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Assemblea Salesiani per il Sociale APS: Ci sarà ancora di più bisogno di noi

Sabato 4 luglio si è tenuta l’assemblea straordinaria e ordinaria di Salesiani per il Sociale APS. Vista l’emergenza sanitaria in corso e le restrizioni ancora in vigore, si è svolta in modalità a distanza. L’assemblea ordinaria ha visto la relazione del presidente, la relazione di missione, la presentazione e l’approvazione del bilancio e la condivisione delle attività da parte dei comitati Interregionali.

Il saluto è toccato a don Stefano Aspettati, superiore dell’Ispettoria dell’Italia Centrale e ispettore delegato all’Emarginazione e disagio che ha sottolineato come in questo tempo di emergenza, si è tenuto “alle persone che ci stanno più a cuore, ovvero quella porzione più delicata della società”:

“Anche se l’anno di competenza di tale relazione è strettamente il 2019 non possiamo non dire che i mesi da marzo a giugno del 2020 avranno nella nostra memoria un ricordo indelebile: dal numero dei morti (solo in Italia a oggi 34.818) e dei contagiati al blocco delle attività non essenziali alla restrizione nelle proprie abitazioni. Sono state innumerevoli le analisi e le riflessioni che abbiamo ascoltato e fatto in questo periodo anche se una valutazione complessiva è ancora prematura, non è andato tutto bene come si auspicava e le conseguenze avranno dei riverberi più avanti nel tempo”, ha detto don Roberto Dal Molin, presidente di Salesiani per il Sociale APS, nella sua relazione.

Raccontando la vita associativa del 2019, don Roberto Dal Molin ha sottolineato come “di fronte a situazione difficili in cui “non si vedeva una luce in fondo al tunnel” è stato bello riscontrare come tanti abbiano risposto: “sarò io la luce in fondo al tunnel” dando corpo allo spirito di Don Bosco che invita a “fare il bene” non nonostante ma attraverso le difficoltà”.

Durante il 2019 Salesiani per il Sociale APS è stata impegnata su molti fronti, con molti progetti d’intervento a favore di categorie (minori e giovani) svantaggiate e in condizione di esclusione sociale, progetti sostenuti dal contributo di istituzioni pubbliche, fondazioni private e dai tanti donatori che ogni giorno ci sostengono con la loro vicinanza. Per il Sevizio Civile Universale, sospeso a causa del Covid-19 e poi ripreso, ci sono 997 volontari in attività in Italia e 32 all’estero.

Dai Comitati interregionali – Don Bosco al Sud; Italia Centrale e Piemonte e Valle d’Aosta – oltre alla relazione su quanto fatto, è emersa l’importanza del lavoro fatto in rete e con costanza soprattutto nel periodo di emergenza grazie all’impegno degli educatori: altrimenti, i ragazzi seguiti non avrebbero avuto alcun sostegno.

“Abbiamo sentito dire come l’emergenza sanitaria sia stata una “lente di ingrandimento” che ha fatto vedere meglio e il peggio delle situazioni sociali in cui operiamo; ancora, una sorta di “acceleratore di cambiamento” che non sarà per forza solo migliorativo. Con sguardo pieno di speranza e mani operose ci apprestiamo ad affrontare l’allargarsi di situazioni di fragilità specie giovanile a causa della pandemia; ci sarà ancora più bisogno dei nostri interventi per contrastare la povertà educativa e dare il nostro contributo per una società coesa e inclusiva dei più svantaggiati”, ha concluso don Roberto Dal Molin.

Maria Ausiliatrice: la madre che ci insegna ad amare nei “tempi difficili” C

Pubblichiamo il messaggio dell’ispettore della Circoscrizione Italia Centrale, don Stefano Aspettati, per la solennità di Maria Ausiliatrice.

