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“Passeggiate nel mondo contemporaneo”: la nuova rubrica di NPG

È una rubrica, questa, che avrà il suo sviluppo parte nel sito e parte nel cartaceo.
E l’idea di essa è balzata quasi spontanea alla lettura del pregevole numero 1/2018 di ITINERARI (ed esperienze di cristiani nel mondo del lavoro), la rivista della GiOC, edita dalle Edizioni Solidarietà a cura del Centro Studi Bartolo Longo di Torino.
Il titolo era “Sei passeggiate nel bosco contemporaneo” (con immediato richiamo a Umberto Eco), a cura di Oreste Aime, che aveva fatto di un “problema editoriale” (il mancato arrivo di alcuni articoli) una pregevole opportunità (come il panettone da una dimenticanza del fornaio!) per offrire al lettore – utilizzando diversi fili narrativi – un percorso di comprensione nel mondo contemporaneo.
Filosofia, sociologia, antropologia, informatica, scienza, teologia, riflessione sapienziale… tutti strumenti utili per cogliere uno o vari aspetti del mondo che viviamo, di una contemporaneità che perlopiù ci sfugge, essendo il nostro occhio (della mente) più abituato alle distanze (del passato e magari anche del futuro).
I libri che lui presentò sono davvero significativi in questo percorso di comprensione.
Qui sotto, come inizio della rubrica, riportiamo i vari capitoli di quel numero, per avviare il lettore.
E per la gentilezza del permesso di pubblicazione ringraziamo sentitamente l’Autore e l’Editore sopra citati.
Ma poi intendiamo procedere noi di NPG per offrire nuovi strumenti concettuali, reti interpretative.
Abbiamo chiesto ai membri della Redazione di dirci sei libri culturalmente significativi, secondo loro, in questa direzione, e utili anche per gli operatori pastorali perché possano fare una lettura “filtrata” dalle loro esigenze e dai loro bisogni (non è a questo anche che aiutano i libri validi?).
Abbiamo avuto molte (diversificatissime) risposte… e adesso a mano a mano ognuno di loro presenterà “il primo della sua lista”.
È un invito ad addentrarci nella vita del mondo e della sua comprensione, non solo per “contemplare” il mondo ma per (pastoralmente) “trasformarlo”. Parola grossa… ma qualche passetto non è proprio possibile farlo? Altrimenti cosa diciamo ai giovani, che va sempre tutto bene e che il regno di Dio è soltanto qualcosa di ultraescatologico?
Il primo passo sarà ovviamente la pubblicazione sulla rivista, poi la “messa on line” qui.
PS. Qui la rivista ITINERARI on line, con possibilità di accesso – in modo aperto e gratuito – a tutti i numeri del 2019.

 

 

 

José Sánchez del Río, un ragazzo martire di 90 anni fa

Pascual Chávez Villanueva

Quando pensiamo ai santi martiri, il nostro pensiero corre solitamente alle persecuzioni dei cristiani da parte degli imperatori romani, ma i santi martiri ci sono sempre stati e ci sono tuttora. E anche fra i giovani, anzi fra i giovanissimi, come per esempio il quattordicenne messicano José Sánchez del Río. Dio chiama alla santità a tutte le età, ieri come oggi, in tutte le parti del mondo.

La persecuzione

Dal 1926 al 1929 in Messico scoppiò la cosiddetta “persecuzione religiosa”. Il presidente della Repubblica, Plutarco Elías Calles, volle applicare gli articoli anticlericali della Costituzione del 1917, che si riferivano in particolare al controllo sui sacerdoti e chiese cattolici. L’episcopato messicano rispose ordinando che tutte le chiese fossero chiuse e pochi giorni prima della loro chiusura milioni di persone ne approfittarono per confessarsi, comunicarsi, battezzare i bambini, celebrare i matrimoni. Alcuni messicani più impegnati socialmente organizzarono boicottaggi e altri mezzi pacifici per costringere il governo a ritirare la legge “Calles”. I più determinati invece si organizzarono in forma di guerriglie: vennero chiamati ‘cristeros’ perché combattevano per la causa di Cristo. Benché la maggior parte dei vescovi e dei sacerdoti non approvasse i loro metodi violenti, molti vescovi furono esiliati e molti preti e laici innocenti subirono il martirio, accusati ingiustamente di aver sostenuto i “cristeros”.

