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Il Filo di Arianna della politica: Maggioranza/minoranza

da Note di Pastorale Giovanile.

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di Raffaele Mantegazza

Il principio di maggioranza è fondamentale per il funzionamento di una democrazia. All’interno di qualunque sistema democratico e di qualunque sua istituzione è solo la maggioranza a poter decidere della legittimità di una decisione. Occorre però essere molto chiari su questa questione, perché come già il padre della riflessione filosofica sulla democrazia, Alexis de Tocqueville, aveva sottolineato, il rischio di una cosiddetta dittatura della maggioranza è presente anche in un ambito democratico
Cominciamo col dire che una decisione presa a maggioranza è legittima, il che non significa che sia automaticamente giusta in senso morale. Coloro che si trovano in minoranza devono poter continuare non solo a mantenere la loro idea ma anche a poterla diffondere, anche se non possono mettere in dubbio la legittimità della decisione presa. Proprio per questo motivo in alcune situazioni è stato previsto l’istituto dell’obiezione di coscienza, che non mette in discussione la legittimità di una legge, ma permette al singolo in casi particolari di disobbedire.
Dunque occorre che ogni cittadino e cittadina si ponga le seguenti domande: Quando siamo in maggioranza riusciamo ad accettare il parere e le critiche della minoranza? Quando siamo in minoranza riusciamo ad accettare il fatto che la maggioranza ha deciso qualcosa che noi non condividiamo?
Molto spesso nell’azione politica quotidiana, nelle sedi decisionali come ad esempio i consigli comunali, si verifica una dinamica decisamente poco democratica, secondo la quale qualunque suggerimento o consiglio o critica provenga dall’opposizione deve essere squalificata a priori proprio perché viene considerata automaticamente contraria all’idea della maggioranza. Un paese maturo, una democrazia compiuta dovrebbe al contrario prevedere la possibilità di fare proprie le idee della minoranza, ovviamente se sono coerenti col proprio progetto politico e col programma di governo, mostrando come in realtà proprio l’ascolto di chi sta all’opposizione è un elevato elemento di democrazia
Quando però si sta insegnando la democrazia ai ragazzi e ai giovani occorre anche una riflessione ulteriore. È del tutto ovvio che una classe deve decidere democraticamente il proprio rappresentante o una squadra di calcio il proprio capitano e che gli insegnanti o educatori devono tenerne conto; però, a differenza che nella democrazia compiuta e adulta, si può provare a fare una riflessione insieme ai ragazzi sulle modalità decisionali, sui motivi che li hanno portati a scegliere proprio quella persona, sulla eventuale presenza di condizionamenti che li hanno portati ad esprimere un determinato voto. Insomma imparare la democrazia non significa praticarla in maniera diretta e compiuta, ma imparare a riflettere su di essa

Cosa fare

Si provi a discutere il seguente caso.
Siete insegnanti in una scuola superiore. Avete partecipato a un lungo e burrascoso consiglio di classe della II A nel quale si è stabilito a maggioranza che i ragazzi non potranno più recarsi in bagno nelle prime 3 ore di lezione perché si sono resi colpevoli di danneggiamenti alle suppellettili dei bagni. Il collega Rossi è stato il più nettamente contrario alla decisione e dopo due ore di discussione il provvedimento è passato a maggioranza. Il giorno successivo arrivate a scuola alle 8.45 e vedete due alunni della classe uscire dal bagno, chiedete loro che lezione abbiano e loro rispondono “il prof. Rossi”.
– Che cosa prova il protagonista in questa situazione?
– Qual è il messaggio che passa ai ragazzi?
– Quali comportamenti alternativi poteva scegliere il prof. B?

