La Pira, uomo di fraternità universale e di amicizia sociale

Dal dossier di Note di Pastorale Giovanile sulla proposta pastorale 2022/2023.

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di Mario Agostino

Padre di una delle Carte costituzionali più complete e belle al mondo, docente universitario di Diritto Romano amato dagli studenti, sindaco della rinascita di una Firenze che si rimise in piedi dopo i bombardamenti della Seconda Guerra Mondiale, siciliano cittadino di quel mondo che cercò di pacificare a tutti i costi, riuscendo a recarsi ove nessun altro diplomatico o politico poteva, come in una Mosca blindata per gli occidentali o un Vietnam in stato di guerra. Sempre per la pace, sempre credendo in quella fraternità universale che egli tendeva a chiamare famiglia umana. E in nome di questa, “apostolo” prestato alla “politica come più alta forma di carità”, come ebbe a ricordare un Giovanbattista Montini, più noto come Papa Paolo VI. Ma davvero tutte queste sfaccettature hanno convissuto in un solo uomo? Davvero è esistito un politico simile? La risposta, tanto incredibile quanto semplice, è sì: è esistito un profeta politico votato alla tutela della famiglia umana. Si chiamava Giorgio La Pira ed oggi più di ieri, a quasi mezzo secolo dalla sua morte, ne abbiamo molteplici prove, scritte e online: vediamo di saperne qualcosa in più, almeno a grandi linee.

Nato il 9 gennaio 1904 a Pozzallo, in Sicilia, porta del Mediterraneo dell’Europa anche oggi meta di sbarchi. In linea d’aria, siamo più a sud di Tunisi, a 10 anni venne mandato a Messina, dallo zio materno, Enrico Occhipinti. Un vero e proprio “mangiapreti” che portò lo stesso Giorgino a pretendere addirittura di togliere il crocifisso dalle aule al suo ingresso… Diplomatosi in ragioneria nel 1921, si iscrisse alla facoltà di giurisprudenza, dopo avere preso anche il diploma di Liceo Classico da esterno. Affascinato negli anni giovanili da Gabriele D’Annunzio e Tommaso Marinetti e dal loro ideale di cambiamento, è un vorace lettore: condivide le sue passioni con il suo gruppo di giovani amici di cui fanno parte anche il poeta Salvatore Quasimodo e Salvatore Pugliatti, giurista e futuro rettore dell’Università degli Studi di Messina. Nel corso della sua esperienza universitaria, conosce monsignor Mariano Rampolla Del Tindaro, fratello del docente Federico, che diviene poi sua guida in un’intensa vita spirituale.

Tutti in campo per educare

TUTTI IN CAMPO PER EDUCARE

Approfondimenti e testimonianze sulla proposta pastorale MGS

Pubblichiamo l’indice del Dossier “Noi ci stiamo”

I. NOI CI STIAMO
L’orizzonte e la storia

1. L’orizzonte della chiamata. Ripartiamo con coraggio dalla “grande domanda”
Rossano Sala

2. “Share the dream”. Da Mornese ai nostri giorni
Eliane Petri

 

II. NON CON LE PERCOSSE MA CON LA MANSUETUDINE
Le declinazioni pedagogiche dello “starci”

1. “Non con le percosse. Le “ombre” dell’educazione e le violenze educative
Franco Santamaria e Katia Bolelli

2. L’istigazione alla violenza nella società dei media e nei social
Cecilia Costa – Claudia Caneva

3. “Imparate da me, che sono mite e umile di cuore”
Guido Benzi

4. Il “quarto voto” salesiano, la bontà
Franc Maršič

5. Con un foulard. Educare alla/con mitezza
Raffaele Mantegazza

 

III. PAROLE E OPERE
Profeti e testimoni

1. Nel mondo e nella Chiesa

^ La Pira uomo di fraternità universale e di amicizia sociale
Mario Agostino

^ L’amore vince tutto. La storia di Chiara Lubich e compagne
Intervista a Saverio D’Ercole
a cura di Giancarlo De Nicolò