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La solennità di Maria Ausiliatrice, madre nostra e dei cristiani, ci aiuta a riflettere sul suo straordinario posto nella storia della salvezza, ma soprattutto sul posto che occupa nella nostra vita. Le tappe del cammino di Maria non dipendono da un suo progetto di vita, non sono in vista di sua crescita personale e ancora meno in vista di una autorealizzazione; esse dipendono dallo sviluppo del progetto di Gesù a cui lei ha cercato, non senza fatica, di aderire. Ogni tappa della vita di Gesù ha chiesto una risposta a lei. Ed ogni risposta, risposta di fede, è stata sempre nuova e al contempo appoggiata alla precedente, realizzando una stupenda progressione. Maria ha vissuto in funzione del Figlio. Oggi qualcuno potrebbe trovare frustrante vivere una vita “in funzione di”. In realtà questa espressione va intesa nel senso di “totalmente dedicata a”, “generosamente donata a”, “disposta a morire per”. Queste frasi descrivono ciò che Maria ha vissuto e un modo stupendo di vivere, l’unico per cui valga la pena. 

Il cammino di Maria ha conosciuto delle tappe molto differenti. I suoi privilegi singolari di Immacolata, Vergine, Madre di Dio, Assunta in cielo – anch’essi tutti in funzione di Gesù – non tolgono nulla alla faticosa umanità del suo itinerario. Nell’annuncio c’è stato il primo atto, quello in cui Maria ha detto sì: la sua maternità è stata conseguenza della sua fede. Il Dio a cui aveva consegnato la sua vita, la spinge subito a servire una parente lontana per la quale non esita a mettersi in viaggio e in cui contempla il Signore: la gioia narrata nel Magnificat non è una preghiera inventata da Maria, ma un’applicazione di parole conosciute alla sua vicenda personale. Nella nascita di Gesù, Maria sente l’annuncio di quel che è successo da alcuni pastori sconosciuti: non le resta altro che accogliere meditare queste parole nel suo cuore. A Gerusalemme sente quale sarà la ricompensa terrena per il suo servizio: l’anima trafitta dalla spada. Nell’esilio in Egitto Maria deve conoscere subito le conseguenze dell’odio del mondo per questo figlio. Sempre a Gerusalemme dalle stesse parole del figlio dodicenne comprende in modo nuovo – non senza sofferenza – che egli non era anzitutto suo ma del Padre. Da Cana di Galilea in poi, negli anni della vita pubblica di Gesù, si consuma il vero e proprio distacco fisico tra madre e figlio: Maria non è nel gruppo che segue Gesù nel suo peregrinare e perde sempre più importanza nel racconto, ma viene tuttavia esaltata indirettamente dallo stesso Gesù: lei è beata non perché madre ma perché ha creduto. Sotto la croce i due si ritrovano e lì arriva la consegna finale di lei al discepolo amato e del discepolo a lei. La conclusione di Maria è con gli apostoli, in comunità. 