Come pensare

Giorgio Gaber
La collana

Su, venite tutti qua che facciamo un gioco Giochiamo al gioco della collana Per essere bello devono giocare tutti, eh? Adesso ve lo spiego: uno di noi alla volta terrà al collo questa collana e dirà agli altri quello che devono fare e gli altri la ubbidiranno Poi quando gli altri ne avranno voglia diranno a quello che comanda il gioco di togliersi la collana e di darlo a un altro e così via, eh?
Allora vediamo un po’ chi comincia Comincio io per primo che conosco il gioco?
Allora, avanti tutti insieme dite: “Pa-ra-pa” (“Pa-ra-pa”)
Bravi. Adesso dite: “Pi-ri-pi” (“Pi-ri-pi”)
Benissimo. E adesso dite: “Po-ro-po”
(“Po-ro-po” No basta no no No senti non ci divertiamo. Tu ci stai facendo fare delle cose completamente imbecilli!)
Accetto volentieri le critiche. Quindi se lo desiderate cambio discorso Dunque: “Pe-re-pe” “Pu-ru-pu”
(Buh ma basta no basta No senti, avevi detto che quando gli altri volevano potevano farti togliere la collana e questo è il momento!)
Certo. Se lo volete dovete allora decidere a chi andrà la collana Fatelo con calma e pensateci bene. E in questa fase di preparazione guardate attentamente la lucina, ecco questa lucina, la vedete? Pensate, concentratevi, pensate liberamente, non lasciatevi condizionare così, bravi, ecco, così!
Avete deciso?
(Abbiamo deciso, votiamo per te!)
Grazie signori! Sono contento della stima e della fiducia che ancora una volta ci avete concesso. Il nostro governo opera con il consenso del popolo per il bene del popolo
Orsù, tutti insieme verso un mondo migliore: “Pa-ra-pa” (“Pa-ra-pa”) “Pe-re-pe” (“Pe-re-pe”) “Pa-ra-pa”, “pe-re-pe” (“Pa-ra-pa”, “pe-re-pe”)

La lettura e/o l’ascolto di questo testo di Gaber può portare a interessanti riflessioni sulla libertà di voto. È vero ovviamente che in democrazia il voto è libero, ma quali sono i condizionamenti che la stampa e i mass-media, la propaganda, il sistema comunicativo possono operare sul soggetto elettore, senza spesso che questi ne sia del tutto consapevole?

Come provare

Attività: “Election Day”

L’esperienza di eleggere un proprio rappresentante nelle dinamiche di una scuola o di una classe è un valido pretesto per un assaggio di democrazia rappresentativa. Peccato che i decreti delegati permettano ai ragazzi di eleggere propri rappresentanti solamente a partire dalla scuola superiore, escludendone la scuola media inferiore. Ma è possibile far eleggere ai ragazzi un capoclasse o meglio ancora farli riflettere sulle dinamiche di gruppo attraverso la seguente attività.
Si forniscono ad ogni ragazzo quattro bigliettini chiarendo che le risposte sono del tutto anonime. Si procede poi a formulare la prima domanda, la cui risposta deve essere scritta sul primo bigliettino:
in caso di una gita scolastica con quale compagno divideresti la stanza d’albergo per una notte?
Ritirati e non letti i bigliettini si procede con le altre domande:
– un professore ha dato alla classe una punizione ingiusta; a quale compagno assegneresti il compito di andargli a parlare per convincerlo a ritirare la punizione?
– la classe ha fatto una colletta per un acquisto comune; a quale compagno affideresti per tre giorni la cassa di 1000 euro?
– a quale compagno chiederesti aiuto per un compito in classe di (…)
Solo a questo punto si proceda a leggere i bigliettini stipulando la classifica delle preferenze. Ovviamente questo gioco ha come obiettivo il reperimento di quattro differenti figure di leader, e precisamente:
– il leader amicale, ovvero il ragazzo che è maggiormente in grado di tessere relazioni umane nel gruppo;
– il leader “politico”, ovvero il ragazzo rispetto al quale la squadra si sente rappresentata in situazioni difficili;
– il leader “affidabile” ovvero il ragazzo di cui ci si fida per onestà e soprattutto per serietà;
– il leader per competenze.

È da considerare significativa da parte di un singolo ragazzo una raccolta di preferenze pari a ¼ del gruppo. Ovviamente è possibile che non tutti i quattro ruoli siano ricoperti in modo preponderante da qualcuno (può darsi una dispersione di voti), come è possibile che una sola persona possa avere la predominanza su più aree (è assai difficile però che un ragazzo conquisti la maggioranza dei voti su tre aree). Questo gioco è molto utile anche per la scelta del capoclasse: in questo caso ricordando che il capoclasse deve esser espresso dalla classe e non dal docente, può esser utile chiedere in anticipo ai ragazzi quale area ritengano più significativa per la scelta del capoclasse, e dunque fare una specie di “scaletta”.

