Il filo di Arianna della politica – Propoaganda

di Raffaele Mantegazza

Come parlare 

“Quando il partito dice che il bianco è nero bisogna convincersi che lo è davvero”: che sia una battuta, un aneddoto, una leggenda metropolitana, questa frase è di volta in volta attribuito a demagoghi di destra o di sinistra per mostrare come la propaganda sappia mettere in discussione qualunque verità, ovviamente non dal punto di vista oggettivo ma da quello soggettivo di chi si autoconvince della verità di ciò che viene propagandato.
A rigore ovviamente la propaganda si rivolge a persone adulte, perché ha bisogno comunque di un minimo di base di conoscenza da parte dell’interlocutore. Ma altrettanto ovviamente, più si abbassa il livello culturale di quest’ultimo, più la propaganda diventa becera, rozza, schematica. Forse una visione in bianco e nero del mondo è molto più accettabile da parte di persone semplici e in un effetto circolare disincentiva la loro capacità critiche e la loro ricerca di informazioni verificabili.
In ambito politico però almeno a partire dalla seconda metà del ventesimo secolo la propaganda è stata sostituita o perlomeno affiancata da qualcosa di molto più subdolo: si inizia infatti ben presto, fin dalla più tenera età, a sottoporre i bambini e le bambine a messaggi iper-semplificati, che colpiscono direttamente le emozioni senza permettere una crescita razionale. A rigore non si tratta più nemmeno di propaganda ma di mero condizionamento, che bypassa quasi completamente il livello della coscienza e dello spirito critico. Stiamo dunque parlando di messaggi molto subdoli, che oltretutto conferiscono all’ascoltatore una specie di senso di superiorità. Si è sentito molto spesso dire a proposito del terrapiattismo o della polemica contro i vaccini che solo coloro che predicavano queste pseudo-verità erano i veri saggi, che tutti gli altri erano ignoranti, schiavi del sistema, squalificati nella loro intelligenza per il semplice fatto di non condividere le idee di questa specie di nuovi profeti.
Questo tipo di propaganda, che a rigore non si potrebbe nemmeno definire tale tanto è ancora più pervasiva della propaganda classica, va dunque a sollecitare e solleticare l’amor proprio e il narcisismo di coloro a cui si rivolge. Ed è ovviamente molto difficile di fronte a un discorso che scavalca totalmente la ragione affrontare queste persone con le armi del ragionamento, delle statistiche, delle cifre, delle prove scientifiche.

Come pensare 

Opere analizzate
– Peter Bichsel, “Un tavolo è un tavolo”, da “Storie per bambini”;
– Hans Magnus Enzensberger, “Ulteriori motivi per cui i poeti mentono”, da “La fine del Titanic”;
– Cesar Vallejo, “Un uomo passa”, da “Spagna allontana da me questo calice”.

La propaganda si serve del linguaggio, e lo fa spesso rimanendo all’interno del linguaggio stesso, come se non le importasse nulla della verità delle proprie affermazioni e del rapporto con la realtà.
Il racconto di Bichsel prova a capire cosa accadrebbe a una persona che pensasse davvero che basti cambiare il nome a un oggetto per cambiare l’identità dell’oggetto stesso. Il delirio raccontato dal narratore è interessante perché molto simile ai discorsi della propaganda che appaiono estremamente seducenti quando modificano le parole quotidiane (basti pensare alle strategie di rinominazione operate da tutti i totalitarismi, nei confronti delle parole straniere, dei nomi di città, dei cognomi, ecc.). Bichsel va fino in fondo nell’illusione di un discorso autoreferenziale che alla fine porta alla totale solitudine
La poesia di Enzensberger invece opera un continuo va-e-vieni tra linguaggio e realtà mostrando come il primo ha un senso solo se in qualche modo fa i conti con la durezza della seconda e non ne rifugge; la stessa cosa avviene nella poesia di Vallejo nella quale la povertà, il dolore, la morte si trovano escluse da un discorso filosofico che non ha alcun altro scopo che non sia celebrare se stesso.

Cosa fare 

Oltre a far discutere i ragazzi sui grandi temi della politica sarebbe opportuno anche abituarli a proteggersi dalla demagogia e dalla propaganda a proposito della loro vita quotidiana. Dunque si potrebbe organizzare un ciclo di comizi tenuti da loro nei panni degli insegnanti, dei professori e dei genitori sui temi:
– È possibile una scuola senza voti?
– Le interrogazioni sono l’unico modo per verificare la preparazione?
– Ha ancora senso l’esame di maturità?
– Le note disciplinari sono uno strumento utile?

Matteo Leone, studente universitario dello IULM di Milano, mi segnala che per l’esame di Public speaking vengono assegnati ai ragazzi alcuni temi sui quali strutturare un breve discorso:
– Gli asparagi e l’immortalità dell’anima
– 4 + 4 = 9
– La cura dell’uva
– Perché seppie con piselli

Come provare

Il “debate” è una metodologia molto usata in ambito scolastico. Come è noto si tratta di proporre ai ragazzi alcuni argomenti sui quali operare prima di tutto una ricerca e una riflessione critica, e poi presentare davanti ai compagni di classe o di istituto un dibattito nel quale ogni squadra di ragazzi ha il compito di illustrare le tesi a favore o contro l’argomento scelto. Si tratta sicuramente di una tecnica interessante, ma il limite che personalmente ne vedo è che troppo spesso l’aspetto competitivo ha la meglio sui contenuti, per cui la discussione spesso si riduce a uno sfoggio di mezzi sofisticati dal punto di vista dialettico ma non a un reale approfondimento. Occorrerebbe in realtà far riflettere i ragazzi sulle procedure utilizzate per arrivare a proporre un discorso e sulle strategie comunicative utilizzate senza necessariamente procedere alla fine a proclamare un vincitore.
Inoltre le regole del gioco prevedono che l’assegnazione delle posizioni pro o contro il tema ai gruppi di ragazzi sia fatta per sorteggio. Se le ragioni di questa scelta hanno un senso (cioè chiedere ai giovani di provare a mettersi nei panni dell’altro) occorre essere molto cauti soprattutto con i ragazzi più giovani proprio perché, come detto sopra, questa operazione può ridursi semplicemente a una ricerca di strategie dialettiche e sofistiche. Forse sarebbe meglio partire dalle reali opinioni dei ragazzi e solo successivamente, dopo aver testato questo metodo, passare alla richiesta di cercare motivazioni per l’idea opposta alla propria.

Cosa domandarsi 

I ragazzi sono esposti alla logica della propaganda soprattutto nelle sue versioni più subdole e sottili, ma sono anche a volte in grado di raccogliere e criticare informazioni vere e autentiche. Occorre che gli adulti si pongano qualche domanda in proposito:
– Quali sono le principali fonti di informazione alle quali accedono i giovani?
– Cosa significa per loro che una informazione è “vera”?
– Quali sono le strategie di verifica delle informazioni che essi usano?
– Qual è la differenza tra una notizia vera e una notizia popolare?
– Qual è il tasso di penetrazione dell’atteggiamento misterico e narcisistico di posizioni come quelle dei terrapiattisti secondo i quali solo chi crede nelle loro affermazioni è saggio e dunque non c’è bisogno di alcuna dimostrazione?
– Qual è il lavoro di rielaborazione critica di una informazione compiuto dai ragazzi prima di comunicarla ad altri?
– Come le risposte alle domande di cui sopra mutano (o meno) a seconda del mutare dello strumento di accesso alle informazioni (fonti orali, fonti cartacee, digitale, ecc.)?
– …

 

Educare i giovani alla pace, l’esperienza della cittadella internazionale “Rondine”

Da Note di Pastorale Giovanile, di Marcello Scarpa.

***

Dopo due anni di pandemia, quando le difficoltà sanitarie, economiche, sociali sembravano lasciare il posto a un futuro di speranza, la guerra scoppiata in Ucraina ha riportato indietro le lancette della storia di settant’anni,[1] ai tempi della cortina di ferro e della guerra fredda. Le immagini dei combattimenti che quotidianamente inondano le nostre case hanno reso evidente che il sistema di democrazia occidentale non è sufficiente a garantire la pace nel mondo; il benessere economico non basta ad arginare le ondate del male, perché il male non è al di fuori dell’uomo, ma può prendere drammaticamente dimora dentro di lui, fino a portarlo alla distruzione di sé, oltre che dei suoi simili.
Qual è l’origine del male? La guerra attuale è frutto di una sola mente desiderosa di ricostruire il grande impero degli zar, oppure è un’operazione militare portata avanti dai russi per evitare di ritrovarsi circondati dagli armamenti della coalizione atlantica? Non è nostra intenzione limitarci allo studio di un singolo episodio, seppur drammaticamente attuale, analizzando le motivazioni dell’una e dell’altra parte, né di offrire criteri o soluzioni per il conseguimento di una pace durevole. Piuttosto, vogliamo allargare l’orizzonte chiedendoci: è possibile prevenire la violenza? È possibile sanare dal di dentro le ferite della guerra, perché non siano il punto di partenza per l’innesco di ulteriori conflitti?
In questa sede, ci lasciamo prendere per mano dall’esperienza messa in atto nella cittadella internazionale di Rondine dove un gruppo di giovani, provenienti da paesi in guerra fra di loro, vivono, studiano e progettano insieme un futuro di riconciliazione, dapprima con se stessi, poi con il “nemico”, infine con l’umanità intera.

Rondine, cittadella della pace

L’antico borgo medievale di Rondine, piccola frazione del comune di Arezzo, sorge sulla riva destra del fiume Arno ed è immerso nella Riserva naturale di Ponte Buriano, il ponte dipinto da Leonardo da Vinci alle spalle di Monna Lisa.[2] Con il passare degli anni la cittadella, che nel passato era stata una fortezza militare, si era svuotata e alla fine della seconda guerra mondiale versava in stato di incuria ed abbandono. Nel 1976 un gruppo di giovani, fra cui Franco Vaccari,[3] ispirandosi alla pedagogia educativa di don Lorenzo Milani, ai movimenti pacifisti internazionali, alle nuove esperienze di vita comunitaria nate nel postconcilio, all’impegno civile di Giorgio La Pira,[4] iniziarono a restaurare l’antico borgo che, poco alla volta, da avamposto bellico fu trasformato in un centro di formazione internazionale per la pace.

