Portogallo: visita di animazione del Consigliere per la Regione Mediterranea

Il Consigliere per la Regione Mediterranea, don Juan Carlos Pérez Godoy, in visita all’Ispettoria, ha tenuto un momento di formazione per la Famiglia Salesiana, ricordando a tutti che non c’è futuro se non si rafforza la comunione nella Famiglia Salesiana, sottolineando l’importanza dell’impegno di responsabilità di ciascuno invitando tutti a fare la propria parte in tal senso.

In seguito si riporta l’articolo pubblicato su ANS

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(ANS – Fatima) – Dal 20 al 27 maggio, il Consigliere per la Regione Mediterranea, don Juan Carlos Pérez Godoy, è in visita all’Ispettoria “Sant’Antonio” del Portogallo (POR).

Nel fine settimana scorso, 21 e 22 maggio, don Juan Carlos Pérez Godoy ha presieduto il Pellegrinaggio Nazionale della Famiglia Salesiana al Santuario di Fatima. Dapprima, nella Cappella delle Apparizioni ha presieduto la cerimonia di saluto alla Madonna e di accoglienza dei pellegrini della Famiglia Salesiana. Poi, nel tardo pomeriggio del primo giorno ha partecipato all’incontro nazionale dei giovani del Movimento Giovanile Salesiano (MGS).

Domenica mattina, nell’Aula del Buon Pastore del Centro Paolo VI, la Famiglia Salesiana si è riunita per un momento di formazione guidato proprio da don Pérez Godoy. Nell’occasione il Consigliere Regionale ha osservato che “il presente e il futuro della missione salesiana passano attraverso la Famiglia Salesiana” e, ha ricordato che “non c’è futuro se non rafforziamo la comunione nella Famiglia Salesiana”. Per questo, ha sottolineato l’importanza dell’impegno responsabile di ciascuno, e ha invitato tutti a fare la propria parte in tal senso.

Lunedì 22 maggio don Pérez Godoy ha proseguito la sua visita raggiungendo le presenze di Mogofores, dove ha incontrato i salesiani della comunità locale e quelli giunti appositamente da Porto.

Martedì 24 maggio il Consigliere Regionale ha presieduto le celebrazioni per la Festa di Maria Ausiliatrice presso l’opera dei Salesiani a Lisbona. A seguire ha potuto fare una breve visita per conoscere la più recente presenza salesiana dell’Ispettoria POR, quella di Setúbal.

La tappa successiva del suo viaggio è stata Funchal, dove don Pérez Godoy ha vissuto dei momenti di incontro e di dialogo sia con i giovani e sia con i salesiani del luogo.

Oggi, venerdì 27 maggio, ultimo giorno della sua visita, il Consigliere Regionale lo dedica ad un raduno di riflessione e confronto con i Direttori delle case salesiane dell’Ispettoria.

Messaggio del Santo Padre Francesco per la 56ma Giornata Mondiale delle Comunicazioni Sociali: ascoltare con l’orecchio del cuore

Pubblichiamo il messaggio del Santo Padre per la 56ma Giornata Mondiale delle Comunicazioni Sociali.

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Cari fratelli e sorelle!

Lo scorso anno abbiamo riflettuto sulla necessità di “andare e vedere” per scoprire la realtà e poterla raccontare a partire dall’esperienza degli eventi e dall’incontro con le persone. Proseguendo in questa linea, desidero ora porre l’attenzione su un altro verbo, “ascoltare”, decisivo nella grammatica della comunicazione e condizione di un autentico dialogo.

In effetti, stiamo perdendo la capacità di ascoltare chi abbiamo di fronte, sia nella trama normale dei rapporti quotidiani, sia nei dibattiti sui più importanti argomenti del vivere civile. Allo stesso tempo, l’ascolto sta conoscendo un nuovo importante sviluppo in campo comunicativo e informativo, attraverso le diverse offerte di podcast e chat audio, a conferma che l’ascoltare rimane essenziale per la comunicazione umana.

A un illustre medico, abituato a curare le ferite dell’anima, è stato chiesto quale sia il bisogno più grande degli esseri umani. Ha risposto: “Il desiderio sconfinato di essere ascoltati”. Un desiderio che spesso rimane nascosto, ma che interpella chiunque sia chiamato ad essere educatore o formatore, o svolga comunque un ruolo di comunicatore: i genitori e gli insegnanti, i pastori e gli operatori pastorali, i lavoratori dell’informazione e quanti prestano un servizio sociale o politico.

Ascoltare con l’orecchio del cuore

Dalle pagine bibliche impariamo che l’ascolto non ha solo il significato di una percezione acustica, ma è essenzialmente legato al rapporto dialogico tra Dio e l’umanità. «Shema’ Israel – Ascolta, Israele» (Dt 6,4), l’incipit del primo comandamento della Torah, è continuamente riproposto nella Bibbia, al punto che San Paolo affermerà che «la fede viene dall’ascolto» (Rm 10,17). L’iniziativa, infatti, è di Dio che ci parla, al quale noi rispondiamo ascoltandolo; e anche questo ascoltare, in fondo, viene dalla sua grazia, come accade al neonato che risponde allo sguardo e alla voce della mamma e del papà. Tra i cinque sensi, quello privilegiato da Dio sembra essere proprio l’udito, forse perché è meno invasivo, più discreto della vista, e dunque lascia l’essere umano più libero.