Cosa domandarsi

Anche a partire dall’esempio sopra riportato un gruppo di educatori potrebbe chiedersi:
– quante decisioni vengono veramente prese a maggioranza?
– quanto tempo dedichiamo alla discussione prendendo in considerazione i suggerimenti di tutti?
– come si comporta un educatore quando non condivide una decisione presa dalla maggioranza, ma in qualche modo è chiamato a renderla operativa con i ragazzi?

Il filo di Arianna della politica – Propoaganda

di Raffaele Mantegazza

Come parlare 

“Quando il partito dice che il bianco è nero bisogna convincersi che lo è davvero”: che sia una battuta, un aneddoto, una leggenda metropolitana, questa frase è di volta in volta attribuito a demagoghi di destra o di sinistra per mostrare come la propaganda sappia mettere in discussione qualunque verità, ovviamente non dal punto di vista oggettivo ma da quello soggettivo di chi si autoconvince della verità di ciò che viene propagandato.
A rigore ovviamente la propaganda si rivolge a persone adulte, perché ha bisogno comunque di un minimo di base di conoscenza da parte dell’interlocutore. Ma altrettanto ovviamente, più si abbassa il livello culturale di quest’ultimo, più la propaganda diventa becera, rozza, schematica. Forse una visione in bianco e nero del mondo è molto più accettabile da parte di persone semplici e in un effetto circolare disincentiva la loro capacità critiche e la loro ricerca di informazioni verificabili.
In ambito politico però almeno a partire dalla seconda metà del ventesimo secolo la propaganda è stata sostituita o perlomeno affiancata da qualcosa di molto più subdolo: si inizia infatti ben presto, fin dalla più tenera età, a sottoporre i bambini e le bambine a messaggi iper-semplificati, che colpiscono direttamente le emozioni senza permettere una crescita razionale. A rigore non si tratta più nemmeno di propaganda ma di mero condizionamento, che bypassa quasi completamente il livello della coscienza e dello spirito critico. Stiamo dunque parlando di messaggi molto subdoli, che oltretutto conferiscono all’ascoltatore una specie di senso di superiorità. Si è sentito molto spesso dire a proposito del terrapiattismo o della polemica contro i vaccini che solo coloro che predicavano queste pseudo-verità erano i veri saggi, che tutti gli altri erano ignoranti, schiavi del sistema, squalificati nella loro intelligenza per il semplice fatto di non condividere le idee di questa specie di nuovi profeti.
Questo tipo di propaganda, che a rigore non si potrebbe nemmeno definire tale tanto è ancora più pervasiva della propaganda classica, va dunque a sollecitare e solleticare l’amor proprio e il narcisismo di coloro a cui si rivolge. Ed è ovviamente molto difficile di fronte a un discorso che scavalca totalmente la ragione affrontare queste persone con le armi del ragionamento, delle statistiche, delle cifre, delle prove scientifiche.

Come pensare 

Opere analizzate
– Peter Bichsel, “Un tavolo è un tavolo”, da “Storie per bambini”;
– Hans Magnus Enzensberger, “Ulteriori motivi per cui i poeti mentono”, da “La fine del Titanic”;
– Cesar Vallejo, “Un uomo passa”, da “Spagna allontana da me questo calice”.

La propaganda si serve del linguaggio, e lo fa spesso rimanendo all’interno del linguaggio stesso, come se non le importasse nulla della verità delle proprie affermazioni e del rapporto con la realtà.
Il racconto di Bichsel prova a capire cosa accadrebbe a una persona che pensasse davvero che basti cambiare il nome a un oggetto per cambiare l’identità dell’oggetto stesso. Il delirio raccontato dal narratore è interessante perché molto simile ai discorsi della propaganda che appaiono estremamente seducenti quando modificano le parole quotidiane (basti pensare alle strategie di rinominazione operate da tutti i totalitarismi, nei confronti delle parole straniere, dei nomi di città, dei cognomi, ecc.). Bichsel va fino in fondo nell’illusione di un discorso autoreferenziale che alla fine porta alla totale solitudine
La poesia di Enzensberger invece opera un continuo va-e-vieni tra linguaggio e realtà mostrando come il primo ha un senso solo se in qualche modo fa i conti con la durezza della seconda e non ne rifugge; la stessa cosa avviene nella poesia di Vallejo nella quale la povertà, il dolore, la morte si trovano escluse da un discorso filosofico che non ha alcun altro scopo che non sia celebrare se stesso.

