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Vita comune come esperienza evangelica

 

Marco Fusi [1]

Da diversi anni a questa parte la vivacità pastorale di sacerdoti, religiosi/e ed educatori sta generando una esperienza di annuncio e insieme di consolidamento della fede in diverse parrocchie e in varie realtà ecclesiali. La vita comune si diffonde in modo particolare nelle Diocesi lombarde quale occasione speciale di fraternità tra adolescenti, 18enni e giovani. Alcuni oratori assumono sempre più il volto di una casa con stanze, cucina, sale da pranzo e per incontri; diversi luoghi della comunità vengono provvidenzialmente ripensati in chiave giovanile e fraterna, assumono una identità e un nome nuovo come ad esempio ‘Nazareth’, ‘Betel’, ‘Ermon’, ‘Betania’, per esprimere il desiderio di congiungere in modo armonico Parola e quotidianità, fede e vita, Dio e amicizia.
Si tratta di un sentiero promettente, un semplice e germinale segno dei tempi che domanda alla Chiesa di non abbandonare la sua anima domestica, anzi di svoltare sempre più verso la sua essenziale natura di comunità dei credenti chiamati da Gesù a stare insieme nella diversità.
La Christus vivit, esortazione post-sinodale consegnataci da papa Francesco, ci esorta a dirigerci con determinazione in questa direzione che i giovani stessi con i loro accompagnatori ci stanno suggerendo:
“Fare “casa” in definitiva «è fare famiglia; è imparare a sentirsi uniti agli altri al di là di vincoli utilitaristici o funzionali, uniti in modo da sentire la vita un po’ più umana. Creare casa è permettere che la profezia prenda corpo e renda le nostre ore e i nostri giorni meno inospitali, meno indifferenti e anonimi. È creare legami che si costruiscono con gesti semplici, quotidiani e che tutti possiamo compiere. Una casa, lo sappiamo tutti molto bene, ha bisogno della collaborazione di tutti. Nessuno può essere indifferente o estraneo, perché ognuno è una pietra necessaria alla sua costruzione» […]”

[1] Ordinato sacerdote nel 2004, dopo aver svolto il suo ministero come vicario parrocchiale negli oratori di Rho (MI) e Vimercate (MB), dal 2019 è responsabile del Servizio per i Giovani e l’Università dell’Arcidiocesi di Milano.

 

L’odore dei giovani. Spirito di famiglia e maturazione vocazionale

Rossano Sala

Vivere in mezzo alla gente

Sono andato a rivedermi con calma gli appunti che ho preso durante l’Assemblea sinodale sui giovani che si è tenuta dal 3 al 28 ottobre 2018. Sono un resoconto vivo e vivace di ciò che abbiamo condiviso nell’aula sinodale per quasi un mese: oltre ai contenuti degli interventi dei padri sinodali, mi sono appuntato alcune emozioni e sensazioni che in quel preciso momento affollavano la mia mente e il mio cuore. In tutto è un file di Word consistente, composto di 87 pagine, 30.782 parole e 200.746 caratteri! Quando sarò (più) vecchio e avrò un poco di tempo a disposizione magari lo riprenderò con più distensione per farci qualcosa!
Ho cercato di passare in rassegna, in quel file, i tanti appelli dei padri sinodali e degli uditori, soprattutto i più giovani, a frequentare con continuità e serietà il mondo giovanile, a condividere la vita e superare un’imperdonabile e antievangelica lontananza dalla loro realtà, di cui tante volte nemmeno abbiamo coscienza. Tanti hanno denunciato la distanza e altrettanti hanno chiesto di ridurla o eliminarla attraverso azioni, iniziative ed esperienze concrete. E rileggendo alcuni interventi tra i più qualificati, vi notavo alcuni miei commenti che fissavano le emozioni una volta per tutte: “grande commozione”; “finalmente una parola chiara”, “questo giovane non ha peli sulla lingua”, “parole sante!”, “tantissimi applausi”, “intervento profetico”, “è quello che tutti dovrebbero fare”, “visione di futuro”, “proposta entusiasmante” e altre reazioni simili.
Vi riporto, evidentemente senza citare l’autore, un passaggio di un intervento di un padre sinodale molto rappresentativo di tanti altri, molto simili a questo sia per stile che per contenuto:

L’Insegnamento della Religione nella scuola e nel mondo di oggi: davvero una risorsa educativa?

