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Un ponte tra scuola e Chiesa, a doppio senso di circolazione

Da Note di Pastorale Giovanile di luglio e agosto, l’introduzione al dossier sull’Insegnamento della religione cattolica: IRC, Comunità cristiana e pastorale giovanile. 

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di Ernesto Diaco (Direttore dell’Ufficio Nazionale per l’educazione, la scuola e l’università e del Servizio Nazionale per l’insegnamento della religione cattolica della CEI)

“La Chiesa non si serve della scuola per finalità estranee ad essa, ma si ritiene sua alleata e la considera un bene primario della comunità umana”. E ancora: “Nelle forme di proposta e di elaborazione educativa e culturale proprie della scuola stessa, e nel rispetto del pluralismo che caratterizza questo ambiente così come la società attuale, la Chiesa offre il suo primo e fondamentale servizio alla scuola presentando la bellezza dell’umanesimo cristiano”[1].
In queste due brevi citazioni del documento “Educare, infinito presente. La pastorale della Chiesa per la scuola”, pubblicato dalla Commissione Episcopale per l’educazione cattolica, la scuola e l’università della CEI nell’estate del 2020, è racchiuso l’orientamento di fondo con cui la comunità cristiana guarda a quella scolastica, ossia con spirito di testimonianza, di responsabilità e di servizio.

Un’alleanza educativa a favore dei giovani

L’insegnamento della religione cattolica (IRC) nella scuola è forse il massimo esempio che si può citare a tale riguardo. Esso infatti si configura come una vera e propria alleanza educativa, pubblicamente riconosciuta e regolata, e concretizzata in “patti educativi” che prendono forma nella quotidianità delle aule grazie all’operato delle autorità scolastiche e dei vescovi diocesani, degli insegnanti di religione, delle famiglie e degli alunni che scelgono di frequentare tale insegnamento. Alla base dell’IRC così come è presente da circa quarant’anni nelle scuole italiane, infatti, ci sono la libertà e la responsabilità della scelta, la definizione di obiettivi e strumenti adeguati, l’incontro fra le domande educative dei ragazzi e dei giovani e proposte culturali pienamente integrate nel contesto scolastico. Tutti elementi indispensabili per un’esperienza formativa di qualità durante l’età della crescita.
Sull’identità scolastica di tale disciplina non ci sono dubbi. L’IRC è condotto nel quadro delle finalità della scuola, che il Ministero dell’istruzione definisce così: “Nella consapevolezza della relazione che unisce cultura, scuola e persona, la finalità generale della scuola è lo sviluppo armonico e integrale della persona, all’interno dei principi della Costituzione italiana e della tradizione culturale europea, nella promozione della conoscenza e nel rispetto e nella valorizzazione delle diversità individuali, con il coinvolgimento attivo degli studenti e delle famiglie”[2]. Non che manchino questioni aperte o difformità nell’interpretazione e nell’applicazione delle norme, ma – anche a fronte dell’altissima percentuale di studenti che se ne avvalgono – non è possibile oggi vedere l’IRC come un’anomalia o un corpo estraneo alla scuola.
Nei quarant’anni trascorsi dalla revisione del Concordato, a cui si deve l’attuale configurazione dello studio della religione nelle aule, l’IRC ha trovato casa nella scuola e nei suoi ordinamenti, nella riflessione pedagogica e nella sperimentazione didattica, nella definizione dei traguardi per le competenze e degli obiettivi di apprendimento, nei nuovi percorsi di formazione teologica e nella produzione editoriale. La scelta del presente dossier, dunque, riguarda l’altra faccia della medaglia, ovvero il legame dell’IRC con la comunità cristiana.

