondata da angeli custodi, come voleva don Bosco, animatori più grandi di lei e consacrati, i quali la accompagnano nel cammino e la aiutano, passo dopo passo, a rompere la bolla. Il suo desiderio di crescita è autentico, la sua voglia di mettersi in gioco e di guardarsi dentro con profondità fanno il resto.
Laura adesso è proprio una brava animatrice, proprio come piacerebbe a don Bosco e sulla scia di tanti che in questa “vocazione” hanno riempito di senso e bellezza la loro vita. Presente, disponibile, gioiosa, fedele. Autentica, credibile e credente.

* 26 anni, genovese, laureata in Filosofia e in Antropologia Culturale ed Etnologia. Animatrice presso l’oratorio salesiano di Genova Sampierdarena.

Dalle fatiche personali alla scelta dell’educazione: la storia di Elisa

Dalla rubrica “Ritratti di adolescenti” di Note di Pastorale Giovanile.

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di Matteo Guernieri *

L’incontro

Tra le varie storie che si intrecciano nel cortile dell’Oratorio Sacro Cuore di Bologna, desidero raccontare quella di Elisa, una ragazza di 19 anni, residente a Castel Maggiore, nella provincia bolognese.
Il nostro primo incontro è stato in Oratorio nell’estate del 2021, al suo primo anno di animazione, mentre io esordivo come educatore. Col tempo, grazie a fraterni confronti ed esperienze condivise è nata una sincera amicizia che dura tuttora.
Elisa è una ragazza estroversa, introspettiva, testarda, responsabile, sensibile e generosa.
Ho scelto di condividere questo volto, perché la sua vita ha fatto, prima di tutto, molto bene a me.
È l’avventura di una ragazza che ha deciso per davvero di fidarsi di don Bosco, a piccoli passi, confidandosi e spendendosi nelle quotidiane responsabilità che le affidavano i salesiani e i suoi educatori. Questa fiducia le ha permesso di crescere, maturare, mettersi in gioco, riscoprirsi e conoscere i suoi talenti e i suoi desideri più profondi, tra cui quello di mettersi al servizio dei più piccoli.

La crescita

Elisa ha incontrato per la prima volta i salesiani alla scuola media Beata Vergine di San Luca. I suoi genitori reputavano la scuola salesiana più facile e quindi adatta a loro figlia. Secondo loro, infatti, “si impegnava poco”.
Di quel periodo conserva un dolce ricordo dovuto specialmente ai professori.
«Inizialmente mi sentivo spaesata, era un ambiente inclusivo ed espansivo, totalmente diverso da quello delle elementari e da quello che respiravo a casa. Gli insegnanti e i salesiani si interessavano di noi, come amici». Con tenerezza rammenta la sua maestra di matematica, dalla quale si sentiva presa a cuore, aiutata e voluta bene, nonostante non riuscisse ad ottenere un buon rendimento.
Le attività a cui ha preso parte hanno aiutato a far emergere il suo carattere estroverso e intraprendente. Divenne presto un punto di riferimento per i più piccoli. Concluse il suo ultimo giorno di scuola con un lungo pianto finale: «Mi ero trovata finalmente bene»

In cerca di autonomia

Elisa descrive i suoi genitori come figure assenti, molto impegnate e distaccate. Fin da piccola si ritrova da sola a casa per interminabili pomeriggi e sente i suoi genitori poco interessati alla sua vita e alle sue passioni. Questo la spinge a diventare presto autonoma e maturare.
Elisa percepiva una certa preferenza nei confronti di suo fratello maggiore, che rese ostile il clima a casa.
In aggiunta, avvertiva le aspettative da parte di sua mamma riguardo al suo fisico. Essere magra era per lei sinonimo di bellezza. Per la sua salute, l’ha disincentivata a proseguire tennis, nonostante Elisa ne fosse appassionata, e l’ha sollecitata a registrarsi in palestra.
Si preoccupò di metterla a dieta, portandola da una nutrizionista. Elisa acconsentì per non deluderla. Esordirono così i primi disturbi legati al cibo.
Sua mamma era convinta di sapere il suo vero bene, senza cercare un confronto sincero con sua figlia. Elisa nel corso delle superiori percepisce sempre più il desiderio di evadere da casa e ogni attività salesiana era per lei una via di fuga.