L’ascolto corrisponde allo stile umile di Dio. È quell’azione che permette a Dio di rivelarsi come Colui che, parlando, crea l’uomo a sua immagine, e ascoltando lo riconosce come proprio interlocutore. Dio ama l’uomo: per questo gli rivolge la Parola, per questo “tende l’orecchio” per ascoltarlo.

L’uomo, al contrario, tende a fuggire la relazione, a voltare le spalle e “chiudere le orecchie” per non dover ascoltare. Il rifiuto di ascoltare finisce spesso per diventare aggressività verso l’altro, come avvenne agli ascoltatori del diacono Stefano i quali, turandosi gli orecchi, si scagliarono tutti insieme contro di lui (cfr At 7,57).

Da una parte, quindi, c’è Dio che sempre si rivela comunicandosi gratuitamente, dall’altra l’uomo al quale è richiesto di sintonizzarsi, di mettersi in ascolto. Il Signore chiama esplicitamente l’uomo a un’alleanza d’amore, affinché egli possa diventare pienamente ciò che è: immagine e somiglianza di Dio nella sua capacità di ascoltare, di accogliere, di dare spazio all’altro. L’ascolto, in fondo, è una dimensione dell’amore.

Per questo Gesù chiama i suoi discepoli a verificare la qualità del loro ascolto. «Fate attenzione dunque a come ascoltate» (Lc 8,18): così li esorta dopo aver raccontato la parabola del seminatore, lasciando intendere che non basta ascoltare, bisogna farlo bene. Solo chi accoglie la Parola con il cuore “bello e buono” e la custodisce fedelmente porta frutti di vita e di salvezza (cfr Lc 8,15). Solo facendo attenzione a chi ascoltiamo, a cosa ascoltiamo, a come ascoltiamo, possiamo crescere nell’arte di comunicare, il cui centro non è una teoria o una tecnica, ma la «capacità del cuore che rende possibile la prossimità» (Esort. ap. Evangelii gaudium, 171).

Tutti abbiamo le orecchie, ma tante volte anche chi ha un udito perfetto non riesce ad ascoltare l’altro. C’è infatti una sordità interiore, peggiore di quella fisica. L’ascolto, infatti, non riguarda solo il senso dell’udito, ma tutta la persona. La vera sede dell’ascolto è il cuore. Il re Salomone, pur giovanissimo, si dimostrò saggio perché domandò al Signore di concedergli «un cuore che ascolta» ( 1 Re 3,9). E Sant’Agostino invitava ad ascoltare con il cuore ( corde audire), ad accogliere le parole non esteriormente nelle orecchie, ma spiritualmente nei cuori: «Non abbiate il cuore nelle orecchie, ma le orecchie nel cuore». [1] E San Francesco d’Assisi esortava i propri fratelli a «inclinare l’orecchio del cuore». [2]

Perciò, il primo ascolto da riscoprire quando si cerca una comunicazione vera è l’ascolto di sé, delle proprie esigenze più vere, quelle inscritte nell’intimo di ogni persona. E non si può che ripartire ascoltando ciò che ci rende unici nel creato: il desiderio di essere in relazione con gli altri e con l’Altro. Non siamo fatti per vivere come atomi, ma insieme.

L’ascolto come condizione della buona comunicazione

C’è un uso dell’udito che non è un vero ascolto, ma il suo opposto: l’origliare. Infatti, una tentazione sempre presente e che oggi, nel tempo del social web, sembra essersi acuita è quella di origliare e spiare, strumentalizzando gli altri per un nostro interesse. Al contrario, ciò che rende la comunicazione buona e pienamente umana è proprio l’ascolto di chi abbiamo di fronte, faccia a faccia, l’ascolto dell’altro a cui ci accostiamo con apertura leale, fiduciosa e onesta.

La mancanza di ascolto, che sperimentiamo tante volte nella vita quotidiana, appare purtroppo evidente anche nella vita pubblica, dove, invece di ascoltarsi, spesso “ci si parla addosso”. Questo è sintomo del fatto che, più che la verità e il bene, si cerca il consenso; più che all’ascolto, si è attenti all’audience. La buona comunicazione, invece, non cerca di fare colpo sul pubblico con la battuta ad effetto, con lo scopo di ridicolizzare l’interlocutore, ma presta attenzione alle ragioni dell’altro e cerca di far cogliere la complessità della realtà. È triste quando, anche nella Chiesa, si formano schieramenti ideologici, l’ascolto scompare e lascia il posto a sterili contrapposizioni.

In realtà, in molti dialoghi noi non comunichiamo affatto. Stiamo semplicemente aspettando che l’altro finisca di parlare per imporre il nostro punto di vista. In queste situazioni, come nota il filosofo Abraham Kaplan, [3] il dialogo è un duologo, un monologo a due voci. Nella vera comunicazione, invece, l’io e il tu sono entrambi “in uscita”, protesi l’uno verso l’altro.