Nel 1988, dopo i primi anni di volontariato trascorsi vivendo i valori dell’ospitalità e del dialogo, Franco Vaccari e il gruppo dei fondatori di Rondine, nonostante non avessero nessuna esperienza nel campo diplomatico e della risoluzione dei conflitti, inviarono una lettera a Raissa Gorbaciova con l’obiettivo di superare la logica della contrapposizione della guerra fredda e di aprire un canale di comunicazione con l’Unione Sovietica. Inaspettatamente, la first lady accolse la loro proposta e li invitò a Mosca, dando così avvio a una serie di incontri bilaterali sul tema della pace. Nel 1995, anno segnato dalla guerra di Cecenia, i fondatori di Rondine furono invitati nella capitale russa per cercare una tregua al conflitto, ma la loro opera di mediazione non ebbe successo.[5] Sulla scia del credito di fiducia che si erano guadagnati nelle trattative di pace, una sera di fine estate del 1997, al termine del primo conflitto armato in Cecenia, il rettore dell’Università di Groznyj, Mukadi Izrailov, telefonò a Franco Vaccari chiedendo di ospitare a Rondine tre giovani ceceni perché potessero completare gli studi interrotti a causa della guerra. Ispirato dal pensiero di La Pira, Vaccari rispose spontaneamente: «Sì, se accettano di venire insieme ai russi»; la replica del Rettore fu immediata: «Ah, noi non abbiamo problemi! Se riuscite a trovare un russo che dorma in camera con un ceceno».[6] Una volta fatto il primo passo, nel giro di poche settimane i russi trovarono due giovani disposti a dormire in camera con dei ceceni; in tal modo, salendo su due normali aerei di linea, cinque giovani universitari iniziarono il loro viaggio verso Rondine con lo scopo di «vivere insieme, dormire insieme, studiare insieme, mangiare insieme, dialogare insieme»,[7] con quelli che fino al giorno precedente erano i loro nemici.

[1] Su questa linea, le parole del Presidente della Repubblica italiana, Sergio Mattarella: «Non possiamo accettare che la follia della guerra distrugga quello che i popoli d’Europa sono stati capaci di costruire e realizzare in questi sette decenni in termini di collaborazione, di pace, di ricerca di obiettivi comuni nel nome dell’umanità»: https: // www .adn kronos.com /ucraina-russia-mattarella-follia-guerra-non-puo-distruggere-70-anni-di pace_20dUcOoo7 DowOPAcf4Hrr (consultato il 4/5/2022); per un diverso parere, cfr. F. Ganeo, L’unione europea ha davvero garantito 70 anni di pace? No, nemmeno in Europa, in: https://www.ilprimatonazionale.it/esteri/unione-europea-70-anni-pace-nemmeno-europa-183159
(consultato il 4/5/2022).
[2] Per la storia di Rondine e i suoi progetti, attuali e futuri, cfr. https://rondine.org
[3] Psicologo, direttore del Nuovo Laboratorio di psicologia ad Arezzo e docente di Psicologia, è autore di numerosi articoli su quotidiani e riviste; fra i volumi segnaliamo: F. Vaccari, Portici. Politica vecchia, nuova passione, Ave, Roma 2007; Idem, S-confinamenti, Pazzini, Villa Verrucchio (Rn) 2018; Idem, stoRYcycle, Pazzini, Villa Verrucchio (Rn) 2018; Idem, L’approccio relazionale al conflitto. Quattro lezioni sul Metodo Rondine, Franco Angeli, Milano 2021.
[4] Cfr. Idem, Il diritto a parole di pace, in: L. Alici (ed.), Dentro il conflitto, oltre il nemico. Il “metodo Rondine”, Il Mulino, Bologna 2018, 34-35.
[5] Sul fallimento delle trattative, cfr. F. Vaccari, Il Metodo Rondine. Trasformazione creativa dei conflitti, Pazzini, Villa Verrucchio (Rn) 2018, 21-24.
[6] Idem, Il diritto a parole di pace, in: L. Alici (ed.), Dentro il conflitto, oltre il nemico. Il “metodo Rondine”, Il Mulino, Bologna 2018, 34.
[7] Ibidem, 36.

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Il sogno della pace. La GMG di Lisbona, profezia di fraternità universale

Dalla newsletter di Note di Pastorale Giovanile di novembre.

***

di don Rossano Sala

Un nuovo inizio

La Giornata Mondiale della Gioventù di Lisbona ha segnato una vera e propria ripartenza dopo la drammatica esperienza della pandemia. Si respirava una certa tensione ecclesiale rispetto alla riuscita di questo incontro mondiale. Gli organizzatori erano realmente preoccupati. Alcuni pensavano che dopo la pandemia sarebbe finito il tempo dei grandi raduni internazionali, altri invece immaginavano una presenza molto ridotta di giovani. La Chiesa invece ha scommesso di nuovo sui giovani e ancora una volta ha avuto ragione! E dopo questo evento l’aria è finalmente cambiata, come ha ben commentato papa Francesco qualche giorno dopo il termine degli eventi:

Questa GMG di Lisbona, venuta dopo la pandemia, è stata sentita da tutti come dono di Dio che ha rimesso in movimento i cuori e i passi dei giovani, tanti giovani da tutte le parti del mondo – tanti! – per andare a incontrarsi e incontrare Gesù.
La pandemia, lo sappiamo bene, ha inciso pesantemente sui comportamenti sociali: l’isolamento è degenerato spesso in chiusura, e i giovani ne hanno risentito in modo particolare. Con questa Giornata Mondiale della Gioventù, Dio ha dato una “spinta” in senso contrario: essa ha segnato un nuovo inizio del grande pellegrinaggio dei giovani attraverso i continenti, nel nome di Gesù Cristo. E non è un caso che sia accaduto a Lisbona, una città affacciata sull’oceano, città-simbolo delle grandi esplorazioni via mare[1].

Un nuovo inizio, dunque, che ha invertito la rotta. Speriamo che lo sia anche per la pastorale giovanile e la Chiesa in Italia. Non è poco aver accompagnato 65.000 giovani italiani a Lisbona. Significa aver messo da parte un certo “tesoretto” da far ora fruttificare nella vita quotidiana, nei nostri ambienti ecclesiali e nella società tutta. Si può ripartire prendendo sul serio il “mandato” che Francesco ha consegnato a tutti i giovani nel giorno della trasfigurazione del Signore, ultimo della GMG di Lisbona:

«Signore, è bello per noi essere qui!» (Mt 17,4). Queste parole, che disse l’apostolo Pietro a Gesù sul monte della Trasfigurazione, vogliamo farle anche nostre dopo questi giorni intensi. È bello quanto stiamo sperimentando con Gesù, ciò che abbiamo vissuto insieme, ed è bello come abbiamo pregato, con tanta gioia del cuore. Allora possiamo chiederci: cosa portiamo con noi ritornando alla vita quotidiana?
La prima: brillare. Gesù si trasfigura. Il Vangelo dice: «Il suo volto brillò come il sole» (Mt 17,2). […] Il nostro Dio illumina. Illumina il nostro sguardo, illumina il nostro cuore, illumina la nostra mente, illumina il nostro desiderio di fare qualcosa nella vita. Sempre con la luce del Signore.
Il secondo verbo è ascoltare. Sul monte, una nube luminosa copre i discepoli. E questa nube, dalla quale parla il Padre, che cosa dice? «Ascoltatelo», «questi è il Figlio mio prediletto, ascoltatelo» (Mt 17,5). È tutto qui: tutto quello che c’è da fare nella vita sta in questa parola: ascoltatelo. Ascoltare Gesù. Tutto il segreto sta qui. Ascolta che cosa ti dice Gesù.
Brillare è la prima parola, siate luminosi; ascoltare, per non sbagliare strada; e infine la terza parola: non avere paura. Non abbiate paura. Una parola che nella Bibbia si ripete tanto, nei Vangeli: “non abbiate paura”. Queste furono le ultime parole che nel momento della Trasfigurazione Gesù disse ai discepoli: «Non temete» (Mt 17,7)[2].

Brillare, ascoltare e non avere paura. Un piccolo ma prezioso programma non solo per tutti i giovani, ma per la Chiesa nel suo insieme. Diventa un compito chiaro, un manifesto da prendere sul serio, una prospettiva attorno a cui creare coinvolgimento e corresponsabilità tra giovani e adulti.

Un messaggio chiaro

Per chi ha vissuto una delle tante GMG degli ultimi decenni, sa che questo evento è un’esperienza di fratellanza universale più unica che rara. Effettivamente trovare tante nazionalità così diverse che vivono insieme in un clima di festa e di comunione è praticamente quasi impossibile. La GMG è un’esperienza di pace universale, un momento magico in cui si prende atto che la convivenza pacifica dei popoli è una possibilità reale. Effettivamente,

mentre in Ucraina e in altri luoghi del mondo si combatte, e mentre in certe sale nascoste si pianifica la guerra – è brutto questo, si pianifica la guerra! –, la GMG ha mostrato a tutti che è possibile un altro mondo: un mondo di fratelli e sorelle, dove le bandiere di tutti i popoli sventolano insieme, una accanto all’altra, senza odio, senza paura, senza chiusure, senza armi! Il messaggio dei giovani è stato chiaro: lo ascolteranno i “grandi della terra”? Mi domando, ascolteranno questo entusiasmo giovanile che vuole pace? È una parabola per il nostro tempo, e ancora oggi Gesù dice: “Chi ha orecchie, ascolti! Chi ha occhi, guardi!”. Speriamo che tutto il mondo ascolti questa Giornata della Gioventù e guardi questa bellezza dei giovani andando avanti[3].