L’esperienza di un insegnante di religione nella scuola secondaria di secondo grado

di Francesco Luppi

“Qui la meta è partire” (Ungaretti). Partire ti costringe a lasciare certezze, a selezionare ricordi, a cristallizzare volti, a sentire nostalgia. E’ toccato anche a me sperimentare un po’ di tutto ciò: quest’estate ho saputo che avrei lasciato la scuola dove sono stato per otto anni. Mi accingevo a partire per un mare sconosciuto lasciando un porto sicuro in cui, tra normali fatiche e altrettante gioie, avevo costruito legami belli e fecondi con colleghi e studenti.
Alcuni miei alunni, venuti a sapere di questo mio passaggio, mi hanno inviato bigliettini che mi hanno riempito il cuore di gioia e tenerezza. Sì, perché uno dei tratti privilegiati del mio mestiere è la possibilità di creare relazioni vere con ragazzi che vivono un’età fondamentale della vita: l’adolescenza. Ecco alcune delle cose belle che mi hanno scritto: “Grazie prof! In questi anni lei non ha fatto religione ma ci ha mostrato come vivere”; oppure: “Grazie perché l’ora di religione ci ha permesso di esprimerci davvero, attraverso il dialogo e il confronto, senza dover aderire a dogmi preconfezionati…”; e ancora: “Sono state lezioni interessanti perché l’attualità è entrata in classe e non ci ha riproposto qualcosa di già sentito e a noi lontano”.
Dopo aver letto questi bigliettini, al di là dell’affetto e della stima, è sopraggiunto in me un senso di sconforto e parziale fallimento; con tutta la fatica che faccio a spiegare e far comprendere il senso dei 10 comandamenti, mi vedo scritto che non faccio religione? O con lo sforzo di rendere ragione oggi di tematiche attinenti la bioetica, la morale sociale, l’affettività rimanendo fedele al patrimonio della Chiesa cattolica, mi trovo scritto che l’attualità è entrata in classe quasi a scalzare un passato religioso che sa di “vecchio”? O ancora: l’apparente novità del dialogo e del potersi esprimere che i miei studenti avrebbero fatto “quasi in esclusiva” nella mia ora e non in tutte le materie scolastiche? Insomma, come sempre, i ragazzi ti mettono in discussione, spingendoti a comprendere meglio sia questo tempo sia la disciplina. Sono proprio i cuccioli d’uomo a mostrare i segni di una possibilità che si affaccia all’orizzonte e che chiede di essere guardata con franchezza e senza paura.

Il percorso di crescita delle nuove generazioni nella cultura sociale attuale

di Mario Pollo (Tratto dall’introduzione alla ricerca “Il futuro negato Progetti e sogni di adolescenti e di giovani romani”, Caritas Roma 2020 (In collaborazione con Servizio per la pastorale giovanile Ufficio per la pastorale scolastica e l’insegnamento della religione cattolica)

Negli ultimi decenni il percorso delle nuove generazioni in Europa si è progressivamente individualizzato poiché nella loro transizione verso l’età adulta seguono un cammino sempre più personale e soggettivo, che è solo parzialmente legato all’età anagrafica. Contemporaneamente è andato in crisi il determinismo delle età, sostituito da una sorta di ethos infantilistico che le attraversa tutte. Per comprendere il senso di quest’affermazione è necessario ricordare che la vita delle persone era tradizionalmente scandita dal passaggio, nell’itinerario che unisce nascita e morte, attraverso varie età. Ognuna di queste età comportava l’acquisizione di un particolare stile vita, di conoscenze, di modelli di comportamento e di responsabilità specifici. Nella realtà sociale contemporanea l’età è diventata sempre meno indicativa del modo di vivere delle persone e questo significa che l’orologio interno delle persone non è più potente e costrittivo come una volta (Neugarten).

