L’Agenzia Aci Stampa ha intervistato don Piero Gavioli, missionario salesiano in Congo dal 1966.
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di Veronica Giacometti
KINSHASA , 03 marzo, 2021 / 9:00 AM – Dopo l’uccisione di Luca Attanasio, ambasciatore italiano in Congo, il paese africano è al centro di tante discussioni e riflessioni. I salesiani di Don Bosco, a Goma, a Bukavu, a Uvira, nella Repubblica del Congo, da tanti anni provano a dare il loro aiuto alla popolazione stremata da conflitti e tensioni. I missionari salesiani accolgono nelle loro scuole professionali ragazzi vulnerabili che potrebbero essere attirati o recuperati da gruppi armati. Offrono loro un mestiere e una prospettiva di avvenire, un vero contributo alla costruzione della pace all’Est del Congo. La pace nella Repubblica del Congo è davvero possibile? ACI stampa ne ha parlato con Don Piero Gavioli, missionario salesiano in Congo dal 1966.
Don Piero qual è la situazione in Congo? E precisamente a Goma e nelle zone limitrofe proprio dove sono stati uccisi l’ambasciatore Luca Attanasio, la sua scorta Vittorio Iacovacci e l’autista Mustapha Milambo?
E’ difficile rispondere in breve. Forse l’aggettivo più azzeccato sarebbe: situazione confusa. Dal punto di vista economico, stagnazione: il governo (caduto e non ancora rinnovato) sembra avere tanti altri problemi, non si occupa molto dell’Est del Congo. C’è quindi tantissima miseria, che spinge giovani e adulti che non trovano lavoro ad ingaggiarsi nei vari gruppi armati. Per la stessa ragione in città il banditismo è cresciuto. Ci sono circa 6 milioni di rifugiati o sfollati interni, molti dei quali nella nostra regione. Vuol dire che non possono più lavorare nei campi, a causa dell’insicurezza. Quindi il cibo che dovrebbe essere per tutti in questa terra vulcanica fertilissima, con acqua e sole abbondanti, viene a mancare o a costare troppo.
Ci sono pure le malattie…
Si, esatto, ci sono pure le malattie. L’Ebola, che si è manifestata di nuovo nel Nord Kivu, poi il Covid-19 che c’è ancora, anche se i contagiati sono pochi; abbiamo la malaria onnipresente e micidiale (i morti di malaria – o di conseguenze di malaria – sono più numerosi che per la altre malattie). Poi vorrei aggiungere anche il problema delle strade: all’interno sono disfatte, fare i 120 km da Bukavu a Uvira richiede tanto coraggio e pazienza (quando tutto va bene, 5 ore): alcuni ponti sono crollati, bisogna trasbordare da un minibus a un altro, in tanti tratti di strada c’è solo la moto che può passare. La mancanza di strade è forse il freno più grande allo sviluppo del paese. Ma vorrei correggere l’impressione troppo negativa di queste note frettolose. La gente, nonostante la miseria, ha un coraggio formidabile e un morale altissimo: riesce a sopravvivere in condizioni che scoraggerebbero tanti occidentali. Speriamo che il prossimo governo sia capace di sfruttare questo potenziale umano, prima ricchezza del paese.
Voi missionari salesiani come operate lì esattamente? Quali attività svolgete?
Scuole professionali e tecniche, attività sociali. I salesiani sono stati chiamati a Bukavu da un missionario saveriano di Parma, padre Giovanni Querzani. Nel 2008, ha fondato una scuola professionale per dare una formazione professionale pratica a ragazzi che aveva aiutato a finire la scuola elementare in un’altra delle sue istituzioni. A Bukavu, i salesiani stanno finendo il 4° anno di questa scuola di mestieri TUWE WAFUNDI. È un centro di apprendistato informale, riconosciuto dalla Divisione degli affari sociali (DIVAS). La scuola è completamente gratuita, dato che si rivolge a ragazzi di strada o in strada che non sono mai stati a scuola o che ne sono stati cacciati, spesso molto presto, perché le loro famiglie non erano in grado di pagare le tasse scolastiche. Accogliamo ragazzi (e qualche ragazza) tra i 17 e i 22 anni: la formazione dura solo un anno, alla fine devono essere abbastanza grandi per iniziare a lavorare. A Bukavu, ci sono migliaia di bambini “a rischio di strada”: se i loro genitori non sono in grado di pagare le tasse scolastiche, vengono cacciati da scuola e la strada diventa il loro ambiente di vita. Poiché prevenire è meglio che curare, abbiamo avviato progetti di sostegno a distanza per aiutare i genitori a pagare le tasse scolastiche: quest’anno sosteniamo l’istruzione di oltre 800 bambini.
Don Piero, lei conosceva Luca Attanasio, che ricordo ha e avrà di lui?
Ricorderò la semplicità, la disponibilità al servizio, l’interesse per noi e il nostro lavoro. Posso invece dire qualcosa sul mio ultimo incontro con l’ambasciatore. Sabato 20 febbraio, Luca Attanasio è arrivato a Bukavu proveniente da Goma con lo stesso convoglio di due macchine del PAM. abbiamo partecipato insieme a un rinfresco, l’ho salutato, mi ha promesso che la prossima volta sarebbe venuto a visitare la nostra scuola di mestieri… Ci siamo lasciati, l’indomani è ripartito a Goma dove doveva incontrare la comunità italiana. Penso che il lunedì fosse diretto a visitare altri centri assistiti dal PAM a Nord di Goma. Sulla strada, è stato intercettato e ucciso.
Cosa possiamo fare noi da qui per il Congo e il suo popolo?
Dare un’informazione onesta e continua. C’è voluta la morte dell’ambasciatore perché in Italia si parli del Congo. All’Est, i morti di guerre e guerriglie sono decine tutti i giorni. Sostenere l’educazione dei ragazzi e dei giovani, vero cammino verso lo sviluppo e la pace.
La pace sarà mai possibile un giorno in Congo?
Paolo VI ha scritto: lo sviluppo è il nuovo nome della pace. Aggiungiamo: Education changes the world, è lo slogan di una ONG che ci sostiene. In questi giorni molti Congolesi, adulti e giovani, mi hanno presentato le condoglianze come “rappresentante del popolo italiano”. Abbiamo pregato insieme per le tre persone uccise e per tutte le altre vittime della violenza nel nostro paese. E abbiamo rinnovato il nostro impegno perché, attraverso l’educazione dei giovani vulnerabili, il Congo trovi la strada della giustizia e della pace.