L’ascoltare è dunque il primo indispensabile ingrediente del dialogo e della buona comunicazione. Non si comunica se non si è prima ascoltato e non si fa buon giornalismo senza la capacità di ascoltare. Per offrire un’informazione solida, equilibrata e completa è necessario aver ascoltato a lungo. Per raccontare un evento o descrivere una realtà in un reportage è essenziale aver saputo ascoltare, disposti anche a cambiare idea, a modificare le proprie ipotesi di partenza.

Solo se si esce dal monologo, infatti, si può giungere a quella concordanza di voci che è garanzia di una vera comunicazione. Ascoltare più fonti, “non fermarsi alla prima osteria” – come insegnano gli esperti del mestiere – assicura affidabilità e serietà alle informazioni che trasmettiamo. Ascoltare più voci, ascoltarsi, anche nella Chiesa, tra fratelli e sorelle, ci permette di esercitare l’arte del discernimento, che appare sempre come la capacità di orientarsi in una sinfonia di voci.

Ma perché affrontare la fatica dell’ascolto? Un grande diplomatico della Santa Sede, il Cardinale Agostino Casaroli, parlava di “martirio della pazienza”, necessario per ascoltare e farsi ascoltare nelle trattative con gli interlocutori più difficili, al fine di ottenere il maggior bene possibile in condizioni di limitazione della libertà. Ma anche in situazioni meno difficili, l’ascolto richiede sempre la virtù della pazienza, insieme alla capacità di lasciarsi sorprendere dalla verità, fosse pure solo un frammento di verità, nella persona che stiamo ascoltando. Solo lo stupore permette la conoscenza. Penso alla curiosità infinita del bambino che guarda al mondo circostante con gli occhi sgranati. Ascoltare con questa disposizione d’animo – lo stupore del bambino nella consapevolezza di un adulto – è sempre un arricchimento, perché ci sarà sempre una cosa, pur minima, che potrò apprendere dall’altro e mettere a frutto nella mia vita.

La capacità di ascoltare la società è quanto mai preziosa in questo tempo ferito dalla lunga pandemia. Tanta sfiducia accumulata in precedenza verso l’“informazione ufficiale” ha causato anche una “infodemia”, dentro la quale si fatica sempre più a rendere credibile e trasparente il mondo dell’informazione. Bisogna porgere l’orecchio e ascoltare in profondità, soprattutto il disagio sociale accresciuto dal rallentamento o dalla cessazione di molte attività economiche.

Anche la realtà delle migrazioni forzate è una problematica complessa e nessuno ha la ricetta pronta per risolverla. Ripeto che, per vincere i pregiudizi sui migranti e sciogliere la durezza dei nostri cuori, bisognerebbe provare ad ascoltare le loro storie. Dare un nome e una storia a ciascuno di loro. Molti bravi giornalisti lo fanno già. E molti altri vorrebbero farlo, se solo potessero. Incoraggiamoli! Ascoltiamo queste storie! Ognuno poi sarà libero di sostenere le politiche migratorie che riterrà più adeguate al proprio Paese. Ma avremo davanti agli occhi, in ogni caso, non dei numeri, non dei pericolosi invasori, ma volti e storie di persone concrete, sguardi, attese, sofferenze di uomini e donne da ascoltare.

Ascoltarsi nella Chiesa

Anche nella Chiesa c’è tanto bisogno di ascoltare e di ascoltarci. È il dono più prezioso e generativo che possiamo offrire gli uni agli altri. Noi cristiani dimentichiamo che il servizio dell’ascolto ci è stato affidato da Colui che è l’uditore per eccellenza, alla cui opera siamo chiamati a partecipare. «Noi dobbiamo ascoltare attraverso l’orecchio di Dio, se vogliamo poter parlare attraverso la sua Parola». [4] Così il teologo protestante Dietrich Bonhoeffer ci ricorda che il primo servizio che si deve agli altri nella comunione consiste nel prestare loro ascolto. Chi non sa ascoltare il fratello ben presto non sarà più capace di ascoltare nemmeno Dio. [5]

Nell’azione pastorale, l’opera più importante è “l’apostolato dell’orecchio”. Ascoltare, prima di parlare, come esorta l’apostolo Giacomo: «Ognuno sia pronto ad ascoltare, lento a parlare» (1,19). Dare gratuitamente un po’ del proprio tempo per ascoltare le persone è il primo gesto di carità.

È stato da poco avviato un processo sinodale. Preghiamo perché sia una grande occasione di ascolto reciproco. La comunione, infatti, non è il risultato di strategie e programmi, ma si edifica nell’ascolto reciproco tra fratelli e sorelle. Come in un coro, l’unità non richiede l’uniformità, la monotonia, ma la pluralità e varietà delle voci, la polifonia. Allo stesso tempo, ogni voce del coro canta ascoltando le altre voci e in relazione all’armonia dell’insieme. Questa armonia è ideata dal compositore, ma la sua realizzazione dipende dalla sinfonia di tutte e singole le voci.

Nella consapevolezza di partecipare a una comunione che ci precede e ci include, possiamo riscoprire una Chiesa sinfonica, nella quale ognuno è in grado di cantare con la propria voce, accogliendo come dono quelle degli altri, per manifestare l’armonia dell’insieme che lo Spirito Santo compone.