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Vi state interrogando su quali priorità darvi?

Michele Falabretti

Non poche volte capita che siamo sotto pressione da parte della comunità per l’urgenza di realizzare qualche aspetto del progetto durante il processo di progettazione. Questo rischia di impedire di valutare le priorità nel percorso di progettazione che stiamo compiendo e la pressione del contingente non permette di vivere una riflessione come gruppo di lavoro, attorno ai vari elementi che potrebbero arrivare dalla condivisione attenta e approfondita con il contributo di tutti i membri. Si rischia di perdere anche di vista gli orizzonti più ampi della Pastorale giovanile e della Chiesa stessa. Viene proposta di seguito una simulazione su qualche questione per sperimentare come sia possibile raggiungere una soluzione finale il più possibile condivisa sulle priorità da realizzare per la buona riuscita del progetto.

UNA TECNICA ATTIVA: DECIDERE INSIEME

In un gruppo di progettazione è importante condividere anche le dinamiche di elaborazione e decisionali. Non basta conoscere e analizzare il problema, bisogna anche agire in sinergia affinché il processo di progettazione sia il più coerente ed efficace possibile, mettendo a frutto le capacità di ognuno.
In modo esemplificativo provate ad analizzare una questione molto concreta che permette, però, di intuire i diversi livelli di analisi di un problema e delle scelte che chiede di compiere. C’è uno spazio inutilizzato che con una minima sistemazione potrebbe diventare fruibile. La questione è a chi affidarlo valutando anche la questione economica, nonché la manutenzione ordinaria e il mobilio/ingombri necessari. Ci sono pro e contro. Essendo una simulazione le colone vanno riempite con considerazioni verosimili. Ciò che conta è il confronto di gruppo e la dinamica che porterà a una soluzione finale: a chi affidare lo spazio?

 

 

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Introduzione al dossier “Onora l’adulto che è in te”

Armando Matteo

Il tema al centro di questo Dossier di NPG è quello dell’adulto. L’orizzonte specifico, a partire dal quale un tale argomento verrà trattato, sarà quello di una sempre più diffusa e consistente “crisi” che investe sia coloro che sono adulti sia il concetto stesso di “adultità”. Si tratta di una crisi dalle vaste e molto gravi conseguenze: quando, infatti, gli adulti non fanno gli adulti e quando la categoria dell’adultità non costituisce più uno dei riferimenti fondamentali dell’esistenza umana, sono proprie le nuove generazioni quelle destinate a dover pagare un prezzo molto alto.
D’altro canto, non è per nulla difficile intuire quanto sia decisivo il ruolo delle generazioni adulte per la vita buona di quelle giovani. Si pensi semplicemente alla questione educativa o ancora a quella della trasmissione della fede. Senza adulti, infatti, cioè senza il contatto con uomini e donne adulti (e ovviamente tali non solo in senso cronologico, come si avrà modo di verificare di seguito), che si offrano quale meta del cammino proprio dell’essere di ogni giovane, non vengono al mondo altri adulti (e ovviamente anche in questo caso non solo in senso cronologico). Qualcosa di simile vale anche per la questione della maturazione della fede dei bambini e dei ragazzi: la testimonianza di fede, da parte dei propri genitori, e dunque di adulti, costituisce sempre l’innesco fondamentale del passaggio da un credere da bambini ad un credere da adulti.
Né più in generale si può dimenticare quanto sia preziosa l’opera delle generazioni adulte nel promuovere il passaggio di testimone, nella regia delle sorti del mondo, a quelle più giovani e dunque l’impegno concreto delle prime per una società capace di garantire le condizioni economiche per un’adeguata formazione delle seconde, per un loro inserimento nel mondo lavorativo precoce e dignitoso e, non da ultimo, per la realizzazione dei loro progetti di coppia e di famiglia. E qui accenniamo solo velocemente a tutto il tema della responsabilità adulta per quel che riguarda l’ecologia e la manutenzione politica di una convivenza pacifica di tutti gli abitanti della terra.
Si potrebbe, infine, parlare di una certa centralità dell’adulto anche per quel che riguarda la vita buona delle comunità cristiane e dunque delle parrocchie, dei movimenti, delle associazioni e delle tante realtà religiose e monastiche che costituiscono l’universo cattolico. Ebbene, da tempo assistiamo all’accrescimento della popolazione anziana e molto anziana in tutte queste realtà, che molto difficilmente sarà in grado di trascinare, nell’ambito di coloro che le tengono in vita e ne portano avanti le attività, i rappresentanti delle nuove generazioni. Qualsiasi realtà eccessivamente disertata dagli adulti non risulterà mai particolarmente appetibile a coloro che si preparano a diventare adulti a propria volta, ovvero ai giovani.
Per questo, allora, una rivista dedicata alla pastorale giovanile non può non interessarsi di ciò che capita all’adulto. Vi è, infatti, una regola base della vita umana che queste pagine spesso lasceranno trapelare: solo quando gli adulti fanno gli adulti, i giovani possono fare i giovani.

