Articoli

Oratorio, una luce nel quotidiano Storia di Sofia (e anche mia)

Dalla rubrica “Ritratti di adolescenti” di Note di Pastorale Giovanile.

***

di Maria Gloria Assenza *

“Beatus qui invenit amicum verum”, vorrei cominciare così, con un tocco quel latino che sto studiando adesso all’Università, la mia testimonianza, che spero possa essere – per te che leggi – stimolo di speranza e di consapevolezza che per ognuno di noi c’è un progetto, che giorno dopo giorno si costruisce grazie ai segni che Dio dona attraverso gli incontri. È davvero la mia esperienza, da un anno a questa parte, per cui non ho mai smesso di ringraziarLo per avermi aperto il cuore all’incontro con il mondo salesiano. In realtà, sin da piccola ho frequentato l’istituto, avendo fatto lì la scuola materna, crescendo però mi sono allontanata, in inverno non frequentavo mai l’oratorio poiché non sentendomi motivata, preferivo dedicarmi ad altro. Eppure, mi domandavo spesso cosa spingesse gli altri a donare parte del loro tempo per i piccoli e soprattutto mi stupiva il fatto che ci tenessero così tanto. Fin quando arriva luglio del 2022: ammetto che d’estate, finita la scuola, ho sempre dato un aiuto, ma quella estate aveva un sapore diverso. Cominciavo in effetti a vedere i primi segni, ad avere vicino determinati volti che sarebbero diventati parte essenziale della mia vita.
Lo racconto in breve. Accade che la nostra coordinatrice è in dolce attesa e noi animatori più grandi, tra diciassette e diciotto anni, capiamo che è giunto il momento di divenire più responsabili, poiché se non portiamo avanti noi la realtà, questa rischia di spegnersi. Così cominciamo a trascorrere ogni pomeriggio in oratorio a immagnare, progettare e preparare le giornate di grest; e al termine di ogni giorno, notavo che il legame in questo piccolo gruppo di animatori si intensificava. Vedevo in tutti una luce, una voglia di mettersi al servizio che mi meravigliava sempre di più e non lo davo affatto per scontato, visti tutti i giudizi “autorevoli” sul mondo giovanile.
All’interno di questo gruppo c’era una ragazza, Sofia, animatrice dal 2017, che aveva qualcosa di speciale, un amore verso l’oratorio che non mi riuscivo a spiegare, e proprio lei qualche anno prima mi aveva suscitato quelle domande. Decido allora di avvicinarmi, con la mia usuale timidezza, ma in realtà è come se lei mi stesse aspettando da sempre, poiché sin dal primo momento ho sentito che la nostra amicizia andava oltre le domande e le risposte del cuore, ma avesse origine da qualcosa più grande… probabilmente don Bosco ma forse anche qualcosa più su… Ma ciò che ancor più mi suscitava gratitudine era aver trovato qualcuno della mia stessa età, che avrebbe condiviso i travagli e le speranze della vita di un giovane. Piano piano procediamo nella nostra conoscenza reciproca, fin quando arriva un giorno – che oggi ci piace definire l’inizio della nostra amicizia – in cui io confido a lei una mia nascosta fragilità… e mentre temevo di deluderla e di segnare così la fine dell’amicizia, proprio in quel momento vedo davanti a me un cuore sciogliersi e un volto bagnarsi. Così capisco davvero il senso di “beato chi trova un amico vero”, come dicevo all’inizio. Avevo trovato una persona semplice ma di un cuore così grande, che non immaginavo possibile. E da quel giorno non ha mai smesso di essere presente nella mia vita, di sostenermi e aiutarmi. La mia “confessione” ha preceduto un pellegrinaggio che avremmo fatto a Torino ad agosto del 2022. Questo è stata la svolta per entrambe. Sia per la bella scoperta del carisma salesiano, quello a cui ci ispiriamo nell’oratorio e con i ragazzi, che una scoperta ancora più profonda e vera di lei. Ricordo che – sedute nel gradino dell’urna di don Bosco – mi ha parlato di sé e io l’ho accolta (protetta?) con quei pochi strumenti che possedevo: l’abbraccio accogliente, il sorriso, il cuore. Qui finalmente ricevo la risposta alle domande che mi aveva suscitato al tempo, ciò che in fondo l’aveva sempre spinta a continuare questo cammino. E cioè che l’oratorio per lei è sempre stato famiglia, luogo di relazioni sane, dove si è sempre sentita accettata, senza giudizi e pregiudizi. Ama definirlo, “il faro della sua esistenza”. Luogo dove ha ritrovato se stessa, dove ha scoperto talenti che non credeva di avere. In ogni tappa della sua vita è sempre stato presente e, in modo particolare, ricorda un avvenimento, risalente al 2018, dove per la prima volta ha sperimentato il significato concreto dell’amore, grazie al dono di una giovane suora, che in un momento non semplice della sua vita le è rimasta vicino prendendosi cura.
Ma all’inizio di questo pellegrinaggio, eravamo completamente ignare di ciò che sarebbe accaduto solo un mese dopo. Torino è stato per noi il centro del cambiamento, perché dopo quella tappa abbiamo compreso che in fondo dietro l’oratorio c’è qualcosa di più profondo, di vero, o meglio Qualcuno, che poi è il vero centro. Grazie a questo viaggio Sofia cambia prospettiva, comincia a comprendere la ragione profonda del suo servizio, comincia a spendersi con più entusiasmo e si nota in lei una luce diversa. Ma in questo processo di cambiamento, non era sola, penso che la frase di Don Pino Puglisi qui calzi pienamente: ‘’Dio ti ama ma sempre tramite qualcuno”, e davvero ha sentito sulla sua pelle questo, poiché proprio in questa esperienza ha trovato un punto di riferimento nella fede, la sua guida. E mentre lei proseguiva nel suo cammino, mi rendevo conto che ci ritrovavamo a condividere le stesse tappe di vita, come il dono della guida, l’inizio di un cammino di fede con essa, le scelte difficili e importanti e le responsabilità in oratorio.
Terminato il viaggio, torniamo a casa pieni di luce, di vita e di forza. Toccata nel profondo da questa esperienza, anch’io prendo a cuore l’oratorio, e capisco che ciò che stava spingendo tutto era l’amore. A tal proposito ricordo proprio la frase dell’inno MGS di quell’anno, dal titolo “Share the dream”: ‘’perché è solo se ti senti amato che ami e dici sì”. E riconosco che Sofia è stata sin da piccola testimonianza ed esempio per me di quest’amore, e tutt’ora se continuo a esserci, è perché mi sento chiamata a testimoniare e a donare questo amore che ricevo da Lui, attraverso i salesiani che mi guidano nel cammino di fede, don Bosco e i ragazzi dell’oratorio.
Così, da un anno a questa parte, siamo in cammino, ogni sabato curiamo l’oratorio, animati sempre da quella forza e cerchiamo nel nostro piccolo di trasmettere quanto ci viene donato dalla sorgente più grande. Stare con i bambini, vedere come i ragazzi cominciano ad appassionarsi sempre di più, accompagnarli nella crescita sull’esempio di don Bosco, ci riempie di gratitudine e ci ripaga da tutta la fatica.
Nella speranza di tener vivo questo sogno, ci auguriamo di continuare a testimoniare la bellezza dell’amore.