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Due salesiani nella lista dei nuovi cardinali annunciati

Papa Francesco ha annunciato, dopo la preghiera mariana del 29 maggio, la convocazione del concistoro del 27 agosto per la creazione dei 21 nuovi cardinali. Nella lista sono presenti anche due salesiani: Mons. Virgilio Do Carmo Da Silva, S.D.B. – Arcivescovo di Dili (Timor Est) e Mons. Lucas Van Looy sdb – Arcivescovo emerito di Gent (Belgio).

Di seguito è riportato l’articolo pubblicato su ANS

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(ANS – Roma) – Oggi 29 maggio, domenica dell’Ascensione e 56ma Giornata Mondiale delle Comunicazioni Sociali, Papa Francesco dopo la preghiera mariana del Regina Coeli e la riflessione sul Vangelo, ha annunciato la convocazione del concistoro del 27 agosto per la creazione dei 21 nuovi cardinali. È una gioia notare che due salesiani sono nella lista dei nuovi annunciati: mons. Virgilio Do Carmo Da Silva, S.D.B. – Arcivescovo di Dili (Timor Est) e mons. Lucas Van Looy sdb – Arcivescovo emerito di Gent (Belgio).

Lucas Van Looy è nato il 28 settembre 1941 a Tielen, Belgio. Ha studiato presso i Gesuiti a Turnhout e presso il Collegio Don Bosco a Hechtel. Entrato nei Salesiani di Don Bosco, ha emesso la prima professione il 25 agosto 1962 e successivamente la professione perpetua il 6 marzo 1968. È stato ordinato sacerdote il 12 settembre 1970.  Ha lavorato in Corea del Sud dal 1972 al 1984. In seguito, ha ricoperto diverse responsabilità di leadership nella Congregazione: Consigliere generale per le Missioni salesiane dal 1984 al 1990, Consigliere generale per la Pastorale giovanile dal 1990 al 1996 e Vicario del Rettor Maggiore dal 1996 al 2003.  È stato nominato vescovo della dioesi di Gent da Papa Giovanni Paolo II il 19 dicembre 2003 e consacrato vescovo dal cardinale Godfried Danneels il 1° febbraio 2004. Papa Francesco ha accettato il suo ritiro nel dicembre 2018, ma gli ha chiesto di rimanere come vescovo fino alla nomina del suo successore. Il 27 novembre 2019, Papa Francesco ha accettato le sue dimissioni e ha nominato Lode Van Hecke come suo successore.

Virgílio do Carmo da Silva è nato il 27 novembre 1967 a Venilale, Timor Est. Dopo aver frequentato le scuole primarie e secondarie salesiane a Fatumaca, è entrato nei Salesiani di Don Bosco e ha emesso la prima professione il 31 maggio 1990. Ha emesso la professione perpetua il 19 marzo 1997 ed è stato ordinato sacerdote il 18 dicembre 1998.Dal 1999 al 2004 e di nuovo dal 2007 al 2014 da Silva è stato maestro dei novizi per i Salesiani. Dal 2005 al 2007 ha conseguito la licenza in Spiritualità presso l’Università Pontificia Salesiana di Roma. Dal 2009 al 2014 è stato direttore della Scuola Tecnica di Nossa Senhora de Fátima a Fatumaca. Nel 2015 è diventato Ispettore di Timor Est e visitatoria d’Indonesia. Il 30 gennaio 2016 è stato nominato da Papa Francesco Vescovo di Dili. Nel settembre 2019, Papa Francesco ha nominato Mons. Virgílio do Carmo da Silva come primo arcivescovo di Timor Est.

Avvenire – a Testaccio “Braccia larghe per accogliere tutti”

La parrocchia di Santa Maria Liberatrice a Testaccio accoglie il cardinale vicario Angelo De Donatis a chiusura di una settimana di festeggiamenti e iniziative per la festa patronale. Di seguito la notizia pubblicata su Avvenire.

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Attenzione ai giovani e agli studenti, da vero spirito salesiano, ma anche carità, vicinanza agli anziani e contatto stretto con il territorio. È la parrocchia di Santa Maria Liberatrice, nel cuore di Testaccio, che accoglie oggi il cardinale vicario Angelo De Donatis a chiusura di una settimana di festeggiamenti e iniziative per la festa patronale.

Il territorio è vasto e permette alla parrocchia di avere circa 80 ragazzi «per prima comunione e cresima», spiega il parroco don Maurizio Spreafico. Numerosi anche i due gruppi per adulti: uno riunisce i lettori e prevedere un percorso di formazione per il servizio nella proclamazione della Parola, mentre l’altro riunisce circa 45 uomini nella confraternita di Santa Maria Liberatrice, che svolgono servizio liturgico durante la festa patronale. Il punto nevralgico dell’intera parrocchia, come ci tiene a sottolineare don Spreafico, è però l’oratorio.

«Da buoni salesiani è per noi parte integrante della chiesa e del territorio. Aperto tutti i giorni, coinvolge quotidianamente un centinaio di adolescenti e pre-adolescenti con attività libere ma anche gruppi dedicati a calcio, basket, karate, danza, musica e teatro».