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Una pastorale giovanile adulta

Il nuovo numero di Note di Pastorale Giovanile, quello di novembre, è uscito. Di seguito pubblichiamo l’articolo di don Rossano Sala che introduce il Dossier sulla “questione dell’adulto”.

Non trovo altro da aggiungere e nemmeno il bisogno di una qualche introduzione specifica al qualificato Dossier sulla “questione dell’adulto”. Conosco e apprezzo don Armando Matteo da molto tempo e condividiamo molte cose: abbiamo la stessa età anagrafica, abbiamo alle spalle un percorso di preparazione teologica assai somigliante, molti riferimenti teologici ci sono comuni. Soprattutto condividiamo molte diagnosi culturali sul nostro tempo e sulla nostra amata Chiesa, che è chiamata a vivere una riforma che davvero sia incisiva e arrivi a toccare non solo la mente e il cuore, ma soprattutto le relazioni, le pratiche e le strutture. Oramai si è detto molto e in teoria abbiamo tante riflessioni di tanti ottimi pensatori sul cammino da fare, oltre che il supporto di Papa Francesco, che dall’inizio del suo pontificato spinge tutto e tutti ad assumere una rinnovata mentalità missionaria.
Ci manca forse ancora il “coraggio del governo”, ovvero quella capacità di andare al concreto per metterci davvero sulla via del rinnovamento attraverso scelte profetiche che sappiano arrivare ai cammini ordinari del popolo di Dio. Non è facile, certamente, ma è doveroso! Non sarà una passeggiata, ma non si può eludere la parte delle scelte! Se non si arriverà a questo, saremo sempre più insignificanti, perché resteremo sul mero piano dell’analisi o della teoria. Mentre abbiamo imparato da tutto il processo sinodale con e per i giovani che non basta “riconoscere”, e nemmeno è sufficiente “interpretare”, ma bisogna “scegliere”!

 

 

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Cattedrali gotiche d’Italia: la nuova rubrica su NPG

Su Note di Pastorale Giovanile è iniziata una nuova rubrica di arte e religione, a firma di Maria Rattà, sulle cattedrali gotiche d’Italia. I testi saranno disponibili sulla newsletter e sul sito.