I giovani desiderano la pace. Lo hanno detto chiaramente con la loro presenza pacifica e gioiosa per tutti i giorni della GMG. Lo ribadiscono continuamente quando si parla con loro e quando è data loro con serietà la parola.
Lisbona, è stato detto varie volte durante i giovani della GMG, è una città che per sua natura è legata alla ricerca della pace e all’unione tra i popoli. Durante l’incontro con le autorità, con la società civile e con il corpo diplomatico Francesco è stato oltremodo esplicito e diretto sull’argomento della guerra e della pace. Direi perfino provocatorio e profetico. Conviene risentire alcuni passaggi per intero:

Lisbona può suggerire un cambio di passo. Qui nel 2007 è stato firmato l’omonimo Trattato di riforma dell’Unione Europea. Esso afferma che «l’Unione si prefigge di promuovere la pace, i suoi valori e il benessere dei suoi popoli» (Trattato di Lisbona che modifica il Trattato sull’Unione Europea e il Trattato che istituisce la Comunità europea, art. 1,4/2.1); ma va oltre, asserendo che «nelle relazioni con il resto del mondo […] contribuisce alla pace, alla sicurezza, allo sviluppo sostenibile della Terra, alla solidarietà e al rispetto reciproco tra i popoli, al commercio libero ed equo, all’eliminazione della povertà e alla tutela dei diritti umani» (art. 1,4/2.5).
Nell’oceano della storia, stiamo navigando in un frangente tempestoso e si avverte la mancanza di rotte coraggiose di pace. Guardando con accorato affetto all’Europa, nello spirito di dialogo che la caratterizza, verrebbe da chiederle: verso dove navighi, se non offri percorsi di pace, vie creative per porre fine alla guerra in Ucraina e ai tanti conflitti che insanguinano il mondo? E ancora, allargando il campo: quale rotta segui, Occidente? La tua tecnologia, che ha segnato il progresso e globalizzato il mondo, da sola non basta; tanto meno bastano le armi più sofisticate, che non rappresentano investimenti per il futuro, ma impoverimenti del vero capitale umano, quello dell’educazione, della sanità, dello stato sociale.
Lisbona, abbracciata dall’oceano, ci dà però motivo di sperare, è città della speranza. Un oceano di giovani si sta riversando in quest’accogliente città; e io vorrei ringraziare per il grande lavoro e il generoso impegno profusi dal Portogallo per ospitare un evento così complesso da gestire, ma fecondo di speranza. Come si dice da queste parti: «Accanto ai giovani, uno non invecchia». Giovani provenienti da tutto il mondo, che coltivano i desideri dell’unità, della pace e della fraternità, giovani che sognano ci provocano a realizzare i loro sogni di bene. Non sono nelle strade a gridare rabbia, ma a condividere la speranza del Vangelo, la speranza della vita.
Com’è bello riscoprirci fratelli e sorelle, lavorare per il bene comune lasciando alle spalle contrasti e diversità di vedute! Anche qui ci sono d’esempio i giovani che, con il loro grido di pace e la loro voglia di vita, ci portano ad abbattere i rigidi steccati di appartenenza eretti in nome di opinioni e credo diversi[4].

Un grande monito per il mondo degli adulti e dei politici dell’Europa e dell’Occidente a prendere sul serio ciò che dicono a parole e che poi raramente si concretizza nei fatti. Speriamo che non sia inascoltato, ma inneschi un percorso serio e consapevole che ci faccia cambiare rotta.

Dall’agonia al parto

Incontrando i giovani universitari presso l’Università cattolica del Portogallo Francesco ha chiesto di non pensare a questo tempo come a qualcosa di bloccato e incontrovertibile, come fosse legato ad un ineludibile destino di violenza, guerra e morte. Ha chiesto addirittura di interpretare i tempi difficili che stiamo vivendo in modo diverso. Non come percorso a senso unico, ma come sofferenza che potrà dare nuova vita al mondo. Pensiero ardito, il suo:

Amici, permettetemi di dirvi: cercate e rischiate, cercate e rischiate. In questo frangente storico le sfide sono enormi, gemiti dolorosi. Stiamo vedendo una terza guerra mondiale a pezzi. Ma abbracciamo il rischio di pensare che non siamo in un’agonia, bensì in un parto; non alla fine, ma all’inizio di un grande spettacolo. Ci vuole coraggio per pensare questo. Siate dunque protagonisti di una “nuova coreografia” che metta al centro la persona umana, siate coreografi della danza della vita[5].

Viene ripreso in filigrana il pensiero di Gesù nel vangelo di Giovanni, quando afferma che la vita nuova passa attraverso la sofferenza, come nel parto:

La donna, quando partorisce, è nel dolore, perché è venuta la sua ora; ma, quando ha dato alla luce il bambino, non si ricorda più della sofferenza, per la gioia che è venuto al mondo un uomo. Così anche voi, ora, siete nel dolore; ma vi vedrò di nuovo e il vostro cuore si rallegrerà e nessuno potrà togliervi la vostra gioia[6].

Gesù parla della croce, della sua sofferenza offerta per la vita del mondo, come di un parto che dona vita piena al mondo nuovo che si sta affacciando. Proprio nel momento massimo dello sconforto offre ai discepoli una diversa interpretazione della sua morte. È un ribaltamento a cui non sono ancora pronti, ma a cui dovranno aderire, riconoscendo come la più grande catastrofe della storia diventerà radice di una pace e di una gioia che non avranno confini, perché «egli è la nostra pace, colui che di due ha fatto una cosa sola, abbattendo il muro di separazione che li divideva, cioè l’inimicizia, per mezzo della sua carne»[7].
Con questo spirito costruttivo Francesco sfida i giovani: «Abbiate perciò il coraggio di sostituire le paure coi sogni. Sostituite le paure coi sogni: non siate amministratori di paure, ma imprenditori di sogni!»[8]. Certo, perché dove i discepoli erano certi che tutto era andato perduto, Gesù dirà che tutto è stato compiuto: la sua morte sarà fonte di vita piena e abbondante per tutti, nessuno escluso.
Se ci pensiamo bene, il primo “imprenditore di sogni” è proprio Francesco, che ancora una volta ci stupisce per la giovinezza del suo pensiero e della sua proposta. Proprio nel momento conclusivo della GMG ci consegna con commozione il suo grande sogno per questo mondo tanto amato da Dio e tanto lacerato dagli uomini:

In particolare, accompagniamo con l’affetto e la preghiera coloro che non sono potuti venire a causa di conflitti e di guerre. Nel mondo sono tante le guerre, sono molti i conflitti. Pensando a questo continente, provo grande dolore per la cara Ucraina, che continua a soffrire molto. Amici, permettete anche a me, ormai vecchio, di condividere con voi giovani un sogno che porto dentro: è il sogno della pace, il sogno di giovani che pregano per la pace, vivono in pace e costruiscono un avvenire di pace. Attraverso l’Angelus mettiamo nelle mani di Maria, Regina della pace, il futuro dell’umanità.
E, tornando a casa, continuate a pregare per la pace. Voi siete un segno di pace per il mondo, una testimonianza di come le diverse nazionalità, le lingue, le storie possono unire anziché dividere. Siete speranza di un mondo diverso. Grazie di questo. Avanti![9]

Si sogna la pace, si prega per la pace. Proprio in Portogallo, dove la Madonna è apparsa a tre piccoli pastorelli rivelando misteri di guerra e di pace nel mondo moderno e contemporaneo. Mai come oggi il messaggio e le profezie di Fatima è così attuale.
Proprio lì, in questo piccolo e periferico borgo ai confini dell’Europa, nel silenzio adorante e nella preghiera perseverante, il successore di Pietro ha chiesto con insistenza il dono della pace: «Ho pregato, ho pregato. Ho pregato la Madonna e ho pregato per la pace. Non ho fatto pubblicità. Ma ho pregato. E dobbiamo continuamente ripetere questa preghiera per la pace. Lei nella prima guerra mondiale aveva chiesto questo. E io questa volta l’ho chiesto alla Madonna. E ho pregato. Non ho fatto pubblicità»[10].

I diversi testi legati al tema della pace citati sopra e ripresi dalla recente Giornata Mondiale della Gioventù di Lisbona ci sembrano un’ottima introduzione all’articolato e ricco Dossier che segue, dove in molti modi vengono declinati i linguaggi e le pratiche della pace, che così appaiono possibili e realizzabili. Esso vuole essere una grande spinta a diventare in ogni occasione degli operatori di pace nel proprio contesto di azione civile ed ecclesiale, così da essere riconosciuti come amici e familiari di Dio: «Beati gli operatori di pace, perché saranno chiamati figli di Dio»[11]. Che il sogno della pace diventi sempre più una realtà concreta e sperimentabile per tutti i giovani, nessuno escluso. E per tutta la Chiesa e la società. Il mondo ne ha davvero bisogno, soprattutto in questo tempo.
Un grande ringraziamento per la tessitura del presente Dossier va a Renato Cursi, da anni membro attivo e propositivo della redazione di NPG, che con competenza ed eleganza sempre accompagna la nostra rivista in molti modi apprezzati dai lettori. La sua esperienza salesiana internazionale, oltre che la sua competenza specifica nell’ambito delle istituzioni di pace, ne fanno una vera ricchezza per noi tutti. Il suo lavoro quotidiano all’interno del mondo sociale in ottica salesiana rimane una garanzia di concretezza e sensibilità per i giovani, soprattutto per i più poveri e abbandonati.

NOTE

[1] Francesco, Udienza generale del 9 agosto 2023.
[2] Francesco, Omelia del 6 agosto 2023.
[3] Francesco, Udienza generale del 9 agosto 2023.
[4] Francesco, Discorso alle autorità, alla società civile e al corpo diplomatico del 2 agosto 2023.
[5] Francesco, Incontro con i giovani universitari, 3 agosto 2023.
[6] Gv 16,21-22.
[7] Ef 2,14.
[8] Francesco, Incontro con i giovani universitari, 3 agosto 2023.
[9] Francesco, Angelus del 6 agosto 2023.
[10] Francesco, Conferenza stampa del santo padre durante il volo di ritorno del 6 agosto 2023.
[11] Mt 5,9.

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A 14 anni ormai sei grande…

Da Note di Pastorale Giovanile, dalla rubrica “Ritratti di adolescenti”, a cura dei giovani del MGS.

