Macerata, l’istituto salesiano verso il 130esimo anniversario

Pubblichiamo il comunicato stampa dell’Oratorio centro giovanile di Macerata che si prepara a festeggiare il 130° anniversario della presenza salesiana nella città.

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L’Oratorio Centro-Giovanile salesiano di Macerata si prepara a festeggiare il 130° anniversario dalla fondazione della sua Casa, l’Istituto salesiano intitolato a San Giuseppe, un pezzo di storia della città di Macerata, inaugurato il 4 novembre 1890. Una realtà, quella della Casa salesiana, che ha vissuto nel tempo cambiamenti ed evoluzioni, tenendo al centro l’attenzione al mondo giovanile.

In occasione di questa importante ricorrenza, il direttore don Flaviano D’Ercoli, coadiuvato dalla comunità salesiana e da alcuni giovani dell’oratorio ha lanciato il progetto “20+20=130”, slogan di questo anno ed iniziativa che vede coinvolti molte dei ragazzi e delle famiglie in un percorso di riflessione e racconto riguardante gli ultimi sei anni della Casa salesiana. A partire dall’anno pastorale 2013/2014 la chiusura della scuola dell’Istituto aveva avviato l’intera opera ad un ripensamento circa il suo ruolo nel contesto cittadino maceratese. Sei anni di lavoro, riflessione e novità che hanno condotto l’Istituto a riconoscersi nella sua identità di Oratorio Centro-Giovanile, polo di aggregazione per molti giovani e famiglie, attraverso le sue proposte educative e la collaborazione con la realtà cittadina, in uno spirito di accoglienza ed amore per la crescita giovanile nel carisma di don Bosco.

Il progetto “20+20=130” raccoglie, dunque, la storia di rinascita di questi ultimi sei anni, rileggendola come una vera e propria battaglia della Vita contro la Morte, accompagnata dalle testimonianze e le interviste di tutti coloro che, in forme diverse, ne hanno fatto parte. Un percorso di riflessione ricco di ricordi e stimoli alla riflessione comune volta ad un futuro ricco di speranza. Le puntate di questa imperdibile storia sono state lanciate settimanalmente a partire dal giorno della Santa Pasqua, 12 aprile 2020 e proseguono passo dopo passo: i contenuti-storia, interviste e testimonianze- sono disponibili sul sito della Casa Salesiana di Macerata www.salesianimacerata.it, sul canale Youtube Salesiani Macerata e i relativi social Facebook ed Instagram.
È solo l’inizio di un anno ricco di proposte, che culminerà il 4 novembre 2020 con il festeggiamento del 130°compleanno di una Casa votata al bene dei giovani e tanto desiderata da Don Bosco stesso.

Il Borgo Ragazzi Don Bosco di Roma presenta l’estate ragazzi a Uno Mattina

Ieri, durante la trasmissione di Rai Uno Uno Mattina, è andato in onda un servizio dove si presenta il centro estivo del Borgo Ragazzi Don Bosco di Roma di quest’anno nella fase 2 del Covid19:

Maria Ausiliatrice: la madre che ci insegna ad amare nei “tempi difficili” C

Pubblichiamo il messaggio dell’ispettore della Circoscrizione Italia Centrale, don Stefano Aspettati, per la solennità di Maria Ausiliatrice.

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La solennità di Maria Ausiliatrice, madre nostra e dei cristiani, ci aiuta a riflettere sul suo straordinario posto nella storia della salvezza, ma soprattutto sul posto che occupa nella nostra vita. Le tappe del cammino di Maria non dipendono da un suo progetto di vita, non sono in vista di sua crescita personale e ancora meno in vista di una autorealizzazione; esse dipendono dallo sviluppo del progetto di Gesù a cui lei ha cercato, non senza fatica, di aderire. Ogni tappa della vita di Gesù ha chiesto una risposta a lei. Ed ogni risposta, risposta di fede, è stata sempre nuova e al contempo appoggiata alla precedente, realizzando una stupenda progressione. Maria ha vissuto in funzione del Figlio. Oggi qualcuno potrebbe trovare frustrante vivere una vita “in funzione di”. In realtà questa espressione va intesa nel senso di “totalmente dedicata a”, “generosamente donata a”, “disposta a morire per”. Queste frasi descrivono ciò che Maria ha vissuto e un modo stupendo di vivere, l’unico per cui valga la pena. 

Il cammino di Maria ha conosciuto delle tappe molto differenti. I suoi privilegi singolari di Immacolata, Vergine, Madre di Dio, Assunta in cielo – anch’essi tutti in funzione di Gesù – non tolgono nulla alla faticosa umanità del suo itinerario. Nell’annuncio c’è stato il primo atto, quello in cui Maria ha detto sì: la sua maternità è stata conseguenza della sua fede. Il Dio a cui aveva consegnato la sua vita, la spinge subito a servire una parente lontana per la quale non esita a mettersi in viaggio e in cui contempla il Signore: la gioia narrata nel Magnificat non è una preghiera inventata da Maria, ma un’applicazione di parole conosciute alla sua vicenda personale. Nella nascita di Gesù, Maria sente l’annuncio di quel che è successo da alcuni pastori sconosciuti: non le resta altro che accogliere meditare queste parole nel suo cuore. A Gerusalemme sente quale sarà la ricompensa terrena per il suo servizio: l’anima trafitta dalla spada. Nell’esilio in Egitto Maria deve conoscere subito le conseguenze dell’odio del mondo per questo figlio. Sempre a Gerusalemme dalle stesse parole del figlio dodicenne comprende in modo nuovo – non senza sofferenza – che egli non era anzitutto suo ma del Padre. Da Cana di Galilea in poi, negli anni della vita pubblica di Gesù, si consuma il vero e proprio distacco fisico tra madre e figlio: Maria non è nel gruppo che segue Gesù nel suo peregrinare e perde sempre più importanza nel racconto, ma viene tuttavia esaltata indirettamente dallo stesso Gesù: lei è beata non perché madre ma perché ha creduto. Sotto la croce i due si ritrovano e lì arriva la consegna finale di lei al discepolo amato e del discepolo a lei. La conclusione di Maria è con gli apostoli, in comunità. 