2. Educatori e giovani nel quotidiano

^ Con la mansuetudine “è” la carità
Giorgio D’Aniello

^ Rabbia, sofferenza e abbracci
Giuseppe Natile

^ Sbagliare e crescere
Stefano Siso Clerici

^ Violenza-“percosse” e “mansuetudine-mitezza”
Due mondi contrapposti, subdoli e nascosti
Andrea Calabrese

^ Amerai il prossimo tuo come te stesso (Mt 22, 39)
Elisa Aliverti

^ Leo, da lupo ad agnello
Miriam Spadaro

^ Creare le condizioni
Piergiorgio Musci

^ Chiara e gli altri
Chiara Succol

^ E se don Bosco non avesse saputo fischiare?
I “Bartolomeo Garelli” di oggi: violenza e mansuetudine negli oratori
Biagio Irene – Alessandro Cutrupi

^ La storia di D., al Centro Diurno
Francesca Banaudi

 

 

Italia – Risultati e prospettive della III Scuola per Delegati ispettoriali per la Pastorale Giovanile Salesiana

Dall’agenzia ANS.

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(ANS – Torino) – Sono terminate mercoledì 18 maggio le attività della III Scuola di Delegati ispettoriali per la Pastorale Giovanile Salesiana. Le sessioni formative, che hanno coinvolto circa 50 Delegati ispettoriali di Pastorale Giovanile provenienti da tutto il mondo, sono state organizzate in moduli teorico-applicativi i cui insegnamenti si sono concentrati intorno ad una pluralità di temi di assoluta rilevanza.

Tali temi sono stati:

1. Visione antropologica e chiavi interpretative del modello educativo pastorale salesiano.

2. Fonte carismatica del modello educativo pastorale salesiano: Il Sistema Preventivo ed il “cuore oratoriano”.

3. La leadership pastorale, lo sviluppo di relazioni interpersonali significative e il fronteggiamento dei conflitti.

4.  Organicità e continuità nella Pastorale Giovanile: dinamiche all’interno di un’Ispettoria, gestione delle commissioni e gruppi in ambito pastorale ispettoriale.

5. Intervento pastorale nelle Comunità Educativo-Pastorali e nei diversi settori della Pastorale Giovanile: criteri di verifica, elementi di significatività e cammino verso una maggiore significatività.

6. Integrazione di competenze personali, relazionali e accompagnamento spirituale nella vita del Delegato.

7. Comprensione della Pastorale del “contagio”, del “vieni e vedrai”, l’animazione vocazionale che narra con il proprio volto raggiante e la propria gioia di vivere ciò che capita ad una persona che offre il suo “sì” al Signore.

8. Implicanze della progettazione nei diversi aspetti dell’esperienza educativa e pastorale (cultura della riflessione, “fermarsi, pensare e agire” per il Progetto Organico Ispettoriale, il Progetto Educativo Pastorale Salesiano Ispettoriale): la decisione pastorale esige che si giunga al concreto della programmazione.

9.  Visita guidata ai luoghi salesiani che hanno visto lo svolgersi della splendida avventura umana e cristiana di Don Bosco: le sue scelte, i valori ispiratori e le sue realizzazioni acquistano così una singolare forza evocativa e pastorale.

10. Promozione dell’ecologia integrale, il valore della musica e della preghiera con i giovani.

“Da queste giornate nascono alcune sfide che siamo chiamati ad affrontare come animatori ispettoriali di Pastorale Giovanile – ha commentato don Miguel Angel García Morcuende, Consigliere Generale per la Pastorale Giovanile –: quella della fiducia, che non ha paura di offrire una proposta coraggiosa, evangelicamente esigente e al tempo stesso profondamente umana; quella della lucidità, che ci aiuta a non perdere il modello salesiano di fare pastorale e tenere fisso lo sguardo su ciò che conta nei diversi momenti storici; quella della convinzione, che la sequela di Cristo vale la pena, e che il dono totale di sé alla causa del Vangelo è qualcosa di stupendo e bello che può dare un senso a tutta una vita”.