* 19 anni, vive a Pozzallo, dove continua il suo impegno in oratorio, presso l’istituto delle FMA. Segue all’interno dell’MGS i cammini formativi. Frequenta il primo anno di Lettere Classiche presso l’università di Catania

Attraverso mille bisticci: storia di Francesco

Da Note di Pastorale Giovanile, rubrica “Ritratti di adolescenti”.

***

di AnnaClaudia Losacco *

Credere in qualcosa o in qualcuno è così complicato che, quando lo fai, sei pieno di gratitudine. E per quanto il mio servizio in oratorio non mi abbia mai stancata, c’è sempre “un motore” che mi spinge ad andare avanti: il gruppo che mi è stato affidato qualche anno fa.
Ci troviamo al quartiere Libertà: un quartiere di Bari difficile, denigrato da molti (soprattutto da quelli che non ci vivono), ma che è ricco di persone piene di speranze di vita e di tanti “ragazzini per strada” ricchi di sogni. Quei sogni che per loro è difficile poter realizzare, se non sono propriamente guidati da qualcuno che ci crede.
E se dovessi fare mente locale proprio a quel giorno in cui mi è stato chiesto di seguire quel gruppo di preadolescenti, potrei dire con certezza che non avrei mai scommesso un euro su tutto quello che di lì a poco si sarebbe creato.
È vero, tra i ragazzi non si fa alcuna distinzione. Ma, fra tutte le loro storie, c’è da sempre una che, rispetto alle altre, mi ha particolarmente colpita: la storia di Francesco (nome di fantasia).
Quando l’ho conosciuto per la prima volta aveva soltanto undici anni e la cosa che mi impressionava era proprio il suo modo di relazionarsi con gli altri. Infatti, quando lui conosce persone nuove, non cerca di capire com’è fatto l’altro o tantomeno di intraprendere una conversazione, bensì decide subito di infastidirti e provocarti anche con frasi sgradevoli. In realtà, però, sta solamente cercando di capire com’è fatto l’altro e vedere se questa persona possa essergli simpatica o meno.
Allo stesso tempo, però, sapevo in cuor mio che il suo mondo era più grande di quello in cui si trovavano gli altri e che lui avesse quel qualcosa in più che avrebbe potuto arricchire la mia vita e per questo motivo io avevo il compito di dover capire quale fosse il suo “punto accessibile al bene”.
Francesco sotto tanti aspetti si può ritenere un ragazzo abbastanza fortunato, al quale basta avere un pallone tra i piedi per migliorare la giornata, ma che vive parecchie difficoltà dovute anche dall’età e dal contesto familiare in cui si trova, che non è per niente facile. Perché diciamocelo, essere genitori sarà anche il lavoro più bello e difficile del mondo, ma dover educare un ragazzo sapendo che nessuno in lui ci crede o che un giorno potrebbe diventare lo specchio di ciò che nella realtà dovrebbe evitare… beh, per me è stato un lavoro davvero complicato.
Un episodio che ha rafforzato il nostro legame è stato proprio durante un’esperienza estiva. Dopo un litigio che si sarebbe rivelato il primo di una lunga serie, era arrivato il momento del gioco e, ad un certo punto, mi accorgo che lui decide di estraniarsi dagli altri e di mettersi seduto in disparte. Così, dopo aver notato questo dettaglio, decido di sedermi accanto a lui per poter capire cosa stesse passando in quel momento nella sua testa e poterci fare una lunga chiacchierata. La sua risposta “Ho deciso di mettermi in castigo da solo” mi ha fatto riflettere e tanto pensare a quanta sofferenza lui possa provare nella sua giovane vita, a quante mancanze deve dare peso e a quante cavolate è costretto a fare per poter colmare questi vuoti o per farsi accettare dagli altri e, di conseguenza, mostrarsi per quello che realmente non è. Ed infatti, dopo averlo guardato negli occhi ed avergli chiesto con molta calma un semplice “Come stai?”, Francesco ha esternato tutto il suo mondo e la sua rabbia, piangendo o rimanendo tante volte in silenzio perché preferiva riflettere sulle sue azioni, piuttosto che dire qualcosa di non giusto scaturito dal momento di rabbia e vergogna.
Ora Francesco ha quattordici anni, frequenta il primo anno in una scuola superiore e a breve inizierà il percorso per poter diventare pre-animatore. E per me, non c’è vittoria più bella di questa. Vedere un ragazzo che, attraverso i tuoi gesti ed insegnamenti, prova a mettere in pratica il bene dimostratogli.
E non a caso, ho deciso di iniziare quest’articolo con la citazione di Jovanotti perché, se c’è una cosa che ho capito grazie a lui è che tante volte denigrare o lasciare fuori un ragazzo che talvolta riteniamo “attivo” o “fuori luogo”, in realtà è solo una scusa per chi non ha voglia di perdere tempo per il bene di un giovane. Spingersi altrove, dedicare del tempo, prestare ascolto o attenzione può davvero salvare una vita. Perché è proprio attraverso loro che la mia vita si è riempita di gioia, gratitudine, ricchezza e meraviglia. Perché nei loro occhi e negli occhi di Francesco, Dio mi parla continuamente e quotidianamente mi ricorda che quel “cento volte tanto” mi ha dato solo il coraggio di aiutare e di donare vita a loro e, attraverso loro, a me stessa.