Al di là delle sue prerogative speciali, il cammino di fede di Maria può essere il nostro. Nelle risposte di fede di Maria abbiamo visto una progressione. Noi in questi mesi abbiamo imparato purtroppo a riconoscere bene le progressioni della curva dei contagi del Covid-19; ma anche nella nostra fede dovremmo scorgere delle progressioni; certo quelle della fede non sono né geometriche, né lineari, procedono piuttosto a spirale: a volte mentre sembra di salire senza accorgerci torniamo indietro e mentre sembra di scendere si sta prendendo la curva ascendente. Solo passando da questo itinerario di Maria e ricordandolo possiamo comprendere come è possibile che Ella sia Ausiliatrice dei Cristiani, la Madonna dei “tempi difficili”, come diceva don Bosco. La Madonna che vediamo dipinta con i segni della regalità mentre ci mostra il Figlio Re è la stessa ragazza di Nazareth, diventata madre e sposa, che nella sofferenza ha imparato a credere amando e ad amare credendo. Per questo può aiutare ciascuno di noi. La creatura più alta, davanti alla quale il Demonio fugge, può intercedere per noi come madre forte perché comprende le nostre fatiche, le nostre sofferenze, le prove cui siamo chiamati. Lei che non ha conosciuto come noi il distacco da Gesù che viene dal peccato, ha dovuto vivere durante la vita di Gesù il distacco fisico negli anni del ministero pubblico e poi dopo la Sua morte, ma anche il distacco molto più profondo di chi sa che il figlio non le appartiene. Tutto ciò ben si salda col distacco che i discepoli vivono nel giorno della Ascensione che meditiamo quest’oggi. L’Ascensione è il passaggio mediante il quale Gesù se ne torna al Padre portando e divinizzando la natura umana e contemporaneamente affida ai discepoli la Sua missione sulla terra. I discepoli smarriti capiscono che adesso tocca a loro; il dono dello Spirito Santo li investe con la sua forza abilitandoli a quello che neanche loro potevano immaginare di essere capaci: portare avanti la missione di Gesù senza avere Gesù con loro. Ma Gesù ha promesso di essere presente e la missione è la Sua! Dobbiamo ricordarlo. A volte capita anche noi di riferirci alla missione come fosse una cosa nostra; oscilliamo allora tra entusiasmi e smarrimenti a seconda di come vanno le cose. Credo che nei prossimi mesi potrebbe capitarci sovente, nell’alternanza di speranze che si creeranno e di scelte difficili e a volte dolorose che – chi più chi meno, a vari livelli – tutti saremo chiamati a fare. Ma appunto sbaglieremmo perché la missione è Sua non nostra e dovremo ricordarcelo proprio quando le cose si faranno più difficili. Il distacco che Gesù opera nella Ascensione è un grande atto di fiducia verso di noi, è l’affidamento della missione alla Chiesa, come un maestro che lascia il posto all’allievo; ma a differenza di un’arte imparata che poi si porta avanti da soli, noi non possiamo portare la missione che Gesù ci affida senza di Lui. Appunto perché Lui stesso è il contenuto della missione. Il distacco non ci serve per renderci autonomi nel nostro agire e operare, ma ci è necessario per fare una scelta, che è quella di riaffidare continuamente a Lui tutto. 

Carissimi, siamo anche noi in “tempi difficili” come don Bosco. Nelle nostre comunità religiose ed educative mi pare che li stiamo affrontando con grande forza, sono tantissime le famiglie che sono state aiutate dalla carità nascosta di molti salesiani e volontari; sono tantissimi i giovani raggiunti nei modi più vari; si sono messi in moto dei percorsi belli di progettazione anche per l’estate ormai alle porte. Adesso il mondo intorno a noi – e noi con lui – stiamo lentamente riprendendo il suo corso. Nello stringersi dei decreti la creatività nella passione per i giovani non ci manca. Oggi è la prima domenica in cui – seppur con norme molto precise – si può ritrovare la comunità dei fedeli attorno all’Eucarestia domenicale. Tuttavia a volte ci sembra e ci sembrerà di essere soli. Anche a noi verrà la sensazione di doverci arrangiare in qualche modo da soli, con le tentazioni conseguenti. È importante ricordarci proprio in questi momenti della promessa del Signore che leggiamo nel versetto finale del vangelo di Matteo “io sono con voi tutti i giorni, fino alla fine del mondo”; Egli ci sta vicino con la forza del Suo Spirito e senza di Lui non andremo da nessuna parte. Ma è vera anche un’altra cosa: senza Maria non andremo da nessuna parte. Maria Ausiliatrice è la mamma esperta che Lui ci mette accanto come la mise a Giovannino Bosco; non dobbiamo temere, lei ci sarà di aiuto e conforto. 