È stata un’esperienza salesiana che ha riacceso il senso di appartenenza alla Congregazione, ha risvegliato il desiderio di ravvivare nei confratelli la carità pastorale e una attenzione verso le nuove periferie.

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Inventare il futuro. La testimonianza di Armida Barelli

di Paola Bignardi

La beatificazione di Armida Barelli è un evento di grande significato, in particolare per la Chiesa e per la società italiane. La sua spiritualità, i suoi linguaggi, il suo modo di fare sono quelli tipici del suo tempo, eppure sono percorsi, come linfa sotterranea, da una tensione verso il futuro che molte delle sue scelte hanno indicato e precorso. Penso in particolare a ciò che la Barelli ha fatto per le giovani donne, in un tempo in cui erano semplicemente “angeli del focolare”, con espressione poetica a coprire tante storie di umiliazione, di sfruttamento, di subordinazione.
Con la sua beatificazione, la Chiesa propone un modello cui guardare, in un tempo in cui la promozione della donna nella Chiesa e nella società è un processo tutt’altro che compiuto.

Una vita straordinaria

Armida Barelli nasce a Milano nel 1882, seconda di sei figli. La sua è una famiglia borghese che guarda con sospetto il mondo clericale. Tuttavia Armida frequenta la scuola delle Orsoline e poi il collegio in Svizzera. Qui vive le sue prime esperienze religiose; non una folgorazione ma la scoperta a poco a poco del valore dei passi che conducono verso Dio. E Dio la condusse a scegliere di vivere verginità e apostolato, restando nel mondo.
Profonda è la sua gioia nello scoprire come nella sua vita di laica permaneva la possibilità di una comunione con il Signore: «Mi canta nell’animo l’amore del Signore; in strada dico ogni giorno il Rosario intero e mi pare di essere sola con lui anche in mezzo al frastuono; Dio mi ha investita». Si è colpiti dalla gioia di questa scoperta che è una grande acquisizione per la vita dei laici: la possibilità della comunione con il Signore dentro la vita ordinaria, dentro il frastuono della città, dentro un’esistenza fatta delle cose comuni a tutti, in tram o tra gli impegni, facendo anticamera o incontrando le persone.

Promuovere le donne: la Gioventù Femminile di Azione Cattolica

La grande opera della Barelli fu soprattutto la fondazione della Gioventù Femminile di Azione Cattolica, L’avventura ha inizio nel ’17, quando il card. Ferrari, arcivescovo di Milano, le propone di impegnarsi per incrementare l’associazionismo cattolico ambrosiano, presente in appena quattro parrocchie della città. Armida, in pochi mesi, favorì la nascita di 90 circoli con 5000 iscritte. Dopo l’eco di quei successi Benedetto XV la nominò vicepresidente delle donne cattoliche, con particolare incarico per il settore giovanile: è il 1918. In ogni diocesi nacque la Gioventù Femminile di Azione Cattolica (GF), che riunì oltre un milione di giovani. Esse venivano formate ad una religiosità consapevole e matura che doveva esprimersi in famiglia e nella società.
L’opera di formazione e di alfabetizzazione religiosa compiuta dalla Barelli attraverso la GF fu veramente straordinaria. Si pensi ai catechismi e ai corsi di esercizi spirituali, che coinvolsero un numero imponente di giovani donne in un’esperienza di formazione spirituale che non poteva non lasciare un’impronta. Nel 1936 si iscrissero alla gara di “cultura religiosa” per giovani donne più di 500 mila socie. Nel 1938 “Squilli di risurrezione”, il giornale che arrivava alle socie, raggiunse 1 milione e 119 mila copie che arrivavano nelle case: una cifra sbalorditiva, soprattutto considerando i tempi.
Nel 1928 la Barelli fondò insieme a padre Gemelli l’Opera della Regalità, impegnata nella promozione del movimento liturgico, attraverso iniziative per convegni e ritiri e la diffusione di un opuscolo settimanale che illustrava i testi della messa. La celebrazione eucaristica, infatti, era in latino e la gente non capiva la Parola di Dio e il senso della liturgia: ben prima del Concilio, dunque, Armida promuove la vita liturgica della comunità cristiana attraverso dei sussidi che, settimana dopo settimana, intendevano porre alla portata di tutti la Parola di Dio e il contenuto della liturgia. Ancora una volta un’azione formativa, mossa dalla necessità di una vita cristiana consapevole, che non fosse fideistica e fondata su un volontarismo vuoto, bensì capace di esprimere ragioni prima di tutto davanti a se stessi.
La Barelli si è adoperata moltissimo per portare le donne fuori dalle mura domestiche in un tempo in cui questo non era abituale; per aiutarle a superare un atteggiamento di sottomissione affidando loro una missione ecclesiale e sociale; per favorire l’emancipazione ecclesiale e sociale della donna attraverso la cultura e la responsabilità: due ambiti in cui ancor oggi nella Chiesa le donne più difficilmente riescono ad essere coinvolte.
Si tratta di iniziative che, tutte, parlano di intraprendenza, di coraggio, del gusto di inventare il futuro.