I tormenti dell’adolescenza

Il primo anno di superiori è stato molto tormentato. Si registrò all’indirizzo di “scienze umane” di una scuola pubblica nella quale è resistita solo 6 mesi. Le sue compagne di classe, infatti, la prendevano di mira perché non era come loro: non fumava, non le piaceva andare in discoteca, vestirsi firmata… Il clima di competizione ha fatto insorgere seri problemi di ansia legati allo studio e al gruppo di amici.
Desiderosa solo di scappare, i suoi genitori le fecero intraprendere l’indirizzo economico, lo stesso che aveva conseguito sua mamma, benché non fosse minimamente incline ai suoi interessi. Negli anni, con dedizione è riuscita a migliorare il suo rendimento scolastico e a “guadagnarsi” l’amicizia dei suoi nuovi compagni di classe. Difatti, non erano amicizie veritiere, ma legate all’apparenza e ai favori.
In terza superiore, le viene proposto da una sua amica d’infanzia, Ilaria, di fare l’animatrice nell’Oratorio Salesiano Sacro Cuore. Proprio in quel periodo, grazie all’esperienza dello scoutismo, Elisa stava maturando il desiderio di dedicarsi ai più piccoli.
Nei giorni di preparazione scopre a malincuore che Ilaria aveva invitato anche il suo fidanzato. Nella prima settimana, la coppia era inseparabile ed Elisa non riusciva ad avere un momento da sola con la sua amica, come sperava. Vedendola piangere e rattristata sui gradini dell’Oratorio, molti animatori le si avvicinavano per consolarla e cercavano di coinvolgerla. Rimaneva stupefatta della loro genuina e gratuita accoglienza.
Nel cortile leggeva la possibilità di coltivare amicizie autentiche, libere e liberanti. Una promessa che mancava nella sua compagnia di paese e nella sua classe.
Animata da questa speranza, dalla passione di animare i ragazzi e dal costante desiderio di scappare da casa, Elisa ha deciso di registrarsi anche alle successive settimane, al contrario dei suoi due amici. Ha fatto un salto nel vuoto, confidando nell’ambiente salesiano.
Nell’ultima settimana era diventata una persona nuova: raggiante, propositiva e socievole.
Sempre mossa dal bisogno di amicizie sane e trascinata dalle insistenze degli altri animatori, da settembre di quell’anno prese parte al gruppo formativo Triennio dell’Oratorio e alla Scuola Formazione Animatori proposta dall’Ispettoria.
Dai salesiani e dai ragazzi del gruppo sperimentò l’«essere voluta bene anche se non faceva nulla in cambio». Negli educatori che la accompagnavano, ha trovato fratelli maggiori con cui confrontarsi e dal loro servizio si sentiva profondamente ispirata.
Dall’estate del 2022, ha iniziato a sentire il cortile come la sua “vera casa”, ad assaporare la pienezza della vita: «non mi mancava niente». Con entusiasmo si propone per qualsiasi compito da svolgere, anche poco piacevole, ed è sempre in mezzo ai ragazzi. Non vuole mai andarsene dall’Oratorio. Pur di restarci, è disposta a pregare le Lodi e i Vespri coi salesiani. Questi semplici appuntamenti hanno risvegliato in lei il desiderio di raccoglimento e di conoscere la paternità di Dio.
In quell’estate nasce una fraterna amicizia con un giovane salesiano della casa. Nelle piccole responsabilità che le affida legge un’inaspettata fiducia nei suoi confronti, che la incoraggiano a credere più in se stessa. Sentitasi compresa e voluta bene, decide di raccontarsi e di confidare gli aspetti più delicati della sua vita. Ad ogni confronto, il salesiano termina riprendendo aneddoti e consigli che Don Bosco suggeriva ai suoi ragazzi. In queste brevi e concrete catechesi conosce il carisma salesiano e ne rimane affascinata.
Insoddisfatta di come spendesse il suo tempo, decide di spenderlo per coloro che ne hanno bisogno. Di conseguenza, si è impegnata insieme ad altri ragazzi dell’oratorio a dare una mano alla Caritas e al dopo scuola con ragazzi stranieri. Sono state esperienze preziose di pienezza, che l’hanno aiutata a decentrarsi dai suoi problemi. Al viaggio di maturità con i suoi compagni di classe, ha preferito la GMG a Lisbona al fine di vedere il Papa e sperimentare l’universalità della Chiesa. L’ha definita l’esperienza più bella della sua vita.
Desiderosa di «prendersi cura dei piccoli nel carisma salesiano», a settembre Elisa inizierà il corso universitario di scienze dell’educazione e svolgerà il servizio di educatrice delle medie nell’oratorio salesiano.