Lo sport è stato al centro anche di questa settimana di fesa con i tornei dei bambini lunedì e giovedì, la partita di calcio tra “Oratoriani adulti” e confraternita e la “Maratonina testaccina” di questa mattina per i bambini dai 5 ai 12 anni. La comunità salesiana, inoltre, è presente nei locali della parrocchia con uno studentato che ospita «39 confratelli – racconta il sacerdote – provenienti da 14 Paesi e arrivati a Roma per frequentare le varie università Pontificie».

L’altra grande dimensione della parrocchia è la solidarietà, con la «Caritas che segue sistematicamente una quarantina di famiglie bisognose e altrettanti senzatetto», spiega Maria Laura Butterone, una storica parrocchiana. Ai clochard della zona la Caritas assicura due volte a settimana la distribuzione di cibo, vestiario e un buono pasto da consumare presso la mensa del Circolo S. Pietro a via Mastro Giorgio. Un’attenzione verso i più bisognosi che prosegue anche con le attività per gli anziani, «con corsi di pittura e musica – racconta don Spreafico – e con il gruppo di mutuo aiuto».

Quest’ultimo, con l’associazione Riconoscere, porta avanti attività per le persone con disturbi d’ansia, da stress o da depressione. La presenza della parrocchia, come sottolinea Maria Laura Butterone, nel quartiere è quindi

«molto sentita e apprezzata nonostante sia un territorio spesso politicamente schierato e con molte persone lontane dalla Chiesa. Noi testaccini siamo molto particolari e possiamo essere inizialmente diffidenti, ma poi la gente si affeziona e ci tiene a ciò che accade in parrocchia».

Anche la visita di monsignor De Donatis si inserisce «in questo spirito di accoglienza. Nei decenni abbiamo ricevuto la visita praticamente di tutti i cardinali vicari e dei Papi, vissute sempre con gioia perché – afferma con una punta di sano orgoglio – Testaccio ha le braccia larghe per accogliere sempre tutti».

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L’oratorio di Chisinau, capitale della Moldavia, accoglie i profughi ucraini

Per far fronte alla crisi, i salesiani di Chisinau hanno trasformato il loro oratorio in un luogo di accoglienza per i profughi ucraini, che stanno scappando dalla guerra. Con l’aiuto dei volontari italiani, il Centro Don Bosco ha ospitato dall’inizio del conflitto, circa cento persone ogni giorno, alcune delle quali ripartivano quasi subito verso altri paesi europei. Quelli rimasti sono soprattutto coppie di anziani, mamme e bambini, che sperano di tornare presto a casa.

In seguito si riporta l’articolo della rivista Credere.

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Dal centro di Chisinau, la capitale della Moldova, la Fundatia Don Bosco si raggiunge in pochi di minuti di auto. Ma l’ambiente urbano cambia drasticamente: lasciata la strada principale, ci si immette in una via laterale che passa attraverso file di baracche e abitazioni precarie. Siamo nella periferia sud, una delle zone più povere della città, che con l’hinterland conta circa un milione di abitanti, quasi la metà di tutta la popolazione presente in Moldova.

Al Centro Don Bosco il campo sportivo all’aperto, che confina con la ferrovia, nel primo pomeriggio è pieno di ragazzini che giocano a pallone. Ad accoglierci è il direttore don Andrea Ballan, 47 anni, salesiano di origine veneta.  E’ arrivato a Chisinau a settembre del 2020, dopo aver trascorso quindici anni – dal 2002 al 2017 – in Russia, vicino a San Pietroburgo, e successivamente tre anni in Italia. Un’esperienza, quella russa, che lo ha segnato nel profondo: «In quel Paese ho lasciato un pezzo di cuore», confessa. «L’Opera salesiana di Chisinau è stata inaugurata nel 2007, da quando è stata riconosciuta dallo Stato attraverso la “Fondazione Don Bosco”, ed è l’unica in tutta la Moldova. Dipende dall’Ispettoria salesiana dell’Italia del Nordest».

Ad aprire il Centro di Chisinau è stato don Sergio Bergamin, 69 anni, che vive tuttora in Moldova. Nella casa di Chisinau ora risiedono quattro salesiani, tutti italiani. L’attività di base è l’oratorio, che coinvolge i bambini nel pomeriggio, e i giovani, soprattutto alla sera, dopo le 20. Giocano a calcio, basket, pallavolo, ping pong. «L’oratorio è aperto a tutti: al momento in questo quartiere non ci sono ragazzi cattolici, quelli che vengono da noi sono tutti ortodossi, cristiani perché battezzati, ma non di fatto. Noi siamo una realtà ecumenica, in tutto ciò che proponiamo c’è alla base la dimensione dell’annuncio cristiano. Ma la nostra non è una proposta esclusivamente religiosa. Il sabato e la domenica pomeriggio abbiamo un gruppo di animatori e un programma strutturato di giochi, laboratori, spettacoli, sotto la guida di don Sergio, che dirige l’oratorio. Abbiamo inoltre un torneo di calcio e uno di ping pong».