Don Stefano

Italia Centrale, il messaggio dell’Ispettore per la festa di San Domenico Savio

L’esempio di Domenico e la “fase a due”

Carissimi confratelli, Carissimi membri della Famiglia Salesiana, Carissimi membri delle CEP locali, Carissimi giovani,

all’interno del mese mariano, la festa di San Domenico Savio mi da l’occasione di scrivervi di nuovo. Nell’anno in cui la proposta pastorale è incentrata sulla santità, mi piace proprio sottolineare questa figura, cresciuta nello straordinario clima educativo di Valdocco. Purtroppo però il santo adolescente che ha ispirato tante generazioni di giovani, salvo alcune eccezioni, oggi appare sovente ai nostri giovani una figura di riferimento lontana. Eppure Domenico Savio è il capolavoro della pedagogia di Don Bosco. Domenico potremmo dire che è la sua “sfida raccolta”. Infatti Don Bosco aveva saputo sfidare e additare a questo ragazzo un ideale alto – la santità – gli aveva consegnato le chiavi per raggiungerlo e ciò che più conta aveva saputo dare a lui fiducia di poterlo raggiungere, pur non mancando di dargli dei correttivi. Emblematico è ascoltare come Domenico spiega tutto questo all’amico Camillo Gavio: Noi qui facciamo consistere la santità nello star molto allegri. Noi procureremo soltanto di evitar il peccato, come un gran nemico che ci ruba la grazia di Dio e la pace del cuore, procureremo di adempiere esattamente i nostri doveri, e frequentare le cose di pietà. Comincia fin d’oggi a scriverti per ricordo: Servite Domino in laetitia, servite il Signore in santa allegria”. L’aspirazione alla santità in Domenico non era tuttavia finalizzata a una egoistica autorealizzazione, ma a un cercare di allargare il bene a più persone possibile. L’anelito di ogni adolescente a scoprire e affermare la propria identità viene quindi risolto da Domenico nel servizio all’altro, nel dono di sé.

Possiamo dire senz’altro che Domenico Savio è stato anche un dono per don Bosco. Il Signore ha suscitato sia il santo educatore che il santo ragazzo. Domenico è stato per don Bosco una indicazione di percorso, la dimostrazione che era possibile una via di santità anche in età così tenera. Noi non siamo certo qui ad esaltare il fatto che un ragazzo sia morto a 15 anni (quando accade diciamo che è una tragedia enorme!), ma il fatto che anche in un lasso di tempo così breve abbia potuto raggiungere un livello così alto di vita, o meglio la pienezza di vita possibile a un adolescente. Don Bosco è stato il sarto che ha saputo trasformare la “stoffa” nel vestito, ma prima di tutto è rimasto affascinato da una stoffa che non si era dato e che aveva ricevuto. Proprio come accade con ogni giovane che riceviamo in dono nelle nostre realtà: una stoffa grezza da lavorare, ma prima ancora da contemplare. Don Bosco da Domenico è stato a sua volta istruito. E non è stato certamente l’unico adolescente da cui don Bosco ha imparato qualcosa. Papa Francesco nel messaggio che ci ha regalato per il CG28 sottolineava proprio questo tratto dell’esperienza che don Bosco visse a Valdocco: Lungi dall’essere agenti passivi o spettatori dell’opera missionaria, essi [i giovani] divennero, a partire dalla loro stessa condizione – in molti casi “illetterati religiosi” e “analfabeti sociali” – i principali protagonisti dell’intero processo di fondazione. La salesianità nasce precisamente da questo incontro capace di suscitare profezie e visioni: accogliere, integrare e far crescere le migliori qualità come dono per gli altri, soprattutto per quelli emarginati e abbandonati dai quali non ci si aspetta nulla. Lo disse Paolo VI: «Evangelizzatrice, la Chiesa comincia con l’evangelizzare sé stessa… Ci vuole dire, in una parola, che essa ha sempre bisogno d’essere evangelizzata, se vuol conservare freschezza, slancio e forza per annunziare il Vangelo» (Esort. ap. Evangelii nuntiandi, 15). Ogni carisma ha bisogno di essere
rinnovato ed evangelizzato, e nel vostro caso soprattutto dai giovani più poveri. Gli interlocutori di Don Bosco ieri e del salesiano oggi non sono meri destinatari di una strategia progettata in anticipo, ma vivi protagonisti dell’oratorio da realizzare. Per mezzo di loro e con loro il Signore ci mostra la sua volontà e i suoi sogni. Potremmo chiamarli co-fondatori delle vostre case, dove il salesiano sarà esperto nel convocare e generare questo tipo di dinamiche senza sentirsene il padrone.