«Le cattedrali gotiche mostravano una sintesi di fede e di arte armoniosamente espressa attraverso il linguaggio universale e affascinante della bellezza, che ancor oggi suscita stupore […]. Un altro pregio delle cattedrali gotiche è costituito dal fatto che alla loro costruzione e alla loro decorazione, in modo differente ma corale, partecipava tutta la comunità cristiana e civile; partecipavano gli umili e i potenti, gli analfabeti e i dotti, perché in questa casa comune tutti i credenti erano istruiti nella fede. La scultura gotica ha fatto delle cattedrali una “Bibbia di pietra”, rappresentando gli episodi del Vangelo e illustrando i contenuti dell’anno liturgico, dalla Natività alla Glorificazione del Signore».
Così parlava Benedetto XVI nell’Udienza generale del 18 novembre 2019 tracciando a grandi linee la preziosità dell’arte gotica, capace di innalzare maestose cattedrali, da alcuni definite come “merletti in pietra” e anche “grattacieli di Dio”. Dietro l’arte gotica si cela un mondo nuovo che nel corso del Medioevo si sviluppa; un mondo fatto di concezioni spirituali e filosofiche, di commerci e di politica, di abilità tecniche e di arte. Un mondo in cui luce e bellezza si materializzano, come per incanto, proprio in queste slanciate e delicate cattedrali, parlando di una realtà che non è semplicemente quella che si vede coi propri occhi, ma sopratutto quella che – attraverso di essa – si può intuire, scoprire, conoscere.
Invitiamo allora il lettore a viaggiare con noi, lasciandosi “prendere per mano” da questi giganti di pietra e vetro, alla ricerca del mistero di Dio che i maestri gotici hanno cercato di tradurre in capolavori che sembrano sfidare le leggi fisiche della statica per innalzarsi arditi verso il cielo. È questo un altro itinerario da percorrere in quella “via della bellezza” che sembra via privilegiata di evangelizzazione oggi, soprattutto per i giovani…  ma anche un altro modo di scoprire la “tradizione” della nostra cultura e della storia della fede e della società.
La pubblicazione di tali contributi avverrà quasi mensilmente nelle Newsletter di NPG e qui nel sito, in un’apposita rubrica.

 

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Europa e ambiente

di Renato Cursi

Il 24 maggio scorso, nel giorno in cui si celebra la memoria liturgica di Maria Aiuto dei Cristiani, la pastorale giovanile e tutta la Chiesa italiana sono potute tornare a celebrare l’Eucaristia domenicale con il popolo, dopo oltre due mesi di sospensione per prevenire il contagio pandemico. In tale data ricorreva, inoltre, il quinto anniversario della prima Lettera Enciclica di Papa Francesco: Laudato si’, sulla cura della casa comune. Questa coincidenza provvidenziale ha probabilmente aiutato molte persone a fare sintesi tra il desiderio di un nuovo inizio, pur tra nuove e non semplici sfide, e il richiamo alla cura del creato. Questo richiamo è risuonato in questi mesi tanto nelle iniziative intraprese a più livelli per celebrare il quinto anniversario di quest’Enciclica, quanto nelle immagini che molti di noi hanno ammirato a distanza nei giorni dell’isolamento forzato: immagini di un ambiente e di una natura che tornavano a respirare dopo anni di sofferenza sotto i colpi della progressiva antropizzazione del pianeta. Acque di nuovo limpide, animali a loro agio negli spazi urbani, immagini satellitari ripulite dalle nuvole dell’inquinamento atmosferico.

A sostegno di questo appello alle nostre coscienze, sono poi stati pubblicati diversi studi scientifici internazionali che hanno certificato la correlazione tra inquinamento dell’aria e diffusione del contagio del coronavirus. Tutto ciò faceva sperare che avremmo imparato la lezione. “Andrà tutto bene”, “questa crisi è un’opportunità”, “ne usciremo migliori”, ci ripetevamo nelle settimane di isolamento domestico. Eppure appena si è potuti ripartire, in Italia abbiamo preferito, per fare un esempio tra i tanti possibili, la produzione all’educazione. Molte fabbriche sono tornate a produrre senza tradurre questo tempo in un’opportunità di conversione ecologica, mentre milioni di studenti, docenti ed educatori sono rimasti a casa senza indicazioni chiare per una ripartenza. Diversi fiumi sono tornati ad essere inquinati, code chilometriche di macchine si sono riproposte in luoghi di consumo non sostenibile e alcune altre brutte abitudini sono riemerse.