* 23 anni, animatrice dell’oratorio salesiano Redentore di Bari e studentessa in Scienze della Comunicazione all’Università degli studi Aldo Moro di Bari.

Abbandono, conforto, ascolto: storie di Mussa, Angelica, Mariana

Dalla rubrica Ritratti di adolescenti su NPG, a cura dei giovani del MGS.

***

Raccontare di un giovane, di un adolescente o di un bambino, significa dipingere quel ritratto che ha caratterizzato la vita di ognuno di noi. E allora partirei proprio da questo, dal ritratto di me, per poi arrivare a quei tanti volti che nel corso della mia vita, attraverso le esperienze oratoriane, hanno aiutato a comprendere chi fossi, i miei sogni, aspirazioni, paure, insicurezze e obiettivi. Volti, occhi e sguardi che mi hanno fatto guardare al mondo da diverse prospettive, giovani che hanno reso e rendono la mia vita qualcosa di unico, nonostante tutto.
Fin da piccola ho sempre amato lo sport e il movimento nella sua complessità e, nonostante l’impossibilità di una pratica agonistica, ho sempre utilizzato questo mezzo per fuggire da ciò che mi facesse male, per evadere da quelle situazioni che non mi facevano stare tranquilla, per trovare conforto, per riscattarmi, per scoprire il mio io. La corsa che tanto amavo, come pratica individuale rispondeva in parte a questo scopo, però non mi bastava, avevo bisogno di comunità, di calore fraterno, di gruppo, di unione, di sorrisi, di condivisione. L’oratorio è stato questo, ha saputo mettere insieme due elementi essenziali che credo siano indispensabili per ogni essere umano, ovvero la voglia di scoprire se stessi e trovare equilibrio psico-fisico, ma anche la costante voglia di non sentirsi soli ed abbandonati.
Le tante esperienze vissute in oratorio, attraverso l’animazione missionaria, le esperienze estive in contesto povero, le esperienze per le strade della mia città, mi hanno aiutata a capire quanto ognuno di noi nella propria diversità è simile. I tanti volti, sguardi incontrati e le tante parole ascoltate, e soprattutto le tante parole non dette, mi hanno aiutato a comprendere quanto ognuno di noi sia accomunato dalla sofferenza che aiuta a cambiare, e dalla voglia di sentirsi accettati e ascoltati, dalla voglia di sentirsi abbracciati. Ecco che in queste righe non voglio raccontare la storia di una singola persona conosciuta, perché sono davvero tante, ma ci tengo a trasmetterti – a te che stai leggendo – che la mia storia di animatrice, educatrice, ragazza è forse molto simile alla tua, anzi è molto simile in alcune sfaccettature a quella dei tanti giovani incontrati durante il mio percorso di vita. Io così come i tanti giovani conosciuti mi sono sentita persa, non accettata, non compresa, usata, ho sempre pensato di non valere nulla, ma ad oggi sono consapevole che grazie a voi giovani mi sento cambiata, maturata, ho potuto capire il significato di quel “punto accessibile al bene” di cui tanto parlava Don Bosco, ho riscoperto me stessa, ma soprattutto ho imparato ad accettare la diversità, le povertà, le tante personalità che ognuno di noi vive quotidianamente.
Ecco che in queste righe dopo averti raccontato una piccola parte di me voglio farti conoscere alcuni volti conosciuti durante la mia vita da oratoriana, ragazzi e ragazze, bambini e bambine, che ad oggi sono la fonte del mio cambiamento, fonte essenziale che giorno per giorno continuano a motivarmi nel mio percorso di studi, formativo e di vita, giovani che mi ricordano che la strada che ho intrapreso possa/debba nel futuro essere messa al loro servizio grazie al valore dello sport.
Mussa, 18 anni; lui mi ricorda i volti dei tanti migranti che hanno lasciato la propria terra, e che sono arrivati sulle coste delle nostre spiagge, lui rappresenta anche il volto di quei tanti senza fissa dimora che occupano le nostre strade, ritrovandosi in contesti disumani. Con Mussa e con tanti altri migranti ho avuto modo di dialogare, scambi di commozione e di occhi lucidi, di sofferenza, di voglia di vivere. Loro mi ricordano quanto possa essere importante lottare per ciò che si crede, per i propri obiettivi. È impressa nella mia mente una frase di Mussa: “Perché il mondo è grandissimo e possiamo starci tutti senza problemi”, ogni volta me la ripeto, quando penso che tutto quello che sto facendo sia inutile, e invece no! C’è posto anche per me, c’è posto per tutti. Mussa mi ricorda la parola ABBANDONO.
Angelica, 7 anni; lei è il volto dell’accoglienza, del prendersi cura. In un momento di pura difficoltà in Guatemala, lei ha saputo tendermi la sua piccola mano, mi è stata accanto, ha saputo comunicare nonostante la difficoltà linguistica. Non mi ha lasciata mai sola, aveva percepito che avevo bisogno di aiuto, e così in maniera silenziosa ha saputo colmare il mio vuoto. Angelica mi ricorda la parola CONFORTO.
Mariana, 19 anni; lei è “amicizia” nata nel momento del racconto, dell’ascolto della propria storia di vita, dove ci si mette a nudo, in cui le proprie fragilità vengono consegnate nelle mani di chi sa ascoltare. Con lei si è creata connessione, spesso tra educatore ed educando ci si ritrova in sintonia perché magari simili in alcuni aspetti, con lei è stato così, ha saputo “tirar fuori” come un’educatrice, una parte di me nascosta. Mariana mi ricorda la parola ASCOLTO.
Abbandono, conforto e ascolto, forse possono essere tre elementi che caratterizzano i giovani di oggi. Nel momento in cui ci si sente soli ed abbandonati si ha semplicemente bisogno di ascolto e conforto. Io nel mio piccolo non ho utilizzato tante parole, perché forse non bastano, ma attraverso uno sguardo come presenza e un abbraccio sono riuscita ad entrate in connessione con loro, ma soprattutto l’approccio di Mussa, Angelica e Mariana dovrebbero essere da esempio anche per noi educatori.
Concludo queste mie riflessioni, come vedi più su di me che su giovani di cui tracciare un ritratto, ma ti ho voluto mostrare, e farti conoscere attraverso piccoli ricordi, tre giovani completamente diversi ma inevitabilmente vicini, tre giovani che hanno saputo colmare i miei vuoti – dalla solitudine, al senso di inadeguatezza, alle incomprensioni, alla mancanza di ascolto – in momenti differenti del mio percorso di educatore, animatore.
All’inizio del mio percorso di animazione pensavo di salvare il mondo o di essere da esempio per tanti giovani, non so se questo sia successo nel corso del tempo, ma ciò che rimane certo è che i tanti giovani conosciuti dai più piccoli ai più grandi, dalle zone di periferia, ai villaggi, alla mia città, sono stati loro il mio più grande esempio. Attraverso di loro ho saputo riconoscere il volto di Cristo: mi hanno aiutata a comprendere la bellezza di una vita degna di essere accolta, vissuta e amata.