Le sottolineature del Papa ci ricordano quello che per don Bosco era chiaro e che spesso dimentichiamo nella pratica: in ogni giovane vi è un punto accessibile al bene, ma in ogni giovane può stare addirittura la profezia. La festa di san Domenico Savio – al di là di ogni aneddotica – quindi è proprio l’esaltazione di quella che potremmo definire una “adolescenza” riuscita, ma per dire che ogni adolescenza può riuscire senza dover per forza rimandare la pienezza della vita alle fasi successive ed essere germe di futuro per gli altri. E questo vale tanto per i “Domenico Savio” tanto per i “Michele Magone”, ciascuno per quel che è possibile.

In questi giorni siamo anche a ridosso di un altro anniversario, la famosa lettera da Roma (10 maggio 1884) di don Bosco. Questo scritto programmatico è stato richiamato continuamente durante il Capitolo Generale appena concluso (o meglio interrotto). Come allora siamo stati invitati a confrontarci ancora con l’esigenza sempre nuova di tornare ai giovani, di stare con loro, di essere presenti in mezzo a loro e non solo lavorare per loro. Per don Bosco attraverso la presenza è possibile infatti stabilire quella confidenza che porta ad aprire i cuori e a fare proposte alte da un lato e ricevere ispirazioni dagli stessi giovani dall’altro. L’ascoltare e il rendere continuamente protagonisti adolescenti e giovani ha permesso a don Bosco di trovare la mediazione concreta di quello che il Signore gli ispirava. Erano i giovani lo scopo, ma spesso anche lo strumento del suo discernimento e della sua comprensione della volontà di Dio. Devo ringraziare i tanti confratelli e laici che oltre a continuare a portare avanti da quasi tre mesi un ordinario “straordinario”, hanno avviato anche una interessante riflessione che ha come obiettivo immediato le attività estive, ma che si allarga e che sta facendo emergere un bisogno di concentrarci maggiormente sulla fascia adolescenti. Non si tratta ovviamente di un’attenzione escludente il resto, ma certamente di una istanza che è nel nostro “DNA”. Con i nostri adolescenti occorre fare quanto prima una riflessione su questo tempo, per capire che segni sta lasciando dentro di loro, ma anche per trarre da loro germi di rinnovamento. A ben vedere questo metodo è quello che ha usato il nostro buon padre e quello che fa parte della nostra tradizione. È cominciata la “fase 2”. Siamo tutti a cercare di capire cosa accadrà alla curva dei contagi, perché questo determinerà innanzitutto la fine delle morti per virus o la loro continuazione, ma anche perché questo determinerà o meno un ritorno alla normalità dopo la conta dei danni. È cominciata la “fase 2” anche per il grande mondo salesiano. Anche noi stiamo cercando di capire – con grande fatica e poche certezze! – cosa potremo o non potremo fare quest’estate, che ne sarà dei nostri centri estivi, dei campi formativi, dei pellegrinaggi, delle feste. Probabilmente dovremo attendere ancora un po’ per capirlo. È certo che non potremo fronteggiare tutti gli enormi problemi che si sono accumulati in questi ultimi tre mesi, ma quelli che ci competono sì. E ci competono proprio quelli che sono legati ai giovani, perché insieme alla conta dei danni economici dobbiamo fare la conta dei danni educativi di questo periodo. Forse abbiamo reimparato in questi mesi a metterci in ascolto, a contemplare, a chiedere al Signore delle luci sul cammino. Non basta: la nostra storia ci insegna che ogni snodo passa per saper guardare i giovani. Lo avevamo già detto: senza perdere questo atteggiamento di ascolto del Signore, ascoltare anche i giovani soprattutto in questo tempo ci aiuterà a non cadere nella tentazione di riapplicare quello che conosciamo e che abbiamo sempre fatto e guardare avanti.
Tra Domenico e don Bosco si creò un rapporto “a due” in cui al centro stava il Signore, il servizio agli altri e il cammino di santità. Anche per noi la “fase 2” potrebbe essere un nuovo inizio di una “fase a due”: noi e i giovani, impegnati a sognare e inventare insieme. Questo atteggiamento sono sicuro che ci aiuterà anche a scelte ancora più grosse che ci troveremo senz’altro a prendere nei prossimi mesi. Buona festa di San Domenico Savio a tutti !