***

di Silvia Moretti*

14 anni. Ormai sei grande. Puoi scegliere che scuola fare, quali amici frequentare, quale sport praticare. Se continuare a trascorrere i tuoi pomeriggi tra le attività della parrocchia e dell’oratorio oppure no.
La storia di Laura (nome di fantasia) è simile a quella di molti altri ragazzi che come lei popolano le nostre case salesiane: cresciuta in una famiglia di fede, ha frequentato per volere di mamma e papà il catechismo fino a ricevere il sacramento della Cresima e ora si trova di fronte al bivio di fare proprio il cammino che fino ad ora i suoi genitori hanno scelto per lei. Nel suo caso però la scelta da fare è resa un po’ più difficile dal fatto che nella parrocchia in cui è sempre andata insieme a mamma e papà non c’è più niente per i ragazzi della sua età. Nessun gruppo, nessuna proposta stimolante per una ragazza piena di energia come lei. Che fare? Certo, lei ha piacere ad andare a Messa, ma anche volendo provare qualcosa di nuovo, la sua comunità non ha molto da offrirle.
A 14 ormai sei grande, ma ancora è presto per fare scelte importanti senza il condizionamento dei pari. Per fortuna (o grazie a Dio!) Laura ha un cugino che frequenta l’oratorio dei salesiani. “È un bel posto, ci divertiamo, ti fai tanti amici”. Anche la zia, catechista frizzante, spinge per il coinvolgimento di Laura nelle attività dell’oratorio. La giovane si lascia convincere dalle parole dei suoi cari e si butta in questa nuova avventura.
I nuovi inizi però non sono sempre tutto rose e fiori. I nostri ambienti sanno essere tanto belli e tanto attraenti per chi arriva da fuori ma anche tanto “esclusivi”, quando non escludenti. Laura non molla, non è una che si arrende facilmente. A darle forza sicuramente è stato l’intervento di un salesiano, che con cura le si è fatto vicino; più di tutto, a infonderle coraggio è stato il fatto che l’ingresso in oratorio abbia risvegliato un desiderio che custodiva già nel cuore e che aveva solo bisogno di essere attivato: il desiderio di essere utile, di dare una mano, di mettersi al servizio. Non c’è niente che dia più gioia a Laura dello stare con i bambini. La prima Estate Ragazzi poi diventa per lei l’esperienza più intensa e significativa che abbia mai fatto nella sua giovane vita. Come è possibile che tutta la stanchezza – si chiede – si azzeri di fronte all’abbraccio di un bimbo? Come è possibile che nessuno le avesse mai raccontato di questo santo straordinario, don Bosco, che aveva scommesso tutta la sua vita sui ragazzi, soprattutto quelli più in difficoltà? Visto da fuori, l’entusiasmo di Laura è quasi commovente. Per chi orbita attorno agli ambienti salesiani da tanti anni, osservare lo stupore e l’emozione di chi, approcciandosi all’oratorio per la prima volta, sente veramente di aver trovato una nuova casa, è come respirare l’aria pura e fresca di montagna; permette di ricordare che davvero la missione di don Bosco per le strade delle nostre città non è ancora esaurita ma anzi, fiorisce rigogliosa.
Laura per tanti versi è fortunata, ma come i giovani di tutti i tempi vive le difficoltà della sua età. I ragazzi sono così: schietti, diretti. La loro intrinseca spontaneità a volte li rende letali. Per Laura il confronto con il nuovo gruppo non è sempre facile. Desidera essere profondamente se stessa, e allo stesso tempo questo rischia di escluderla dal gruppo. Certo, nessuno pensa che Laura sia antipatica, che non sia una ok. Però è pur sempre una nuova, e rompere la bolla può essere difficilissimo. Nell’età delle superiori si fanno ordinariamente esperienze che creano legami fortissimi tra i ragazzi. Il fatto per Laura di non aver ancora potuto prendere parte a nessuno di questi eventi con i suoi nuovi compagni di cammino la fa sentire un po’ tagliata fuori da quell’energia potentissima che gli adolescenti generano quando sono in gruppo.
Laura non molla, non è una che si arrende facilmente. Senza saperlo, Laura inizia ad essere circondata da angeli custodi, come voleva don Bosco, animatori più grandi di lei e consacrati, i quali la accompagnano nel cammino e la aiutano, passo dopo passo, a rompere la bolla. Il suo desiderio di crescita è autentico, la sua voglia di mettersi in gioco e di guardarsi dentro con profondità fanno il resto.
Laura adesso è proprio una brava animatrice, proprio come piacerebbe a don Bosco e sulla scia di tanti che in questa “vocazione” hanno riempito di senso e bellezza la loro vita. Presente, disponibile, gioiosa, fedele. Autentica, credibile e credente.

* 26 anni, genovese, laureata in Filosofia e in Antropologia Culturale ed Etnologia. Animatrice presso l’oratorio salesiano di Genova Sampierdarena.

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Dalle fatiche personali alla scelta dell’educazione: la storia di Elisa

Dalla rubrica “Ritratti di adolescenti” di Note di Pastorale Giovanile.

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di Matteo Guernieri *

L’incontro

Tra le varie storie che si intrecciano nel cortile dell’Oratorio Sacro Cuore di Bologna, desidero raccontare quella di Elisa, una ragazza di 19 anni, residente a Castel Maggiore, nella provincia bolognese.
Il nostro primo incontro è stato in Oratorio nell’estate del 2021, al suo primo anno di animazione, mentre io esordivo come educatore. Col tempo, grazie a fraterni confronti ed esperienze condivise è nata una sincera amicizia che dura tuttora.
Elisa è una ragazza estroversa, introspettiva, testarda, responsabile, sensibile e generosa.
Ho scelto di condividere questo volto, perché la sua vita ha fatto, prima di tutto, molto bene a me.
È l’avventura di una ragazza che ha deciso per davvero di fidarsi di don Bosco, a piccoli passi, confidandosi e spendendosi nelle quotidiane responsabilità che le affidavano i salesiani e i suoi educatori. Questa fiducia le ha permesso di crescere, maturare, mettersi in gioco, riscoprirsi e conoscere i suoi talenti e i suoi desideri più profondi, tra cui quello di mettersi al servizio dei più piccoli.

La crescita

Elisa ha incontrato per la prima volta i salesiani alla scuola media Beata Vergine di San Luca. I suoi genitori reputavano la scuola salesiana più facile e quindi adatta a loro figlia. Secondo loro, infatti, “si impegnava poco”.
Di quel periodo conserva un dolce ricordo dovuto specialmente ai professori.
«Inizialmente mi sentivo spaesata, era un ambiente inclusivo ed espansivo, totalmente diverso da quello delle elementari e da quello che respiravo a casa. Gli insegnanti e i salesiani si interessavano di noi, come amici». Con tenerezza rammenta la sua maestra di matematica, dalla quale si sentiva presa a cuore, aiutata e voluta bene, nonostante non riuscisse ad ottenere un buon rendimento.
Le attività a cui ha preso parte hanno aiutato a far emergere il suo carattere estroverso e intraprendente. Divenne presto un punto di riferimento per i più piccoli. Concluse il suo ultimo giorno di scuola con un lungo pianto finale: «Mi ero trovata finalmente bene»

In cerca di autonomia

Elisa descrive i suoi genitori come figure assenti, molto impegnate e distaccate. Fin da piccola si ritrova da sola a casa per interminabili pomeriggi e sente i suoi genitori poco interessati alla sua vita e alle sue passioni. Questo la spinge a diventare presto autonoma e maturare.
Elisa percepiva una certa preferenza nei confronti di suo fratello maggiore, che rese ostile il clima a casa.
In aggiunta, avvertiva le aspettative da parte di sua mamma riguardo al suo fisico. Essere magra era per lei sinonimo di bellezza. Per la sua salute, l’ha disincentivata a proseguire tennis, nonostante Elisa ne fosse appassionata, e l’ha sollecitata a registrarsi in palestra.
Si preoccupò di metterla a dieta, portandola da una nutrizionista. Elisa acconsentì per non deluderla. Esordirono così i primi disturbi legati al cibo.
Sua mamma era convinta di sapere il suo vero bene, senza cercare un confronto sincero con sua figlia. Elisa nel corso delle superiori percepisce sempre più il desiderio di evadere da casa e ogni attività salesiana era per lei una via di fuga.

I tormenti dell’adolescenza

Il primo anno di superiori è stato molto tormentato. Si registrò all’indirizzo di “scienze umane” di una scuola pubblica nella quale è resistita solo 6 mesi. Le sue compagne di classe, infatti, la prendevano di mira perché non era come loro: non fumava, non le piaceva andare in discoteca, vestirsi firmata… Il clima di competizione ha fatto insorgere seri problemi di ansia legati allo studio e al gruppo di amici.
Desiderosa solo di scappare, i suoi genitori le fecero intraprendere l’indirizzo economico, lo stesso che aveva conseguito sua mamma, benché non fosse minimamente incline ai suoi interessi. Negli anni, con dedizione è riuscita a migliorare il suo rendimento scolastico e a “guadagnarsi” l’amicizia dei suoi nuovi compagni di classe. Difatti, non erano amicizie veritiere, ma legate all’apparenza e ai favori.
In terza superiore, le viene proposto da una sua amica d’infanzia, Ilaria, di fare l’animatrice nell’Oratorio Salesiano Sacro Cuore. Proprio in quel periodo, grazie all’esperienza dello scoutismo, Elisa stava maturando il desiderio di dedicarsi ai più piccoli.
Nei giorni di preparazione scopre a malincuore che Ilaria aveva invitato anche il suo fidanzato. Nella prima settimana, la coppia era inseparabile ed Elisa non riusciva ad avere un momento da sola con la sua amica, come sperava. Vedendola piangere e rattristata sui gradini dell’Oratorio, molti animatori le si avvicinavano per consolarla e cercavano di coinvolgerla. Rimaneva stupefatta della loro genuina e gratuita accoglienza.
Nel cortile leggeva la possibilità di coltivare amicizie autentiche, libere e liberanti. Una promessa che mancava nella sua compagnia di paese e nella sua classe.
Animata da questa speranza, dalla passione di animare i ragazzi e dal costante desiderio di scappare da casa, Elisa ha deciso di registrarsi anche alle successive settimane, al contrario dei suoi due amici. Ha fatto un salto nel vuoto, confidando nell’ambiente salesiano.
Nell’ultima settimana era diventata una persona nuova: raggiante, propositiva e socievole.
Sempre mossa dal bisogno di amicizie sane e trascinata dalle insistenze degli altri animatori, da settembre di quell’anno prese parte al gruppo formativo Triennio dell’Oratorio e alla Scuola Formazione Animatori proposta dall’Ispettoria.
Dai salesiani e dai ragazzi del gruppo sperimentò l’«essere voluta bene anche se non faceva nulla in cambio». Negli educatori che la accompagnavano, ha trovato fratelli maggiori con cui confrontarsi e dal loro servizio si sentiva profondamente ispirata.
Dall’estate del 2022, ha iniziato a sentire il cortile come la sua “vera casa”, ad assaporare la pienezza della vita: «non mi mancava niente». Con entusiasmo si propone per qualsiasi compito da svolgere, anche poco piacevole, ed è sempre in mezzo ai ragazzi. Non vuole mai andarsene dall’Oratorio. Pur di restarci, è disposta a pregare le Lodi e i Vespri coi salesiani. Questi semplici appuntamenti hanno risvegliato in lei il desiderio di raccoglimento e di conoscere la paternità di Dio.
In quell’estate nasce una fraterna amicizia con un giovane salesiano della casa. Nelle piccole responsabilità che le affida legge un’inaspettata fiducia nei suoi confronti, che la incoraggiano a credere più in se stessa. Sentitasi compresa e voluta bene, decide di raccontarsi e di confidare gli aspetti più delicati della sua vita. Ad ogni confronto, il salesiano termina riprendendo aneddoti e consigli che Don Bosco suggeriva ai suoi ragazzi. In queste brevi e concrete catechesi conosce il carisma salesiano e ne rimane affascinata.
Insoddisfatta di come spendesse il suo tempo, decide di spenderlo per coloro che ne hanno bisogno. Di conseguenza, si è impegnata insieme ad altri ragazzi dell’oratorio a dare una mano alla Caritas e al dopo scuola con ragazzi stranieri. Sono state esperienze preziose di pienezza, che l’hanno aiutata a decentrarsi dai suoi problemi. Al viaggio di maturità con i suoi compagni di classe, ha preferito la GMG a Lisbona al fine di vedere il Papa e sperimentare l’universalità della Chiesa. L’ha definita l’esperienza più bella della sua vita.
Desiderosa di «prendersi cura dei piccoli nel carisma salesiano», a settembre Elisa inizierà il corso universitario di scienze dell’educazione e svolgerà il servizio di educatrice delle medie nell’oratorio salesiano.