* 25 anni, di Salerno, laureata in scienze motorie e attualmente sta concludendo il percorso di studi magistrali. Frequenta l’oratorio salesiano di Salerno da quando è nata, e al suo interno è animatrice della fascia di 4° superiore (gruppo che segue dalla prima elementare) e animatrice del gruppo missionario VIS Pangea (Volontariato Internazionale per lo Sviluppo).

Abbonamenti

Un sogno che vola Storia di Anita, Giulia, Sofia, Giulia e Veronica

Pubblichiamo una nuova puntata della rubrica: Ritratti di adolescenti, a cura dei giovani del Movimento Giovanile Salesiano.

***

Di Anita Marton *

Risuona spesso in me una frase. La tengo appesa sopra la scrivania, è tratta da una poesia di Pedro Salinas; recita: “Quando ti doni, riconquisti te stessa, ti volgi in dentro, cresci”. Mi ricorda che, se vale più dare che ricevere, si riceve sempre più di quanto si dona.
Le ho conosciute al Meeting dei Giovani del Triveneto, a Mestre, appuntamento per tutti gli animatori delle superiori. Io ero lì come accompagnatrice dei ragazzi della mia realtà, loro avevano appena terminato la prima estate da animatrici. Il Don mi ha fatto incontrare un piccolo gruppo di ragazze: avrei dato loro una piccola testimonianza di come ho vissuto e come vivo le mie amicizie, soprattutto nell’impegno del dono verso gli altri. Non sapevo cosa aspettarmi e nemmeno cosa avrei detto, ma quando abbiamo iniziato a parlare, mi sono accorta che erano loro a darmi una bellissima testimonianza di amicizia: avevano una luce che brillava negli occhi, un fuoco nel petto. Mi sono rimaste aggrappate al cuore e non se ne sono andate più. Ci siamo trovate di nuovo, abbiamo parlato ancora, abbiamo condiviso le nostre esperienze, risate, studio e biscotti. E mi hanno raccontato la loro storia, che inizia da un sogno in cordata.

La missione di Anita, Giulia, Sofia, Giulia e Veronica nasce da un desiderio condiviso, germogliato tra i banchi di scuola quando erano in terza media. La realtà da cui provengono è l’Istituto Salesiano “E. Sardagna” di Castello di Godego, in provincia di Treviso, dove convivono l’oratorio e la scuola, primaria e secondaria di primo grado. Come in molti oratori, ci sono gruppi di animazione, ma esiste anche un gruppo di chierichetti, il Santissimo Sacramento, rivolto solo ai ragazzi. Per le ragazze non c’era altro. Per le cinque amiche era bello e stimolante frequentare la scuola e l’oratorio, ma sentivano di dover fare di più, desideravano fare del bene, servire nella misura in cui potevano, nelle cose pratiche e nello sguardo buono verso i compagni. Volevano avere uno spazio e un tempo per vivere più intensamente nella realtà in cui si trovavano, così come già faceva il Santissimo Sacramento. Per quattro mesi hanno custodito questo desiderio nel cuore, si sono confrontate tra loro e con il Don, e piano piano, dal basso e in silenzio, è nata Opzione Mornese. Il nome l’aveva suggerito il don, facendo scoprire alle ragazze la figura di Madre Mazzarello e delle giovani di Mornese, che come loro si davano da fare per gli altri. Il primo anno è stato di attesa e lentezza, era da tracciare la giusta rotta, c’era l’ardore di fare una buona cosa e la paura che tutto si sgretolasse da un momento all’altro. Una piccola stanza, a volte il cortile, diventava il luogo dove incontrarsi: parlavano della loro vita, delle fatiche e delle gioie quotidiane, del loro gruppo, degli amici e dei compagni. Il Don, sempre vigile e presente, le aiutava a navigare. Ogni tanto, invitavano le ragazze di seconda media, perché quel loro desiderio non rimanesse come il lume sotto al giaciglio, ma potesse intercettare altri animi tesi alla ricerca di qualcosa di più. Poi, nell’estate tra la loro terza media e la prima superiore, il gruppo ha preso forma, e a settembre Opzione Mornese è cresciuto. Quelle ragazze di seconda media sono entrate a far parte del gruppo, e a loro volta hanno invitato le ragazze più piccole a parlare con loro, a condividere. Le ragazze di terza media avevano organizzato la raccolta di cibo e beni di prima necessità per l’Ucraina, insieme al Santissimo Sacramento avevano allestito il presepe. Un circolo di bene.

Ora sono in seconda superiore. Da quando hanno finito le medie, non studiano più al Sardagna e frequentano scuole diverse. Adesso è più difficile, perché si cresce, si cambia scuola e incontrarsi tra loro diventa una scelta che costa tempo, rinunce e impegno. Anche portare avanti il gruppo non è semplice, sono ormai tante le ragazze che hanno seguito questo desiderio, e nonostante ci sia il Don e una ragazza più grande che le accompagnano, “è nelle nostre mani, nessuno tira se non tiriamo noi”, mi dicono. Camminare con Opzione Mornese dipende da loro, responsabilizza, mette alla prova quando si presentano solo tre persone agli incontri. Perché rimaniamo? Se nessuno viene, qual è il senso? Ma il sogno nato ormai tre anni fa continua a vivere, e già è partito un nuovo gruppo alle medie, sempre più ragazze si lasciano affascinare da questa missione fatta di amicizia e dono gratuito. Non smettono di sognare in grande: desiderano andare a Mornese, conoscere meglio la storia di Madre Domenica Mazzarello, tornare a casa e trovare un gruppo grande di ragazze che vanno avanti da sole, senza che per forza ci siano loro a guidare. Un desiderio che cammina con i piedi per terra e gli occhi rivolti al cielo.