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Valdocco: iniziata la III Scuola di Delegati ispettoriali per la Pastorale Giovanile Salesiana

Il 4 maggio è iniziata una delle proposte fatte nella programmazione del sessennio 2020-2026 del Settore per la Pastorale Giovanile: l’accompagnamento e la qualificazione dei Delegati ispettoriali per la Pastorale Giovanile, alla quale partecipano 46 delegati di tutte le Regioni. Di seguito la notizia riportata dal sito di ANS.

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(ANS – Torino) – Il 4 maggio è iniziata una delle proposte fatte nella programmazione del sessennio 2020-2026 del Settore per la Pastorale Giovanile: l’accompagnamento e la qualificazione dei Delegati ispettoriali per la Pastorale Giovanile. Tre sono gli scopi di questa iniziativa alla quale partecipano 46 delegati di tutte le Regioni. In primo luogo, offrire una visione approfondita del modello educativo-pastorale salesiano, in linea con il “Quadro di Riferimento” per la Pastorale Giovanile Salesiana. Vengono ripresi anche le esperienze o servizi di animazione ed orientamento vocazionale, le strategie e gli interventi educativi riguardanti i giovani e la preghiera, il tema del rapporto giovani, musica e media e, per ultimo, l’ecologia integrale.

In secondo luogo, fornire delle competenze adeguate e abilità chiavi per animare, gestire e coordinare le dinamiche del servizio di animazione pastorale ispettoriale, vale a dire, il rapporto con: l’Ispettore e il suo Consiglio, le comunità e le opere, l’Equipe Ispettoriale di Pastorale Giovanile e le commissioni e gruppi di animazione ispettoriale, la Famiglia Salesiana, la propria “Job description” ed il Settore per la Pastorale Giovanile Salesiana.

Per ultimo, favorire la crescita personale attraverso la riflessione sui vissuti, l’interiorizzazione e la rielaborazione personale delle motivazioni, nel contesto della identità carismatica salesiana a Valdocco. Si lavora dunque sulle attitudini personali, le abitudini personali di lavoro, le buone abitudini per la vita emozionale, la cura della vita spirituale e la cultura della riflessione e della valutazione.

Un’importanza speciale in questi 15 giorni di formazione è data ai momenti di celebrazione, di lettura e di riflessione individuale, di confronto in tavoli di lavoro e di momenti di spiritualità a Valdocco e sui luoghi salesiani.

Nella festa di Domenico Savio, il 6 maggio, don Miguel Angel García Morcuende, Consigliere Generale per la Pastorale Giovanile, ha ricordato:

“San Domenico Savio all’Oratorio di Valdocco si mise a camminare veloce sulla strada che Don Bosco gli tracciò ‘per farsi santo’: non solo con l’impegno nella preghiera e nello studio, facendo del bene agli altri, ma anche con l’allegria. Se la musica ha bisogno della cavità del flauto, le lettere della pagina bianca, la luce del vuoto della finestra, la santità salesiana ha bisogno dell’allegria. La vera santità salesiana consiste nel compiere la volontà di Dio con il sorriso”.