23 anni, originario di Mantova, studia scienze biologiche a Bologna. Ama le escursioni in montagna con i suoi due fratelli. Da tre anni educatore presso l’Oratorio Salesiano Sacro Cuore di Bologna, dove ha trovato un ambiente prezioso per esprimersi, avere delle responsabilità, prendersi cura dei più piccoli e decentrarsi dai suoi problemi. Nelle storie dei ragazzi che si sentono finalmente a casa in Oratorio sente di leggere la mano di Dio che li ha accompagnati fin lì per amarli e accompagnarli a crescere.

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Anche un alieno può trovare casa

Pubblichiamo il primo articolo di una nuova rubrica di Note di Pastorale Giovanile, a cura dei giovani del MGS: “Ritratti di adolescenti”

Apriamo una nuova e speriamo gradita rubrica, diciamo “giovani al quadrato”. Nel senso di una galleria di giovani (degli ambienti salesiani) incontrati da altri giovani (MGS, insegnanti, animatori…), per mostrare proprio nel concreto vitale i dinamismi dell’incontro, della relazione, della presa in cura… in una parola dell’educazione. In effetti particolarmente significativa per il lettore può essere la testimonianza dei giovani che – giovani essi stessi – stanno in mezzo agli adolescenti e giovani, condividendo le stesse situazioni, ambiti di vita, problemi, speranze… “sogni e incubi”. Una dozzina di ritratti, tanto per cominciare, i cui tratti significativi è facile rintracciare negli adolescenti che ogni giorno incontriamo  e con cui viviamo un cammino di crescita reciproca”. 

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Lucia Zaccaron *

Un alieno al doposcuola
Ho conosciuto Marco al doposcuola. La nostra casa salesiana di Santa Maria la Longa (UD) offre questo servizio ai ragazzini delle medie che hanno bisogno di un aiuto per impostare il loro studio pomeridiano. All’epoca Marco frequentava la seconda. Fin da quando me l’hanno presentato, ho avuto l’impressione di avere a che fare con un alieno. Lui ricorda che lo aiutavo nei compiti di francese, ma io ho un solo flash di quell’anno di doposcuola: Marco che durante la ricreazione schiaccia l’interruttore della luce e mi chiede perché si accende. Era un modo che nessuno aveva ancora mai sperimentato per farmi saltare i nervi o era seriamente interessato? Non lo so ancora, ma lui sembrava coinvolto nel suo armeggiare con l’interruttore e ben poco propenso a chiacchierare e giocare con gli altri ragazzini. Quando gli parlavo o dovevo fargli fare qualcosa, avevo l’impressione che il mio messaggio percorresse anni luce prima di raggiungerlo e che non sempre arrivasse a destinazione. Era così immerso nel suo mondo che la sua assenza l’anno dopo non mi aveva stupito: forse era tornato sul pianeta da cui era venuto. In quell’anno facevo servizio civile, i ragazzi del doposcuola mi erano entrati nel cuore e con le loro difficoltà e risorse nascoste erano riusciti a farmi intravvedere quale sarebbe stata la mia strada, ma Marco era troppo distante per creare un legame con lui e allo stesso tempo troppo diverso da tutti per dimenticarmene. Mi era rimasto solo il rimpianto di non aver fatto abbastanza.

Alla ricerca di un riferimento
Un anno dopo, è stato attraverso un finestrino bagnato che ho rivisto Marco. Una domenica pomeriggio di pioggia e la confusione delle macchine sono l’inizio ordinario di un camposcuola speciale, dedicato ai ragazzi di terza media. Molto più tardi ho scoperto che Marco non voleva proprio partecipare a quel campo: lo aveva iscritto suo padre a tradimento e lui non gli aveva parlato per tutto il viaggio. Dopo l’estate ragazzi con i salesiani, ora lo aspettavano camminate faticose, coetanei che forse lo avrebbero preso in giro, proposte assurde come la Messa quotidiana. L’unica certezza: non doveva fare la Comunione. Questo glielo aveva raccomandato sua mamma perché non era battezzato. Per Marco è stato un campo un po’ difficile: i suoi peggiori pronostici si sono avverati.
In tutto questo io dov’ero? A quanto pare lì, ma non mi sono accorta di niente. Ero troppo immersa nei miei problemi, impigliata in una relazione preziosa che si era rotta e incapace di vedere oltre le mie difficoltà. Stare con Marco era una sicurezza: lo conoscevo già e lui non rifiutava la mia compagnia, ma non posso dire che l’avevo realmente a cuore. Lui invece ha preso sul serio quel tempo passato insieme, così, quando abbiamo fatto a tutti i ragazzi la proposta di scegliere un animatore di riferimento, lui ha chiesto a me. Come potesse trovare in me un riferimento non lo capivo, di sicuro dovevo iniziare ad averlo a cuore davvero.

In cammino
Così Marco ha iniziato le superiori. Si era iscritto a meccanica presso il CFP dei salesiani a Udine, ma è stato bocciato il primo anno. Quando mi ha spiegato le sue difficoltà nelle materie di indirizzo, ho iniziato finalmente a capire qualcosa di lui. Un suo professore gli aveva fatto notare che lui vedeva le cose diversamente dagli altri, che se gli si chiedeva di disegnare una bicicletta la sua rappresentazione aveva un punto di vista diverso da quello di chiunque altro. Da quel momento ho cercato di mettermi nei suoi panni, di guardare dalla sua prospettiva, anche se mi è sempre risultato difficile. Poi lui ha cambiato indirizzo (sì, elettricista! Ci sarà pure un motivo se giocava con gli interruttori della luce!) ma il suo percorso scolastico è sempre stato un po’ faticoso, perché anche i tirocini che dovevano motivarlo in realtà lo frustravano, inserendolo in ambienti poco accoglienti o in cui non riusciva a trovare il senso della fatica che gli era richiesta.
Nel frattempo Marco ha iniziato a confrontarsi con l’animazione perché voleva seguire le orme di un amico che era diventato per lui un modello, ma anche questo cammino è stato tortuoso. Sebbene avesse trovato un ambiente familiare e accogliente, non si sentiva mai abbastanza autorevole con i ragazzi o abbastanza brillante. Questo senso di inadeguatezza lo avrebbe fatto desistere, se non avesse trovato un compagno di classe e di animazione capace di incoraggiarlo.

L’alieno trova casa
Quello che forse però faceva sentire Marco diverso anche nel gruppo di animatori era la scelta dei genitori di non battezzarlo. Così, quando un salesiano gli ha proposto di iniziare la catechesi per ricevere il battesimo, lui ha accettato con entusiasmo. L’ancora era il paradiso: magari non capiva niente della Messa, non conosceva il Vangelo, però credeva nel paradiso. (Ma questo non mi stupiva affatto… I ragazzi credono nel paradiso: quando a scuola spiego la Divina Commedia e chiedo ai miei alunni mezzo atei cosa immaginano che ci sia dopo la morte… tutti immaginano un aldilà: siamo fatti per credere in qualcosa che ci supera!) Ogni mercoledì si fermava dai salesiani dopo la scuola, seguiva il catechismo con un salesiano laico e condivideva il resto del pomeriggio con due amici dell’anima, tra servizio di assistenza e relax.
Nel frattempo io mi ero un po’ allontanata dal Live (il cammino del nostro gruppo animatori) e seguivo i passi di Marco più da lontano ma sempre con stupore. Vederlo crescere e fare delle scelte mi meravigliava. Quando lo aiutavo con i compiti di francese non avrei scommesso un centesimo su di lui, invece stava diventando un ragazzo buono, capace di prendersi cura dei più piccoli, di farsi voler bene da tutti e di coinvolgere amici nell’animazione, desideroso di trovare la sua strada, che si lasciava interrogare da qualcosa di più grande.
Fargli da madrina il giorno del suo battesimo è stato uno dei momenti più belli della mia vita. Quel Dio che sceglie ciò che agli occhi del mondo è piccolo e debole aveva fatto sentire il suo amore a Marco anche attraverso di noi. La festa è stata semplice, con un gruppo di amici nella casa salesiana che era per Marco parrocchia, scuola e cortile. Quella sera, quando ci ha dato la buonanotte, ci ha confidato che si sentiva a casa e che aveva trovato in noi la sua seconda famiglia.

To be continued…
Marco ora ha terminato la scuola, si è messo gioco in un’esperienza di servizio civile e di comunità e sta cercando la sua strada. Ha ben chiaro quali sono le coordinate della sua vita: la consapevolezza di come l’esperienza del Live abbia cambiato lui e di riflesso la sua famiglia, l’importanza di trovare del tempo per spendersi gratuitamente per gli altri, il desiderio di proseguire nella formazione, la capacità di trovare bellezza nei gesti più semplici. Per me è ancora un po’ un alieno, per questo lo ascolto volentieri e cerco di vedere le cose anche dalla sua prospettiva, perché sento che mi arricchisce. Non ho idea di cosa diventerà, so solo che finora ha percorso una strada difficile facendo scelte coraggiose e controcorrente, con fermezza e disarmante semplicità. Forse non se n’è ancora accorto, ma con il suo fiuto per ciò che è buono riesce sempre a trovare una casa e a far sentire a casa anche chi gli sta intorno.