Le ho viste di nuovo al Meeting MGS la settimana scorsa, a un anno esatto dal nostro primo incontro. Quando ci siamo salutate, ho pensato che averle conosciute è stata una grazia. Vedere delle ragazze così giovani dare vita a un gruppo come Opzione Mornese con le loro mani, mettersi in gioco e continuare a sognare nonostante le fatiche e i momenti di sconforto, mi dà fiducia. Significa che il Signore ancora lavora nei cuori dei ragazzi, che le amicizie belle e al servizio degli altri esistono e crescono, se custodite e donate. Significa che è molto semplice lamentarsi e molto coraggioso fare un passo per costruire qualcosa. Significa che nelle mie amicizie gli ingredienti devono tornare ad essere correzione fraterna, il sostegno reciproco, essere matite nelle mani di Dio per gli altri; avere quel loro sorriso palpitante nel cuore. È lì che è nato questo sogno. Un sogno che vola, ancora.

* 24 anni, laureanda in Lettere Classiche presso l’Università Ca’ Foscari di Venezia. Appassionata di disegno, scrittura e teatro. Da tempo legata ai salesiani del Triveneto; attualmente fa animazione a un gruppo di ragazzi del triennio delle superiori ed è impegnata nell’MGS Ispettoriale.

Abbonamenti

A 14 anni ormai sei grande…

Da Note di Pastorale Giovanile, dalla rubrica “Ritratti di adolescenti”, a cura dei giovani del MGS.

***

di Silvia Moretti*

14 anni. Ormai sei grande. Puoi scegliere che scuola fare, quali amici frequentare, quale sport praticare. Se continuare a trascorrere i tuoi pomeriggi tra le attività della parrocchia e dell’oratorio oppure no.
La storia di Laura (nome di fantasia) è simile a quella di molti altri ragazzi che come lei popolano le nostre case salesiane: cresciuta in una famiglia di fede, ha frequentato per volere di mamma e papà il catechismo fino a ricevere il sacramento della Cresima e ora si trova di fronte al bivio di fare proprio il cammino che fino ad ora i suoi genitori hanno scelto per lei. Nel suo caso però la scelta da fare è resa un po’ più difficile dal fatto che nella parrocchia in cui è sempre andata insieme a mamma e papà non c’è più niente per i ragazzi della sua età. Nessun gruppo, nessuna proposta stimolante per una ragazza piena di energia come lei. Che fare? Certo, lei ha piacere ad andare a Messa, ma anche volendo provare qualcosa di nuovo, la sua comunità non ha molto da offrirle.
A 14 ormai sei grande, ma ancora è presto per fare scelte importanti senza il condizionamento dei pari. Per fortuna (o grazie a Dio!) Laura ha un cugino che frequenta l’oratorio dei salesiani. “È un bel posto, ci divertiamo, ti fai tanti amici”. Anche la zia, catechista frizzante, spinge per il coinvolgimento di Laura nelle attività dell’oratorio. La giovane si lascia convincere dalle parole dei suoi cari e si butta in questa nuova avventura.
I nuovi inizi però non sono sempre tutto rose e fiori. I nostri ambienti sanno essere tanto belli e tanto attraenti per chi arriva da fuori ma anche tanto “esclusivi”, quando non escludenti. Laura non molla, non è una che si arrende facilmente. A darle forza sicuramente è stato l’intervento di un salesiano, che con cura le si è fatto vicino; più di tutto, a infonderle coraggio è stato il fatto che l’ingresso in oratorio abbia risvegliato un desiderio che custodiva già nel cuore e che aveva solo bisogno di essere attivato: il desiderio di essere utile, di dare una mano, di mettersi al servizio. Non c’è niente che dia più gioia a Laura dello stare con i bambini. La prima Estate Ragazzi poi diventa per lei l’esperienza più intensa e significativa che abbia mai fatto nella sua giovane vita. Come è possibile che tutta la stanchezza – si chiede – si azzeri di fronte all’abbraccio di un bimbo? Come è possibile che nessuno le avesse mai raccontato di questo santo straordinario, don Bosco, che aveva scommesso tutta la sua vita sui ragazzi, soprattutto quelli più in difficoltà? Visto da fuori, l’entusiasmo di Laura è quasi commovente. Per chi orbita attorno agli ambienti salesiani da tanti anni, osservare lo stupore e l’emozione di chi, approcciandosi all’oratorio per la prima volta, sente veramente di aver trovato una nuova casa, è come respirare l’aria pura e fresca di montagna; permette di ricordare che davvero la missione di don Bosco per le strade delle nostre città non è ancora esaurita ma anzi, fiorisce rigogliosa.
Laura per tanti versi è fortunata, ma come i giovani di tutti i tempi vive le difficoltà della sua età. I ragazzi sono così: schietti, diretti. La loro intrinseca spontaneità a volte li rende letali. Per Laura il confronto con il nuovo gruppo non è sempre facile. Desidera essere profondamente se stessa, e allo stesso tempo questo rischia di escluderla dal gruppo. Certo, nessuno pensa che Laura sia antipatica, che non sia una ok. Però è pur sempre una nuova, e rompere la bolla può essere difficilissimo. Nell’età delle superiori si fanno ordinariamente esperienze che creano legami fortissimi tra i ragazzi. Il fatto per Laura di non aver ancora potuto prendere parte a nessuno di questi eventi con i suoi nuovi compagni di cammino la fa sentire un po’ tagliata fuori da quell’energia potentissima che gli adolescenti generano quando sono in gruppo.
Laura non molla, non è una che si arrende facilmente. Senza saperlo, Laura inizia ad essere circondata da angeli custodi, come voleva don Bosco, animatori più grandi di lei e consacrati, i quali la accompagnano nel cammino e la aiutano, passo dopo passo, a rompere la bolla. Il suo desiderio di crescita è autentico, la sua voglia di mettersi in gioco e di guardarsi dentro con profondità fanno il resto.
Laura adesso è proprio una brava animatrice, proprio come piacerebbe a don Bosco e sulla scia di tanti che in questa “vocazione” hanno riempito di senso e bellezza la loro vita. Presente, disponibile, gioiosa, fedele. Autentica, credibile e credente.