23 anni, originario di Mantova, studia scienze biologiche a Bologna. Ama le escursioni in montagna con i suoi due fratelli. Da tre anni educatore presso l’Oratorio Salesiano Sacro Cuore di Bologna, dove ha trovato un ambiente prezioso per esprimersi, avere delle responsabilità, prendersi cura dei più piccoli e decentrarsi dai suoi problemi. Nelle storie dei ragazzi che si sentono finalmente a casa in Oratorio sente di leggere la mano di Dio che li ha accompagnati fin lì per amarli e accompagnarli a crescere.

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Anche un alieno può trovare casa

Pubblichiamo il primo articolo di una nuova rubrica di Note di Pastorale Giovanile, a cura dei giovani del MGS: “Ritratti di adolescenti”

Apriamo una nuova e speriamo gradita rubrica, diciamo “giovani al quadrato”. Nel senso di una galleria di giovani (degli ambienti salesiani) incontrati da altri giovani (MGS, insegnanti, animatori…), per mostrare proprio nel concreto vitale i dinamismi dell’incontro, della relazione, della presa in cura… in una parola dell’educazione. In effetti particolarmente significativa per il lettore può essere la testimonianza dei giovani che – giovani essi stessi – stanno in mezzo agli adolescenti e giovani, condividendo le stesse situazioni, ambiti di vita, problemi, speranze… “sogni e incubi”. Una dozzina di ritratti, tanto per cominciare, i cui tratti significativi è facile rintracciare negli adolescenti che ogni giorno incontriamo  e con cui viviamo un cammino di crescita reciproca”. 

***

Lucia Zaccaron *

Un alieno al doposcuola
Ho conosciuto Marco al doposcuola. La nostra casa salesiana di Santa Maria la Longa (UD) offre questo servizio ai ragazzini delle medie che hanno bisogno di un aiuto per impostare il loro studio pomeridiano. All’epoca Marco frequentava la seconda. Fin da quando me l’hanno presentato, ho avuto l’impressione di avere a che fare con un alieno. Lui ricorda che lo aiutavo nei compiti di francese, ma io ho un solo flash di quell’anno di doposcuola: Marco che durante la ricreazione schiaccia l’interruttore della luce e mi chiede perché si accende. Era un modo che nessuno aveva ancora mai sperimentato per farmi saltare i nervi o era seriamente interessato? Non lo so ancora, ma lui sembrava coinvolto nel suo armeggiare con l’interruttore e ben poco propenso a chiacchierare e giocare con gli altri ragazzini. Quando gli parlavo o dovevo fargli fare qualcosa, avevo l’impressione che il mio messaggio percorresse anni luce prima di raggiungerlo e che non sempre arrivasse a destinazione. Era così immerso nel suo mondo che la sua assenza l’anno dopo non mi aveva stupito: forse era tornato sul pianeta da cui era venuto. In quell’anno facevo servizio civile, i ragazzi del doposcuola mi erano entrati nel cuore e con le loro difficoltà e risorse nascoste erano riusciti a farmi intravvedere quale sarebbe stata la mia strada, ma Marco era troppo distante per creare un legame con lui e allo stesso tempo troppo diverso da tutti per dimenticarmene. Mi era rimasto solo il rimpianto di non aver fatto abbastanza.