I ragazzi che frequentano il Centro provengono soprattutto da famiglie povere, disgregate. In questa periferia difficile uno dei fattori di maggiore criticità è la scuola locale, una delle più fragili a livello formativo di tutta la città. Il Centro Don Bosco offre ai giovani la formazione professionale: «In questo momento abbiamo un corso per saldatori. All’inizio si era progettato un centro di formazione con vari indirizzi, per idraulici, elettricisti e sarte. Ma alcuni non sono mai partiti. Di fatto i nostri edifici non sono adatti a ospitare una scuola: qui prima c’era un service della Mercedes. Ciò che facciamo è collaborare con alcune scuole professionali statali: gli studenti degli istituti vengono da noi per fare pratica nel nostro laboratorio, che è più moderno e perfettamente attrezzato».

Il Centro Don Bosco ospita inoltre una casa-famiglia dove sono accolti ragazzini allontanati dalle famiglie per problemi di violenza, abusi, dipendenze, prostituzione. «Fino allo scoppio della guerra in Ucraina ne ospitavamo sei, dai 7 ai 18 anni. Ora ne sono rimasti due. Gli altri posti da marzo li abbiamo messi a disposizione dei volontari che arrivano dagli oratori salesiani in Italia, alternandosi ogni settimana, per aiutarci a gestire i profughi». Da marzo infatti il Centro si è messo a disposizione per accogliere i profughi dalla vicina Ucraina, in collaborazione con altre realtà cattoliche, la Caritas Moldova e la Fondazione Regina Pacis.

Spiega don Ballan: «Le aule sono diventate dormitori e in palestra abbiamo predisposto materassini, sacchi a pelo e letti forniti dalla Caritas. In questo momento i profughi stanziali sono una trentina, ma all’inizio avevamo almeno cento persone ogni giorno: arrivavano in pullman, si fermavano una notte, al massimo due, poi ripartivano verso altri Paesi europei. Un via vai continuo. Quelli che sono rimasti sono soprattutto coppie di anziani, che speravano di tornare presto a casa loro e non volevano allontanarsi troppo, alcune mamme sole con i loro figli, altri che attendono i visti per emigrare in Paesi come gli Usa o il Canada. I profughi arrivano da Kiev e dalle zone meridionali dell’Ucraina, da Odessa e Mykolaiv».

La Moldavia, la nazione più povera d’Europa, a oggi ha accolto più di 450 mila ucraini in fuga, dei quali 100 mila si sono fermati nel Paese. «Il comunismo», commenta il salesiano, «ha devastato le famiglie. Uno dei problemi più diffusi fra gli adulti è l’alcolismo. A disgregare socialmente la nazione sono state anche le grandi ondate migratorie che l’hanno spopolata: la prima, negli anni Novanta, ha portato via le donne, la seconda gli uomini». Buona parte della popolazione moldava parla russo, è di cultura russa e oggi è a favore di Mosca. «Ma i giovani, che non hanno conosciuto l’Unione sovietica, guardano all’Occidente, per loro la Russia non è attraente. I ragazzi moldavi hanno una gran voglia di Europa».

Annunciato il Concistoro per la Canonizzazione del Beato Artemide Zatti, SDB

Durante l’Udienza concessa sabato 21 maggio 2022 a Sua Eminenza Reverendissima il Signor Cardinale Marcello Semeraro, Prefetto della Congregazione delle Cause dei Santi, il Santo Padre ha deciso di convocare un Concistoro, che riguarderà la canonizzazione del Beato Artemide Zatti, salesiano coadiutore nato il 12 ottobre 1880 a Boretto, in provincia di Reggio Emilia, ma trasferitosi giovanissimo in Argentina. Qui portò avanti il suo apostolato soprattutto al servizio dei malati e dei poveri. Morì il 15 marzo 1951. È stato beatificato nel 2002, e il miracolo che lo porterà alla gloria degli altari è stato riconosciuto con decreto del 9 aprile 2022.

Con Artemide Zatti sarà canonizzato anche il Beato Giovanni Battista Scalabrini, Vescovo di Piacenza, Fondatore della Congregazione dei Missionari di San Carlo e della Congregazione delle Suore Missionarie di San Carlo Borromeo, nato a Fino Mornasco (Italia) l’8 luglio 1839 e morto il 1° giugno 1905 a Piacenza (Italia), apostolo dei migranti.

Info ANS

Comunicare Cristo Oggi: abitare le reti sociali

Nell’ambito degli spunti per la Giornata Missionaria Salesiana 2022, sul tema “Comunicare Cristo Oggi – #MissionariInRete”, si presentano alcune attenzioni salesiane da avere quando si ha a che fare con le reti sociali, proposte dal Salesiano Coadiutore Angelo Mereghetti.

Info ANS

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1. Priorità apostolica:

La comunicazione è una priorità della missione salesiana: bisogna dedicarle tempo e persone, oggi è sempre più necessario creare équipe che seguano tutta la dimensione della comunicazione. Tutto questo perché la comunicazione sulle reti sociali richiede una relazione immediata e continuativa.

2. Scuola di massa:

Don Bosco ci insegna come gli strumenti di comunicazione abbiano il potere di raggiungere persone diverse in posti e contesti completamente differenti. Questa attenzione oggi deve essere ancora presente nelle nostre riflessioni. Per fare ciò è necessario che prima di voler condividere un qualsiasi contenuto si tengano ben chiari questi due parametri: il target delle persone a cui lo si vuole far arrivare e, di conseguenza, il luogo più adatto per farlo. Attraverso questo discernimento si può arrivare ad avere chiaro che non tutti i social sono uguali, quindi ognuno di essi va usato con astuzia e in rete con gli altri.