Guardando oltre queste prime reazioni, tuttavia, possiamo riconoscere di avere imparato qualcosa. Volenti o nolenti, abbiamo constatato di essere impreparati, in Italia come altrove, a sfide globali come questa. Abbiamo appurato che la globalizzazione comporta anche la condivisione mondiale dei rischi di uno sviluppo incurante di quelli che etichetta come “effetti collaterali”. Una volta di più, l’Italia e gli altri Stati Membri dell’Unione Europea hanno risposto inizialmente in ordine sparso, mostrando la debolezza e le contraddizioni di un’Unione fondata quasi unicamente sui valori del mercato. Non paghi, quando hanno compreso di dover rispondere insieme, è ancora all’economia e alla finanza che questi Stati hanno voluto affidare la cosiddetta “ripresa” (“Recovery”), concetto peraltro che guarda ad un ritorno al passato piuttosto che “ricostruire” o “ripensare” il futuro.

 

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Sentite il bisogno di un confronto iniziale che dia voce a tutti?

di don Michele Falabretti

In una Progettazione Pastorale che deve essere espressione di un cammino di Chiesa Sinodale, è importante che i membri del gruppo si aprano ad un atteggiamento di conversione e di ascolto reciproco senza paura di perdere la propria identità, maturando la consapevolezza che tutti sono stati chiamati ad apportare tutto il bene possibile per esprimere l’annuncio e la testimonianza al Vangelo.

UNA TECNICA ATTIVA: SCIOGLIERE I NODI
Un mandato di progettazione pastorale potrebbe sembrare la richiesta di risolvere dei problemi. In realtà, per quanto “i problemi” presunti o reali siano da affrontare, la progettazione è prima di tutto invitata a comprendere, nell’ascolto e nella rielaborazione, per poi capire se e in che modo un problema può essere risolto.
L’attività corporea proposta consiste nello sciogliere il nodo composto dagli stessi componenti del gruppo. Ci si mette in cerchio, spalla a spalla, quindi si allungano le braccia verso il centro del cerchio. Si prendono a caso due mani, evitando che siano della stessa persona. Ecco il nodo da sciogliere tenendo le mani ben salde tra di loro (non si può tagliare il filo!). Il gruppo, spontaneamente, è invitato a trovare la strategia migliore per dipanare il nodo. Si può decidere di lavorare fino a sciogliere completamente il nodo, oppure darsi un lasso di tempo in cui provarci. Al termine dell’attività ci si confronta sulle dinamiche che si sono innescate: chi ha provato a risolvere da solo il “proprio nodo”, chi ha preso la guida delle operazioni, chi ha aiutato, chi si è lamentato…
L’obiettivo è quello di stimolare il gruppo a mantenere il contatto con gli altri, tenendo conto della posizione di ciascuno senza dimenticare la finalità comune da conseguire.

 

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Ovunque nella vita. Testimonianze di giovani

Sarah Bortolato

«Testimoniare il Vangelo ovunque nella propria vita» (ChV 175)

Abbiamo chiesto ad alcuni giovani di consegnarci qualche vissuto o visione di “Chiesa in uscita” a partire dalla rilettura della loro esperienza di vita. Sono emerse prospettive interessanti, parole sorgive che indicano aperture convergenti e rinnovate prospettive… espressione di un sentire che dall’ascoltarsi dentro punta ad un orizzonte ampio come l’ecumene. Desideriamo lasciare spazio alla loro voce per coglierne le suggestioni, consapevoli che il “prossimo passo da compiere”, frutto del discernimento in comune, nasce sempre da sguardi che lo Spirito intreccia.
La nota più ricorrente che i giovani, esprimendosi sulla Chiesa, ci consegnano è quello di una decisiva e concreta apertura al mondo. Una chiesa che riduce le proprie zone comfort e si spinge ad abitare altri luoghi dell’interagire umano, fiduciosa che anche dalle eventuali ferite dell’incontro continua a scaturire un’umanità rinnovata.