Friulana, 34 anni, ha sempre fatto nella vita quello che non voleva: prima l’animatrice, poi l’insegnante di sostegno e ora la prof. di lettere. Dai ragazzi, soprattutto dai più difficili, ha imparato chi è Dio. La sostengono dei buoni amici che fanno da “angeli custodi” e una famiglia che le ha sempre insegnato ad affrontare le tempeste.

 

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Storie di Pietro – Esperienza Live: Comunità educatori e giovani Santa Maria la Longa – Gorizia – Udine

Da Note di Pastorale Giovanile.

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Storie di Pietro è una storia di storie. Presa nel suo complesso, non è reale, ma i frammenti che la compongono sono la trasposizione di esperienze vissute. Li abbiamo raccolti perché riteniamo che la narrazione aiuti sia il lettore che lo scrittore a dare senso ai vissuti. Pensiamo che vedere il proprio pezzettino come parte di una storia più grande aiuti a sentire che siamo parte di un’esperienza più grande, che non siamo soli in quello che viviamo. Per questo abbiamo integrato nella storia anche gli episodi meno coerenti con la figura di Pietro e abbiamo lasciato che la trama si sfilacciasse in tante direzioni: ci interessava dare voce a tutte le esperienze nella loro unicità e volevamo evitare il rischio di semplificare eccessivamente la complessità della vita, di incasellarla nella trama di un libro. Vedendo che la scrittura aiutava i ragazzi a scavare dentro le proprie vite, a trovare i momenti di svolta, a prendere consapevolezza dei propri passi e dei cambiamenti, abbiamo incoraggiato il loro lavoro e abbiamo fatto il possibile per salvare l’autenticità del racconto, anche a scapito dello stile e dell’organicità del testo.
La composizione del libro ha richiesto un percorso lungo qualche mese, scandito da alcune tappe fondamentali che hanno seguito il cammino del Live. L’Esperienza Live è già un incrocio di storie, si configura infatti come un percorso fatto di incontri in cui persone di età e provenienze diverse provano a condividere un cammino di formazione. L’identità stessa del Live è continuamente in divenire per la necessità di adeguarsi ai cambiamenti delle persone che lo compongono e dell’ambiente in cui vivono. Per coltivare l’appartenenza a questa esperienza, i ragazzi hanno bisogno di riconoscersi in un immaginario collettivo, che nel libro ha preso il nome di Pietro. Si accorgono così che, ognuno nella propria realtà, si muovono nelle stesse dimensioni, che assumono una forma visibile nei capitoli della storia.
Il momento fondamentale per rinnovare e riconoscere l’identità dell’esperienza Live è da sempre il campo estivo, che nel 2022 si è incentrato sul personaggio di Pietro. Spuntato come una novità, a metà tra il serio e il faceto, il nome di Pietro ha iniziato a circolare tra i partecipanti al campo quasi come se fosse uno di loro, un ragazzo nuovo da conoscere e con cui interagire. Inaspettatamente si poteva scoprire una sua traccia: su una parete compariva, scritta su un foglio, una testimonianza di una persona a lui vicina, oppure si poteva trovare un oggetto che gli apparteneva o un ricordo della sua vita accompagnato dal commento di Pietro stesso. Ogni nuova traccia contribuiva a costruire nei ragazzi un’immagine di Pietro. All’inizio molti si chiedevano se fosse una persona vera o inventata ed era difficile rispondere: a tutti è stato detto che il personaggio era frutto della fantasia, ma che poteva essere ognuno di noi.
Stando così le cose, era giusto che ognuno contribuisse a definirne l’identità, ecco perché accanto alle testimonianze comparivano anche fogli bianchi, che chiedevano ai ragazzi di immaginare una parte della persona o dell’ambiente di Pietro: cosa gli piace? Quali parole di incoraggiamento si è sentito dire? Come sono i suoi compagni di classe? Cosa dice a Dio? Come ha conquistato la sua ragazza? I fogli bianchi si riempivano giorno dopo giorno con le parole dei tanti “Pietro” che volevano metterci una parte di sé. Durante tutto il campo, i ragazzi hanno continuato a ricevere spunti su Pietro e allo stesso tempo a darne, finché si è delineata una figura talmente complessa e disorganica che era chiaro, a quel punto, che Pietro eravamo tutti noi. .
Nel frattempo si è cercato di stimolare nei ragazzi il desiderio di scrivere, di raccontare la vita di Pietro, di cui a quel punto non esisteva nulla di definito, a parte il nome. Si è formata una redazione provvisoria, che ha provato a iniziare un lavoro di sistematizzazione delle informazioni su Pietro e allo stesso tempo di sollecitazione reciproca alla scrittura. Ma il passo necessario per scrivere era staccarsi dall’immagine di Pietro e rientrare in sé. Per questo ognuno dei ragazzi ha realizzato una mappa in cui ha rappresentato la propria vita, illustrando in ogni ambito (famiglia, scuola, passioni, amicizia…) le relazioni che gli danno forma. Hanno scelto simboli diversi per esprimere la qualità di queste relazioni e hanno messo al centro della mappa ciò che in questo periodo è il punto da cui tutta la loro vita assume senso (o lo perde). La mappa è stata uno strumento per fare chiarezza, per prendere consapevolezza delle relazioni e per iniziare un dialogo di condivisione sui propri vissuti.
A fine campo è stato chiaro che non poteva bastare un libro a esprimere tutta la ricchezza e la complessità dell’esperienza degli adolescenti e del loro cammino nel Live. Per questo l’idea del libro si è trasformata nel progetto di una mostra interattiva, che permettesse alle persone di entrare fisicamente nella vita dei ragazzi: esplorare le “stanze” della loro esperienza quotidiana, seguire il loro percorso di crescita nel Live e infine approdare al cuore della missione di don Bosco, la cura dei ragazzi più bisognosi.
Tutto questo progetto, il libro come la mostra, ha richiesto ai ragazzi lo sforzo di entrare in sé per conoscersi e per far emergere gli aspetti che normalmente rimangono nascosti al mondo adulto e forse anche ai loro occhi; allo stesso modo chiede agli adulti lo sforzo di entrare nella vita dei ragazzi per poterne cogliere le pieghe, valorizzare le bellezze, curare le ferite, costruendo relazioni educative vere.

I ragazzi del Live

«Pietro siamo noi. Pietro raccoglie i frammenti delle nostre vite.
A volte è difficile spiegare come viviamo dentro di noi ciò che ci accade, quello che l’adolescenza oggi è per noi, ciò che ci passa nel cuore…
Vorremmo qui provare a raccontarvelo con semplicità e trasparenza, dietro al nome che tutti ci rappresenta.
Pietro siamo noi.»

 

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Grammatica e sentieri di sinodalità nella PG – Eucaristia

Da NPG di settembre/ottobre.

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di Gianluca Zurra

Esiste un legame fondamentale e tradizionale tra Eucaristia e sinodalità: la prima è la sorgente della seconda, è ciò che configura sinodalmente la Chiesa. Quando il sinodo inizia con la celebrazione eucaristica, non si tratta di un’aggiunta introduttiva posticcia, ma dell’esperienza rituale di Gesù che sta al cuore della sinodalità. Nell’Eucaristia, infatti, la comunità cristiana si raccoglie e si ferma attorno al suo Signore nella forma di un’assemblea radunata, dunque di una fraternità reale e visibile: l’incontro culminante con Gesù, che sceglie di essere riconosciuto allo spezzare del pane, accade nell’impensata prossimità con i fratelli e le sorelle, e mai senza di essa.
Per questo l’agire sinodale della Chiesa non è riducibile ad una organizzazione esteriore, neppure a procedure più o meno efficaci, per quanto importanti, ma è fin dall’inizio un’esperienza spirituale: se nell’Eucaristia diventiamo il Corpo di Cristo nella storia umana, così la sinodalità vissuta come ricerca di una consonanza nello Spirito tra soggetti diversi diviene “ripresentazione” di Cristo oggi: “dove due o tre sono uniti nel mio nome, io sono in mezzo a loro”.
Tramite l’Eucaristia e passando in essa la Chiesa si forgia in prospettiva sinodale, poiché il primato di Gesù e dell’annuncio del Regno assumono come condizione e come figura la relazione dialogica tra tutti i soggetti ecclesiali.
Questo stretto legame tra Eucaristia e sinodalità può essere compreso soltanto alla luce del rinnovamento liturgico del Concilio, che ci ha rieducati a riscoprire la celebrazione eucaristica non come azione intimistica, né come devozione privata, ma come gesto comunitario che fa esistere la Chiesa Popolo di Dio nella forma del Corpo di Cristo. È il rito come pasto condiviso che ci chiede di non disgiungere mai il legame con Gesù dalla prossimità con gli altri, facendo così della sinodalità la condizione concreta e spirituale dell’incontro con il Signore e della sua presenza reale tra gli uomini.

L’Eucaristia come pasto

Il pasto è la forma rituale tramite cui la Chiesa, nell’Eucaristia, fa memoria di Gesù Risorto, riconoscendolo come il Vivente e il Veniente verso di noi in ogni tempo. Come ci attestano gli Atti degli Apostoli, ben presto le prime comunità cristiane si radunano il primo giorno dopo il sabato per spezzare il pane in memoria del Signore in ambienti domestici. La scelta dei luoghi non è casuale: manifesta come la Chiesa si sia lasciata disegnare in profondità dai tratti e dallo stile di Gesù, riconoscendo il legame con Lui dentro le esperienze più comuni della vita. La casa, e non più il tempio, diventa lo spazio per l’ascolto degli apostoli, per la preghiera, per il pasto comune e per la fraternità.
In effetti, Gesù ha voluto consegnarsi a noi tramite un pasto condiviso, gesto attorno al quale riassume tutto il senso del suo vivere e del suo morire. Egli si rivela Maestro nella sua ineguagliabile capacità di assumere questa esperienza umana fondamentale in modo unico. Non rinuncia a sedersi a tavola, anzi: molto spesso, nei racconti evangelici, viene sorpreso come ospite a casa di qualcuno. Non ha paura di ricordare al padrone di casa che stare davvero a tavola significa rinunciare ai primi posti, proprio perché ci si ritrova attorno ad un unico tavolo[1]. Con delicatezza, ma anche con forza, restituisce al pasto la sua qualità ospitale: per Gesù non ha senso un prendere cibo che non apra alla condivisione con gli ultimi e all’ospitalità reciproca, di cui diventa emblema la donna del profumo, unica commensale ad accogliere il Maestro sprecando senza remore il nardo in abbondanza[2].
L’ultimo gesto di Gesù, a sua futura memoria, è una cena, durante la quale si ringrazia, si condivide e si chiede, con tutto il dramma conseguente, che la comunione tra i commensali possa resistere anche alla dispersione provocata dalla morte. Questa volta è lui a farsi cibo per tutti, donando il suo corpo come pane che sostenta per sempre. Non solo, ma da Risorto si fa cuoco, cucinando sulla riva pani e pesci sulla brace ardente, a favore dei discepoli smarriti e affamati[3].
D’altronde aveva già manifestato la sua affabilità col cibo raccontando molto tempo prima la parabola del padre misericordioso[4], dipingendo il figlio minore nell’atto di sentire la misericordia del padre attraverso il banchetto preparato per il suo ritorno. Il figlio maggiore, invece, anoressico e inappetente per l’invidia, non riuscirà a sedersi alla tavola della riconciliazione.