* 26 anni, genovese, laureata in Filosofia e in Antropologia Culturale ed Etnologia. Animatrice presso l’oratorio salesiano di Genova Sampierdarena.

Dalle fatiche personali alla scelta dell’educazione: la storia di Elisa

Dalla rubrica “Ritratti di adolescenti” di Note di Pastorale Giovanile.

***

di Matteo Guernieri *

L’incontro

Tra le varie storie che si intrecciano nel cortile dell’Oratorio Sacro Cuore di Bologna, desidero raccontare quella di Elisa, una ragazza di 19 anni, residente a Castel Maggiore, nella provincia bolognese.
Il nostro primo incontro è stato in Oratorio nell’estate del 2021, al suo primo anno di animazione, mentre io esordivo come educatore. Col tempo, grazie a fraterni confronti ed esperienze condivise è nata una sincera amicizia che dura tuttora.
Elisa è una ragazza estroversa, introspettiva, testarda, responsabile, sensibile e generosa.
Ho scelto di condividere questo volto, perché la sua vita ha fatto, prima di tutto, molto bene a me.
È l’avventura di una ragazza che ha deciso per davvero di fidarsi di don Bosco, a piccoli passi, confidandosi e spendendosi nelle quotidiane responsabilità che le affidavano i salesiani e i suoi educatori. Questa fiducia le ha permesso di crescere, maturare, mettersi in gioco, riscoprirsi e conoscere i suoi talenti e i suoi desideri più profondi, tra cui quello di mettersi al servizio dei più piccoli.

La crescita

Elisa ha incontrato per la prima volta i salesiani alla scuola media Beata Vergine di San Luca. I suoi genitori reputavano la scuola salesiana più facile e quindi adatta a loro figlia. Secondo loro, infatti, “si impegnava poco”.
Di quel periodo conserva un dolce ricordo dovuto specialmente ai professori.
«Inizialmente mi sentivo spaesata, era un ambiente inclusivo ed espansivo, totalmente diverso da quello delle elementari e da quello che respiravo a casa. Gli insegnanti e i salesiani si interessavano di noi, come amici». Con tenerezza rammenta la sua maestra di matematica, dalla quale si sentiva presa a cuore, aiutata e voluta bene, nonostante non riuscisse ad ottenere un buon rendimento.
Le attività a cui ha preso parte hanno aiutato a far emergere il suo carattere estroverso e intraprendente. Divenne presto un punto di riferimento per i più piccoli. Concluse il suo ultimo giorno di scuola con un lungo pianto finale: «Mi ero trovata finalmente bene»

In cerca di autonomia

Elisa descrive i suoi genitori come figure assenti, molto impegnate e distaccate. Fin da piccola si ritrova da sola a casa per interminabili pomeriggi e sente i suoi genitori poco interessati alla sua vita e alle sue passioni. Questo la spinge a diventare presto autonoma e maturare.
Elisa percepiva una certa preferenza nei confronti di suo fratello maggiore, che rese ostile il clima a casa.
In aggiunta, avvertiva le aspettative da parte di sua mamma riguardo al suo fisico. Essere magra era per lei sinonimo di bellezza. Per la sua salute, l’ha disincentivata a proseguire tennis, nonostante Elisa ne fosse appassionata, e l’ha sollecitata a registrarsi in palestra.
Si preoccupò di metterla a dieta, portandola da una nutrizionista. Elisa acconsentì per non deluderla. Esordirono così i primi disturbi legati al cibo.
Sua mamma era convinta di sapere il suo vero bene, senza cercare un confronto sincero con sua figlia. Elisa nel corso delle superiori percepisce sempre più il desiderio di evadere da casa e ogni attività salesiana era per lei una via di fuga.