Al di là delle sue prerogative speciali, il cammino di fede di Maria può essere il nostro. Nelle risposte di fede di Maria abbiamo visto una progressione. Noi in questi mesi abbiamo imparato purtroppo a riconoscere bene le progressioni della curva dei contagi del Covid-19; ma anche nella nostra fede dovremmo scorgere delle progressioni; certo quelle della fede non sono né geometriche, né lineari, procedono piuttosto a spirale: a volte mentre sembra di salire senza accorgerci torniamo indietro e mentre sembra di scendere si sta prendendo la curva ascendente. Solo passando da questo itinerario di Maria e ricordandolo possiamo comprendere come è possibile che Ella sia Ausiliatrice dei Cristiani, la Madonna dei “tempi difficili”, come diceva don Bosco. La Madonna che vediamo dipinta con i segni della regalità mentre ci mostra il Figlio Re è la stessa ragazza di Nazareth, diventata madre e sposa, che nella sofferenza ha imparato a credere amando e ad amare credendo. Per questo può aiutare ciascuno di noi. La creatura più alta, davanti alla quale il Demonio fugge, può intercedere per noi come madre forte perché comprende le nostre fatiche, le nostre sofferenze, le prove cui siamo chiamati. Lei che non ha conosciuto come noi il distacco da Gesù che viene dal peccato, ha dovuto vivere durante la vita di Gesù il distacco fisico negli anni del ministero pubblico e poi dopo la Sua morte, ma anche il distacco molto più profondo di chi sa che il figlio non le appartiene. Tutto ciò ben si salda col distacco che i discepoli vivono nel giorno della Ascensione che meditiamo quest’oggi. L’Ascensione è il passaggio mediante il quale Gesù se ne torna al Padre portando e divinizzando la natura umana e contemporaneamente affida ai discepoli la Sua missione sulla terra. I discepoli smarriti capiscono che adesso tocca a loro; il dono dello Spirito Santo li investe con la sua forza abilitandoli a quello che neanche loro potevano immaginare di essere capaci: portare avanti la missione di Gesù senza avere Gesù con loro. Ma Gesù ha promesso di essere presente e la missione è la Sua! Dobbiamo ricordarlo. A volte capita anche noi di riferirci alla missione come fosse una cosa nostra; oscilliamo allora tra entusiasmi e smarrimenti a seconda di come vanno le cose. Credo che nei prossimi mesi potrebbe capitarci sovente, nell’alternanza di speranze che si creeranno e di scelte difficili e a volte dolorose che – chi più chi meno, a vari livelli – tutti saremo chiamati a fare. Ma appunto sbaglieremmo perché la missione è Sua non nostra e dovremo ricordarcelo proprio quando le cose si faranno più difficili. Il distacco che Gesù opera nella Ascensione è un grande atto di fiducia verso di noi, è l’affidamento della missione alla Chiesa, come un maestro che lascia il posto all’allievo; ma a differenza di un’arte imparata che poi si porta avanti da soli, noi non possiamo portare la missione che Gesù ci affida senza di Lui. Appunto perché Lui stesso è il contenuto della missione. Il distacco non ci serve per renderci autonomi nel nostro agire e operare, ma ci è necessario per fare una scelta, che è quella di riaffidare continuamente a Lui tutto. 

Carissimi, siamo anche noi in “tempi difficili” come don Bosco. Nelle nostre comunità religiose ed educative mi pare che li stiamo affrontando con grande forza, sono tantissime le famiglie che sono state aiutate dalla carità nascosta di molti salesiani e volontari; sono tantissimi i giovani raggiunti nei modi più vari; si sono messi in moto dei percorsi belli di progettazione anche per l’estate ormai alle porte. Adesso il mondo intorno a noi – e noi con lui – stiamo lentamente riprendendo il suo corso. Nello stringersi dei decreti la creatività nella passione per i giovani non ci manca. Oggi è la prima domenica in cui – seppur con norme molto precise – si può ritrovare la comunità dei fedeli attorno all’Eucarestia domenicale. Tuttavia a volte ci sembra e ci sembrerà di essere soli. Anche a noi verrà la sensazione di doverci arrangiare in qualche modo da soli, con le tentazioni conseguenti. È importante ricordarci proprio in questi momenti della promessa del Signore che leggiamo nel versetto finale del vangelo di Matteo “io sono con voi tutti i giorni, fino alla fine del mondo”; Egli ci sta vicino con la forza del Suo Spirito e senza di Lui non andremo da nessuna parte. Ma è vera anche un’altra cosa: senza Maria non andremo da nessuna parte. Maria Ausiliatrice è la mamma esperta che Lui ci mette accanto come la mise a Giovannino Bosco; non dobbiamo temere, lei ci sarà di aiuto e conforto. 

Don Stefano

Esercizi spirituali MGS IC: distanti ma uniti

Dall’8 al 10 maggio i giovani del Movimento Giovanile Salesiano dell’Italia Centrale hanno vissuto da casa gli Esercizi Spirituali: oltre 140 giovani connessi per riflettere e confrontarsi con la Parola in questo periodo al di fuori dell’ordinarietà.

Ecco la testimonianza di Biancarosa Traffano
Non si può certo dire che Dio non sia un tipo fantasioso: chi di noi avrebbe immaginato di essere contattato da Lui in videochiamata? Invece è proprio quello che è successo in questi giorni, perché senza dubbio l’idea di vivere a distanza gli Esercizi Spirituali non può che essere stata ispirata dallo Spirito Santo, come dimostrano la gioia e la gratitudine che oggi abitano il nostro cuore.
E non è stato solo Dio a raggiungerci lì dove eravamo, ma è stato il Movimento Giovanile Salesiano! La difficoltà di concentrarsi (anzi, raccogliersi!) a casa è stata compensata dall’unità straordinaria che si è creata, dall’entusiasmo di condividere questo momento con tutti i giovani del MGS IC. Di più, proprio questa inedita modalità di vivere il ritiro ci ha permesso di superare i confini delle nostre regioni e così abbiamo gustato insieme un’esperienza di esercizi che forse prima potevamo dare per scontata, ma che ora è davvero da riconoscere come dono gratuito e soprattutto non scontato.
Con la sua dolcezza e saggezza don Mario Rollando ci ha presi per mano e ci ha accompagnati sulle orme del Risorto. L’incontro con Lui attraverso la sua Parola fa rinascere in noi la memoria del suo amore che scalda il cuore e che ci rende testimoni: non persone perfette, ma mendicanti che sempre desiderano il Signore. Come e con sant’Agostino don Mario ci ha esortato proprio a desiderare, perché il nostro desiderio di Dio è preghiera, anche e soprattutto quando emotivamente siamo in difficoltà, quando ci sentiamo insensibili alla Grazia o addirittura in lotta con essa. Dalle nostre contraddizioni può scaturire una preghiera che è solo nostra, che è personale e originale, come quella di san Tommaso, che soffre e pretende di vedere Gesù per poi prorompere nel bellissimo “Mio Signore e mio Dio!”.
Nell’ultima intensa tappa del nostro percorso don Mario ci ha portato in Galilea, luogo non scelto a caso da Gesù per incontrare i suoi discepoli: luogo dello scarto, del margine, dei poveri, dei peccatori… Luogo da cui vorremmo fuggire, ma che fa parte di noi, che rappresenta le nostre più intime zone buie, gli aspetti di noi stessi e della nostra vita che vorremmo nascondere e con cui non siamo riconciliati. Ma Gesù ci dà appuntamento proprio in quelle Galilee, ci aspetta lì, perché “ama illuminare i nostri sotterranei”. Quelli in cui forse siamo anche più veri. Perché non c’è bisogno di sforzarti per meritare l’amore di Dio: la sua Grazia ti precede ed è lei che crea in te infiniti motivi per amare ogni pezzo della tua vita, che sia Galilea o che sia Giudea, buio o luce.
Ancora don Mario ci ha spinto a vedere la bellezza nella diversità che abita il mondo e la stessa Chiesa, come nelle due figure di Pietro e Giovanni, a scoprire che la relazione con Dio è l’asse portante che spinge il pastore ad amare il suo gregge, perché: “soltanto gli assidui frequentatori del mistero di Dio possono essere raffinati interpreti e servitori del mistero dell’uomo”. Così il nostro amore per gli altri non risulta sminuito dal nostro rapporto prioritario con Dio, ma semmai potenziato, reso divino.
Dopo queste giornate abbiamo imparato per esperienza che a contatto con la Parola di Dio il nostro cuore può sempre ardere, non importa dove siamo: nella natura, in oratorio, all’università, al lavoro, in Chiesa… A casa. Come ci ha detto madre Yvonne, altro grande regalo di questi Esercizi, la Parola ci raggiunge nel nostro oggi, con una chiamata che non è quella di ieri e nemmeno quella di domani: oggi, #lìdovesei, non lasciar spegnere il fuoco che Dio ha acceso nel tuo cuore.

