San Francesco di Sales: l’esempio del santo vescovo ginevrino
Senza l’azione e la persona di Francesco di Sales, ci sarebbe mai stato il Don Bosco del Sistema Preventivo? E perché il Santo dei Giovani scelse il santo vescovo ginevrino come fonte di spiritualità per la congregazione a cui diede vita? Ancora più radicalmente: “Don Bosco fu un vero SALESiano?”. A queste domande ha dato risposta don Gianni Ghiglione, uno dei maggiori conoscitori del pensiero di San Francesco di Sales.
“Due cose belle e importanti San Francesco di Sales può insegnarci ancora oggi” sottolinea don Ghiglione. “La prima è il senso dell’amicizia”: ne troviamo ampia traccia nella sua biografia e precise definizioni nelle sue lettere. “Quando terminò gli studi a Parigi, il suo ritorno ad Annecy fu una marcia di oltre 300 chilometri a piedi, a cavallo e in carrozza insieme a quattro suoi compagni di studi con i quali evidentemente si era creato un rapporto strettissimo”. Possiamo immaginare quale confidenza esistesse fra loro, che permise di commentare in modo approfondito gli anni condivisi sui libri, le osservazioni sullo stato del mondo, i sogni di ciascuno: non una vicinanza formale, non una chiacchiera superficiale, ma un vero incontro di cuori lungo una strada che diventa simbolo di un cammino da amici.
“I suoi scritti, le sue lettere sono una miniera di considerazioni e di testimonianze sulla amicizia” ricorda don Ghiglione. Andrea Ravier raccolse le sue ‘Lettere di amicizia spirituale’ dove ogni destinatario è un uomo o una donna conosciuti in profondità da Francesco sacerdote, in molti casi fino all’intimo dell’anima.
Cosa può suggerire questo ai giovani (e non solo) di oggi?
“Hanno la tendenza a tenere lo sguardo basso, piegato sul cellulare: dovrebbero volgerlo piuttosto allo sguardo altrui in uno scambio interpersonale”. Inviamo battute e pensieri rapidi attraverso i social media ma, raccomanda don Ghiglione, “cerchiamo anche di comunicare cose profonde da vivere e da trasmettere!”.
“La seconda cosa che ci può consegnare oggi san Francesco di Sales è la cura del carattere” continua lo studioso salesiano. “Egli non era nato santo: aveva una tempra orgogliosa, pronta a scattare contro le persone avverse. L’origine nobile lo faceva essere una sorta di cavaliere medievale pronto a lavare le offese o semplicemente a sbandierare la sua superbia”. La mitezza comunemente attribuita al santo Vescovo non era espressione del suo carattere, ma di una impegnata educazione di questo: “il cervello ribolle, ma per grazia di Dio riesco a tenere sotto controllo i sentimenti” confessava ai suoi amici, come Jeanne-Françoise Frémyot, baronessa de Chantal, che divenne con lui fondatrice dell’Ordine della Visitazione di Santa Maria. L’autocontrollo – al quale si è attenuto nel suo relazionarsi con gli altri e nello svolgere il suo ministero pastorale – è parte della sua ascesi spirituale. Fu un’educazione permanente non alla repressione dei sentimenti, ma alla loro conversione in empatia verso gli altri (una lezione che oggi viene spesso ricercata nelle filosofie orientali, ma che non è inedita per la cultura del cuore cristiano d’Europa).
Per don Ghiglione questa ‘lezione’ sarebbe da riprendere per risolvere i tanti problemi di relazione oggi così comuni. “Nelle famiglie, tra colleghi, fra gli stessi operatori socio-educativi prevalgono i conflitti personali. Anche le relazioni di coppia ‘saltano’ perché i due non hanno un carattere coltivato, fatto di pazienza, di rispetto, di autocontrollo”.
La salesianità è questo, e Don Bosco se n’è fatto portabandiera incastonando il nome di Francesco di Sales nello scudo della sua ‘casata’ religiosa: “Un progetto di educazione dei giovani che gradualmente si è esteso a tutto il mondo perché evidentemente è valido ad ogni latitudine, fondato sui noti principi dell’amorevolezza, della ragione e della religione” ribadisce don Ghiglione.
Che, infine, conclude con soddisfazione: “Il nostro è un metodo che viene da lontano e che va lontano!”