 

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“Radici e germogli: complessità culturale e ambivalenze giovanili”

Pubblichiamo parte dell’introduzione del dossier “RADICI E GERMOGLI Complessità culturale e ambivalenze giovanili”, a cura di Cecilia Costa e Giancarlo De Nicolò.

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Come è ovvio che sia, ogni anno NPG mette al centro della sua attenzione un dossier specifico sul mondo dei nostri destinatari, dei nostri “compagni di viaggio”, nelle diverse fasi della loro età fino all’ingresso nel cosiddetto mondo adulto. Vorrebbe essere uno sguardo desto, non sonnolento e dunque incapace di uscire dai quadri in cui la nostra abitudine o recenti ricerche li hanno inquadrati e definiti, e magari ideologizzati. La pigrizia mentale e interpretativa è sempre in agguato, cattiva compagna del nostro agire educativo e pastorale, e facile preda di “ismi” che facilitano e semplificano la lettura ma paralizzano l’azione.

Anche se sono state pubblicate recenti ricerche sul mondo giovanile (ultima di esse quella dell’Istituto Toniolo “La condizione giovanile in Italia. Rapporto giovani 2022”) (qui il comunicato stampa con qualche dato e riflessione: https://www.rapportogiovani.it//new/wp-content/ uploads/2022/06/Comunicato_RG_22_DEF-2.pdf), avvertiamo che – a parte le considerazioni generali (e generiche) circa la praticamente definitiva uscita dalla crisi pandemica con tutte le sue caratterizzazioni (che sono state oggetto di preoccupata analisi da parte di psicologi ed educatori) e l’invito a cogliere il nuovo che ora il tempo presente offre

i giovani ancora “sfuggono”, fanno fatica a essere individuati e colti nei loro specifici bisogni e domande e risorse, perché sempre colloca- ti dentro un ambito sociale dove emergono unicamente mancanza di risorse, “non risposte”, problematiche costanti: insomma giovani quasi inghiottiti e fagocitati da una sorta di buco nero che non permette di intravedere luci e opportunità, possibilità di costruire presente e futuro. A parte dunque alcune caratterizzazione generiche sul presentismo e individualismo (e insieme ansia di comunicazione), sulla ricerca spasmodica di libertà (e ricerca di legami), sul senso soggettivo e prevalente di precarietà esistenziale e sociale (con punte di domande sul senso), su alcuni nuovi valori legati all’ambiente che ci circonda… la via per la comprensione dei giovani oggi passa per una seria determinazione della “globalità” in cui essi sono inseriti, in una specie di liquido culturale e sociale amniotico all’interno del quale la loro identità fatica a precisarsi e definirsi.

Per questa ragione abbiamo bisogno ancora di riflettere e definire- qualificare “quel tutto” all’interno del quale i soggetti si riconoscono e definiscono. Insomma, il discorso che presentiamo è anzitutto sulla cultura sociale che ampiamente determina l’identità del giovane oggi. Situazione molto diversa da quando era più facile vedere – all’interno del sociale e culturale collettivo – l’opposizione che definiva i giovani, quasi controcultura o cultura alternativa (e in parte perseguita da movimenti e tendenze). Adesso i confini sono molto labili, con colori che si confondono e faticano ad emergere dallo sfondo. È forse questa la situazione dei giovani oggi, soggetti-oggetti, senza voce, senza presente, senza futuro, senza opportunità… se pur con grandi risorse.

Qualcuno vede nel nichilismo l’unica (o la migliore) categoria di comprensione, e in esso abbraccia la società e i giovani. Ma non vogliamo cedere a questa facile melodia mortale, a queste semplificazioni banalmente ideologiche anche se sembrano dotte.

Il dossier tenta di analizzare le categorie di comprensione del tempo attuale, mostrando le crepe e le fioriture possibili, dove i giovani si mostrano attenti. In esso si attua una reinterpretazione o comprensione meno unilaterale di categorie come postmoderno, complessità, liquidità, accelerazione, la realtà dell’infosfera… E soprattutto il mondo della comunicazione e della religione, ambiti notoriamente privilegiati per la costruzione del senso, dell’identità, e magari della progettualità.

La prima parte del dossier, prettamente sociologica, troverà la sua equilibratura con altre voci narranti e con la voce stessa dei giovani che si interrogano su “cosa realmente sono”. Una voce finale, rileggendo da prospettiva pastorale le riflessioni proposte dagli autori, tenterà di individuare dei sentieri percorribili di “educazione” e pastorale, o meglio di un dialogo veritiero con i giovani.

 

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Abitare la sinodalità. Tre questioni prioritarie e cinque istanze operative

Dal numero di settembre/ottobre di Note di Pastorale Giovanile.

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di don Rossano Sala

Stiamo entrando nel vivo del discernimento ecclesiale sulla sinodalità

La messa a punto è durata abbastanza, adesso finalmente si parte in maniera decisa. Dopo aver preso una certa rincorsa, allungatasi con la pandemia, finalmente in questo anno educativo pastorale stanno arrivando nella loro fase centrale i due grandi cammini sinodali in atto: quello universale e quello italiano.
Mi pare importante dire fin dall’inizio che i percorsi lenti, ragionati e profondi sono quelli che alla lunga portano al cambiamento vero e duraturo. Quando vogliamo davvero affrontare temi di lungo respiro – come quello relativo alla corretta forma della Chiesa nel terzo millennio – non bisogna avere troppa premura: sappiamo che la fretta può essere una cattiva consigliera.
Avevamo profetizzato che il decennio 2020-2030 sarebbe stato caratterizzato dalla “sinodalità missionaria”. Lo avevamo fatto con un Dossier programmatico, di quelli che vanno sempre tenuti a prima vista tra i numeri di NPG: i lettori attenti non avranno dimenticato che nel primo numero del 2020 avevamo approfondito proprio questo tema, riconoscendo in esso qualcosa di assolutamente generativo: Una chiesa sinodale per la missione. Cammini di conversione spirituali, formativi e pastorali ne era il titolo[1]. Converrebbe riprenderlo in mano per la sua freschezza e attualità, perché ciò che lì si immaginava oggi sta prendendo corpo. Nelle prime righe si diceva:

Questo è il primo numero NPG del 2020. Siamo all’inizio del III decennio del III Millennio. Nessuno potrà dire con precisione che cosa accadrà, sia a livello sociale sia a livello ecclesiale, nei prossimi dieci anni. Vi siete resi conto che in questo numero non c’è l’editoriale. Perché questo Dossier è un vero e proprio “lungo editoriale” che apre il decennio 2020-2030. È quindi qualcosa di programmatico, che vuole aprire i prossimi dieci anni attraverso un rinnovato impulso che si raccoglie intorno all’idea di “sinodalità missionaria”. In questo modo non facciamo altro che fare nostro l’esito del Sinodo con e per i giovani e rilanciarlo con coraggio, convinti che si tratta davvero di una chiave interpretativa preziosa e irrinunciabile per gli anni che ci aspettano[2].

Ora possiamo dire che i nodi stanno pian piano venendo al pettine, sia a livello universale che a livello italiano. Ma procediamo con ordine, visto che si tratterà di mantenere i nervi saldi e di avanzare con piena consapevolezza, evitando di lasciarci trascinare dall’emotività degli eventi.

Il percorso universale: le novità e i temi della prima sessione

I riflettori ecclesiali nel prossimo ottobre saranno tutti puntati sulla prima delle due sessioni della XVI Assemblea Generale Ordinaria del Sinodo dei Vescovi sul tema: Per una Chiesa sinodale. Comunione, partecipazione e missione. Il tutto, lo sappiamo, ha preso avvio nell’ottobre del 2021 e si concluderà con la seconda sessione prevista per l’ottobre 2024.
Varie sono le novità che sono state annunciate: la partecipazione di un buon gruppo di laiche, laici, consacrate e consacrati a cui è stato concesso dal Santo Padre il diritto di voto; lo svolgimento nell’ampia Aula Paolo VI che renderà possibile il dialogo e il confronto a gruppi – che nel Sinodo prendono il nome di “circoli minori” – come mai è avvenuto nelle precedenti convocazioni sinodali; la conferma del metodo della “conversazione spirituale” come modo di procedere. Soprattutto è stato presentato uno “Strumento di lavoro” assai diverso dai precedenti, in quanto è stato impostato per rendere possibile un autentico discernimento operativo sui temi emersi nella fase di ascolto. L’obiettivo sembra essere chiaro: «Sarà di rilanciare il processo e di incarnarlo nella vita ordinaria della Chiesa, identificando su quali linee lo Spirito ci invita a camminare con maggiore decisione come Popolo di Dio»[3].
La parte più ampia dell’Instrumentum laboris è composta dalle schede di lavoro per l’assemblea sinodale, divise nelle tre “questioni prioritarie” che sono emerse dall’ascolto su scala universale. Trattate nei nn. 43-60, sono queste.
La prima riguarda la “comunione” ed è così formulata: Una comunione che si irradia. Come essere più pienamente segno e strumento di unione con Dio e di unità del genere umano? Viene così riconosciuta che «la vita sinodale non è una strategia di organizzazione della Chiesa, ma l’esperienza di poter trovare una unità che abbraccia la diversità senza cancellarla, perché fondata sull’unione con Dio nella confessione della stessa fede»[4].
La seconda approfondisce la “missione”, ed è così espressa: Corresponsabili nella missione. Come condividere doni e compiti a servizio del Vangelo? Attraverso il tema in oggetto viene chiarito che «la missione non è marketing di un prodotto religioso, ma costruzione di una comunità in cui i rapporti siano trasparenza dell’amore di Dio e quindi la vita stessa diventi annuncio»[5].
La terza rilancia la “partecipazione”: Partecipazione, compiti di responsabilità e autorità. Quali processi, strutture e istituzioni in una Chiesa sinodale missionaria? Qui emerge la convinzione che «istituzioni e strutture non bastano a rendere sinodale la Chiesa: sono necessarie una cultura e una spiritualità sinodali, animate da un desiderio di conversione e sostenute da un’adeguata formazione»[6].