Alla ricerca di un riferimento
Un anno dopo, è stato attraverso un finestrino bagnato che ho rivisto Marco. Una domenica pomeriggio di pioggia e la confusione delle macchine sono l’inizio ordinario di un camposcuola speciale, dedicato ai ragazzi di terza media. Molto più tardi ho scoperto che Marco non voleva proprio partecipare a quel campo: lo aveva iscritto suo padre a tradimento e lui non gli aveva parlato per tutto il viaggio. Dopo l’estate ragazzi con i salesiani, ora lo aspettavano camminate faticose, coetanei che forse lo avrebbero preso in giro, proposte assurde come la Messa quotidiana. L’unica certezza: non doveva fare la Comunione. Questo glielo aveva raccomandato sua mamma perché non era battezzato. Per Marco è stato un campo un po’ difficile: i suoi peggiori pronostici si sono avverati.
In tutto questo io dov’ero? A quanto pare lì, ma non mi sono accorta di niente. Ero troppo immersa nei miei problemi, impigliata in una relazione preziosa che si era rotta e incapace di vedere oltre le mie difficoltà. Stare con Marco era una sicurezza: lo conoscevo già e lui non rifiutava la mia compagnia, ma non posso dire che l’avevo realmente a cuore. Lui invece ha preso sul serio quel tempo passato insieme, così, quando abbiamo fatto a tutti i ragazzi la proposta di scegliere un animatore di riferimento, lui ha chiesto a me. Come potesse trovare in me un riferimento non lo capivo, di sicuro dovevo iniziare ad averlo a cuore davvero.

In cammino
Così Marco ha iniziato le superiori. Si era iscritto a meccanica presso il CFP dei salesiani a Udine, ma è stato bocciato il primo anno. Quando mi ha spiegato le sue difficoltà nelle materie di indirizzo, ho iniziato finalmente a capire qualcosa di lui. Un suo professore gli aveva fatto notare che lui vedeva le cose diversamente dagli altri, che se gli si chiedeva di disegnare una bicicletta la sua rappresentazione aveva un punto di vista diverso da quello di chiunque altro. Da quel momento ho cercato di mettermi nei suoi panni, di guardare dalla sua prospettiva, anche se mi è sempre risultato difficile. Poi lui ha cambiato indirizzo (sì, elettricista! Ci sarà pure un motivo se giocava con gli interruttori della luce!) ma il suo percorso scolastico è sempre stato un po’ faticoso, perché anche i tirocini che dovevano motivarlo in realtà lo frustravano, inserendolo in ambienti poco accoglienti o in cui non riusciva a trovare il senso della fatica che gli era richiesta.
Nel frattempo Marco ha iniziato a confrontarsi con l’animazione perché voleva seguire le orme di un amico che era diventato per lui un modello, ma anche questo cammino è stato tortuoso. Sebbene avesse trovato un ambiente familiare e accogliente, non si sentiva mai abbastanza autorevole con i ragazzi o abbastanza brillante. Questo senso di inadeguatezza lo avrebbe fatto desistere, se non avesse trovato un compagno di classe e di animazione capace di incoraggiarlo.

L’alieno trova casa
Quello che forse però faceva sentire Marco diverso anche nel gruppo di animatori era la scelta dei genitori di non battezzarlo. Così, quando un salesiano gli ha proposto di iniziare la catechesi per ricevere il battesimo, lui ha accettato con entusiasmo. L’ancora era il paradiso: magari non capiva niente della Messa, non conosceva il Vangelo, però credeva nel paradiso. (Ma questo non mi stupiva affatto… I ragazzi credono nel paradiso: quando a scuola spiego la Divina Commedia e chiedo ai miei alunni mezzo atei cosa immaginano che ci sia dopo la morte… tutti immaginano un aldilà: siamo fatti per credere in qualcosa che ci supera!) Ogni mercoledì si fermava dai salesiani dopo la scuola, seguiva il catechismo con un salesiano laico e condivideva il resto del pomeriggio con due amici dell’anima, tra servizio di assistenza e relax.
Nel frattempo io mi ero un po’ allontanata dal Live (il cammino del nostro gruppo animatori) e seguivo i passi di Marco più da lontano ma sempre con stupore. Vederlo crescere e fare delle scelte mi meravigliava. Quando lo aiutavo con i compiti di francese non avrei scommesso un centesimo su di lui, invece stava diventando un ragazzo buono, capace di prendersi cura dei più piccoli, di farsi voler bene da tutti e di coinvolgere amici nell’animazione, desideroso di trovare la sua strada, che si lasciava interrogare da qualcosa di più grande.
Fargli da madrina il giorno del suo battesimo è stato uno dei momenti più belli della mia vita. Quel Dio che sceglie ciò che agli occhi del mondo è piccolo e debole aveva fatto sentire il suo amore a Marco anche attraverso di noi. La festa è stata semplice, con un gruppo di amici nella casa salesiana che era per Marco parrocchia, scuola e cortile. Quella sera, quando ci ha dato la buonanotte, ci ha confidato che si sentiva a casa e che aveva trovato in noi la sua seconda famiglia.