Un abbraccio a tutti
Don Stefano

Roma, 6 maggio 2020 Festa di san Domenico Savio

“Sentinella quanto resta della notte?”: lettera dell’Ispettore della ICC per la settimana santa

Pubblichiamo la lettera che don Stefano Aspettati, ispettore dell’ispettoria centrale ha inviato alla Famiglia Salesiana in occasione della domenica delle Palme per la settimana santa.

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Carissimi confratelli,
Carissimi membri della Famiglia Salesiana,
Carissimi membri delle CEP locali, Carissimi giovani,

Comincio questo ormai consueto carteggio del tempo di Quaresima con un passaggio del profeta Isaia. Al di là del contesto cui si riferisce l’oracolo, si tratta un testo di grande valore poetico, quasi una frase senza tempo. Si chiede alla sentinella a che punto sia la notte (Shomer ma milailah); la sentinella risponde in modo enigmatico: l’alba arriva, ma la notte c’è ancora. E invita a tornare e continuare a domandare. È una frase che ci ricorda tutte le albe attese, quando le notti non vogliono finire, quando si veglia un malato, quando semplicemente si aspetta un cambio turno, quando si prega.

C’è un passaggio nel vangelo della Passione di Gesù (che quest’anno leggiamo nella versione dell’evangelista Matteo) che mi colpisce proprio in questo senso. Nella notte dell’ultima cena, notte del tradimento – da leggersi come Gesù che si consegna e non Gesù consegnato – notte senza sonno, Gesù arriva nel punto più basso della sua esistenza terrena e prova tristezza e angoscia nell’Orto del Getsemani; chiede conforto ai discepoli, ma essi non sono capaci di stare svegli con lui. Un contrasto fortissimo, addirittura incomprensibile. Come è possibile che i discepoli non siano in grado di stare svegli davanti a un Gesù che si svela a loro come angosciato e chiede di pregare con lui? Lo sfondo è anche qui la notte. La notte incombe e invade l’animo, di tutti, anche di Gesù. Egli sente la notte dentro di sé. La notte è il simbolo della morte. Quella confidenza di Gesù ai discepoli, quella sua ammissione di umanità, quella richiesta di aiuto mentre si riconosce triste, ce lo fa sentire molto vicino. Non era roba sua la tristezza, perché la tristezza non appartiene a Dio, la tristezza è solo roba nostra e del Maligno che cerca di riversarcela addosso. Lo sapeva bene don Bosco, che al contrario insegnava ai suoi ragazzi l’idea di un’allegria profonda, radicata in un cuore pulito. La tristezza che Gesù sente nella sua umanità viene dal peccato di tutti noi, tutti noi in tutti i tempi. Gesù sente la notte di ciascuno di noi. I discepoli non riescono a sostenere tutto questo. Il loro sonno non è riposo, sono essi stessi preda della notte che li avvolge.

Sentinella quanto resta della notte?