Guarda la videotestimoniaza

Sars-CoV2 e Liturgia della vita

Pubblichiamo la testimonianza di Anna Sansoni, Infettivologa c/o l’Ospedale di Siena e di Andrea Lapi Internista c/o l’Ospedale di Siena; Salesiani Cooperatori all’Oratorio La Magione di Siena pubblicata sul sito dell’Ispettoria Italia Centrale.

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Ubbidisco piano alla richiesta delicata di una testimonianza di questi due mesi e mezzo in compagnia del Coronavirus-19 e mentre inizio a scrivere, mi sale il nodo alla gola e mi si appannano gli occhi: mi sorprende questa reazione, ma la accolgo. Sono circa tre settimane che cerco di apprestarmi a scrivere; riesco a farlo solo oggi, dopo un incontro benedetto su zoom con i giovani universitari dell’Oratorio, guidati da don Emanuele per una lettura di questi nostri tempi in compagnia dei discepoli di Emmaus.
“Manda la tua luce e la tua verità, siano esse a guidarmi” Sal 42

Da infettivologa ho osservato COVID-19 da lontano, ai tempi della Cina, sospesa come tutti sul futuro: si sarebbe arrestato come SARS e MERS, sue cugine di primo grado, oppure ci avrebbe travolto come stava accadendo in Cina? Ad un certo punto della sorveglianza, mi è stato chiaro che sarebbe arrivato in Italia, e anche al nostro Ospedale di Siena. E’ stato un “avvistamento” graduale che mi ha consentito di preparare il cuore ai giorni futuri, fino all’impatto d’urto previsto ed atteso. Uno sguardo diretto ed intenso di un amico, senza dirsi parole, aveva colto, che di lì a poco ci sarei stata in mezzo. L’ultima liturgia comunitaria a cui ho potuto partecipare, la liturgia delle Ceneri, ha preceduto di poche ore il mio distacco dalla famiglia e dall’oratorio, con l’intento di proteggere le persone a cui volevo bene da un eventuale contagio che potesse dipendere da me, come è stato per molti altri sanitari. E’ stato uno strappo forte, una vera quaresima nella quaresima, un digiuno dagli affetti e dalle relazioni più feconde ed intime. L’ho accolto e consegnato al Signore. Ho scritto al mio parroco e amico “ho con me tutto ciò che mi serve, il Signore, la Parola, il vostro affetto”. Non potendomi confessare dal mio direttore spirituale né dal mio parroco a causa del lockdown ho cercato il cappellano dell’Ospedale per mettermi in Grazia di Dio. Ho portato con me poche cose a cui proprio non potevo rinunciare: tra queste la Bibbia, il mio rosario e alcuni libri di don Bosco che mi avrebbero fatto compagnia. Per il primo mese ho vissuto senza la presenza della mia famiglia, con Gesù nel cuore, la compagnia della Parola quotidiana offerta dalla Chiesa mia madre, il timone di Papa Francesco con la Messa del mattino, la guida dolce e forte del mio direttore spirituale nei momenti più duri; ho lavorato intensamente, studiato il COVID-19 durante il riposo, pregato il Signore perché mi desse il suo sguardo e solo il suo sguardo nel leggere gli eventi.

I giorni successivi ci hanno visti travolti dagli eventi. I malati arrivavano quasi sempre nel cuore della notte, con il buio, quando le energie sono più fragili e le forze più esauribili. Strappati dalle loro famiglie, non vi era possibilità di visite, non volti amici, non contatti diretti, non il conforto di confessione o Eucaristia in momenti che potevano essere gli ultimi della vita; solo la nostra mediazione, privata però di ogni tratto umano visibile, attraverso i dispositivi di protezione individuale, la voce artefatta, lo sguardo dietro una visiera spesso appannata. L’impiego di strumenti sanitari massimali, respiratori, cateteri venosi centrali, pompe, necessari per il recupero della salute violavano i loro corpi sofferenti. Le lacrime degli infermieri, angeli benedetti piegati dalla fatica e dall’oggettivo impatto emotivo, si aggiungevano allo sgomento dignitoso dei pazienti. A fine visita contattavamo ad uno ad uno i familiari, per dare notizie, per confortare clinicamente quando era prevedibile il recupero, per sostenere sempre umanamente: “non vi preoccupate, voi non potete essere qui, ma noi siamo vicini, non li lasciamo, siamo con loro, accanto, insieme, lottiamo con loro e ce la mettiamo tutta per rimandarli da voi”. A fine telefonata ci lasciavano grati. Alcune volte ho pianto: era fortissimo il dolore che vedevo intorno a me e disumana la condizione dei pazienti. Ho accolto e consegnato al Signore. Era quaresima. Nel messaggio di un consacrato condiviso dal mio collega e amico era racchiuso tutto.“Nella via dolorosa di Gesù al calvario che meditiamo in questo tempo di quaresima, una donna Veronica asciugò il volto insanguinato del Signore e un uomo Simone di Cirene lo aiutò a portare la croce . Oggi in questa dolorosa via crucis della nostra patria siete voi, cari medici, cari infermieri, OSS , volontari e addetti alla sanificazione a svolgere questo compito di consolare e di aiutare a portare questa pesante croce. Cristo e la sua madre addolorata ve ne sono grati e soffrono insieme a voi. Non vi sentite soli in questa vicenda misteriosa che cambierà il mondo. Quando vi sentirete scoraggiati e oppressi da questo peso, saranno loro ad asciugarvi il sudore e a riprendere la croce. Gesù Eucaristia presente nella cappella del vostro ospedale è la fonte della vostra forza e del vostro coraggio. Vi affido al cuore immacolato di Maria perché vi protegga e vi custodisca voi e i vostri cari” (1). Ancora la consolazione da parte di un uomo di Dio e la conferma del cuore che non ci serviva niente altro: solo rimanere abbracciati all’Eucaristia, saldi nel Signore, fermi nella Speranza di Lui nostra fortezza.

