La nostalgia di Dio nell’arte moderna e contemporanea /4

Da Note di Pastorale Giovanile, la rubrica: Nostalgia della bellezza, di Maria Rattà.

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Bellezza, desiderio, estasi. Il trinomio della nostalgia in rapporto al bello.
Ma come si può definire il bello, e di cosa, esso, ci dà nostalgia?
Fin dalla sua radice, la parola bellezza rimanda a un concetto di ordine, armonia, proporzione. Come non pensare, allora, a ciò che avviene nelle prime pagine della Scrittura, quando Dio, creando l’universo in ogni sua componente, rimane incantato a contemplare la propria opera, definendola come «buona», e addirittura «molto buona» (Gn 1,31) in riferimento all’essere umano?
La storia della bellezza è infatti una storia antica che ci riporta alle nostre origini, e che viene espressa, nel linguaggio biblico, con la parola tob, termine che non implica, in realtà, solo e semplicemente il buono, ma anche la stessa bellezza: «L’antica versione greca della Bibbia detta “dei Settanta” usava almeno tre diversi aggettivi: oltre all’ovvio agathós, “buono”, e a kalós, “bello”, aggiungeva anche chrestós, “utile”, introducendo l’aspetto pratico» [1].
Storia di lunga data, dunque, quella della bellezza, e se così è – e se è necessario partire fin dal momento in cui Dio (visto non a caso nel Medioevo come architetto del cosmo [2]) crea ogni cosa –, allora questa è anche una storia che riguarda il capolavoro, il culmine della creazione, l’opera “molto buona/bella/utile” che esce dalla mente del Creatore: l’essere umano. «Il messaggio biblico su Dio mostra qui la sua novità proprio al nostro contemporaneo che non crede più nella bellezza unica dell’uomo. Trova Dio nella natura, ma non nel viso di un uomo o di una donna. L’uomo ha difficoltà, soprattutto, a credere alla propria bontà e bellezza. Ed, invece, egli è un capolavoro» [3].
Una contraddizione in termini, dunque, se, come recita il Catechismo della Chiesa Cattolica (n. 341), «la bellezza della creazione» – anche quella dell’essere umano – «riflette la bellezza infinita del Creatore». Ecco, allora, il legame con la nostalgia: ciò che è bello in senso biblico (buono, armonico, utile, con una vocazione specifica, ordinato cioè a un principio di verità e riflesso della verità stessa che è Dio) ci porta al desiderio di Colui che esso rispecchia, alla nostalgia del divino. Per dirla con un termine forse più comprensibile, perché parla dell’esperienza dei sensi concreti, la bellezza, in sintesi, ci conduce all’estasi, poiché ci fa uscire da noi stessi per andare verso un altro, anzi, verso l’Altro. «L’animo umano» – sottolineava Maria Scalisi sulle pagine di questa rivista – «ha caratteristiche “trascendentali”: Unità, Verità, Bontà e Bellezza sono già insite nell’uomo, sono la dote che Dio ha dato ad ogni singola persona. Quando nell’uomo emerge anche uno solo di questi caratteri, allora l’uomo si eleva verso Dio, perché lo spirito si auto-riconosce e trova in se stesso quelle caratteristiche proprie dell’Essere» [4]. D’altronde, come scriveva Clive S. Lewis, «noi non ci accontentiamo di vedere la bellezza, anche se il Cielo sa che gran dono sia questo. Noi vogliamo qualcos’altro, che ci è difficile esprimere a parole – vogliamo sentirci uniti alla bellezza che vediamo, trapassarla, riceverla dentro di noi, immergerci in essa, diventarne parte» [5].
Così, anche nelle complicate vicende della storia, nelle intricate e confusionarie attitudini e azioni umane, alla fine rimane una certezza da riscoprire, quella che il poeta Ugo Fasolo descrive in questi versi: «Date bellezza agli uomini che gridano / il pane e l’odio, cercate bellezza / per gli uomini affamati e d’occhi rossi / conturbati in disperazione, / irosi chiedono il pane poiché non lo sanno / di morire per fame di bellezza. / […] È il nostro canto d’uomini / e l’abbiamo rinnegato con Dio; / perciò moriamo in ansia di bellezza» [6]. Parole a cui sembrano fare eco quelle rivolte da Paolo VI agli artisti: «Questo mondo nel quale viviamo ha bisogno di bellezza per non sprofondare nella disperazione» [7].
Da qui, dunque, il collegamento alla grazia e alla salvezza: perché se la bellezza è antidoto alla disperazione, essa ci conduce proprio al suo opposto, alla grazia che salva. E la salvezza è, per forza di cose, “relazione”, prima di tutto con il volto bello di Dio, che si manifesta nel volto del “buon/bel” pastore [8]: non ci può essere una bellezza salvifica autoreferenziale; la vera bellezza è sempre quella dell’altro con cui mi incontro/scontro (Platone parlava di una “scossa” salutare, concetto che Benedetto XVI non ha mancato di riprendere [9]). Dove non c’è relazione c’è infatti narcisismo e, nei rapporti umani, la rottura di ogni collegamento con l’altro. Il rapporto uomo-donna, che meglio esprime a livello umano la bellezza come nostalgia in tutte le sue dimensioni di desiderio, estasi, salvezza, da immagine di paradiso si traduce allora in inferno, come sembra descrivere nella sua tela Eco e Narciso (1913-16 c.) Rupert Bunny: tutto sembra rimandare a uno scenario naturale lussureggiante, ma quel rosso che imperversa – rimando alla passione che consuma in modo diametralmente opposto i due protagonisti – diventa anche un fuoco di sangue che li brucia entrambi nell’impossibilità di dare sfogo al loro amore. Oppure, come nella fiaba di Biancaneve (pur se questa descrive una relazione matrigna-figliastra), la bellezza dell’altro si trasforma in un pericolo, perché rischia di far perdere un podio di autocelebrazione: insorgono allora l’invidia, la rabbia, l’aggressività.
Alla bellezza, perciò, bisogna anche educare: ecco la necessità di una via pulchritudinis, che spetta tracciare tanto alla Chiesa quanto all’arte.
Alla prima il compito di farlo attraverso la catechesi e la liturgia, quest’ultima da coltivare nella sua dimensione di bellezza come squarcio sul Cielo; alla seconda quello di educare al desiderio in un momento in cui il concetto di bello diventa sempre più relativo, scisso dalla verità e, dunque, dall’intimo rimando al sacro che esso detiene per natura.
La bellezza, potremmo allora dire, ha una sua dimensione liturgica, da questo punto di vista, perché contemplando lo splendore della natura, dell’uomo, della donna e di ogni cosa creata, possiamo avere un anticipo dello splendore di Dio, una “preview” del Paradiso.
«Noi non siamo solo luce» – ha recentemente affermato papa Francesco incontrando gli artisti in Vaticano – «e voi ce lo ricordate; ma c’è bisogno di gettare la luce della speranza nelle tenebre dell’umano, dell’individualismo e dell’indifferenza. Aiutateci a intravedere la luce, la bellezza che salva. L’arte tocca i sensi per animare lo spirito e fa questo attraverso la bellezza, che è il riflesso delle cose quando sono buone, giuste, vere» [10].
Un invito certamente stringente per chi dell’arte fa un mestiere e una scelta di vita, ma un monito anche per ciascuno di noi, in quanto tutti chiamati a essere portatori e fruitori di una bellezza quotidiana, ordinaria: quella che giorno dopo giorno aiuta a seminare e ritrovare, nel mondo feriale, le tracce di quella stessa Bellezza che salva. Perché, e chiudiamo con le parole di Kahlil Gibran, «bellezza non è bisogno: è estasi. / Bellezza è eternità che contempla se stessa in uno specchio. / Ma siete voi eternità, voi specchio» [11].