Ce lo chiediamo da settimane di epidemia. Quanto ancora dovremo stare in casa, senza il lavoro e la scuola di prima, senza contatti con gli altri? Quanto ancora dovremo sentire di nostri fratelli e sorelle ricoverati o defunti senza neanche un saluto o un funerale? Tutti guardano anelanti a un “dopo”. Una settimana? Un mese? Un anno? Ma ci sarà poi questo “dopo”? E rischiamo di oscillare tra una frenesia che ci vorrebbe catapultare fuori per riprenderci la vita e una sorta di paralisi, fatta di paura, che assomiglia al sonno dei discepoli.
Penso al Papa che indirizzando un saluto a noi salesiani per il Capitolo Generale, riflettendo sul tema “Quali salesiani per i giovani di oggi”, ha usato delle parole che – scritte prima della pandemia – suonano oggi come una profezia: Pensare alla figura di salesiano per i giovani di oggi implica accettare1 che siamo immersi in un momento di cambiamenti, con tutto ciò che di incertezza questo genera. Nessuno può dire con sicurezza e precisione (se mai qualche volta si è potuto farlo) che cosa succederà nel prossimo futuro a livello sociale, economico, educativo e culturale…. Assumere responsabilmente questa situazione – a livello sia personale sia comunitario – comporta l’uscire da una retorica che ci fa dire continuamente “tutto sta cambiando” e che, a forza di ripeterlo e ripeterlo, finisce col fissarci in un’inerzia paralizzante che priva la vostra missione della parresia propria dei discepoli del Signore.

Carissimi, mentre ci chiediamo quando arriva il dopo, dobbiamo stare attenti tutti a non assopirci. Non parlo del sonno del corpo – di cui abbiamo bisogno tutti perché molti di noi forse stanno lavorando anche più di prima! – ma del sonno dell’anima. Si può essere assopiti restando svegli, se non si vedono le cose giuste.

È reale il rischio di star semplicemente comprimendo un elastico che poi una volta rilasciato libererà un’energia che farà tornare tutto come prima e peggio di prima. I buoni sentimenti forse scoperti in questo tempo, il maggior spazio dato alle relazioni, la riscoperta della bellezza di un ambiente più pulito non saranno acquisizioni automatiche. La ricerca più recente1 fatta sulla religiosità al tempo del virus ci dice sostanzialmente che nella pandemia chi prima pregava ora prega un pochino di più e chi prima non pregava continua a non pregare. Al di là dei romanticismi, non avverrà nessun colpo di bacchetta magica. Non assopirci vuol dire che il “dopo” va preparato, altrimenti sarà una corsa a tornare come prima che – dentro una crisi economica senza precedenti – diventerà peggio di prima. Ma allora…

…Sentinella cosa c’è dopo la notte?
A ben vedere non è forse questa la domanda radicale dell’uomo? quello che vediamo adesso in maniera così chiara, adesso che la morte è a un passo da noi, che le nostre vite sono sconvolte, non è forse quello che ci chiediamo in certi momenti della vita e in genere proprio di notte? c’è un dopo- la-notte? cosa c’è dopo la notte?
Ed ecco allora la Settimana Santa che arriva puntuale come ogni anno, ma molto diversa. Diversa per le celebrazioni in streaming: non ci è facile accettare di vivere le celebrazioni del Triduo Pasquale, il centro dell’anno liturgico, così, private di quegli elementi sensibili di cui noi – fatti di carne – abbiamo bisogno. Non solo: questa volta la Settimana Santa arriva con la sua domanda sul “dopo” ancora meno retorica, ancora meno tradizionale. Una domanda calata nell’oggi. Quando arriva il “dopo”? ma c’è un “dopo”? E se c’è un “dopo-pandemia” questo può forse bastarmi adesso che ho visto quanto è importante risolvere il problema del DOPO radicale?
Il Signore Gesù ha risolto questo dubbio. La Settimana Santa ci fa entrare nella Passione di Cristo, ce le fa attraversare come un tuffo profondo per poi farci riemergere. La celebrazione di questa settimana speciale diventa stupore e pianto per la passione prima anticipata nella cena in cui il Signore trova il modo stupendo di restare con noi diventando nostro alimento e chiedendoci di amare così (Giovedì Santo) e poi vissuta fino alla morte di croce (Venerdì Santo); e quando tutto sembra finito e silenzio mortale (Sabato Santo) si fa largo la gioia di un “dopo” nuovo e definitivo (Pasqua di Resurrezione). Noi stiamo vedendo oggi il “giovedì santo” in tutti coloro che lavano i piedi al prossimo prodigandosi per amore dell’altro anche a rischio della propria salute; stiamo vedendo il “venerdì santo” in tanti fratelli e sorelle che soffrono e di quelli che muoiono soli; stiamo vedendo il sabato santo nelle strade vuote e irreali e nelle distanze tra di noi. Vedremo anche il “dopo”, quell’ #andràtuttobeneperchéCristoèrisorto.