Una mattina in reparto ho trovato tra i ricoverati in insufficienza respiratoria, un mio amico, uomo di grande fede, già provato dalla malattia prima del COVID-19. Non avevo ancora riflettuto sulla possibilità di dover accompagnare un amico in questo percorso e temevo di perderlo. Se peggiorava ancora, nessuno lo avrebbe intubato, in considerazione delle sue condizioni di base: dovetti dirlo alla famiglia con grande dolore. Tutte le mattine si faceva strada in me il desiderio forte di portargli almeno il conforto dell’Eucaristia, ma io non sono ministro dell’Eucaristia, lui era in Insufficienza respiratoria e i cappellani non potevano entrare. Spessissimo durante la giornata pregavo così: “Signore, se vuoi entrare qui dentro, devi farcelo capire”.

“Ecco, faccio una cosa nuova, proprio ora germoglia. Non ve ne accorgete?” Is 43,19

Ha cominciato a farsi strada in me il pensiero, che quello che all’inizio poteva sembrare solo un pericolo, un dolore, un’immensa fatica, era forse un privilegio assoluto agli occhi del Signore e ho sentito la leggerezza di essere grata.

Dopo un mese di lavoro, i malati aumentavano ed occorreva reclutare altri specialisti per costruire un team di lavoro multidisciplinare. Andrea, mio marito, internista, è sceso a lavorare in COVID. E’ stato per me il momento più difficile, avrei voluto proteggerlo, difenderlo, tutelarlo. “Stolta e tarda di cuore nel credere”….dopo 48 ore di lotta interiore ho accolto e consegnato. Si è allontanato anche lui dal resto della famiglia e mi ha raggiunto. E’ iniziato un periodo di lavoro faticosissimo ma sottoposto ad un ritmo coniugale sacro, calmo, stabile, dolce e sicuro, scandito dall’Eucaristia, dalla meditazione della Parola, dal Buongiorno col Vangelo, la Novena a Maria Ausiliatrice….tutto ancora più bello e forte, con la candela accesa della preghiera e della speranza. Mai stato così bello e dolce. Intanto i nostri figli, ormai giovani-adulti, tra lavoro e studio facevano da fortezza alla nonna di 94 anni, sollevandoci dalla preoccupazione per le cure ai grandi anziani di casa, portandoci cene da asporto, simbolo della cura nella fatica. La percezione era che ognuno stesse cercando di svolgere con docilità e amore il proprio compito. Eravamo grati.

Continuavo a pregare perché almeno per Pasqua i pazienti COVID che lo desideravano potessero ricevere l’Eucaristia. “Mio Signore e mio Dio” Gv 20,28 . Essere raggiunti dal Signore, dove la legge non consente neppure ai familiari di entrare, sarebbe stata la consolazione più grande, avrebbe dato al loro cuore la certezza di essere amati dal Signore senza misura, sarebbe stata Pasqua per primi per loro. Il sabato Santo sono stata contattata da una collega Anestesista, Ministro Straordinario dell’Eucarestia. Ci siamo organizzate rapidamente e con l’aiuto dei cappellani dell’Ospedale e del mio amico e collega che era di turno, nel giorno di Pasqua il Signore ha raggiunto i malati in reparto COVID. E’ stata una consolazione grande, una carezza e una gioia immensa, manifestata con gratitudine dai paziente stessi. Ed è un fatto che quando il Signore vuole una cosa, quella cosa si compie, attraverso mani e volti che “ragionano come Giovanni, con l’intelligenza del cuore” (2) Il mio amico e collega ha scritto il giorno di Pasqua: “Oggi in corsia abbiamo avuto la possibilità di “prescrivere” Gesù Cristo, vero Dio e vero uomo , unica speranza e salvezza dei nostri cuori, della nostra anima e di ogni malattia. Grazie a voi, con stima e riconoscenza”. Un altro amico e collega Rianimatore si era affiancato al percorso, eravamo in quattro. Alcuni giorni dopo il nostro Pastore, Arcivescovo Augusto Paolo Lojudice, ci incontrava, conferendoci in un clima di familiarità e preghiera, il mandato “ad Actum” di Ministri Straordinari dell’Eucaristia, perché in questa pandemia, non abbia mai a mancare ai più fragili il vero Pane di vita.

Eravate erranti come pecore, ma ora siete stati ricondotti al pastore e custode delle vostre anime” 1 Pt . Il nostro cuore finalmente riposava e non era più una intuizione, ma una certezza dell’anima, che la presenza in reparto COVID è un privilegio.

Non è qui. E’ risorto”Mt 28,6

Col passare dei giorni la tensione si è allentata, l’organizzazione è diventata sempre più solida, le condizioni di molti malati si sono stabilizzate, abbiamo potuto rimandare alle loro famiglie molti pazienti. Il momento della dimissione è stato spesso un atto di amore reciproco bagnato dalle lacrime della gioia e della gratitudine. Non abbiamo mai potuto abbracciarci ma avevamo raggiunto l’unità dei cuori.

Anche il mio amico, che avevo temuto di perdere, è stato dimesso da Andrea in tempo di Pasqua. Molta Chiesa di Siena aveva pregato per lui. Questo un suo pensiero: “Il diluvio di preghiera che si è rovesciato su di me , mi ha tratto fuori dalla secca del torrente e spinto verso la foce della salvezza. Il vento dello Spirito mescolato alle vostre preghiere mi ha allontanato dal centro della bonaccia. L’amore che reggeva il timone mi ha condotto al porto della mia sicurezza. La comunione dei Santi ha innalzato con voi un coro alla potenza, misericordia, bontà di Dio per me che sono un povero peccatore. Ma chi capirà mai quanto la misericordia di Dio supera i nostri pensieri?”. Il Signore gli si è fatto compagno di viaggio e non lo ha mai lasciato solo.