I tormenti dell’adolescenza

Il primo anno di superiori è stato molto tormentato. Si registrò all’indirizzo di “scienze umane” di una scuola pubblica nella quale è resistita solo 6 mesi. Le sue compagne di classe, infatti, la prendevano di mira perché non era come loro: non fumava, non le piaceva andare in discoteca, vestirsi firmata… Il clima di competizione ha fatto insorgere seri problemi di ansia legati allo studio e al gruppo di amici.
Desiderosa solo di scappare, i suoi genitori le fecero intraprendere l’indirizzo economico, lo stesso che aveva conseguito sua mamma, benché non fosse minimamente incline ai suoi interessi. Negli anni, con dedizione è riuscita a migliorare il suo rendimento scolastico e a “guadagnarsi” l’amicizia dei suoi nuovi compagni di classe. Difatti, non erano amicizie veritiere, ma legate all’apparenza e ai favori.
In terza superiore, le viene proposto da una sua amica d’infanzia, Ilaria, di fare l’animatrice nell’Oratorio Salesiano Sacro Cuore. Proprio in quel periodo, grazie all’esperienza dello scoutismo, Elisa stava maturando il desiderio di dedicarsi ai più piccoli.
Nei giorni di preparazione scopre a malincuore che Ilaria aveva invitato anche il suo fidanzato. Nella prima settimana, la coppia era inseparabile ed Elisa non riusciva ad avere un momento da sola con la sua amica, come sperava. Vedendola piangere e rattristata sui gradini dell’Oratorio, molti animatori le si avvicinavano per consolarla e cercavano di coinvolgerla. Rimaneva stupefatta della loro genuina e gratuita accoglienza.
Nel cortile leggeva la possibilità di coltivare amicizie autentiche, libere e liberanti. Una promessa che mancava nella sua compagnia di paese e nella sua classe.
Animata da questa speranza, dalla passione di animare i ragazzi e dal costante desiderio di scappare da casa, Elisa ha deciso di registrarsi anche alle successive settimane, al contrario dei suoi due amici. Ha fatto un salto nel vuoto, confidando nell’ambiente salesiano.
Nell’ultima settimana era diventata una persona nuova: raggiante, propositiva e socievole.
Sempre mossa dal bisogno di amicizie sane e trascinata dalle insistenze degli altri animatori, da settembre di quell’anno prese parte al gruppo formativo Triennio dell’Oratorio e alla Scuola Formazione Animatori proposta dall’Ispettoria.
Dai salesiani e dai ragazzi del gruppo sperimentò l’«essere voluta bene anche se non faceva nulla in cambio». Negli educatori che la accompagnavano, ha trovato fratelli maggiori con cui confrontarsi e dal loro servizio si sentiva profondamente ispirata.
Dall’estate del 2022, ha iniziato a sentire il cortile come la sua “vera casa”, ad assaporare la pienezza della vita: «non mi mancava niente». Con entusiasmo si propone per qualsiasi compito da svolgere, anche poco piacevole, ed è sempre in mezzo ai ragazzi. Non vuole mai andarsene dall’Oratorio. Pur di restarci, è disposta a pregare le Lodi e i Vespri coi salesiani. Questi semplici appuntamenti hanno risvegliato in lei il desiderio di raccoglimento e di conoscere la paternità di Dio.
In quell’estate nasce una fraterna amicizia con un giovane salesiano della casa. Nelle piccole responsabilità che le affida legge un’inaspettata fiducia nei suoi confronti, che la incoraggiano a credere più in se stessa. Sentitasi compresa e voluta bene, decide di raccontarsi e di confidare gli aspetti più delicati della sua vita. Ad ogni confronto, il salesiano termina riprendendo aneddoti e consigli che Don Bosco suggeriva ai suoi ragazzi. In queste brevi e concrete catechesi conosce il carisma salesiano e ne rimane affascinata.
Insoddisfatta di come spendesse il suo tempo, decide di spenderlo per coloro che ne hanno bisogno. Di conseguenza, si è impegnata insieme ad altri ragazzi dell’oratorio a dare una mano alla Caritas e al dopo scuola con ragazzi stranieri. Sono state esperienze preziose di pienezza, che l’hanno aiutata a decentrarsi dai suoi problemi. Al viaggio di maturità con i suoi compagni di classe, ha preferito la GMG a Lisbona al fine di vedere il Papa e sperimentare l’universalità della Chiesa. L’ha definita l’esperienza più bella della sua vita.
Desiderosa di «prendersi cura dei piccoli nel carisma salesiano», a settembre Elisa inizierà il corso universitario di scienze dell’educazione e svolgerà il servizio di educatrice delle medie nell’oratorio salesiano.

23 anni, originario di Mantova, studia scienze biologiche a Bologna. Ama le escursioni in montagna con i suoi due fratelli. Da tre anni educatore presso l’Oratorio Salesiano Sacro Cuore di Bologna, dove ha trovato un ambiente prezioso per esprimersi, avere delle responsabilità, prendersi cura dei più piccoli e decentrarsi dai suoi problemi. Nelle storie dei ragazzi che si sentono finalmente a casa in Oratorio sente di leggere la mano di Dio che li ha accompagnati fin lì per amarli e accompagnarli a crescere.

Abbonamenti

Anche un alieno può trovare casa

Pubblichiamo il primo articolo di una nuova rubrica di Note di Pastorale Giovanile, a cura dei giovani del MGS: “Ritratti di adolescenti”

Apriamo una nuova e speriamo gradita rubrica, diciamo “giovani al quadrato”. Nel senso di una galleria di giovani (degli ambienti salesiani) incontrati da altri giovani (MGS, insegnanti, animatori…), per mostrare proprio nel concreto vitale i dinamismi dell’incontro, della relazione, della presa in cura… in una parola dell’educazione. In effetti particolarmente significativa per il lettore può essere la testimonianza dei giovani che – giovani essi stessi – stanno in mezzo agli adolescenti e giovani, condividendo le stesse situazioni, ambiti di vita, problemi, speranze… “sogni e incubi”. Una dozzina di ritratti, tanto per cominciare, i cui tratti significativi è facile rintracciare negli adolescenti che ogni giorno incontriamo  e con cui viviamo un cammino di crescita reciproca”. 

***

Lucia Zaccaron *

Un alieno al doposcuola
Ho conosciuto Marco al doposcuola. La nostra casa salesiana di Santa Maria la Longa (UD) offre questo servizio ai ragazzini delle medie che hanno bisogno di un aiuto per impostare il loro studio pomeridiano. All’epoca Marco frequentava la seconda. Fin da quando me l’hanno presentato, ho avuto l’impressione di avere a che fare con un alieno. Lui ricorda che lo aiutavo nei compiti di francese, ma io ho un solo flash di quell’anno di doposcuola: Marco che durante la ricreazione schiaccia l’interruttore della luce e mi chiede perché si accende. Era un modo che nessuno aveva ancora mai sperimentato per farmi saltare i nervi o era seriamente interessato? Non lo so ancora, ma lui sembrava coinvolto nel suo armeggiare con l’interruttore e ben poco propenso a chiacchierare e giocare con gli altri ragazzini. Quando gli parlavo o dovevo fargli fare qualcosa, avevo l’impressione che il mio messaggio percorresse anni luce prima di raggiungerlo e che non sempre arrivasse a destinazione. Era così immerso nel suo mondo che la sua assenza l’anno dopo non mi aveva stupito: forse era tornato sul pianeta da cui era venuto. In quell’anno facevo servizio civile, i ragazzi del doposcuola mi erano entrati nel cuore e con le loro difficoltà e risorse nascoste erano riusciti a farmi intravvedere quale sarebbe stata la mia strada, ma Marco era troppo distante per creare un legame con lui e allo stesso tempo troppo diverso da tutti per dimenticarmene. Mi era rimasto solo il rimpianto di non aver fatto abbastanza.