NOTE 

[1] Gianfranco Ravasi, TÔB: buono, bello, utile, Sito internet di “Famiglia Cristiana”, https://www.famigliacristiana.it/blogpost/tob-buono-bello-utile.aspx
[2] Si tratta di un concetto già presente nella filosofia greca, e che il Medioevo rielabora.
[3] Andrea Lonardo, Credo in Dio Padre creatore onnipotente. Parlare di Genesi 1-3 nella catechesi, Sito internet Gli Scrittihttps://www.gliscritti.it/blog/entry/1750
[4] Maria Scalisi, La bellezza dell’uomo, in “Note di Pastorale Giovanile”, 2010-09-62, disponibile alla pagina https://www.notedipastoralegiovanile.it/index.php?option=com_content&view=article&id=5062:la-bellezza-delluomo&Itemid=101
[5] Clive Staples Lewis, Le Lettere di Berlicche e Il Brindisi di Berlicche, Jaca Book, 1990, p. 225.
[6] Ugo Fasolo, da L’Isola assediata, 1957.
[7] Paolo VI, Messaggio agli artisti a chiusura del Concilio Vaticano II, 8 dicembre 1965.
[8] Nell’originale greco di Gv 10,11;14, infatti, il termine impiegato è kalòs, bello, «dove l’aggettivo “bello” sta per “che va bene”, “giusto”. La traduzione esatta sta ad indicare che Gesù non si presenta solo come il Pastore mite e affettuoso, ma come il Pastore giusto, bravo: egli è il modello di pastore». Il buon pastore, Sito internet Note di Pastorale Giovanile, https://notedipastoralegiovanile.it/index.php?option=com_content&view=article&id=10763:il-buon-pastore&Itemid=1070
[9] Cfr. Benedetto XVI, Discorso nell’incontro con gli Artisti, 21 novembre 2009.
[10] Francesco, Discorso agli Artisti partecipanti all’incontro promosso in occasione del 50° anniversario dell’inaugurazione della Collezione d’Arte Moderna dei Musei Vaticani, 23 giugno 2023.
[11] Kahlil Gibran, Il profeta, Paoline, 2011, pp. 155-159.