“Vicino o lontano io penso sempre a voi” Don Bosco 10 maggio 1884

In questo tempo ho vissuto in un mondo parallelo, ma “vicino o lontano ho pensato sempre a voi miei cari giovani” anche se solo raramente e quasi mai in tempo reale ho potuto comunicarvelo. Non vi ho pensato per le attività che non potevamo fare, per la porta temporaneamente chiusa dell’oratorio o per le tante occasioni di vita pastorale che apparentemente stavamo perdendo. In questo paradossalmente sentivo di poter riposare: lo Spirito stava suscitando una fioritura di iniziative di preghiera ed eventi pastorali inimmaginabili, bellissimi con una creatività che solo l’amore sa generare. La vostra energia e il vostro cuore sono stati esplosivi anche in tempo di pandemia così come la vostra docilità agli eventi è stata rassicurante. Questi tempi, sono una prova durissima ed estrema per l’umanità e per il mondo, per le famiglie e per ognuno di noi seppur in misura diversa, ma non sono tempi di morte spirituale. Mano a mano che vedevo fiorire in COVID cose nuove, intuivo che lo stesso stava accadendo all’aria aperta, sotto la guida del Signore; bastava desiderarlo, cercarlo, volerlo e chiedere occhi in grado di vedere le novità che lo Spirito ci stava preparando.

Vi ho pensato invece, con maternità spirituale, sui “fondamentali della vita” chiedendomi se vi avevamo passato le coordinate con fedeltà o vi avevamo tradito, edulcorando il messaggio. Mi sono chiesta se ci siamo fatti le domande giuste e se abbiamo preparato bene il bagaglio a mano per il viaggio, mettendo dentro tutto ciò che ci serve per curare le ferite e affrontare un percorso di perdite che, prima o poi nella vita ci raggiunge e non ci permette la fuga. Mi sono chiesta se abbiamo chiaro in pratica, qual è la nostra destinazione. L’impatto durissimo della pandemia, ci viene in aiuto per prendere coscienza di tutto questo e proprio su questo don Bosco non si lascia vincere in chiarezza e non lascia spazio al “rispetto umano”. Vorrei che insieme cercassimo il senso profondo di quello che stiamo vivendo e che con il Signore per compagno di viaggio si aprissero i nostri occhi e ricolmi di gioia tutta salesiana, facessimo ritorno verso Gerusalemme con Gesù nel cuore.

Quest’anno credo che non sarà possibile fare il campo in montagna a Les Combes, in Valle d’Aosta, come avevamo programmato, ma ugualmente sogno un campo in cui possiamo cantare insieme la bellezza della vita e del Paradiso.

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Italia Centrale, il messaggio dell’Ispettore per la festa di San Domenico Savio

L’esempio di Domenico e la “fase a due”

Carissimi confratelli, Carissimi membri della Famiglia Salesiana, Carissimi membri delle CEP locali, Carissimi giovani,

all’interno del mese mariano, la festa di San Domenico Savio mi da l’occasione di scrivervi di nuovo. Nell’anno in cui la proposta pastorale è incentrata sulla santità, mi piace proprio sottolineare questa figura, cresciuta nello straordinario clima educativo di Valdocco. Purtroppo però il santo adolescente che ha ispirato tante generazioni di giovani, salvo alcune eccezioni, oggi appare sovente ai nostri giovani una figura di riferimento lontana. Eppure Domenico Savio è il capolavoro della pedagogia di Don Bosco. Domenico potremmo dire che è la sua “sfida raccolta”. Infatti Don Bosco aveva saputo sfidare e additare a questo ragazzo un ideale alto – la santità – gli aveva consegnato le chiavi per raggiungerlo e ciò che più conta aveva saputo dare a lui fiducia di poterlo raggiungere, pur non mancando di dargli dei correttivi. Emblematico è ascoltare come Domenico spiega tutto questo all’amico Camillo Gavio: Noi qui facciamo consistere la santità nello star molto allegri. Noi procureremo soltanto di evitar il peccato, come un gran nemico che ci ruba la grazia di Dio e la pace del cuore, procureremo di adempiere esattamente i nostri doveri, e frequentare le cose di pietà. Comincia fin d’oggi a scriverti per ricordo: Servite Domino in laetitia, servite il Signore in santa allegria”. L’aspirazione alla santità in Domenico non era tuttavia finalizzata a una egoistica autorealizzazione, ma a un cercare di allargare il bene a più persone possibile. L’anelito di ogni adolescente a scoprire e affermare la propria identità viene quindi risolto da Domenico nel servizio all’altro, nel dono di sé.

Possiamo dire senz’altro che Domenico Savio è stato anche un dono per don Bosco. Il Signore ha suscitato sia il santo educatore che il santo ragazzo. Domenico è stato per don Bosco una indicazione di percorso, la dimostrazione che era possibile una via di santità anche in età così tenera. Noi non siamo certo qui ad esaltare il fatto che un ragazzo sia morto a 15 anni (quando accade diciamo che è una tragedia enorme!), ma il fatto che anche in un lasso di tempo così breve abbia potuto raggiungere un livello così alto di vita, o meglio la pienezza di vita possibile a un adolescente. Don Bosco è stato il sarto che ha saputo trasformare la “stoffa” nel vestito, ma prima di tutto è rimasto affascinato da una stoffa che non si era dato e che aveva ricevuto. Proprio come accade con ogni giovane che riceviamo in dono nelle nostre realtà: una stoffa grezza da lavorare, ma prima ancora da contemplare. Don Bosco da Domenico è stato a sua volta istruito. E non è stato certamente l’unico adolescente da cui don Bosco ha imparato qualcosa. Papa Francesco nel messaggio che ci ha regalato per il CG28 sottolineava proprio questo tratto dell’esperienza che don Bosco visse a Valdocco: Lungi dall’essere agenti passivi o spettatori dell’opera missionaria, essi [i giovani] divennero, a partire dalla loro stessa condizione – in molti casi “illetterati religiosi” e “analfabeti sociali” – i principali protagonisti dell’intero processo di fondazione. La salesianità nasce precisamente da questo incontro capace di suscitare profezie e visioni: accogliere, integrare e far crescere le migliori qualità come dono per gli altri, soprattutto per quelli emarginati e abbandonati dai quali non ci si aspetta nulla. Lo disse Paolo VI: «Evangelizzatrice, la Chiesa comincia con l’evangelizzare sé stessa… Ci vuole dire, in una parola, che essa ha sempre bisogno d’essere evangelizzata, se vuol conservare freschezza, slancio e forza per annunziare il Vangelo» (Esort. ap. Evangelii nuntiandi, 15). Ogni carisma ha bisogno di essere
rinnovato ed evangelizzato, e nel vostro caso soprattutto dai giovani più poveri. Gli interlocutori di Don Bosco ieri e del salesiano oggi non sono meri destinatari di una strategia progettata in anticipo, ma vivi protagonisti dell’oratorio da realizzare. Per mezzo di loro e con loro il Signore ci mostra la sua volontà e i suoi sogni. Potremmo chiamarli co-fondatori delle vostre case, dove il salesiano sarà esperto nel convocare e generare questo tipo di dinamiche senza sentirsene il padrone.