Cosa fare 

Oltre a far discutere i ragazzi sui grandi temi della politica sarebbe opportuno anche abituarli a proteggersi dalla demagogia e dalla propaganda a proposito della loro vita quotidiana. Dunque si potrebbe organizzare un ciclo di comizi tenuti da loro nei panni degli insegnanti, dei professori e dei genitori sui temi:
– È possibile una scuola senza voti?
– Le interrogazioni sono l’unico modo per verificare la preparazione?
– Ha ancora senso l’esame di maturità?
– Le note disciplinari sono uno strumento utile?

Matteo Leone, studente universitario dello IULM di Milano, mi segnala che per l’esame di Public speaking vengono assegnati ai ragazzi alcuni temi sui quali strutturare un breve discorso:
– Gli asparagi e l’immortalità dell’anima
– 4 + 4 = 9
– La cura dell’uva
– Perché seppie con piselli

Come provare

Il “debate” è una metodologia molto usata in ambito scolastico. Come è noto si tratta di proporre ai ragazzi alcuni argomenti sui quali operare prima di tutto una ricerca e una riflessione critica, e poi presentare davanti ai compagni di classe o di istituto un dibattito nel quale ogni squadra di ragazzi ha il compito di illustrare le tesi a favore o contro l’argomento scelto. Si tratta sicuramente di una tecnica interessante, ma il limite che personalmente ne vedo è che troppo spesso l’aspetto competitivo ha la meglio sui contenuti, per cui la discussione spesso si riduce a uno sfoggio di mezzi sofisticati dal punto di vista dialettico ma non a un reale approfondimento. Occorrerebbe in realtà far riflettere i ragazzi sulle procedure utilizzate per arrivare a proporre un discorso e sulle strategie comunicative utilizzate senza necessariamente procedere alla fine a proclamare un vincitore.
Inoltre le regole del gioco prevedono che l’assegnazione delle posizioni pro o contro il tema ai gruppi di ragazzi sia fatta per sorteggio. Se le ragioni di questa scelta hanno un senso (cioè chiedere ai giovani di provare a mettersi nei panni dell’altro) occorre essere molto cauti soprattutto con i ragazzi più giovani proprio perché, come detto sopra, questa operazione può ridursi semplicemente a una ricerca di strategie dialettiche e sofistiche. Forse sarebbe meglio partire dalle reali opinioni dei ragazzi e solo successivamente, dopo aver testato questo metodo, passare alla richiesta di cercare motivazioni per l’idea opposta alla propria.

Cosa domandarsi 

I ragazzi sono esposti alla logica della propaganda soprattutto nelle sue versioni più subdole e sottili, ma sono anche a volte in grado di raccogliere e criticare informazioni vere e autentiche. Occorre che gli adulti si pongano qualche domanda in proposito:
– Quali sono le principali fonti di informazione alle quali accedono i giovani?
– Cosa significa per loro che una informazione è “vera”?
– Quali sono le strategie di verifica delle informazioni che essi usano?
– Qual è la differenza tra una notizia vera e una notizia popolare?
– Qual è il tasso di penetrazione dell’atteggiamento misterico e narcisistico di posizioni come quelle dei terrapiattisti secondo i quali solo chi crede nelle loro affermazioni è saggio e dunque non c’è bisogno di alcuna dimostrazione?
– Qual è il lavoro di rielaborazione critica di una informazione compiuto dai ragazzi prima di comunicarla ad altri?
– Come le risposte alle domande di cui sopra mutano (o meno) a seconda del mutare dello strumento di accesso alle informazioni (fonti orali, fonti cartacee, digitale, ecc.)?
– …

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