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Convegno Nazionale di PG a Lignano: il programma e i relatori

Dopo due anni, torna l’appuntamento nazionale di PG. Il Convegno si terrà dal 30 maggio al 2 giugno a Lignano Sabbiadoro e avrà come tema La fede nell’imprevedibile.

È disponibile il programma con i relatori (si può scaricare dal pulsante): “Apriremo con un dialogo a tre voci su cosa significhi oggi uscire dal buio nel quale, peraltro, siamo ancora immersi: come se non fosse bastata la pandemia, si sono aperti scenari di guerra tutt’altro che rassicuranti. Continueremo approfondendo il discorso sugli adolescenti, cantiere aperto dalla Chiesa italiana la scorsa estate. Faremo un ulteriore passo intorno al discorso della sinodalità, parola sulla bocca di tutti ma che ha bisogno di essere chiarita. Non tanto a livello teorico e infatti ci affideremo per questo passaggio a dei laboratori pratici. Nella chiusura, come sempre, proveremo a rileggere i nostri passi e a indicare (a partire dalle riflessioni fatte) le strade possibili per un impegno comune”, spiega don Michele Falabretti, responsabile nazionale di Pastorale Giovanile della CEI.

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Bellezza e salvezza

Giuliano Zanchi (Segretario generale della Fondazione Bernareggi di Bergamo e direttore del Museo Bernareggi)

Se dovesse avere un qualche fondamento la convinzione che «la bellezza salverà il mondo», quantomeno nella diffusione forfettaria del suo luogo comune (l’ho visto scritto a lettere cubitali sulla vetrina di una parrucchiera), noi dovremmo sentirci nel migliore dei mondi possibili. Non esiste civiltà quanto quella eretta sui paradigmi dell’attuale occidentali’s karma che abbia tanto innalzato la «bellezza» a precetto performativo di così estesa influenza. La «salvezza» dovrebbe già avere trasfigurato questa terra così animata dai suoi pervasivi standard estetici. Naturalmente i dubbi in merito sono molti.

Oggi tutto deve essere bello, dalle unghie delle signore al manico di un cucchiaino da caffè. La cura della forma ha assunto dignità di conferimento del senso. La nostra civiltà sembra aver reso strutturale e programmatica quella specie di profezia che Nietzsche, un attimo prima di impazzire, ha depositato a futura memoria nei Frammenti postumi: «La verità è brutta: abbiamo l’arte per non perire a causa della verità» (1888, 16[40]6). Il suo significato è immediato e terribile. La condizione umana, a questo portano gli sviluppi dei suoi saperi, è totalmente priva di senso, venendo dal caso e dirigendosi verso il nulla. Possiamo solo accettare di conferirgliene uno modellandoci esteticamente. La verità è brutta, costruiamocene una bella. Sembra il grande comandamento in vigore nella città-mercato postmoderna. Il «profilo» delle nostre soggettività, proprio come accade nei social, scaturisce sempre più dalla somma dei suoi adempimenti estetici, nel look, nel food, nei cult, nei mood, e in tutte le varie forme di life styling promosse dal nostro creativo mercato del benessere.[1] Il design non è più semplicemente una qualità del prodotto industriale, quanto proprio una categoria dell’esistenza. Quella dell’«essere» sembrerebbe una forma indissociabile dalla sua intrinseca necessità di «apparire». Come Jessica Rabbit, ci disegnano così.