L’idea di “sinodalità missionaria”

La necessaria conversione dal fare per all’essere con

Rossano Sala

(NPG 2020-01-6)

Questo è il primo numero NPG del 2020. Siamo all’inizio del III decennio del III Millennio. Nessuno potrà dire con precisione che cosa accadrà, sia a livello sociale sia a livello ecclesiale, nei prossimi dieci anni.
Vi siete resi conto che in questo numero non c’è l’editoriale. Perché questo Dossier è un vero e proprio “lungo editoriale” che apre il decennio 2020-2030. È quindi qualcosa di programmatico, che vuole aprire i prossimi dieci anni attraverso un rinnovato impulso che si raccoglie intorno all’idea di “sinodalità missionaria”. In questo modo non facciamo altro che fare nostro l’esito del Sinodo con e per i giovani e rilanciarlo con coraggio, convinti che si tratta davvero di una chiave interpretativa preziosa e irrinunciabile per gli anni che ci aspettano.
Di certo, dai vari segnali che ci sono giunti nel decennio precedente, l’appello verso la comunione, la condivisione e la corresponsabilità da tutti i punti di vista è stata chiaro. Il mondo è sempre di più un piccolo villaggio dove tutto è connesso e raggiungibile. La Chiesa, vivendo in questo mondo, non può fare a meno di entrare in queste condizioni di esercizio della sua missione. Nel decennio scorso tanti ponti sono stati abbattuti e altrettanti muri sono stati costruiti. Ci sembra arrivata l’ora almeno di provare ad invertire la tendenza, almeno partendo da quello che dipende da noi: bisogna abbattere muri e costruire ponti!

Ripensare l’Europa

di Renato Cursi

(NPG 2020-01-2)

Ripensare l’Europa. Questo è il compito che si è proposto il dialogo ad alto livello intrapreso più di due anni fa, in occasione del 60° anniversario della firma dei Trattati di Roma, dai rappresentanti della Chiesa Cattolica, a partire da Papa Francesco, da una parte, e i rappresentanti delle istituzioni europee, dall’altra. In questa occasione, il Santo Padre si interrogava su quale potesse essere il contributo cristiano al futuro del progetto europeo. Un progetto che, notoriamente, da diversi anni attraversa un momento difficile della sua storia. Nel suo discorso, Papa Francesco suggerì di ricostruire insieme l’Europa a partire da due fondamenta e cinque mattoni. Le due fondamenta erano la persona e la comunità. I cinque mattoni erano invece il dialogo, l’inclusione, la solidarietà, lo sviluppo e la pace. Come interagisce la Pastorale Giovanile italiana ed europea con questo progetto edilizio?
La costruzione europea non è un assoluto, né un fine in sé stesso. Persino gli Stati stessi che si sono impegnati nel progetto di Unione Europea le hanno fissato dei limiti di competenza. Non è opportuno, pertanto, aspettarsi soluzioni onnicomprensive da questa realtà. Tuttavia, si tratta di un progetto importante, capace di incidere sulle vite dei cittadini dei Paesi coinvolti, a partire proprio dai giovani. Per fare un esempio, tra i tanti possibili: secondo i tratti che istituiscono l’Unione Europea, l’educazione non è una competenza dell’Unione, bensì una competenza dei suoi Stati Membri. Eppure, sono molte le decisioni prese in seno alle istituzioni europee che incidono in un modo o nell’altro sui processi educativi dedicati ai giovani europei, come nel caso del progetto Erasmus+.