La responsabilità della comunità cristiana verso l’IRC

L’insegnamento scolastico della religione è una risorsa per la scuola. E per la Chiesa? Trattandosi di una disciplina con finalità proprie, complementari ma distinte da quelle della catechesi o della pastorale in senso stretto, quale ricaduta può avere nella vita della comunità ecclesiale? E quale attenzione merita da parte sua?
Il rischio dei percorsi paralleli, lo sappiamo, è sempre in agguato. D’altronde i vescovi italiani mettevano in guardia da questo già nel 1991, nella nota pastorale che accompagnava l’avvio del nuovo sistema dell’IRC: “Urge che la comunità ecclesiale cresca nella consapevolezza delle sue precise responsabilità circa l’insegnamento della religione cattolica. Non sempre infatti l’insegnamento della religione cattolica e il servizio del docente di religione sono collegati con l’azione pastorale che deve esistere fra la Chiesa e la scuola e fra la Chiesa e il mondo giovanile. Le nostre comunità devono considerare l’insegnamento della religione cattolica parte integrante del loro servizio alla piena promozione culturale dell’uomo e al bene del Paese”[3].
La comunità ecclesiale può ricevere molto dall’IRC in termini di ascolto e vicinanza al mondo giovanile, di sperimentazione di linguaggi e itinerari formativi adatti alla vita delle persone, di educatori preparati dal punto di vista teologico e pedagogico. Non solo. Con l’IRC è sollecitata la responsabilità della Chiesa “perché offra se stessa come segno storico, concreto e trasparente di quanto viene insegnato nella scuola”[4]. Con l’insegnante, in aula, “entra” tutta la comunità.

IRC e pastorale “per” la scuola
L’attenzione della Chiesa per il mondo scolastico si compone di diverse forme e occasioni. Oltre al compito proprio della scuola cattolica, vi è un’articolata serie di iniziative che si pongono a servizio della formazione e della testimonianza degli insegnanti, degli studenti, delle famiglie. Momenti culturali e di spiritualità, progetti di solidarietà e animazione, percorsi offerti dalle associazioni professionali, doposcuola e iniziative di sostegno allo studio e contrasto alla povertà educativa. Tutto finalizzato a contribuire alla crescita delle persone e ad una scuola di qualità, fedele alle sue finalità e creatrice di cultura veramente umana. L’IRC si colloca in questo alveo, ne è protagonista e ne riceve a sua volta sostegno. La pastorale per la scuola prende forma per lo più negli istituti scolastici e nei luoghi educativi, ma non solo. Diverse iniziative sono promosse a livello diocesano e nelle stesse parrocchie. È soprattutto nella vita ordinaria delle comunità cristiane che l’IRC può essere promosso e valorizzato, e “restituire” il frutto dell’incontro quotidiano con studenti e insegnanti. È in parrocchia, inoltre, che nascono spesso nuove vocazioni all’educazione e all’insegnamento della religione in particolare. Anche questo è un segno di vitalità per una Chiesa.

L’insegnante di religione, uomo della sintesi
Il primo “luogo” di incontro fra Chiesa e scuola non è nelle attività, ma nelle persone che incarnano l’alleanza fra questi due mondi. “La Chiesa vive già dentro la scuola – ricordano i vescovi – perché in essa operano adulti e giovani credenti: insegnanti, studenti e famiglie”[5]. E i docenti di religione, “senza confondere missione evangelizzatrice e insegnamento scolastico, assolvono un servizio prezioso di testimonianza e di animazione cristiana nella scuola, innanzitutto attraverso il migliore svolgimento del loro insegnamento”[6]. Essi appartengono pienamente alla scuola e alla Chiesa. L’idoneità che ricevono dal vescovo, infatti, non è da vedere come un ulteriore titolo per l’insegnamento, ma come una relazione viva, che abilita, sostiene, dà formazione e fiducia. Come tutte le relazioni, essa non è a senso unico, ma si rafforza nella reciprocità: nel contributo che l’insegnante porta alla scuola e in quello, diverso certamente ma non meno importante, che offre alla Chiesa. Per questo egli è uomo della sintesi: tra fede e cultura, tra Vangelo e storia, tra i bisogni degli alunni e le loro aspirazioni profonde[7].
Non è possibile assolvere a questo compito senza coltivare un’adeguata spiritualità: “una spiritualità cristiana ed ecclesiale, ma anche, in rapporto alla struttura in cui si opera, una spiritualità laicale, forgiatrice e animatrice di una nuova umanità nella scuola”[8].

NOTE

[1] CEI – Commissione Episcopale per l’educazione cattolica, la scuola e l’università, Educare, infinito presente. La pastorale della Chiesa per la scuola, 4 luglio 2020, pp. 23 e 21.
[2] Ministero dell’Istruzione, dell’Università e della Ricerca, Indicazioni nazionali per il curricolo della scuola dell’infanzia e del primo ciclo di istruzione, settembre 2012, p. 9.
[3] Conferenza Episcopale Italiana, nota pastorale Insegnare religione cattolica oggi, 19 maggio 1991, n. 27.
[4] Ivi.
[5] Educare, infinito presente, cit., p. 9.
[6] Ivi, p. 28.
[7] Cf. Insegnare religione cattolica oggi, cit. n. 23.
[8] Ivi, n. 24.