Il cammino italiano: un anno dedicato alla fase sapienziale

Atterriamo adesso a casa nostra, sapendo che anche quest’altro cammino sinodale sta entrando nel vivo del confronto. Abbiamo raccolto il materiale di due anni di ascolto, dedicato alla “fase narrativa” del processo. Ora si tratta di fare un passo in avanti, entrando nella “fase sapienziale”. È il momento qualitativo del percorso, quello del discernimento vero e proprio, ovvero della distinzione di ciò che abbiamo raccolto per purificarlo ed elevarlo. Devono emergere dei criteri capaci di guidare il cambiamento auspicato, che poi dovrà concretizzarsi nella terza fase – quella profetica, ovvero dedicata alle scelte – che si realizzerà nell’anno 2024-25.
Anche qui, nella fase di ascolto, sono emerse alcune costanti, che possiamo definire anche “costellazioni”.
La prima riguarda la missione secondo lo stile della prossimità. Al centro ci sta la capacità di partecipare e di creare relazione, imparando l’arte di accogliere, dialogare e includere, generando una “pastorale ospitale”. L’attenzione alla persona e alle nuove connessioni culturali sembra essere sempre più decisiva.
La seconda si concentra sui linguaggi, la cultura e la proposta cristiana. Di fronte all’irrilevanza della nostra presenza ci si domanda come risvegliare quella capacità di mediazione culturale che da sempre ha caratterizzato la vita della Chiesa in tutte le epoche. La riflessione teologica, insieme alla mediazione liturgica, sembrano avere un ruolo da riscoprire per rientrare in dialogo con il mondo contemporaneo e per un rinnovato annuncio della fede.
La terza costellazione è orientata verso la formazione alla fede e alla vita. Sembra essere oramai assodata la necessità di una diversa impostazione della formazione in tutti gli ambiti, che deve essere improntata alla sinodalità e quindi alla corresponsabilità, facendo anche perno su esperienze formative condivise tra laici, presbiteri e religiosi. Una formazione con almeno tre fuochi: che si radichi nella Parola di Dio, che prepari per esercitare l’arte dell’accompagnamento spirituale e formi alla vita cristiana attraverso esperienze significative nei contesti ordinari della vita.
La quarta attenzione è riservata al grande tema della corresponsabilità. Qui ci sono molte questioni annesse e connesse, di cui ecco le principali emerse: la riscoperta della dignità battesimale, la dignità e il ruolo delle donne, le nuove ministerialità che la vita della Chiesa sta suggerendo, la guida della comunità in assenza di un presbitero residente, la figura stessa del prete che a parere di molti va radicalmente ripensata, la rivitalizzazione degli organismi ordinari di partecipazione e infine il dialogo sul ministero dell’autorità.
Infine, la quinta costellazione riguarda le strutture. Il livello burocratico e gestionale è sempre più opprimente e troppe volte toglie respiro ed entusiasmo all’annuncio del vangelo. Siamo consapevoli che si sprecano tante energie, talenti e danaro per mantenere strutture che hanno fatto il loro bene, ma anche il loro tempo. Si sente la necessità che le strutture siano più snelle, più a misura d’uomo, più pensate in ordine alla cura delle relazioni. Tutte le istanze strutturali – siano esse materiali, amministrative, pastorali e spirituali – andranno sottoposte a verifica in ordine alla missione propria della Chiesa.

Verso una rinnovata opzione preferenziale per i giovani

Dopo aver dato uno sguardo alle tematiche generali che stanno emergendo nei due percorsi, proviamo ora a stringere il campo sul nostro proprio, quello dei giovani e della pastorale giovanile. Nell’Instrumentum laboris viene ribadita la continuità con i cammini compiuti dai recenti Sinodi, riconoscendo che

i riferimenti all’urgenza di dedicare adeguata attenzione alle famiglie e ai giovani non puntano a stimolare una nuova trattazione della pastorale familiare o giovanile. Il loro scopo è aiutare a mettere a fuoco come l’attuazione delle conclusioni delle Assemblee sinodali del 2015 e del 2018 e delle indicazioni delle successive Esortazioni Apostoliche Post-Sinodali, Amoris laetitia e Christus vivit, rappresenti un’opportunità di camminare insieme come Chiesa capace di accogliere e accompagnare, accettando i necessari cambiamenti di regole, strutture e procedure[7].

Quindi prima di tutto, per la pastorale giovanile si tratterà ancora una volta di non lasciar cadere ciò che è stato generato nel percorso sinodale vissuto insieme con i giovani e che per alcuni aspetti attende ancora di essere recepito con forza e concretizzato con coraggio.
Interessante poi una doppia attenzione che emerge dalla sezione operativa dell’Instrumentum laboris, quella offerta nella Schede di lavoro per l’assemblea sinodale, che sono state predisposte «per facilitare il discernimento sulle tre priorità che con maggiore forza emergono dal lavoro di tutti i continenti, in vista dell’identificazione dei passi concreti a cui ci sentiamo chiamati dallo Spirito Santo per crescere come Chiesa sinodale»[8].
La prima considerazione fa riferimento al mondo digitale e al fatto che per le giovani generazioni questa sembra essere una modalità oramai ordinaria per affacciarsi al vangelo. Non sempre la comunità ecclesiale ne è consapevole. La questione è quindi quella del linguaggio, dei metodi e soprattutto degli ambienti. Va riconosciuto che nell’ambiente onlife «la costruzione di reti di relazioni rende possibile alle persone che lo frequentano, in particolare i giovani, di sperimentare nuove forme per camminare insieme»[9].
La seconda mi pare più di visione e di prospettiva, e viene così espressa:

Le sintesi delle Conferenze Episcopali e le Assemblee continentali chiedono con forza una “opzione preferenziale” per i giovani e per le famiglie, che li riconosca come soggetti e non oggetti della pastorale. Come potrebbe prendere forma questo rinnovamento sinodale missionario della Chiesa, anche attraverso l’attuazione delle conclusioni dei Sinodi del 2014-2015 e del 2018?[10]

L’espressione “opzione fondamentale per i giovani”, che viene ripresa anche in un altro punto[11], riprende vigore perché è rimessa al centro dalla restituzione della fase di ascolto. Dice – cosa per noi decisiva – che tutta la comunità cristiana è chiamata ad avere un’attenzione specifica alle giovani generazioni. Dice quindi che la pastorale giovanile non è affare di esperti e di una “pastorale del bonsai” portata avanti da alcuni attori privilegiati, ma è affare che chiama in causa tutta la Chiesa nel suo insieme. Dice ancora che noi – dedicati in maniera privilegiata a questa missione giovanile – non possiamo isolarci, ma abbiamo il compito creare un più ampio coinvolgimento possibile nella Chiesa in vista del bene dei giovani che ci sono affidati.

Ripartiamo ancora una volta da Emmaus

Solo da questa carrellata che annuncia le tematiche e i metodi di lavoro, possiamo dire che di carne al fuoco ne abbiamo parecchia per quest’anno educativo e pastorale che incomincia. Noi siamo parte della Chiesa e quindi cerchiamo le giuste modalità per abitare quella sinodalità che si annuncia come profezia di fraternità capace di ridare slancio e passione alla nostra missione.
Colpisce e stupisce che ancora una volta, come è stato suggerito da tutto il percorso che abbiamo vissuto con i giovani durante il Sinodo a loro dedicato, che la narrazione dei discepoli di Emmaus continua a rimanere ispirativa di tutto il processo in atto. Da una parte, sappiamo che nell’ultima Assemblea Generale della Conferenza Episcopale Italiana i criteri per il discernimento comunitario operativo

sono stati desunti, in particolare, dall’icona della fase sapienziale, l’incontro di Emmaus (Lc 24,13-35), che intreccia l’esperienza pasquale dei discepoli con la celebrazione eucaristica, in chiave sinodale. In questa luce, ci si è confrontati sull’azione molteplice dello Spirito Santo nei singoli battezzati, nella comunità cristiana, nell’umanità e nell’intero cosmo[12].

Dall’altra il metodo della conversazione spirituale, riconosciuto come pienamente adeguato per il cammino sinodale in atto, viene dalle Sacre Scritture. Ancora una volta si sottolinea l’importanza decisiva dell’episodio in cui Gesù incontra e cammina con i due viandanti smarriti che si allontanano da Gerusalemme:

Nel Nuovo Testamento, numerosi sono gli esempi di questo modo di conversare. Paradigmatico è il racconto dell’incontro del Signore risorto con i due discepoli in cammino verso Emmaus (cfr. Lc 24,13-35, e la spiegazione che ne dà Christus vivit al n. 237). Come mostra bene la loro esperienza, la conversazione nello Spirito costruisce comunione e reca un dinamismo missionario: i due, infatti, fanno ritorno alla comunità che avevano abbandonato[13].

NOTE

[1] Cfr. «Note di pastorale giovanile» 1 (2020) 5-39.
[2] R. Sala, L’idea di “sinodalità missionaria”. La necessaria conversione dal fare per all’essere con, in «Note di pastorale giovanile» 1 (2020) 6-18. 6
[3] XVI Assemblea Generale Ordinaria del Sinodo dei Vescovi, Instrumentum laboris per la prima sessione, n. 3.
[4] Ivi, n. 49.
[5] Ivi, 52.
[6] Ivi, 58.
[7] Ivi, n. 15.
[8] Ivi, Schede di lavoro per l’assemblea sinodale, Introduzione.
[9] Ivi, Scheda B.2.1., punto d) e domanda n. 6.
[10] Ivi, Scheda B.2.1, domanda n. 3.
[11] «Nella linea dell’Esortazione Apostolica Post-Sinodale Christus vivit, come possiamo camminare insieme ai giovani? In che modo una “opzione preferenziale per i giovani” può essere al centro delle nostre strategie pastorali in chiave sinodale?» (Ivi, Scheda B.1.2, domanda 4).
[12] 77a Assemblea generale della Conferenza Episcopale Italiana, Comunicato finale del 25 maggio 2023.
[13] XVI Assemblea Generale Ordinaria del Sinodo dei Vescovi, Instrumentum laboris per la prima sessione, n. 3.

 

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