To be continued…
Marco ora ha terminato la scuola, si è messo gioco in un’esperienza di servizio civile e di comunità e sta cercando la sua strada. Ha ben chiaro quali sono le coordinate della sua vita: la consapevolezza di come l’esperienza del Live abbia cambiato lui e di riflesso la sua famiglia, l’importanza di trovare del tempo per spendersi gratuitamente per gli altri, il desiderio di proseguire nella formazione, la capacità di trovare bellezza nei gesti più semplici. Per me è ancora un po’ un alieno, per questo lo ascolto volentieri e cerco di vedere le cose anche dalla sua prospettiva, perché sento che mi arricchisce. Non ho idea di cosa diventerà, so solo che finora ha percorso una strada difficile facendo scelte coraggiose e controcorrente, con fermezza e disarmante semplicità. Forse non se n’è ancora accorto, ma con il suo fiuto per ciò che è buono riesce sempre a trovare una casa e a far sentire a casa anche chi gli sta intorno.

Friulana, 34 anni, ha sempre fatto nella vita quello che non voleva: prima l’animatrice, poi l’insegnante di sostegno e ora la prof. di lettere. Dai ragazzi, soprattutto dai più difficili, ha imparato chi è Dio. La sostengono dei buoni amici che fanno da “angeli custodi” e una famiglia che le ha sempre insegnato ad affrontare le tempeste.

 

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Storie di Pietro – Esperienza Live: Comunità educatori e giovani Santa Maria la Longa – Gorizia – Udine

Da Note di Pastorale Giovanile.

