Annunciare il Vangelo con i giovani
Da Note di Pastorale Giovanile.
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di don Rossano Sala
L’istituzione del ministero di catechista
Ho avuto il dono di partecipare al Sinodo speciale sulla Regione Panamazzonica nell’ottobre del 2019. Tutti sappiamo che uno dei grandi temi sollevati in quell’assise è stato quello dei “ministeri”. Superare il clericalismo in fondo non è solo una questione teorica, ma potrà avvenire solo attraverso un autentico coinvolgimento del popolo di Dio nella vita e nella missione della Chiesa. Tutto ciò passa attraverso decisioni istituzionali vincolanti, che creano una nuova mentalità e rendono possibili nuovi percorsi ecclesiali. È necessario infatti trovare modi concreti perché la sinodalità sia vissuta realmente, altrimenti rimarrebbe solo una teoria astratta.
Penso che Antiquum ministerium, la lettera apostolica in forma di “Motu proprio” con cui papa Francesco istituisce il ministero di catechista, sia un segnale inequivocabile che va in questa precisa direzione. Dare un volto istituito ad un servizio che prima aveva dei confini piuttosto labili e dei riconoscimenti lasciati ai singoli è una forma preziosa di riconoscenza e di riconoscimento.
Riconoscenza perché si tratta prima di tutto di essere grati per la schiera di persone – e sono davvero molte – che con generosità e gratuità da sempre si spendono nell’immenso mondo dell’iniziazione alla vita cristiana non solo verso i più piccoli, ma anche nei confronti di tutto il popolo di Dio.
Riconoscimento perché è importante dare visibilità e forza a questo servizio ecclesiale che è sempre più imprescindibile in una società exculturata e postcristiana (soprattutto in Europa, ma non solo). Al di là delle possibili lamentele rispetto a ciò, va visto il lato positivo della faccenda: per la Chiesa si tratta di un’opportunità per riscoprire i dinamismi propri della fede e dell’evangelizzazione, che in un tempo di cristianità rischiavano di rimanere attenuati e inoperosi.
Una forma nobile di diakonia
Di solito la “diakonia” è immaginata unilateralmente come il servizio della carità verso i più poveri. Incarnata nell’immaginario ecclesiale dalla Caritas e nel servizio silenzioso e generoso svolto da molti singoli credenti, movimenti e associazioni verso le tante forme di povertà che attanagliano un numero crescente di persone nel nostro mondo in cui la forbice tra ricchi e poveri è sempre più ampia.
Senza nulla togliere a questa forma fondamentale di diakonia, oggi siamo chiamati a prendere sempre più coscienza che c’è povertà di Vangelo tra la nostra gente, nel popolo di Dio stesso, nella Chiesa stessa. Ignorare il Vangelo è la più grave mancanza per l’uomo, che ha diritto a sentirsi annunciare la buona novella da coloro che l’hanno ricevuta in dono e che non possono tenerla per sé.
Mi chiedo a volte se siamo convinti, come Chiesa, che la povertà di parola di Dio e di annuncio della bellezza della fede è davvero una mancanza grave. Se siamo consapevoli che facciamo un torto grave se non annunciamo il Signore Gesù come fonte di vita buona, di salvezza integrale, di giustizia piena, di speranza certa. Che è solo nel suo nome che si trova ciò che il cuore dell’uomo desidera davvero.
Di certo il Vangelo non è un tesoro da custodire, ma un dono da condividere. Non è un qualcosa che ci è consegnato per l’autoconsumo personale, ma perché sia fecondo e fruttuoso per tutti. La fede è luce che illumina, e quindi non si può tenere sotto il moggio.
Diventa quindi chiaro che la catechesi è una forma di diakonia ecclesiale di cui oggi non possiamo fare a meno. Insieme alla carità concreta, al servizio gratuito, alla generosità sociale, è uno spazio di espressione e di risposta alla povertà più grande, che è quella di Dio: del suo vero volto, della sua parola salvifica, della sua bellezza strabiliante, della sua bontà infinita e della sua volontà di amicizia con ogni sua creatura.