Le sottolineature del Papa ci ricordano quello che per don Bosco era chiaro e che spesso dimentichiamo nella pratica: in ogni giovane vi è un punto accessibile al bene, ma in ogni giovane può stare addirittura la profezia. La festa di san Domenico Savio – al di là di ogni aneddotica – quindi è proprio l’esaltazione di quella che potremmo definire una “adolescenza” riuscita, ma per dire che ogni adolescenza può riuscire senza dover per forza rimandare la pienezza della vita alle fasi successive ed essere germe di futuro per gli altri. E questo vale tanto per i “Domenico Savio” tanto per i “Michele Magone”, ciascuno per quel che è possibile.

In questi giorni siamo anche a ridosso di un altro anniversario, la famosa lettera da Roma (10 maggio 1884) di don Bosco. Questo scritto programmatico è stato richiamato continuamente durante il Capitolo Generale appena concluso (o meglio interrotto). Come allora siamo stati invitati a confrontarci ancora con l’esigenza sempre nuova di tornare ai giovani, di stare con loro, di essere presenti in mezzo a loro e non solo lavorare per loro. Per don Bosco attraverso la presenza è possibile infatti stabilire quella confidenza che porta ad aprire i cuori e a fare proposte alte da un lato e ricevere ispirazioni dagli stessi giovani dall’altro. L’ascoltare e il rendere continuamente protagonisti adolescenti e giovani ha permesso a don Bosco di trovare la mediazione concreta di quello che il Signore gli ispirava. Erano i giovani lo scopo, ma spesso anche lo strumento del suo discernimento e della sua comprensione della volontà di Dio. Devo ringraziare i tanti confratelli e laici che oltre a continuare a portare avanti da quasi tre mesi un ordinario “straordinario”, hanno avviato anche una interessante riflessione che ha come obiettivo immediato le attività estive, ma che si allarga e che sta facendo emergere un bisogno di concentrarci maggiormente sulla fascia adolescenti. Non si tratta ovviamente di un’attenzione escludente il resto, ma certamente di una istanza che è nel nostro “DNA”. Con i nostri adolescenti occorre fare quanto prima una riflessione su questo tempo, per capire che segni sta lasciando dentro di loro, ma anche per trarre da loro germi di rinnovamento. A ben vedere questo metodo è quello che ha usato il nostro buon padre e quello che fa parte della nostra tradizione. È cominciata la “fase 2”. Siamo tutti a cercare di capire cosa accadrà alla curva dei contagi, perché questo determinerà innanzitutto la fine delle morti per virus o la loro continuazione, ma anche perché questo determinerà o meno un ritorno alla normalità dopo la conta dei danni. È cominciata la “fase 2” anche per il grande mondo salesiano. Anche noi stiamo cercando di capire – con grande fatica e poche certezze! – cosa potremo o non potremo fare quest’estate, che ne sarà dei nostri centri estivi, dei campi formativi, dei pellegrinaggi, delle feste. Probabilmente dovremo attendere ancora un po’ per capirlo. È certo che non potremo fronteggiare tutti gli enormi problemi che si sono accumulati in questi ultimi tre mesi, ma quelli che ci competono sì. E ci competono proprio quelli che sono legati ai giovani, perché insieme alla conta dei danni economici dobbiamo fare la conta dei danni educativi di questo periodo. Forse abbiamo reimparato in questi mesi a metterci in ascolto, a contemplare, a chiedere al Signore delle luci sul cammino. Non basta: la nostra storia ci insegna che ogni snodo passa per saper guardare i giovani. Lo avevamo già detto: senza perdere questo atteggiamento di ascolto del Signore, ascoltare anche i giovani soprattutto in questo tempo ci aiuterà a non cadere nella tentazione di riapplicare quello che conosciamo e che abbiamo sempre fatto e guardare avanti.
Tra Domenico e don Bosco si creò un rapporto “a due” in cui al centro stava il Signore, il servizio agli altri e il cammino di santità. Anche per noi la “fase 2” potrebbe essere un nuovo inizio di una “fase a due”: noi e i giovani, impegnati a sognare e inventare insieme. Questo atteggiamento sono sicuro che ci aiuterà anche a scelte ancora più grosse che ci troveremo senz’altro a prendere nei prossimi mesi. Buona festa di San Domenico Savio a tutti !

Un abbraccio a tutti
Don Stefano

Roma, 6 maggio 2020 Festa di san Domenico Savio

Ho e dono. Non ho e chiedo. La raccolta dei Salesiani di Macerata per chi è in difficoltà

Pubblichiamo l’appello dei Salesiani di Macerata per raccogliere fondi e aiutare le famiglie e i giovani in difficoltà per l’emergenza sanitaria

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È cominciata oggi l’avventura della raccolta fondi per cercare di venire incontro alle tante situazioni di emergenza che coinvolgono i giovani e le loro famiglie!

La raccolta fondi è organizzata dal nostro oratorio, attraverso l’associazione M.G.S. Ser.Mi.G.O. Don Ennio Borgogna, per sostenere concretamente i giovani e le famiglie più in difficoltà in seguito all’emergenza Covid-19.

Si può contribuire attraverso un bonifico bancario, con la causale EMERGENZA FAMIGLIE COVID-19, con le seguenti coordinate:

IT08C0311113474000000010699

Possa essere per tutti la possibilità di fare esperienza di autentica comunione!

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Don Carlo canta Tutte le stelle del cielo

Riportiamo l’articolo uscito sul sito della Circoscrizione Italia Centrale sulla canzone scritta da don Carlo Russo, salesiano di Sulmona.

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Don Carlo, salesiano sacerdote di Sulmona, in questo periodo di emergenza lancia un messaggio di amore, vicinanza e speranza. Lo fa attraverso una canzone dedicata a coloro che sono stati costretti a vedere impotenti lo sconvolgimento drammatico della propria vita.