Alla ricerca di un riferimento
Un anno dopo, è stato attraverso un finestrino bagnato che ho rivisto Marco. Una domenica pomeriggio di pioggia e la confusione delle macchine sono l’inizio ordinario di un camposcuola speciale, dedicato ai ragazzi di terza media. Molto più tardi ho scoperto che Marco non voleva proprio partecipare a quel campo: lo aveva iscritto suo padre a tradimento e lui non gli aveva parlato per tutto il viaggio. Dopo l’estate ragazzi con i salesiani, ora lo aspettavano camminate faticose, coetanei che forse lo avrebbero preso in giro, proposte assurde come la Messa quotidiana. L’unica certezza: non doveva fare la Comunione. Questo glielo aveva raccomandato sua mamma perché non era battezzato. Per Marco è stato un campo un po’ difficile: i suoi peggiori pronostici si sono avverati.
In tutto questo io dov’ero? A quanto pare lì, ma non mi sono accorta di niente. Ero troppo immersa nei miei problemi, impigliata in una relazione preziosa che si era rotta e incapace di vedere oltre le mie difficoltà. Stare con Marco era una sicurezza: lo conoscevo già e lui non rifiutava la mia compagnia, ma non posso dire che l’avevo realmente a cuore. Lui invece ha preso sul serio quel tempo passato insieme, così, quando abbiamo fatto a tutti i ragazzi la proposta di scegliere un animatore di riferimento, lui ha chiesto a me. Come potesse trovare in me un riferimento non lo capivo, di sicuro dovevo iniziare ad averlo a cuore davvero.

In cammino
Così Marco ha iniziato le superiori. Si era iscritto a meccanica presso il CFP dei salesiani a Udine, ma è stato bocciato il primo anno. Quando mi ha spiegato le sue difficoltà nelle materie di indirizzo, ho iniziato finalmente a capire qualcosa di lui. Un suo professore gli aveva fatto notare che lui vedeva le cose diversamente dagli altri, che se gli si chiedeva di disegnare una bicicletta la sua rappresentazione aveva un punto di vista diverso da quello di chiunque altro. Da quel momento ho cercato di mettermi nei suoi panni, di guardare dalla sua prospettiva, anche se mi è sempre risultato difficile. Poi lui ha cambiato indirizzo (sì, elettricista! Ci sarà pure un motivo se giocava con gli interruttori della luce!) ma il suo percorso scolastico è sempre stato un po’ faticoso, perché anche i tirocini che dovevano motivarlo in realtà lo frustravano, inserendolo in ambienti poco accoglienti o in cui non riusciva a trovare il senso della fatica che gli era richiesta.
Nel frattempo Marco ha iniziato a confrontarsi con l’animazione perché voleva seguire le orme di un amico che era diventato per lui un modello, ma anche questo cammino è stato tortuoso. Sebbene avesse trovato un ambiente familiare e accogliente, non si sentiva mai abbastanza autorevole con i ragazzi o abbastanza brillante. Questo senso di inadeguatezza lo avrebbe fatto desistere, se non avesse trovato un compagno di classe e di animazione capace di incoraggiarlo.

L’alieno trova casa
Quello che forse però faceva sentire Marco diverso anche nel gruppo di animatori era la scelta dei genitori di non battezzarlo. Così, quando un salesiano gli ha proposto di iniziare la catechesi per ricevere il battesimo, lui ha accettato con entusiasmo. L’ancora era il paradiso: magari non capiva niente della Messa, non conosceva il Vangelo, però credeva nel paradiso. (Ma questo non mi stupiva affatto… I ragazzi credono nel paradiso: quando a scuola spiego la Divina Commedia e chiedo ai miei alunni mezzo atei cosa immaginano che ci sia dopo la morte… tutti immaginano un aldilà: siamo fatti per credere in qualcosa che ci supera!) Ogni mercoledì si fermava dai salesiani dopo la scuola, seguiva il catechismo con un salesiano laico e condivideva il resto del pomeriggio con due amici dell’anima, tra servizio di assistenza e relax.
Nel frattempo io mi ero un po’ allontanata dal Live (il cammino del nostro gruppo animatori) e seguivo i passi di Marco più da lontano ma sempre con stupore. Vederlo crescere e fare delle scelte mi meravigliava. Quando lo aiutavo con i compiti di francese non avrei scommesso un centesimo su di lui, invece stava diventando un ragazzo buono, capace di prendersi cura dei più piccoli, di farsi voler bene da tutti e di coinvolgere amici nell’animazione, desideroso di trovare la sua strada, che si lasciava interrogare da qualcosa di più grande.
Fargli da madrina il giorno del suo battesimo è stato uno dei momenti più belli della mia vita. Quel Dio che sceglie ciò che agli occhi del mondo è piccolo e debole aveva fatto sentire il suo amore a Marco anche attraverso di noi. La festa è stata semplice, con un gruppo di amici nella casa salesiana che era per Marco parrocchia, scuola e cortile. Quella sera, quando ci ha dato la buonanotte, ci ha confidato che si sentiva a casa e che aveva trovato in noi la sua seconda famiglia.

To be continued…
Marco ora ha terminato la scuola, si è messo gioco in un’esperienza di servizio civile e di comunità e sta cercando la sua strada. Ha ben chiaro quali sono le coordinate della sua vita: la consapevolezza di come l’esperienza del Live abbia cambiato lui e di riflesso la sua famiglia, l’importanza di trovare del tempo per spendersi gratuitamente per gli altri, il desiderio di proseguire nella formazione, la capacità di trovare bellezza nei gesti più semplici. Per me è ancora un po’ un alieno, per questo lo ascolto volentieri e cerco di vedere le cose anche dalla sua prospettiva, perché sento che mi arricchisce. Non ho idea di cosa diventerà, so solo che finora ha percorso una strada difficile facendo scelte coraggiose e controcorrente, con fermezza e disarmante semplicità. Forse non se n’è ancora accorto, ma con il suo fiuto per ciò che è buono riesce sempre a trovare una casa e a far sentire a casa anche chi gli sta intorno.

Friulana, 34 anni, ha sempre fatto nella vita quello che non voleva: prima l’animatrice, poi l’insegnante di sostegno e ora la prof. di lettere. Dai ragazzi, soprattutto dai più difficili, ha imparato chi è Dio. La sostengono dei buoni amici che fanno da “angeli custodi” e una famiglia che le ha sempre insegnato ad affrontare le tempeste.

 

Abbonamenti NPG