A tal proposito Rossella P., giovane laureata in economia, afferma: «Mi piace molto l’idea dello stare nel mondo senza essere del mondo. Mi spiego: pensando ad un’immagine di chiesa, mi viene subito in mente o quella inquadrata nelle realtà “consacrate” (chiese, oratori, scuole cattoliche, diocesi, ecc.) o quella totalmente dedicata al Terzo Settore (tutte le realtà “no profit” e le varie iniziative sociali rivolte ai poveri materiali). Sento che manca una presenza di rilievo nella porzione di mondo “normale”, fatta dai “poveri del terzo millennio” – come li chiamo io – che poi sono i ricchi materiali, ma poveri di spirito. Non quelli delle beatitudini, ma coloro che si ritrovano poveri interiormente perché hanno perso la profondità e la gioia. La concretezza della chiesa che desidero passa proprio dallo stare nel loro mondo: quello delle aziende, del commercio, dell’industria, del digitale, delle nuove frontiere di sviluppo…
Se penso alla realtà in cui mi trovo a vivere e lavorare, la città e l’università, attorno a me circolano potenti slogan: “non ci fermiamo”, “siamo l’eccellenza”, “siamo competitivi”, “siamo il traino del paese”. Valori sicuramente buoni, che tuttavia rischiano di essere enfatizzati fino al dis-umano. Mi piacerebbe una chiesa che provocasse maggiormente queste realtà, non per svilirle, ma per renderle più umane e vere. Farle “morire” nella loro superbia perché rinascano nella loro autenticità».

 

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La profezia dei giovani. Così la Chiesa riscopre la sua vocazione

Da NPG settembre/ottobre 2020

di Michele Gianola

Nel tempo dell’epidemia di COVID-19 tutti siamo stati costretti a confrontarci più o meno duramente con la realtà, tutti «ci siamo resi conto di trovarci tutti sulla stessa barca, tutti fragili e disorientati, ma allo stesso tempo importanti e necessari, tutti chiamati a remare insieme, tutti bisognosi di confortarci a vicenda» (FRANCESCO, Momento straordinario di preghiera in tempo di epidemia, 27 marzo 2020) e tutti abbiamo vissuto lo spaesamento, la paura, il dolore e la speranza.
Laddove è stata sperimentata, questa immersione nella comune umanità ha offerto la possibilità di quella rinnovata postura ecclesiologica e pastorale sancita dal Concilio Ecumenico Vaticano II per il quale «la comunità dei cristiani si sente realmente e intimamente solidale con il genere umano e la sua storia» (Gaudium et spes, 1); nella lingua originale del testo, il sapore di questa solidarietà suona con il termine ‘coniugata’, il gusto sponsale del divenire una carne sola.

L’opera di Dio al modo di Dio

Intuisco la fecondità di questa prospettiva nella sua dirompente esigenza di conversione. Essa costringe, infatti, i credenti a non sentirsi ‘fuori’ o ‘di fronte’ al mondo, alla storia, alla società, ma a riconoscersi – umilmente – ‘dentro’. In fondo, è il medesimo sguardo a cui lo stesso papa Francesco ha invitato l’assemblea radunata al Circo Massimo nell’estate di un paio d’anni fa quando ha raccontato questo semplice aneddoto: «Una volta, un sacerdote mi ha fatto una domanda: “Mi dica, qual è il contrario di ‘io’?”. E io, ingenuo, sono scivolato nel tranello e ho detto: “Il contrario di ‘io’ è ‘tu’” – “No, Padre: questo è il seme della guerra. Il contrario di ‘io’ è ‘noi’”. Se io dico: il contrario sei tu, faccio la guerra; se io dico che il contrario dell’egoismo è ‘noi’, faccio la pace, faccio la comunità, porto avanti i sogni dell’amicizia, della pace. Pensate: i veri sogni sono i sogni del ‘noi’. I sogni grandi includono, coinvolgono, sono estroversi, condividono, generano nuova vita. E i sogni grandi, per restare tali, hanno bisogno di una sorgente inesauribile di speranza, di un Infinito che soffia dentro e li dilata» (FRANCESCO, Veglia di preghiera con i giovani italiani, 11 agosto 2018).

 

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