Marcel Callo: molto, troppo cattolico per non essere arrestato e condannato

Da Note di Pastorale Giovanile.

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di Francesco Motto

Alla lettura della biografia di Marcel Callo scritta da J. B Jégo (Un exemple, Marcel Callo. Rennes, Editions Riou-Reuzé 1946, 194 pp.) il famoso cardinale arcivescovo di Parigi, Emmanuel Shuard, scriveva all’autore nel febbraio 1947: “Inoltre voi avete fatto dell’agiografia. Senza dubbio non bisogna anticipare i giudizi della Chiesa, che soli sono decisivi, ma cosa manca a questo eroe perché sia proclamato santo”? Esattamente il 4 ottobre di quarant’anni dopo papa San Giovanni Paolo II lo elevava alla gloria degli altari fra la schiera dei nuovi beati.
Non è forse il primo scout francese ad essere beatificato, neppure il primo membro della JOC (Jeunesse Ouvriére Chrétienne = Giovani lavoratori cristiani) a raggiungere tali altezze spirituali, ma di certo quella di Marcel Callo è una figura di giovane degna di uscire dai ristretti confini nazionali per essere conosciuta universalmente.

Marcel Callo: chi era costui?

Marcel nacque a Rennes in Bretagna il 6 dicembre 1921, secondo di nove figli di una famiglia molto religiosa. Il fratello maggiore Jean sarebbe diventato sacerdote. Crescere in una numerosa famiglia lo ha abituato fin da piccolo alla condivisione delle cose, all’esercizio del rispetto delle opinioni altrui, alla disponibilità verso gli altri: ne avrebbe fatto tesoro negli anni avvenire. Leader in mezzo ai compagni di scuola, scanzonato come era, non dimostrò grande interesse negli studi, ma comunque, intelligente come era, riuscì a superare le prove scolastiche della fanciullezza. Nello stesso tempo però frequentava la vicina comunità dell’Adorazione e il monastero delle Clarisse, servendovi la messa da puntuale chierichetto ed eccellente cantore. Dell’Eucaristia sarebbe sempre stato un fervido promotore fra i compagni, soprattutto dopo aver fatto la prima comunione e la cresima. A 12 anni entrò fra gli scout (la troupe 5° Rennes), nel cui seno acquisì i valori educativi vivendone i momenti salienti delle uscite e delle attività, fermo restando che “il dovere dello scout comincia a casa”. In breve tempo era pronto per un grande salto.
Dovendo prepararsi al futuro e nello stesso tempo contribuire al benessere economico della famiglia, a 13 anni, appena finite le scuole, entrò come apprendista in un laboratorio tipografico. Di animo molto sensibile e cristianamente formato, non si trovò a suo agio. La dove passava tutta la giornata, in mezzo ad operai adulti, regnavano sovrane la volgarità e l’irreligione. Le passioni adolescenziali cominciarono presto poi a farsi sentire e dovette ricorrere alla preghiera e all’aiuto della mamma che non mancò di fargli balenare l’idea di entrare in seminario come il fratello maggiore. Rifiutò, voleva “fare del bene” fuori, nel mondo.

Operaio, membro della JOC

Accolse così, appena compiuto i 14 anni, l’invito dell’abbé Martinais ad entrare nella JOC, un’associazione ecclesiale di giovani lavoratori e delle classi popolari che svolgeva un’attività formativa, educativa e di evangelizzazione con e per i giovani lavoratori stessi. Fondata in Belgio nel 1925 dal canonico Joseph-Léon Cardijn, l’associazione si stava sviluppando pure all’estero.
Marcel accettò a condizione di poter continuare il suo cammino da scout. Prestò però si rese conto dell’impossibilità della duplice appartenenza per i tanti e impegnativi legami con il movimento jocista. In essa si impegnò decisamente tanto da diventare in tempi brevi presidente della sua sezione, la Saint-Aubin. Da leader carismatico quale si apprestava ad essere, divenne l’amico e il confidente di tutti i membri e l’anima delle loro attività. La sezione crebbe numericamente, operativamente e spiritualmente, nonostante un ambiente operaio che considerava i giovani lavoratori cristiani dei traditori.
Viveva a fondo il suo ideale:

“Voglio diventare sempre più una guida JOC, un combattente in prima linea puro e gioioso. Nel mio grande amore per i miei fratelli, voglio conquistare giovani lavoratori. Voglio vivere in te, Gesù. Voglio pregare con te. Per la tua gloria voglio donare tutta la mia forza e tutto il mio tempo, in ogni momento della mia vita”.