Il tratto tirannico di questo primato comincia a rendere palesi i suoi effetti collaterali. Il suo potere ingiuntivo, ancora più dispotico delle vecchie morali di cui ci siamo liberati, anima le molte euforie pubbliche dell’homo cosmeticus ma alimenta anche la frustrazione endemica indotta dagli standard di questo regno della beautitudine. Beati i belli, perché se sei brutto ti tirano le pietre, cantava Antoine nel 1967. Il sottobosco del disagio giovanile e il brusio neotribale dei social traboccano di evidenze circa la ferocia bullistica che si scatena regolarmente, e con la brutalità primaria di un villaggio arcaico, attorno agli inabili, ai mancanti, ai diversi, ai disfunzionali, ai ciccioni, alle bruttine, ai molti «brutti anatroccoli» che tirerebbero un sospiro di sollievo se fosse almeno loro concesso di vivere in solitudine in un angolo dello stagno. Al netto degli stanchi dibattiti che finiscono per far parte dello stesso spettacolo, non sembra che tutto questo abbia ha a che fare con una giustizia dell’essere fatta coincidere, in mancanza d’altro, con la perfezione della forma? Esiste una «bellezza» in nome della quale si colpevolizza senza remissione e in modo più inesorabile dei vecchi scrupoli religiosi. Nella pur asfissiante morale cattolica, se eri peccatore potevi confessarti; nel regno dell’attuale imperativo estetico [2] se sei «brutto» non c’è rimedio. Non esiste assoluzione. Nelle periferie di certe metropoli asiatiche o sudamericane questa sorta di giudizio universale anticipato sulla terra è clamorosamente visibile nella spartizione dantesca di quartieri reciprocamente alieni. Di là il glamour dei prati all’inglese e l’high-tech dell’architettura contemporanea; di qua le baracche, il fango e le fogne a cielo aperto. Una linea sottile divide, già in questo mondo, il paradiso dall’inferno. I segni della «bellezza», intesa come artificiale e ingiuntiva cura della perfezione, sono spesso indici di «sentenze definitive» proclamate nell’aldiquà. «Lasciamo le belle donne agli uomini senza immaginazione» ammoniva già quasi cento anni fa Marcel Proust.

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Lo spessore della bellezza

Introduzione al dossier “Quale bellezza per i giovani?”, di don Rossano Sala.

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L’esperienza della bellezza

Da sempre ho vissuto nel mondo dell’educazione. L’ho conosciuto fin da piccolo, vivendo l’oratorio ambrosiano e la scuola salesiana. Non l’ho mai più abbandonato, né desidero farlo. E se devo dire qualcosa di sintetico su quelle esperienze che mi hanno strutturato il cuore e la mente, posso dire che “andare all’oratorio era bello” e che frequentare la scuola salesiana “è stato davvero bello”. Così come andare in Chiesa per vivere la liturgia era nel suo insieme bello, attraente. Un po’ meno, nei miei ricordi, lo era il catechismo!
Evidentemente dicendo questo non ci si riferisce solamente alla bellezza di un edificio, magari ben progettato e ben mantenuto. Si tratta invece di un giudizio sintetico rispetto ad un’esperienza vissuta, che può avere nell’esteriorità di una struttura un segno tangibile. È una questione complessiva che tiene insieme ascolto e dialogo, affetti e legami, strutture e spazi, tempi e ritmi. Armonia e sinfonia che lasciano un buon sapore e un profumo gradito che mai più si dimenticano e che si riconoscono all’istante, dovunque si ripropongano.
Capita spesso di fare un’esperienza con i ragazzi – un campo-scuola, un pellegrinaggio, una situazione di servizio, un cammino di gruppo – e nel chiedere loro informalmente com’è andata la risposta ha sempre a che fare con la bellezza di un insieme: “È stato bello”, “una bella esperienza”, “mi è piaciuto davvero”. Quando si attesta che un’esperienza ha avuto a che fare con la bellezza si fa una valutazione globale positiva su ciò che si è sperimentato. Che comprende, anche se non è quasi mai tematizzato, istanze forti di verità, bontà, giustizia e santità che la rendono tale.

