Dall’ultimo numero di Note di Pastorale Giovanile, pubblichiamo una raccolta di testimonianze delle fatiche e delle gioie dei giovani a cura di Elena Marcandella.
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“Si inizia per piacere, si continua per amore”
Serena Dal Pos
Questa frase mi ha guidata quando ancora la strada non mi era chiara. Negli anni di animazione all’oratorio mi veniva spontaneo avvicinare in modo particolare i ragazzi più poveri, in tutte le sfaccettature della povertà. Mi dicevano che avevo una propensione speciale per ‘i casi difficili’ ma non lo capivo bene, perché mi veniva spontaneo, e non mi costava affatto fatica, anzi mi faceva piacere.
Così, finito il liceo, ho intrapreso gli studi universitari per diventare assistente sociale. Una decisione presa probabilmente con un pizzico di ingenuità, pensando di poter salvare il mondo, almeno quello più povero.
Ora lavoro presso un piccolo comune della provincia di Treviso. Essendo l’unica assistente sociale mi occupo di tutte le aree: minori, famiglie, anziani, stranieri, disabilità. Le povertà con cui mi scontro quotidianamente sono svariate. L’entusiasmo iniziale è ben presto svanito lasciando spazio a paure, incertezze, delusioni e fortunatamente da subito ho percepito un forte senso del mio limite. Ho capito che la professionalità acquisita negli studi e nei tirocini formativi e il mio desiderio (seppur buono) di voler essere d’aiuto, non bastavano ma era necessario andare oltre. Oggi mi è chiaro che non è possibile tenere separati il lavoro dal cammino cristiano che, seppur con le fragilità che vivo, mi permette di essere una professionista che – oltre a guardare il bisogno per cui la persona è in carico ai servizi sociali – tenta anche di avere uno sguardo “diverso” sul prossimo che mi ritrovo davanti. Qualche volta mi chiedo: come le guarderebbe Dio queste persone? Sono convinta che vivere cristianamente il proprio lavoro non significhi essere professionalmente più bravi di altri, ma avere appunto questo sguardo “diverso”, che guarda la persone nella loro interezza, che non si accontenta di offrire “solo” una risposta immediata ed efficace al bisogno espresso (che molte volte non è altro che la punta dell’iceberg), ma che ha a cuore la “salvezza” delle persone.
Penso alla storia di Paola (nome di fantasia) che un giorno si è presentata chiedendo informazioni per poter interrompere la gravidanza. In quel momento, se mi fossi basata solo ed esclusivamente sulla sua domanda, le avrei consegnato un depliant con le indicazioni che cercava. Ma la vita ha un valore inestimabile e non avrei mai potuto lasciarla uscire dall’ufficio solo con un depliant e le sue angosce. Da lì è nato un veloce percorso (veloce perché ci sono dei tempi precisi per poter scegliere di interrompere la gravidanza) di conoscenza, fiducia, dialogo, di incontri personali e telefonate. Paola aveva paura, aveva dentro di sé il terrore di non riuscire a dare al suo bambino ciò di cui aveva bisogno perché sia lei che il marito erano senza lavoro. Si vergognava a condividere la reale motivazione per la quale voleva abortire, il suo bisogno quindi non era l’interruzione di gravidanza ma trovare qualcuno che le dicesse che non era sola, di aver fiducia e che il loro bambino era (è!) una ricchezza superiore a qualsiasi conto bancario.
Nel mio lavoro c’è il rischio di diventare dei burocrati, di starsene dietro una scrivania compilando carte. Purtroppo servono anche quelle, e si può fare tanto da dietro una scrivania, ma si può fare ed essere molto di più in trincea, in prima linea. Lì sul fronte delle anime in tempesta, nei tumulti di cuori soli, sulle creste della sofferenza. Ed è lì che io voglio stare, è lì che sento di poter dare un po’ di me assieme al mio bagaglio di vita. Il mio cammino cristiano, la certezza dell’Amore del Signore che ci sostiene, mi aiuta anche a rischiare, a non rimanere riparata nel bivacco sicuro della mia postazione d’ufficio, distante dal cuore delle persone. Nel mio piccolo e con tutta l’umiltà di cui c’è bisogno.
Molte volte chiedo al Signore che ci sia Lui dove io, con la mia professionalità e con i miei limiti, non riesco ad arrivare; ciò non mi fa sentire “perdente” ma in cordata con Lui, consapevole del fatto che da sola non raggiungerei nessuna meta. In fondo si rimane in piedi grazie ad affetti veri e profondi, grazie a relazioni che si basano sulla Verità e che portano in sé l’intento reale della salvezza, e non perché si è forti. Le mie battaglie più grandi le vivo quando intuisco che il bene “vero” delle persone viene messo in secondo piano e viene data priorità a scelte più vantaggiose, quando la persona diventa un mezzo e non il fine. In quei momenti, più che mai, devo trovare la forza (e anche il coraggio) di espormi, costi quel che costi, cosciente del fatto che non vi è nulla di più importante e prezioso rispetto alla vita di una persona e alla sua dignità.