Se volete domandare, domandate, convertitevi, venite!

Per noi salesiani, laici, Famiglia Salesiana, giovani, cosa è il “dopo”?

Penso che tutti abbiate notato che adesso in certe ore della sera, quando non c’è proprio più nessuno in strada, rimangono solo i poveri che gridano tutta la loro disperazione, oppure neanche gridano più perché tanto non c’è nessuno ad ascoltarli. La settimana scorsa dicevo che prima di preoccuparci dei danni economici che tutti avremo dopo la pandemia, è importante aiutare chi già adesso è nella necessità più stringente. Rinnovo l’invito e ringrazio tutte le comunità che si sono mosse, in coordinamento con altre realtà civili ed ecclesiali (quanto è importante l’esperienza di rete!), per sovvenire le necessità dei bisognosi.

Ma è importante che tutto questo faccia innanzitutto cambiare qualcosa dentro di noi.

La pratica dell’astinenza e del digiuno che la Chiesa raccomanda nel tempo di Quaresima e in certi giorni in particolare, non è un retaggio della tradizione, né un’ascesi vuota, ma un lavoro spirituale e un esercizio di carità: tolgo qualcosa a me per capire meglio la mia fragilità davanti a Dio e condividerla con i fratelli. In questo senso digiuno non va senza elemosina.

Ci sarebbe da preoccuparsi se questo non diventasse un tempo propizio per imparare queste lezioni. Personalmente e comunitariamente.
Posso privarmi di tante cose materiali; le nostre comunità religiose e anche le comunità educative imparano (e devono imparare) a fare cose con molto meno; partendo dal bisogno di materiale di risparmiare vediamo già e vedremo che alcune cose si possono fare insieme, scoprendo la condivisione.
Nascono idee e cose nuove.
Nascono fraternità nuove.
Anche da qui comincia a nascere un lavoro sul “dopo”.
La Passione di Cristo alimenta la nostra passione, quella per le anime, quella per i giovani che vogliamo come don Bosco “onesti cittadini, buoni cristiani e fortunati abitatori del cielo”.
Dunque continuiamo ad avere rispetto delle nostre e delle altrui vite attraverso comportamenti responsabili, continuiamo a mettere a posto i nostri ambienti, continuiamo ad aiutare i più deboli e tra di essi chi manca proprio dell’essenziale, continuiamo a educare i giovani a distanza, continuiamo a pregare per i malati e i morenti. Ma continuiamo a sognare il “dopo”. Nessuno può avercelo già in testa, è da pensare. Un “dopo” da sognare con Dio e con i giovani.
È vero non possiamo far altro che aspettare, ma non possiamo aspettare per sognare e prepararci. Sarebbe proprio bello se questi giorni spiritualmente intensi diventassero l’occasione per una rinnovata passione comune.
È ora il momento di domandare, convertire, venire.
Buona Settimana Santa a tutti.

Roma, 5 aprile 2020

Domenica delle Palme e della Passione del Signore

Don Stefano

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