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Storie di Pietro è una storia di storie. Presa nel suo complesso, non è reale, ma i frammenti che la compongono sono la trasposizione di esperienze vissute. Li abbiamo raccolti perché riteniamo che la narrazione aiuti sia il lettore che lo scrittore a dare senso ai vissuti. Pensiamo che vedere il proprio pezzettino come parte di una storia più grande aiuti a sentire che siamo parte di un’esperienza più grande, che non siamo soli in quello che viviamo. Per questo abbiamo integrato nella storia anche gli episodi meno coerenti con la figura di Pietro e abbiamo lasciato che la trama si sfilacciasse in tante direzioni: ci interessava dare voce a tutte le esperienze nella loro unicità e volevamo evitare il rischio di semplificare eccessivamente la complessità della vita, di incasellarla nella trama di un libro. Vedendo che la scrittura aiutava i ragazzi a scavare dentro le proprie vite, a trovare i momenti di svolta, a prendere consapevolezza dei propri passi e dei cambiamenti, abbiamo incoraggiato il loro lavoro e abbiamo fatto il possibile per salvare l’autenticità del racconto, anche a scapito dello stile e dell’organicità del testo.
La composizione del libro ha richiesto un percorso lungo qualche mese, scandito da alcune tappe fondamentali che hanno seguito il cammino del Live. L’Esperienza Live è già un incrocio di storie, si configura infatti come un percorso fatto di incontri in cui persone di età e provenienze diverse provano a condividere un cammino di formazione. L’identità stessa del Live è continuamente in divenire per la necessità di adeguarsi ai cambiamenti delle persone che lo compongono e dell’ambiente in cui vivono. Per coltivare l’appartenenza a questa esperienza, i ragazzi hanno bisogno di riconoscersi in un immaginario collettivo, che nel libro ha preso il nome di Pietro. Si accorgono così che, ognuno nella propria realtà, si muovono nelle stesse dimensioni, che assumono una forma visibile nei capitoli della storia.
Il momento fondamentale per rinnovare e riconoscere l’identità dell’esperienza Live è da sempre il campo estivo, che nel 2022 si è incentrato sul personaggio di Pietro. Spuntato come una novità, a metà tra il serio e il faceto, il nome di Pietro ha iniziato a circolare tra i partecipanti al campo quasi come se fosse uno di loro, un ragazzo nuovo da conoscere e con cui interagire. Inaspettatamente si poteva scoprire una sua traccia: su una parete compariva, scritta su un foglio, una testimonianza di una persona a lui vicina, oppure si poteva trovare un oggetto che gli apparteneva o un ricordo della sua vita accompagnato dal commento di Pietro stesso. Ogni nuova traccia contribuiva a costruire nei ragazzi un’immagine di Pietro. All’inizio molti si chiedevano se fosse una persona vera o inventata ed era difficile rispondere: a tutti è stato detto che il personaggio era frutto della fantasia, ma che poteva essere ognuno di noi.
Stando così le cose, era giusto che ognuno contribuisse a definirne l’identità, ecco perché accanto alle testimonianze comparivano anche fogli bianchi, che chiedevano ai ragazzi di immaginare una parte della persona o dell’ambiente di Pietro: cosa gli piace? Quali parole di incoraggiamento si è sentito dire? Come sono i suoi compagni di classe? Cosa dice a Dio? Come ha conquistato la sua ragazza? I fogli bianchi si riempivano giorno dopo giorno con le parole dei tanti “Pietro” che volevano metterci una parte di sé. Durante tutto il campo, i ragazzi hanno continuato a ricevere spunti su Pietro e allo stesso tempo a darne, finché si è delineata una figura talmente complessa e disorganica che era chiaro, a quel punto, che Pietro eravamo tutti noi. .
Nel frattempo si è cercato di stimolare nei ragazzi il desiderio di scrivere, di raccontare la vita di Pietro, di cui a quel punto non esisteva nulla di definito, a parte il nome. Si è formata una redazione provvisoria, che ha provato a iniziare un lavoro di sistematizzazione delle informazioni su Pietro e allo stesso tempo di sollecitazione reciproca alla scrittura. Ma il passo necessario per scrivere era staccarsi dall’immagine di Pietro e rientrare in sé. Per questo ognuno dei ragazzi ha realizzato una mappa in cui ha rappresentato la propria vita, illustrando in ogni ambito (famiglia, scuola, passioni, amicizia…) le relazioni che gli danno forma. Hanno scelto simboli diversi per esprimere la qualità di queste relazioni e hanno messo al centro della mappa ciò che in questo periodo è il punto da cui tutta la loro vita assume senso (o lo perde). La mappa è stata uno strumento per fare chiarezza, per prendere consapevolezza delle relazioni e per iniziare un dialogo di condivisione sui propri vissuti.
A fine campo è stato chiaro che non poteva bastare un libro a esprimere tutta la ricchezza e la complessità dell’esperienza degli adolescenti e del loro cammino nel Live. Per questo l’idea del libro si è trasformata nel progetto di una mostra interattiva, che permettesse alle persone di entrare fisicamente nella vita dei ragazzi: esplorare le “stanze” della loro esperienza quotidiana, seguire il loro percorso di crescita nel Live e infine approdare al cuore della missione di don Bosco, la cura dei ragazzi più bisognosi.
Tutto questo progetto, il libro come la mostra, ha richiesto ai ragazzi lo sforzo di entrare in sé per conoscersi e per far emergere gli aspetti che normalmente rimangono nascosti al mondo adulto e forse anche ai loro occhi; allo stesso modo chiede agli adulti lo sforzo di entrare nella vita dei ragazzi per poterne cogliere le pieghe, valorizzare le bellezze, curare le ferite, costruendo relazioni educative vere.

I ragazzi del Live

«Pietro siamo noi. Pietro raccoglie i frammenti delle nostre vite.
A volte è difficile spiegare come viviamo dentro di noi ciò che ci accade, quello che l’adolescenza oggi è per noi, ciò che ci passa nel cuore…
Vorremmo qui provare a raccontarvelo con semplicità e trasparenza, dietro al nome che tutti ci rappresenta.
Pietro siamo noi.»

 

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