Arrivò al punto di essere soprannominato “Gesù Cristo”. Anziché offendersi, cercò di esserne degno.
Durante otto anni di attività jocista, dal 1935 al 1943, Marcel diede il massimo di se stesso, imparando sulla sua pelle la necessità della pazienza (aveva un carattere piuttosto irruento) con i soci religiosamente meno formati ma soprattutto coltivando il grande ideale cristiano, con il quale affrontare le difficoltà di ogni giorno. Con il suo forte ascendente sui compagni, in prima persona animava ritiri spirituali, circoli di studio, organizzava feste, promuoveva attività teatrali, lanciava catena di comunioni.
Si propose un programma di vita: “avere un cuore di fanciullo per Dio, un cuore di giudice per se stesso, un cuore di fratello per il prossimo”. I sacramenti dell’Eucarestia e della confessione” lo sostennero sempre anche nei momenti della malattia per la continua esposizione del piombo della tipografia. Lo accompagnava spiritualmente il cappellano della sezione abbé Martinais.
La dottrina del Corpo mistico di Cristo – rilanciata dall’apposita enciclica di papa Pio XII – sosteneva il movimento e ispirava i suoi migliori lavoratori. Nel 1937 Marcel partecipò a Parigi al Congresso per il X anniversario della JOC. Intanto ventunenne, si era fidanzato con Margherita, una compagna della JOC, e più tardi programmarono di annunciare il loro fidanzamento in occasione dell’ordinazione del fratello.

La guerra in città e la chiamata al servizio lavorativo obbligatorio

Nel frattempo, con l’anno 1943, la guerra mondiale era arrivata fino a Rennes. La prima disgrazia che colpì la famiglia Callo fu la morte di Maddalena, la terza figlia, durante un’incursione aerea dell’8 marzo. Contemporaneamente Marcel fu chiamato per andare a lavorare in Germania. Come altri, avrebbe potuto non presentarsi, ma ciò avrebbe esposto a rappresaglie il padre e il fratello, che stava per essere ordinato prete. Inoltre non voleva abbandonare i soci della JOC che avevano deciso di presentarsi.
Il 19 marzo 1943, il giorno del funerale della sorella, Marcel partì “come missionario” per il campo di Zella-Mehlis in Turingia, al centro della Germania, dove arrivò fisicamente e moralmente provato anche in seguito a un’intossicazione alimentare. Si era ferito un dito in una macchina, soffriva di mal di denti, emicranie e coliche. Gli avevano rubato il portafoglio e gli avevano detto che la sua famiglia era stata bombardata. Lo sorreggevano la bibbia che aveva postati con se, alcuni libri e note personali.
Alloggiati nelle baracche del campo con lui vi erano altri francesi. Vennero assegnati alla fabbrica di armi Walther, dove erano impiegati circa tremila lavoratori per dieci o undici ore al giorno. Trascorrevano il resto del tempo nelle baracche, affamati e infreddoliti. I deportati e i prigionieri, qualunque fosse la loro nazionalità, erano maltrattati dalle guardie. Nell’anno precedente all’arrivo di Marcel vi era stata una sola Messa e un’unica assoluzione collettiva. Oltre a questo dispiacere c’erano le prostitute francesi che avevano seguito i deportati. Scrisse in una delle sue numerose lettere conservate (oltre 180 in tredici mesi, spiritualmente profonde, inviate per lo più a famigliari e amici della JOC):

«I due mesi dopo il mio arrivo furono estremamente duri. Non avevo voglia di far niente. Non provavo sentimenti. Mi rendevo conto che mi stavo dissociando a poco a poco. Improvvisamente Cristo mi scosse e mi fece capire che ciò che stavo facendo non era buono. Mi disse di andare e di prendermi cura dei miei compagni. Allora la mia gioia di vivere ritornò».

Tra i deportati e in altri campi nella regione vi erano altri jocisti. Presto si misero in contatto per programmare il loro apostolato. Marcel iniziò organizzando messe con un prete tedesco che conosceva il francese e poteva confessare. Convinse altri ad adempiere al precetto pasquale e presto riuscì a organizzare una Messa mensile alla quale potevano partecipare deportati e prigionieri. Il suo gruppo jocista si incontrava nelle foreste. Vi erano altri gruppi e altre attività: musica, teatro, feste di cui era l’animatore; anche una squadra di calcio in cui giocava. Insegnò ai suoi compagni alcuni giochi, allo scopo di fornire distrazioni salutari e di costruire una rete di contatti per far circolare le informazioni sulla Messa.
Dalla famiglia gli arrivavano cattive notizie: la mamma ammalata, l’impossibilità di partecipare alle feste per l’ordinazione sacerdotale del fratello. Dalla Francia pure cattive notizie: arresti di joicisti e di seminaristi, uccisioni di preti. Il 3 agosto fu arrestato pure e imprigionato il fondatore dei jocisti francese, abbé George Guérin per aver mantenuto, malgrado la proibizione delle associazioni, l’attività della JOC. Alta e solenne, ma sostanzialmente inutile, la protesta del card. Suhard il 24 agosto, a nome di tutto l’episcopato francese. La repressione contro le associazioni e cattoliche non si fermò né in Francia né tantomeno in Germania.