 

Conclusione del dossier “Accompagnare gli adolescenti: davvero missione impossibile?”

Da NPG.

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Per non concludere… comunità oasi

Sullo sfondo di tutto resta il grande tema della comunità cristiana. Una comunità chiamata a generare alla fede le giovani generazioni che, al tempo stesso, si trova spaesata e disorientata perché si rende conto che sono necessarie nuove strade ma ancora non sa quali. Ecco, allora, l’importanza di fermarsi, di stare con alcune domande, senza farsi prendere dall’ansia di dover fare tanto. Infatti, il vero problema della nostra attuale pastorale non è soltanto il “si è sempre fatto così”, ma anche la fatica di liberarsi dall’ansia di dover per forza proporre sempre qualcosa. La vera questione è una comunità che si dà tempo per pensarsi in maniera nuova, per sognare una forma altra di se stessa, che si dà nuove priorità e ha il coraggio di lasciare ciò che è infecondo. Questo è l’impasse che ci attende. Dall’eucarestia come centro missionario sarà necessario ritrovare quella forma pratica di “fare la comunione” all’interno e all’esterno della comunità; dall’eucarestia risulterà importante reimparare uno stile eucaristico di vita, fatto di gratuità, generosità, tempo speso per rifare la comunità.
Una comunità che ha il coraggio di verificarsi e di darsi nuovo slancio, probabilmente è una comunità molto coraggiosa, che non teme di fermarsi per un po’ di tempo per ritrovare il suo centro, per chiedersi che cosa le sta maggiormente a cuore, per ritrovare un rinnovato slancio missionario. Una comunità così comprende come sia necessario riprendere in mano il passaggio di testimone ai più giovani, che vengono considerati come il presente e il futuro, un terreno fertile sul quale scommettere le proprie energie. Se non si scommette sul futuro e sul presente, su che cosa si dovrebbe puntare? Una comunità così esprime passione educativa per i più giovani, trova qualcuno che si mette a disposizione per generare altri nella fede, perché è educata a guardare fuori di sé, non all’interno. Una comunità che non ha a cuore anzitutto le strutture e le iniziative, ma che sogna e propone oasi di fraternità e di incontro fra i giovani. Che cos’è un’oasi? È un luogo presente in mezzo al deserto (come appaiono tante nostre comunità oggi) che serve a dare riposo e dissetare durante il lungo cammino percorso, che rinfresca e solleva, dà nuove energie. L’oasi non è fatta per fermarsi a lungo, ma è di passaggio. Luogo fatto per ripartire più rinfrancati e motivati di prima. Così immagino una comunità e un oratorio per i nostri adolescenti. Terminato il tempo in cui i “nostri” luoghi erano contesti in cui si trascorreva molto del tempo libero, per giocare, incontrarsi, divertirsi, oggi la comunità, nelle sue varie espressioni, può davvero trasformarsi in un tempo anzitutto di esercizio della vita cristiana, nelle sue plurime espressioni. Non è più certamente un luogo fatto per sostare a lungo, per mettere le radici, ma può trasformarsi in una valida palestra di vita caratterizzata da un movimento inside/outside dei nostri giovani, che lì trovano adulti capaci di ascolto, liberi da pregiudizi, che non si servono di loro come forza lavoro, ma che vogliano loro bene e vogliano il loro bene. Una comunità o un oratorio oasi sopporta l’abbandono e il ritorno improvviso, perché non ha l’obiettivo di trattenere i giovani, bensì offre loro spazi e tempi per testarsi, sperimentarsi, essere protagonisti, farsi le ossa. Non c’è nessuna progettualità che ci possa assicurare tutto questo, servono solo domande e sogni che, con grande libertà e onestà, provano ad uscire dal già saputo. I punti di forza di una comunità così sono il forte valore delle relazioni non soffocate dalle cose da fare, la capacità di osare il nuovo superando l’immagine e la forma tradizionale di oratorio e di comunità, la grande fiducia nutrita nei confronti dei giovani, la priorità data ai processi piuttosto che al risultato di ciò che abbiamo fatto. È una comunità destrutturata, molto leggera, easy come si direbbe oggi. In cui c’è sempre qualcuno pronto a incontrare gratuitamente i giovani e con loro immagina una nuova forma di vivere la fede. Perché anche e soprattutto di questo si tratta.[1]

NOTE

1 A. MATTEO, Riportare i giovani a messa. La trasmissione della fede in una società senza adulti, Milano, Ancora, 2022.

 

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