3. Creare cultura:

Primo scopo della comunicazione è quello di creare cultura. Oggi i giovani costruiscono sulle reti sociali la base della loro persona: basti pensare che all’interno di essi si informano, spesso diventando “follower” di personaggi da cui traggono le risposte alle loro domande. Tutto questo accade perché sono in ricerca, come lo sono sempre stati, d’altronde; ma oggi hanno cambiato il luogo dove trovare le risposte. È possibile parlare al mondo di Dio attraverso quello che amano i giovani; e se non saremo noi a dare le risposte alle domande dei giovani, ci saranno altri che lo faranno, ma questo non ci darà la serenità di vederli “felici nel tempo e nell’eternità”.

4. Diffondere modelli:

Questo è uno dei punti su cui si gioca gran parte della nostra credibilità e della nostra bella testimonianza sulle reti sociali. Non c’è bisogno di grandi doti tecniche o di chi sa quali grandi finanziamenti per fare una buona pastorale sui social, bensì c’è bisogno di persone che si mettano dietro e dentro queste realtà digitali, che condividano le loro emozioni e le loro esperienze.

Per suggerimenti pratici e per il testo integrale dell’articolo si rimanda al libretto della Giornata Missionaria Salesiana 2022 “Comunicare Cristo Oggi”.

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Convegno Internazionale su San Francesco di Sales all’UPS: online il sito web

In occasione del 400° anniversario della morte di Francesco di Sales, l’Università Pontificia Salesiana (UPS) organizza un convegno internazionale per celebrare la sua eredità dal 18 al 20 novembre 2022 a Roma. Per l’occasione, è online il sito web con tutte le informazioni dedicate: francescodisales.unisal.it

Di seguito la notizia pubblicata dall’Agenzia d’Informazione Salesiana ANS.

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In occasione del 400° anniversario della morte di Francesco di Sales, l’Università Pontificia Salesiana (UPS) organizza un convegno internazionale per celebrare la sua eredità. San Francesco di Sales ha influenzato la storia della spiritualità e della vita religiosa non solo attraverso gli scritti, ma anche attraverso il proprio modo di vivere, e non solo durante la sua vita, ma fino ad oggi. È questa la ragione per cui conviene studiare la sua eredità a vantaggio della Chiesa e della vita spirituale odierna.

Il convegno è organizzato dall’Istituto di Teologia Spirituale della Facoltà di Teologia dell’Università Pontificia Salesiana. Il comitato scientifico, coordinato dal professor Wim Collin, SDB, ha presentato oggi il sito ufficiale del convegno. Le informazioni sul convegno sono disponibili sul sito web, come l’orario, i relatori con i diversi interventi che faranno e le congregazioni e gli istituti che parteciperanno al congresso, la possibilità di iscriversi e così via.

Il convegno, che si terrà a Roma presso l’Università Pontificia Salesiana dal 18 al 20 novembre 2022, si compone di due parti: nella prima parte vengono affrontate alcune congregazioni, istituti e società religiose che hanno Francesco di Sales come patrono e fonte di ispirazione; nella seconda parte del congresso vengono discussi un’ampia varietà di temi che hanno la loro origine nella spiritualità, nella vita e negli scritti di San Francesco di Sales.

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Italia – Risultati e prospettive della III Scuola per Delegati ispettoriali per la Pastorale Giovanile Salesiana

Dall’agenzia ANS.

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(ANS – Torino) – Sono terminate mercoledì 18 maggio le attività della III Scuola di Delegati ispettoriali per la Pastorale Giovanile Salesiana. Le sessioni formative, che hanno coinvolto circa 50 Delegati ispettoriali di Pastorale Giovanile provenienti da tutto il mondo, sono state organizzate in moduli teorico-applicativi i cui insegnamenti si sono concentrati intorno ad una pluralità di temi di assoluta rilevanza.

Tali temi sono stati:

1. Visione antropologica e chiavi interpretative del modello educativo pastorale salesiano.

2. Fonte carismatica del modello educativo pastorale salesiano: Il Sistema Preventivo ed il “cuore oratoriano”.

3. La leadership pastorale, lo sviluppo di relazioni interpersonali significative e il fronteggiamento dei conflitti.

4.  Organicità e continuità nella Pastorale Giovanile: dinamiche all’interno di un’Ispettoria, gestione delle commissioni e gruppi in ambito pastorale ispettoriale.

5. Intervento pastorale nelle Comunità Educativo-Pastorali e nei diversi settori della Pastorale Giovanile: criteri di verifica, elementi di significatività e cammino verso una maggiore significatività.

6. Integrazione di competenze personali, relazionali e accompagnamento spirituale nella vita del Delegato.

7. Comprensione della Pastorale del “contagio”, del “vieni e vedrai”, l’animazione vocazionale che narra con il proprio volto raggiante e la propria gioia di vivere ciò che capita ad una persona che offre il suo “sì” al Signore.

