Corriere della Sera – Buone Notizie: “Da Kabul a Roma senza ritorno Il futuro di Negin è la laurea”
Il Corriere Buone Notizie ha pubblicato la storia di Negin A, giovane afghana arrivata in Italia grazie alla Rete di solidarietà di cui fa parte Salesiani per il Sociale.
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Negin A. ricorda bene quella mattina di quindici mesi fa a Kabul, a casa sua: «Era un giorno come un altro, da settimane tutti ci interrogavamo – Entrano o non entrano? – ma nessuno voleva pensare al peggio, anche se dopo la conquista di Herat avevamo pianto. Poi, a partire dalle 11 di quella mattina di metà agosto del 2021 ci siamo ritrovati con i talebani di nuovo sotto casa, all’università, negli uffici, nelle strade. Ovunque…». Da quel giorno per l’allora 19enne studentessa di Informatica è iniziato un viaggio verso l’ignoto durato più di un anno. Una vita azzerata, quella di Negin, che ora, a migliaia di chilometri di distanza, tenta di ricostruire assieme alla madre Razia, cacciata dal suo posto di giornalista a Tanandon Tv, al padre Reza, architetto, licenziato dal ministero delle Infrastrutture, al fratello Moahmmad Eshan e alla sorellina Mathab. Negin ora sorride e dice di avere fiducia nel futuro, stringendo forte la mano di don Pejo, un salesiano forte come una roccia dei Balcani che, grazie alla generosità della sua comunità, la ospita insieme con tutta la famiglia alle porte di Roma in una Casa circondata da alberi di mandarino e da palme. «Il viaggio è stato lungo – racconta in inglese fluente – prima in autobus fino a Herat, poi in auto verso il confine con l’Iran e infine nella città iraniana di Qom, dove abbiamo atteso il visto per l’Italia».
La fuga da Kabul della famiglia di Negin è stata resa possibile grazie ai loro risparmi e a una incredibile, quanto discreta, rete di solidarietà coordinata da una giornalista italiana, Maria Grazia Mazzola, e dai «Salesiani per il sociale» che in questi mesi hanno portato a buon fine il trasferimento in Italia di una settantina di cittadini afghani perseguitati dai talebani. A pochi chilometri dal centro di Roma, nella Casa dei Salesiani ci si prepara a celebrare il Natale anche con la famiglia di Negim (che prima di Capodanno potrà incontrare alcuni parenti ospiti di altre Case). Anche questa famiglia hazara fuggita da Kabul ha trovato il calore che in passato ha permesso ad altre persone di ricominciare a ricucire la tela di una vita lacerata dall’odio e dalla violenza. Qui, in un appartamento che si affaccia su un prato verdissimo, Negin ha potuto anche riprendere il suo percorso di studi: «Prima di partire da Kabul – racconta – ho implorato un impiegato della mia Università di consegnarmi la scheda con gli esami che avevo sostenuto». E ora, con quel pezzo di carta preziosissimo, la studentessa che frequentava Informatica a Kabul, grazie a un fortunato passaparola, ha potuto chiedere di accedere alle borse di studio che la Luiss riserva ai rifugiati. E a febbraio ha già un appuntamento con il primo esame alla facoltà di Economia in inglese di viale Romania. «Le ultime immagini dell’Afghanistan sono quelle dei talebani che ti controllano all’ingresso dell’Università per vedere se nascondi un paio di jeans nella borsa. Loro le donne le trattano così: non devono studiare, non devono lavorare, non devono indossare i pantaloni, devono sempre essere accompagnate da un uomo in certi luoghi…», chiosa la studentessa, che, per rendere bene l’idea del clima di Kabul, mostra sul telefonino l’immagine di un presentatore tv che va in onda con addosso due cartuccere cariche di proiettili di grosso calibro: «Le armi sono ovunque e di recente un leader talebano ha detto che la promozione degli ufficiali dipenderà dal numero di bombe che riusciranno a far esplodere».
La scorsa estate il primo impatto con Roma è stato un misto di delusione e di stupore: «Non sapevamo nulla di questo Paese, pensavo di trovare tanti grattaceli – ricorda adesso – e invece ovunque ci sono splendidi edifici storici che sono la gioia di mio padre architetto». Gli italiani? «Simpatici. Ma sono logorroici, parlano molto e per questo mi sto impegnando, grazie al Centro Astalli, per imparare bene la vostra lingua». Per Negin è tutto nuovo: andare in giro da sola per la città, conoscere altri studenti, scambiarsi il numero di telefono con una coetanea conosciuta per caso. Ogni novità alimenta la sua voglia di vivere. Però sa anche che la strada è in salita: «Se sei un rifugiato devi mettere nel conto che la polizia ti fermerà mille volte per i controlli». E quando le si chiede qual è stato l’impatto con la burocrazia italiana esita prima di rispondere: «Ogni Paese ha i suoi problemi…». Ma poi bilancia praticamente subito: «Qui c’è la democrazia, la libertà, la possibilità di andare in giro vestita come ti pare, di fare quello che vuoi». A proposito di desideri, come vede il suo futuro la studentessa di Kabul che ora studierà alla Luiss? «La laurea è il traguardo più importante. Ma spero anche che i miei genitori trovino presto un lavoro perché non si può vivere dignitosamente senza». Poi, prima del congedo, tornando con il pensiero agli ultimi mesi trascorsi a Kabul, il sorriso di Nagin mostra un’incrinatura: «Certo che quella non era una vita normale. Ma era pur sempre il mio Paese, lì c’era la nostra casa, c’erano i nostri amici. Poi quasi tutti sono andati via, lasciandosi alle spalle una vita intera. Come noi…».