 

Il mio pensiero e la mia preghiera è per ciascun uomo e donna della terra. E’ per tutti i defunti a causa del virus e per i familiari che non hanno potuto dare loro un abbraccio e far celebrare le esequie. E’ per chi ha dovuto essere ed è ancora in prima linea a tutti i livelli, infermieri, medici, sacerdoti, forze dell’ordine e tanta gente “comune” che sta scrivendo pagine preziose di storia dell’umanità. Insomma, è per TUTTE LE STELLE DEL CIELO!”

 

E se è vero che, come dice la canzone “C’è buio nell’Italia, nel c’è buio nel mondo, c’è buio nel cuore della gente” a causa dell’incertezza, del dolore, delle preoccupazioni e della malattia perché, “non si po’ dire «domani», è vero anche che c’è stata e continua ad esserci una generosa manifestazione di solidarietà, capace di ridare Luce alle nostre vite.

 

Condividiamo questa canzone e ci uniamo all’abbraccio di don Carlo a chi nella vita ha una croce da portare.

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Educazione di cuore a domicilio: una testimonianza dal Servizio civile

Riportiamo la testimonianza di una volontaria del Servizio Civile che svolge all’oratorio Pio XI di Roma e pubblicata dall’agenzia salesiana ANS.

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(ANS – Roma) – Una passione, quella della danza, che diventa strumento di crescita, personale e al servizio degli altri; e un cammino fatto di fiducia, prima ricevuta e poi data, che diventa percorso di fede e di generosa donazione: tutto questo è presente nella testimonianza di Chiara, una giovane volontaria del Servizio Civile presso l’oratorio dell’opera “Pio XI” a Roma, che ha saputo ben avviare il suo impegno con i ragazzi già prima della pandemia, e che è riuscita a reinventarlo poi.

La danza mi ha sempre accompagnata nella mia vita. In ogni fase della mia crescita mi ha portata a scoprire me stessa e il mondo che mi circondava. È sempre stata una fedele amica.

L’idea di creare un musical mi frullava nella testa già da un po’ di tempo, ma non sapevo come tirar fuori questo progetto e realizzarlo materialmente: avrei dovuto aver un teatro, degli attori con un copione in mano, dei cantanti, un corpo di ballo, dei registi e persino dei tecnici audio e luci… impensabile con i pochi strumenti che possedevo.

Fu così che per una serie di casi “fortuiti”, ho conosciuto don Massimiliano Dragani ed il suo oratorio del Pio XI. Mi sono inserita nel loro gruppo come “coreografa” del musical che poi avremmo portato in scena il 27 maggio del 2019 al Teatro Roma. In quell’occasione ho conosciuto tutti gli elementi che compongono il cammino salesiano.

Don Massimiliano è stata la mia guida spirituale nel viaggio in Terra Santa, viaggio che ha stravolto la mia vita. Quando siamo tornati è stato proprio lui a chiedermi se volessi partecipare come volontaria del Servizio Civile in oratorio. In quel momento della mia vita stavo perdendo le mie sicurezze e quelle che, fino a poco prima di partire per Israele, erano le mie certezze. Con il suo aiuto ho accettato di iniziare questo percorso per il progetto “Educazione di cuore”.

Ho iniziato il servizio a gennaio 2020 presso l’Istituto Salesiano Pio XI insieme a Giulia. Da subito ci siamo messe in gioco, soprattutto con gli adolescenti, attraverso attività ricreative e laboratori. Non sono certo mancati quei momenti di consolazione, conforto e confronto con loro, momenti che ci hanno aiutate ad entrare in punta di piedi nelle loro vite, a volte così drammatiche.

Più passavano i giorni e più mi sembrava di rivivere in prima persona il periodo dell’adolescenza, quel periodo di insicurezza totale, in cui ti chiedi se qualcuno ti capisce, quel momento in cui ti domandi chi sei e cosa ci fai in questa vita. Ogni giorno alle 15:30 uscivo da casa per andare in oratorio con un bagaglio emotivo ed una grande certezza: accompagnare i ragazzi di fronte a queste domande. Non potrò mai rispondere alle domande al posto loro, ma accompagnarli, confortarli e affrontarle… quello sì.

Quando uscì il primo decreto di emergenza del 9.03.20, da studentessa di giurisprudenza quale sono, ho capito da subito la gravità dell’emergenza con l’emanazione di un atto di tale portata. I nostri ragazzi non potevano più venire da noi ma noi potevamo andare da loro, così abbiamo cominciato a girare per i parchi della zona per poter giocare con loro, scambiare due chiacchiere e portargli la merenda… in altre parole, per non abbandonarli.

Purtroppo questo nostro progetto è durato solo qualche giorno perché successivamente è uscito un nuovo decreto che non ci permetteva di uscire dalle nostre case.

Ci siamo ritrovati a rimodulare il nostro progetto, in modo tale da non uscire di casa ma continuare con il nostro lavoro “di cuore”. Ci siamo attrezzati con le piattaforme online per poter sentire i ragazzi.

Nello specifico io sono animatrice nel gruppo apostolico del biennio ed ogni domenica ci ritroviamo su Zoom, dopo la Messa in streaming, per una riflessione insieme sul Vangelo, mentre gli altri giorni della settimana lanciamo qualche nuova challenge, una sfida, varie attività di gruppo e laboratori. I ragazzi rispondono positivamente a questi incontri perché sono un modo divertente, ma costruttivo per coltivare i nostri rapporti, per mettersi in gioco e, aggiungerei, per rimanere gioiosi e uniti anche nei momenti più duri. Ci sono dei ragazzi che purtroppo sono in casa immersi in situazioni drammatiche e quel messaggio o quella chiamata anche di pochi minuti per loro è una salvezza… Ma la cosa più bella è che è diventata anche la certezza di una Presenza.

Questo periodo penso che sia un’opportunità di crescita unica, per noi volontari e per i ragazzi che vivono l’oratorio a distanza. Ci è stata data questa occasione per riscoprire la bellezza di tutto ciò che prima per noi era scontato: attraverso la mancanza di una persona o di un ambiente, in questi giorni abbiamo la possibilità di rivalutare la qualità dei rapporti che abbiamo creato e soprattutto, imparare a stare con noi stessi così come siamo.

Ringrazio ogni giorno il Signore di avermi permesso di diventare volontaria del Servizio Civile, di avermi dato l’opportunità di mettermi in gioco in questo periodo così difficile, ma che mi ha permesso di rinnovare la mia fede attraverso l’educazione di cuore.

Chiara Di Loreto

Ci dite cosa sta succedendo veramente?

