Alcune premesse e chiavi di lettura (del dossier “FARE. DISFARE. RIFARE L’ORATORIO?”)
Dal
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Stefano Guidi *
L’introduzione che apre questo dossier intende offrire – in premessa – la chiave di lettura dell’intero lavoro. Qui non intendiamo proporre soluzioni a buon mercato, rapide e sicure. Vorremmo invitare ad iniziare un percorso di rinnovamento della forma dell’oratorio che – includendo anche la dimensione immobiliare – lavora sul nucleo essenziale della sua proposta.
Tale introduzione tocca tre punti. Il primo richiama le ragioni che hanno guidato la realizzazione di questo dossier. Il secondo richiama la necessità di collocare la riflessione sulla struttura dell’oratorio all’interno di una revisione sostanziale del progetto educativo dell’oratorio, che prende le mosse dall’incontro con il destinatario e dallo studio del contesto territoriale. Il terzo punto accenna molto brevemente ai criteri qualificanti del discernimento ecclesiale.
Sul primo punto è sufficiente dire questo: il dossier segna un iniziale passo esplicito di riflessione attorno ad un tema che agita e preoccupa molti. Non è forse un caso che la Rivista abbia deciso di affidare questa riflessione iniziale alle diocesi lombarde. Infatti, proprio l’oratorio lombardo rappresenta un caso interessante. Esso si presenta anche (soprattutto) esteriormente come un ambiente riconoscibile, codificato e strutturato. Strettamente connesso al vissuto sia della parrocchia che della comunità civile, e parte integrante della trama che costituisce il tessuto della comunità locale.
Vogliamo quindi aprire esplicitamente la riflessione sull’oratorio inteso come edificio e come struttura visibile, riconoscibile, identificabile. Questa scelta è mossa a sua volta da una constatazione che sta maturando da diversi anni. E cioè: che – sotto il profilo quantitativo – gli oratori lombardi siano sproporzionati e non sempre adeguati. Qualche parola di spiegazione e di approfondimento.
Sono sproporzionati sia rispetto alla popolazione giovanile della regione, sia rispetto alle modalità e ai tempi di socializzazione che questa generazione esprime, sia rispetto alla partecipazione alla vita della comunità religiosa locale che questa generazione pratica. Si avverte poi una certa sproporzione sia rispetto alle energie educative che la parrocchia riesce effettivamente a mettere a disposizione, non solo per l’attività gestionale, ma – punto assai più delicato – per l’attività progettuale, sia rispetto alle forze presbiterali, religiose e laiche effettivamente disponibili al servizio educativo. Precisiamo che questa riflessione si basa non solo o non tanto su sensazioni raccolte dal territorio e dagli operatori, ma più seriamente su studi e ricerche che la giustificano. Studi e ricerche che in parte sono già state svolte e in parte sono in fase di avvio. Va anche detto che la diffusione capillare impressionante degli oratori in Lombardia non risponde ad una logica di affluenza e di riempimento ma di proposta. L’oratorio è indubbiamente tra le espressioni più riuscite e longeve del cattolicesimo popolare nel territorio lombardo, espressione di una Chiesa che si pensa di tutti e per tutti, e che per questo propone a tutti l’esperienza elementare del Vangelo. Occorre cautela e prudenza rispetto all’istinto prevalente – anche tra gli addetti ai lavori – che talvolta tende a liquidare troppo frettolosamente questa modalità ecclesiale definendola come ormai del tutto superata.
Al senso di sproporzione (detto in una parola con una espressione rapida: sono troppi, e sono alternativamente pieni e vuoti) si aggiunge l’intuizione di una certa inadeguatezza. Sul piano specificamente spaziale, l’oratorio lombardo somma in un’unica sede almeno due tipologie di strutture: l’edificio scolastico e l’impianto sportivo. Di cui il primo – per necessità – esprime esplicitamente l’idea di una formazione catechistica statica, razionale e di stampo scolastico. Da fare in un’aula. Come a scuola. Il canone scolastico-sportivo ha avuto l’ovvio vantaggio di integrare con un certo successo altre dimensioni altrettanto costitutive dell’esperienza oratoriana: penso alle esperienze espressive e artistiche (quanti piccoli e grandi teatri praticamente presenti in ogni parrocchia e oratorio!) e a quella di socializzazione e ricreativa, fino ad integrare quella abitativa (le esperienze di vita comune dei giovani).
Questa forma di oratorio, pensato come dispositivo educativo integrato, con il suo impianto complessivo e articolato, ha risposto adeguatamente per decenni a molteplici esigenze educative, sia famigliari che sociali, e soprattutto ecclesiali. La continuità tra l’oratorio e la Chiesa, ossia tra la dimensione educativa-ricreativa e la dimensione religiosa personale e sociale, sembrava essere garantita anche dalla continuità spaziale. Se non sotto il profilo propriamente personale credente, almeno sotto il profilo della intuizione di senso soggiacente a tale esperienza.
* Direttore Fondazione diocesana per gli oratori milanesi; Coordinatore Oratori diocesi lombarde.