8. Implicanze della progettazione nei diversi aspetti dell’esperienza educativa e pastorale (cultura della riflessione, “fermarsi, pensare e agire” per il Progetto Organico Ispettoriale, il Progetto Educativo Pastorale Salesiano Ispettoriale): la decisione pastorale esige che si giunga al concreto della programmazione.

9.  Visita guidata ai luoghi salesiani che hanno visto lo svolgersi della splendida avventura umana e cristiana di Don Bosco: le sue scelte, i valori ispiratori e le sue realizzazioni acquistano così una singolare forza evocativa e pastorale.

10. Promozione dell’ecologia integrale, il valore della musica e della preghiera con i giovani.

“Da queste giornate nascono alcune sfide che siamo chiamati ad affrontare come animatori ispettoriali di Pastorale Giovanile – ha commentato don Miguel Angel García Morcuende, Consigliere Generale per la Pastorale Giovanile –: quella della fiducia, che non ha paura di offrire una proposta coraggiosa, evangelicamente esigente e al tempo stesso profondamente umana; quella della lucidità, che ci aiuta a non perdere il modello salesiano di fare pastorale e tenere fisso lo sguardo su ciò che conta nei diversi momenti storici; quella della convinzione, che la sequela di Cristo vale la pena, e che il dono totale di sé alla causa del Vangelo è qualcosa di stupendo e bello che può dare un senso a tutta una vita”.

È stata un’esperienza salesiana che ha riacceso il senso di appartenenza alla Congregazione, ha risvegliato il desiderio di ravvivare nei confratelli la carità pastorale e una attenzione verso le nuove periferie.

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Italia – Ricognizione del Venerabile Andrea Beltrami, SDB

Dal sito dell’agenzia ANS.

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(ANS – Omegna) – In data 17 maggio 2022 ha avuto luogo ad Omegna, Provincia di Verbano-Cusio-Ossola, la ricognizione canonica dei resti mortali del Venerabile Andrea Beltrami, salesiano sacerdote (1870-1897). Su richiesta del Postulatore della Congregazione Salesiana, don Pierluigi Cameroni, e dopo aver ottenuto il nulla osta della Congregazione delle Cause dei Santi, il Vescovo di Novara, Mons. Franco Giulio Brambilla, ha delegato il Rev.do Fabrizio Poloni a presiedere alle operazioni richieste, coadiuvato dagli altri membri del Tribunale: don Andrea Primatesta, promotore di Giustizia; don Luca Longo, Notaio; dott. Antonio De Consoli, perito medico. Il lavoro di trattamento conservativo è stato affidato al Sig. Luciano Griggio, diacono, esperto in tale campo.

A distanza di oltre un secolo dalla traslazione e tumulazione del Venerabile dal cimitero cittadino alla Collegiata di Sant’Ambrogio ad Omegna, si è resa necessaria tale operazione in vista del trattamento conservativo dei resti mortali e a seguito del movimento di preghiera e di interesse che in questi anni accompagna la figura e la testimonianza del giovane prete salesiano, omegnese di nascita, grazie all’azione pastorale del parroco don Gianmario Lanfranchini e del gruppo di preghiera che si è costituito per promuovere la Causa di Beatificazione dell’illustre omegnese.

I resti mortali del Venerabile Andrea Beltrami, che non possono godere di alcun culto pubblico, né di quei privilegi che sono riservati soltanto al corpo di chi è stato beatificato o canonizzato, al termine del processo conservativo verranno nuovamente collocati in una nuova urna nello stesso luogo dove erano nella chiesa parrocchiale.

Alcuni segni hanno accompagnato la ricognizione: il fatto che sia avvenuta nel Battistero di san Giovanni dove si conserva il fonte battesimale in cui Andrea Beltrami nacque alla vita dei figli di Dio, il 25 giugno 1870, il giorno seguente alla sua nascita, ricorda come ogni cammino di santità è la maturazione della grazia battesimale. Inoltre, l’aver trovato sulla cassa alcuni segni che richiamano la passione di Cristo: il crocifisso, il volto del Cristo coronato di spine, ricordano come l’esperienza del dolore e della malattia che segnarono la vita del giovane Beltrami siano fonte di maturazione e di santificazione. Infine, forma insolita, l’aver trovato sulla copertura della cassa del Venerabile oltre alla sua fotografia, quella dei genitori e di altri parenti, esprime la profonda comunione famigliare.

La testimonianza di don Andrea Beltrami è paradigmatica di tutto un filone della santità salesiana che, inizia con lui, con il Beato Augusto Czartoryski e il Beato Luigi Variara. Egli è l’apripista della dimensione vittimale-oblativa del carisma salesiano: “La missione che Dio mi affida è di pregare e di soffrire”, diceva. “Né guarire, né morire, ma vivere per soffrire”, fu il suo motto. Esattissimo nell’osservanza della Regola, ebbe un’apertura filiale con i superiori e un amore ardentissimo a Don Bosco e alla Congregazione. Il suo letto diventerà altare e cattedra, in cui immolarsi insieme a Gesù e da cui insegnare come si ama, come si offre e come si soffre. La sua cameretta diventa tutto il suo mondo, da cui scrive e in cui celebra la sua Messa: “Mi offro vittima con Lui, per la santificazione dei sacerdoti, per gli uomini del mondo intero”.

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