Pubblichiamo l’articolo di Davide e Francesca, responsabili dell’oratorio di Vallecrosia impegnati in prima linea contro l’emergenza sanitaria.

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Per il mondo salesiano, Francesca ed io, siamo Incaricati dell’Oratorio di Vallecrosia. La nostra vita professionale però è ben diversa: siamo entrambi ingegneri dipendenti dell’ASL 1 di Imperia; Francesca si occupa di edilizia ed impianti, io di elettromedicali.

Ci viene chiesto di dare una testimonianza dall’interno del mondo sanitario sull’emergenza sanitaria che stiamo vivendo.

L’inizio della pandemia ha per noi una collocazione precisa. Da giorni si parlava di questa “influenza”, le scuole erano state chiuse e, immaginavamo come tutti, che questo avrebbe comportato la necessità di chiudere anche i nostri Oratori. Sabato 29 alle ore 17.00 è stato l’ultimo giorno di apertura del cortile fino “a data da destinarsi. Onestamente ancora non avevamo idea di cosa stesse per accadere e, in fondo, il pensiero che fosse un po’ tutto esagerato per “un’influenza un po’ più forte” c’era… Poi abbiamo ricevuto la telefonata del capo per una riunione urgente in ospedale alle 18:00. Da qui il sentore che poteva essere qualcosa di più…
Nell’arco di 15 giorni abbiamo stracciato l’organizzazione di tutta la sanità della provincia: chiuso tutto ciò che non fosse salvavita, fermato le sale operatorie, creato terapie intensive, isolato le cure fondamentali (oncologia, dialisi). Una vera rivoluzione che attraverso le fonti di informazione (e disinformazione) è arrivata a tutti e, per questo motivo, volutamente non ci soffermiamo sulle conseguenze sanitarie che questo virus ha causato.

Il primo mese è stato tosto: orari di lavoro dilatati e imprevedibili, evoluzione rapidissima dell’emergenza, tanti colleghi contagiati e quindi risorse e forze ridotte. Una corsa contro il tempo in attesa del picco!
Ricorderò per sempre quando, a fine giornata, ho ricevuto una chiamata dalla Rianimazione di Sanremo. Mi chiedevano l’ennesimo respiratore ma erano finiti e non sapevo quando quelli nuovi (comprati in fretta e furia) sarebbero arrivati. Non avendo altre soluzioni, ho preso un respiratore dal Pronto Soccorso di un’altra città, sperando che almeno per qualche giorno lì non sarebbe servito. L’ho caricato nella mia macchina e l’ho trasportato di corsa. Il giorno successivo ho saputo che quel respiratore è servito per intubare un mio collega.

Ora la situazione è migliorata e da qualche settimana riusciamo a parlare con i nostri giovani. A loro possiamo rispondere alla domanda regina: “Ci dite cosa sta succedendo veramente?”

Ci accorgiamo che la nostra realtà è divisa in 3 mondi ben distinti (e già sulla terminologia si potrebbe fare più di un trattato):
Esiste il mondo sporco, quello dei pazienti gravi in terapia intensiva o ricoverati perché critici e bisognosi di terapie. Un inciso è doveroso: i pazienti gravi sono una piccola percentuale ed effettivamente spesso anziani, ma resta un numero tale che le nostre strutture non avrebbero potuto accogliere, perché molto oltre la capienza ordinaria.
La frontiera del mondo sporco è netta e importante. Si passa attraverso il rito del “vestirsi”: camice, sovrascarpe, cuffia, maschera e occhiali. Di queste, la prima fa annebbiare gli altri, provocando un impedimento banale ma che rende tutto ancor più complicato… Pur svolgendo un lavoro tecnico, mi trovo a disagio nello stare di fronte ai pazienti bardato in questo modo, perché inevitabilmente marchio a fuoco il loro “essere pericolosi”. Chi si prende cura di loro (medici e infermieri che meritano le tante lodi per quanto fanno) mi racconta di quanto sia difficile non mostrare loro un sorriso; un gesto che normalmente trascuriamo ma che in questa situazione è di vitale importanza. Il doverci imbardare ci rende “impersonali” ai loro occhi e noi siamo le uniche persone che loro possono vedere a causa dell’isolamento. I pazienti covid non possono ricevere visite, al massimo videochiamano con un tablet. E chi muore, lo fa solo.
C’è poi il mondo pulito, al quale ritorni da quello sporco con il secondo rito (molto più attento e rigoroso nei passaggi) dello spogliarsi. Siamo ancora dentro l’ospedale e tutto ruota intorno alla parola “Covid”, di cui peraltro molti ignorano il significato. Positivo o negativo. Tampone. Mascherina. Disinfettante. Qui si vivono le uniche relazioni personali di chi opera in ospedale (almeno le abbiamo!), tutte comunque sottomesse ad un filo continuo e spossante di preoccupazione: oggi me la sarò presa? E non è tanto la preoccupazione di “prenderla” nelle forme più forti e pericolose, ma quella di portarlo con sé e contagiare altri, a partire dai propri cari. Nel nostro caso ad esempio, lavorando entrambi, non abbiamo altra soluzione se non quella di lasciare i figli ai nonni, che per età sono sicuramente più a rischio.

Infine, c’è il mondo fuori, i cui abitanti spesso sono talmente riempiti di informazioni dalle fonti più disparate, da non avere la minima idea di quello che sta succedendo negli altri due mondi. Il mondo fuori subisce le conseguenze sociali ed economiche, non riuscendo a capire il problema sanitario a monte. Capita quindi di dover tranquillizzare chi vive nel panico, o di spiegare i motivi per cui siamo chiamati alle tante dure misure per ridurre il contagio.

Chiudiamo con una storia che raccontiamo ai nostri giovani, perché ci ha colpito.
E’ l’esempio di un elettricista, papà di una ragazza che pratica rugby nel nostro ambiente. Francesca lo conosce da tempo perché spesso ha lavorato nei nostri ospedali, arrivando anche a lanciargli una proposta di impegno in Oratorio, declinata per “mancanza di Fede”.
In questo periodo, diverse ditte si sono tirate indietro per la paura del contagio, ma non la ditta di questo elettricista, il quale per primo ha lavorato senza sosta per adeguare gli impianti allo stravolgimento dei reparti, “sporchi o puliti” che fossero.
Francesca, questa volta, ha fatto una proposta diversa: “Prenditi un paio di giorni e riposati, puoi far venire qualche tuo collega per questo lavoro (in un reparto pulito). La risposta è stata nuovamente un rifiuto: “Ne avrei anche bisogno, ma io conosco meglio degli altri i vostri impianti e, in questo momento, è giusto fare la mia parte con il mio servizio”

Davide e Francesca

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