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Bari Redentore, passa dal lavoro la rivincita dei ragazzi del Libertà

Eppure su queste strade un tempo i ragazzi morivano come mosche. Uccisi dalla droga o magari da proiettili esplosi da altri ragazzi, in egual misura condannati. Nel quartiere Libertà l’eco di quella «guerra» puoi ancora sentirla lì dove la memoria viene tenuta viva da chi nell’odio e nella violenza coltiva i propri affari illeciti. Ma la «resurrezione» è stata inesorabile e quotidiana, anche grazie a una coraggiosa operazione urbanistica che nella pedonalizzazione di alcune isole ha colto la scintilla della rinascita sociale. Il simbolo non a caso è il Redentore, la potente quinta urbana che chiude via Crisanzio, e tutto ciò che intorno all’istituto salesiano, fuori e dentro, Bari ha saputo imbastire. Oggi nel mosaico della speranza viene aggiunta un’altra tessera: la firma di un’intesa che porta nuova luce nella vita dei ragazzi del quartiere.
Il progetto prevede la realizzazione di corsi di formazione professionale in ambito ristorativo, mestieri come il pizzaiolo o il panettiere verranno insegnati ai giovani protagonisti del territorio anche con l’obiettivo di realizzare una impresa formativa, ragazzi che si metteranno a produrre taralli o pane o dolci da mettere poi in commercio. Un progetto ambizioso che ha già ottenuto il via libera del settore formazione professionale della Regione. Il cuore della
devianza minorile e dell’inesorabile reclutamento da parte delle famiglie di mafia, d’altronde, è sempre stato la mancanza di lavoro, di una occasione di vita alternativa e legale. Senza soldi, i figli delle famiglie più povere, sono stati (e sono ancora) il vivaio nel quale i clan hanno pescato per arruolare sentinelle, spacciatori, ragazzi/fondina. Oggi sappiamo che molti minorenni del quartiere continuano a “lavorare” per le organizzazioni criminali, 200 euro a
settimana per portare la droga in giro a bordo dei monopattini elettrici. E’ a questa generazione che il progetto del Redentore è rivolto sotto la sapiente regia di don Francesco Preite, direttore dell’istituto salesiano, un prete di frontiera, di trincea, si direbbe, sebbene sia un sacerdote ben lontano dalla retorica. Scendere da quei monopattini, entrare in una cucina e scoprire un’altra vita possibile: questa è la sfida. Il progetto per formare gli artigiani del cibo
prende forma grazie al sostegno degli imprenditori Sebastiano e Vito Ladisa e dei soci della Giusta Causa. Si cercano altri sostenitori e altre alleanze possibili intorno a un’iniziativa che mira a creare tutte le condizioni per un regolare inserimento nel mondo occupazionale. Accanto alla formazione, inoltre, una volta al mese, i ragazzi cucineranno per le famiglie in difficoltà, un’altra forma di aiuto, un aiuto che non è solo materiale (sfamare chi ha bisogno) ma anche culturale: dare il senso di comunità, di appartenenza e spezzare la condizione di solitudine che ha indotto tanti giovani a perdersi.