NPG, è uscito il nuovo numero: La disciplina dell’ascolto

Non rinunciamo alla “parte migliore”

di don Rossano Sala

La musica si ascolta. È evidente. Tutti lo sappiamo e tutti lo facciamo. Lo fanno in particolare i giovani, che quotidianamente ascoltano musica.
Per questo, prima di lasciar spazio alla musica, tema dell’originale e intrigante Dossier di questo numero di NPG, vorrei parlare dell’ascolto. Perché di musica si è parlato durante il cammino sinodale in vari momenti, ma il tema dell’ascolto è stato uno dei nuclei centrali e generativi sul quale è bene sostare con particolare attenzione, perché ne va del nostro modo di essere Chiesa per e con i giovani.
“Con la bocca molto grande e le orecchie molto piccole”. È una delle immagini sintetiche della Chiesa che ci viene restituita da un giovane partecipante all’Assemblea sinodale. Sembrerebbe una caricatura, ma purtroppo tante volte si è rivelata la realtà dei fatti. Ricordo con chiarezza uno degli interventi più “criticati” al Sinodo (cioè che hanno avuto una chiara levata di cori negativi da parte dei giovani presenti nell’aula sinodale), che più o meno diceva così: “Certo, oggi nella Chiesa abbiamo bisogno di fare silenzio, soprattutto i giovani devono fare silenzio. Così noi Vescovi possiamo parlare, possiamo insegnare, possiamo istruire”. Come a dire che l’ascolto va a senso unico, cioè ha come soggetti i giovani e non gli altri membri della comunità ecclesiale, soprattutto non chi ha autorità in essa.
Invece con grande onestà, il 3 ottobre 2018 papa Francesco aveva anticipato tutti. Nel primo giorno dell’Assemblea sinodale incominciava mettendo al centro la necessità di ascoltare i giovani. La Chiesa tutta – Papa, Vescovi, sacerdoti, consacrati, laici – nasce dall’ascolto della Parola e si rigenera ascoltando dove essa si trova, quindi anche nei giovani, riconosciuti come un “luogo teologico” (cfr. Documento finale, n. 64). In quel discorso iniziale la parola “ascolto” è citata per ben 21 volte, tanto che potremmo dire che è l’invito più forte che ci è venuto dal percorso di preparazione sinodale. Tra i vari passaggi, eccone uno di grande rilievo:

Siamo segno di una Chiesa in ascolto e in cammino. L’atteggiamento di ascolto non può limitarsi alle parole che ci scambieremo nei lavori sinodali. Il cammino di preparazione a questo momento ha evidenziato una Chiesa “in debito di ascolto” anche nei confronti dei giovani, che spesso dalla Chiesa si sentono non compresi nella loro originalità e quindi non accolti per quello che sono veramente, e talvolta persino respinti. Questo Sinodo ha l’opportunità, il compito e il dovere di essere segno della Chiesa che si mette davvero in ascolto, che si lascia interpellare dalle istanze di coloro che incontra, che non ha sempre una risposta preconfezionata già pronta. Una Chiesa che non ascolta si mostra chiusa alla novità, chiusa alle sorprese di Dio, e non potrà risultare credibile, in particolare per i giovani, che inevitabilmente si allontaneranno anziché avvicinarsi.

Ascoltare evidentemente significa essere aperti alla parola e all’esperienza di altri, che evidentemente posso “alterarmi” nelle mie convinzioni e nel mio equilibrio personale. È molto più facile parlare, esprimendo i propri punti di vista e argomentando le proprie convinzioni. Nel parlare non mi metto in discussione, mentre nell’ascoltare potrei sentire ciò che non mi aggrada, magari qualcosa che mi mette in crisi, forse parole che mi provocano una (sana) inquietudine. Per questo ascoltare è prima di tutto un esercizio di umiltà e di apertura alle novità dello Spirito, che non sempre (o forse quasi mai) corrispondono al nostro punto di vista.
Già l’Instrumentum laboris era stato abbastanza severo su questo tema dell’ascolto, perché portava impresse le denunce dei giovani. Tutto il capitolo V della prima parte è una sintesi molto stringata dell’ascolto della voce dei giovani, che si sono espressi in vario modo nel cammino di preparazione al Sinodo (nn. 64-72). Il numero 65 è significativamente intitolato “La fatica di ascoltare” e così si esprime:

Come ben sintetizza un giovane, “nel mondo contemporaneo il tempo dedicato all’ascolto non è mai tempo perso” (Questionario on line) e nei lavori della Riunione presinodale è emerso che l’ascolto è la prima forma di linguaggio vero e audace che i giovani chiedono a gran voce alla Chiesa. Va però registrata anche la fatica della Chiesa ad ascoltare realmente tutti i giovani, nessuno escluso. Molti avvertono che la loro voce non è ritenuta interessante e utile dal mondo degli adulti, in ambito sia sociale sia ecclesiale. Una Conferenza Episcopale afferma che i giovani percepiscono che “la Chiesa non ascolta attivamente le situazioni vissute dai giovani” e che “le loro opinioni non sono considerate seriamente”. È chiaro, invece, che i giovani, secondo un’altra Conferenza Episcopale, “domandano alla Chiesa di avvicinarsi a loro con il desiderio di ascoltarli e accoglierli, offrendo dialogo e ospitalità”. Gli stessi giovani affermano che “in alcune parti del mondo, i giovani stanno lasciando la Chiesa in gran numero. Capire i motivi di questo fenomeno è cruciale per poter andare avanti” (Riunione presinodale 7). Certamente tra questi troviamo l’indifferenza e la mancanza di ascolto, oltre al fatto che “molte volte la Chiesa appare come troppo severa ed è spesso associata a un eccessivo moralismo” (Riunione presinodale 1).