Avvolti dalla bellezza

Nella sua accezione più ampia la bellezza segnala qualcosa che nel suo insieme è ben riuscito. Non è quindi solo una questione “estetica” nel senso più superficiale del termine. Sarebbe troppo poco, e correrebbe il rischio di essere cosa effimera. Certo, come la verità può cadere nel dispotismo e la bontà regredire nell’interesse proprio, anche la bellezza potrebbe divenire una terribile arma di seduzione, trasformandosi in qualcosa di perfido. Uno specchietto per le allodole che ci fa perdere la vita. Un’attrazione fatale, appunto. Il marketing attuale vive di questo, ne ha fatto una scienza e una tecnica sopraffina in nome del profitto.
Il peso specifico dell’autentica bellezza invece segnala – a partire dalla rivelazione di Dio, come ci ha insegnato nella sua lezione indimenticabile H.U. von Balthasar – che il mistero da cui siamo avvolti è amorevole, e viene ad esprimersi fino alla dedizione totale di sé per la nostra felicità nel tempo e nell’eternità. È una tesi di “ontologia trinitaria” questa – parola difficile che dice una cosa assai semplice: che il Dio unitrino è amore sino alla fine e null’altro, lo è da sempre e lo sarà per sempre – che ci fa bene rispolverare qui.
Bisogna saper riconoscere che la salvezza non viene da una bellezza che seduce, illude e abbandona. Viene invece da una bellezza che si fa dono concreto, capace di pagare in prima persona, che si fa carne e sangue attraverso gesti e parole che illuminano perché ardono. La vita del Signore Gesù è bella e felice perché brucia d’amore, perché è totalmente pro-esistenza, perdita di sé per la vita dell’altro e che per questo diventa pienezza di vita risorta. Espressione dello spirito di quelle beatitudini che egli ha respirato da sempre nel seno del Padre suo.

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Lo sguardo di Dio (nella mia vita)

Da NPG, rubrica I mille volti della carità

di Elena Barbizzi*

“Quando sono arrivata a “Casa Pinardi” partecipavo alla Messa ogni giorno ma rimanevo seduta, con lo sguardo basso. Mi chiedevo dove fosse Dio. È stata dura: i primi tempi sono stati difficili perché c’è stato anche il lockdown. Però io la carità l’ho sperimentata davvero, quando mi sono affidata alla Comunità, mi sono fatta accompagnare. Lì ho visto lo sguardo di Dio nella mia vita”.
Elena è cresciuta in oratorio a Civitanova Marche dove viveva con la mamma e la sorella. Ha fatto un’esperienza missionaria in Egitto, poi in Brasile con le Suore Missionarie di Cristo Risorto. Lì ha sperimentato la prima vita di comunità con tre ragazze conosciute prima di partire. “Siamo state un mese insieme, condividendo la vita e la missione. Però quando sono tornata non volevo proseguire questa esperienza: non trovavo attraente la vita comunitaria per come la vedevo, ho rifiutato diverse opportunità in questo senso, non vedevo nessuna testimonianza che illuminasse”.
Frequentando Macerata, però, qualcosa cambia: Elena va spesso in oratorio per parlare con il direttore dell’epoca, don Flaviano D’Ercoli, e inizia a vedere questi giovani di “Casa Pinardi”. “Alcuni li avevo conosciuti ai campi del Movimento Giovanile Salesiano, altri prima di partire per il Brasile”, racconta. Lì trova uno sguardo attraente, accogliente: “Ho trovato una testimonianza autentica di giovani che vivevano la loro vita senza stravolgerla, ma che semplicemente la condividevano. Non è stato facile lasciare la mia casa, mia mamma, le mie sicurezze. Ci ho pensato molto perché il salto mi sembrava troppo. Però mi sono affidata, e tutto è cambiato”. La frase che più mi iniziava a risuonare era quella di San Paolo nella lettera ai romani al capitolo 8: “Tutto concorre al bene per coloro che amano Dio”. In “Casa Pinardi” vivono otto ragazzi tra i 18 e i 26 anni, condividendo la vita quotidiana e le esperienze formative e di spiritualità. “Noi ci sentiamo parte integrante della casa salesiana. Accolti da una Comunità educativa pastorale e in particolare dai confratelli salesiani, da alcuni membri dell’ADMA e dal sostegno di una Figlia di Maria Ausiliatrice che con noi condividono più da vicino il quotidiano, ci sentiamo coinvolti nella vita pastorale specie nell’attenzione ai giovani e ai ragazzi più poveri. Non nascondo che ci ha aiutato anche imparare a riconoscere quello che l’articolo 55 delle Costituzioni dei Salesiani affida alle comunità e cioè che il Direttore della casa – che oggi è don Francesco Galante – è “Padre, maestro e guida spirituale della comunità”. A nome della comunità tutta è diventato per noi un po’ il punto di riferimento dell’esperienza di vita insieme. Con lui ci confrontiamo mensilmente, facciamo il punto della situazione e impariamo a trovare il nostro posto nella vita della casa”, spiega sottolineando con forza questo aspetto: “Per molti è tanto difficile da accettare, riconoscere una figura alla quale fare riferimento, avvisare quando si esce, se si rientra più tardi. Ma l’affidamento alla Comunità, la fedeltà all’impegno preso ha cambiato la mia vita”.
Vorrei concludere l’articolo con la frase di Giosue 1,9: “Non te l’ho io comandato? Sii forte e coraggioso; non avere paura e non sgomentarti, perché l’Eterno, il tuo Dio, è con te dovunque tu vada”.

* 24 anni, studia Giurisprudenza a Macerata e da tre anni condivide con altri otto ragazzi l’esperienza della vita comunitaria di “Casa Pinardi”, nella casa salesiana di Macerata.

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Diversamente felice. La storia di Federico e il suo sogno di una società inclusiva

Da NPG, rubrica “I mille volti della carità”, la storia di Federico De Rosa.

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Sono una giovane persona autistica di ventotto anni. La mia vita non è stata facile perché da bambino ero totalmente incapace di parlare ed anche di capire e gestire le situazioni che vivevo. Ero molto triste perché il mio mondo era separato dal mondo degli altri.
Ma a otto anni incominciai a scrivere con il computer ed anche per me cominciò così ad aprirsi un canale di comunicazione con gli altri.

A tredici anni riuscii a svolgere il mio primo tema di italiano. La traccia chiedeva cosa avrei fatto da grande. Io scrissi che avrei dedicato la mia vita ad aiutare autistici e non autistici a capirsi. Terminata la scuola superiore, mio padre mi fece notare che scrivevo spesso cose molto profonde e molto belle e che avrei dovuto provare a scrivere un libro. Tramite un mio amico sacerdote, entrammo in contatto con Edizioni San Paolo e con mio grande stupore ad ottobre 2013 ebbi il contratto per il mio primo libro.
Non sapevo parlare ma scrivevo libri. Era fantastico.

Dopo un anno di lavoro, a ottobre 2014, uscì “Quello che non ho mai detto”, il mio primo libro in cui narravo la mia storia ma anche cominciavo già a spiegare come funzionava la mia mente autistica e come fare per entrarci in relazione. Con mio grande stupore, il libro fu un successo ed il primo dicembre 2014 mi ritrovai sul palco di una sala gremita a ritirare un premio letterario, il Premio Montesacro.

Nei mesi seguenti, cominciai a lavorare in Facebook. Le mamme di bimbi autistici mi facevano domande su comportamenti dei loro bimbi che loro trovavano incomprensibili ed io fornivo le risposte. La mia missione intuita scrivendo il mio primo compito in classe a tredici anni, stava prendendo forma. Divenni discretamente famoso e cominciai a girare l’Italia invitato da associazioni e istituzioni come anche fui invitato a diverse trasmissioni televisive. Nel 2016 uscì il mio secondo libro e nel 2020 il terzo. Nel frattempo ho anche cominciato a scrivere stabilmente su alcune riviste e da poco anche sul sito di Repubblica.

Anche con il mio piccolo contributo, spero, in questi anni il mondo dell’autismo è cambiato tanto. Sempre meno siamo visti come malati handicappati da compatire e sempre più come persone neuro diverse da capire ed integrare nella società.
Cosa mi riserva il futuro? Io non lo so e non mi importa. L’importante è continuare a seguire il mio filo rosso: capirsi tra diversi per poter vivere insieme. Insieme veramente.

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