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Chiara e gli altri

Dal dossier estivo di NPG.

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di Chiara Succol

“Non con le percosse, ma con la mansuetudine e la carità dovrai guadagnare questi tuoi amici”. Queste parole del sogno dei 9 anni mi hanno lasciato da pensare dal primo momento che le ho sentite (o lette, chissà) nel mio percorso nei gruppi salesiani all’interno del mio oratorio di provenienza. Direte che è perché ho sempre pensato a come metterle in atto. Invece no, mi sono sempre rimaste impresse perché fin da piccola mi ha fatto molto effetto immaginarmi don Bosco che menava le mani! Anche l’episodio con Luigi Comollo, infatti, ha sempre avuto un certo impatto su di me. Ho sempre sentito molto vicino don Bosco in questo, non perché mi ritenga violenta con le mani, bensì perché nel profondo sono un’istintiva che non appena le si muove qualcosa dentro, vorrebbe mettere a ferro e fuoco la stanza e chi ci sta dentro. È un lato del mio carattere su cui ho sempre fatto grandi sforzi.

Ho bazzicato, anzi vissuto-respirato-assorbito-osservato tutto, all’interno degli ambienti salesiani fin dagli 8 anni. Mi sono spesa come animatrice, come educatrice al doposcuola, come segretaria degli uffici di Pastorale Giovanile Salesiana della mia ispettoria (INE) e alla fine sono approdata a vivere la mia vocazione professionale più vera: formatrice al Centro di Formazione Professionale salesiano di Mestre. Questo aspetto della violenza, del fuoco, dell’ira mi ha sempre accompagnata anche se chi mi vede oggi non lo direbbe. Me lo porto ogni giorno anche al lavoro, non mi molla.
Come formatrice incontro ogni giorno tanti ragazzi non solo in aula ma anche nei corridoi, in cortile, ai distributori automatici. L’esperienza che ho a scuola è molto diversa dall’oratorio e, mi preme dirlo, è complessa: non c’è solo la vita in aula. Questo è il primo punto su cui mi sento di dover mettere l’accento. Se pensiamo che un formatore o un docente siano educatori solo tra i banchi, insegnando una materia, ci sbagliamo. Lo dico perché io per prima, a volte, ho pensato di trincerarmi dietro la cattedra e le nozioni per difendermi o per mettermi al sicuro, ma anche per non scoppiare in un accesso d’ira; mi è successo soprattutto all’inizio, quando mi sono trovata di fronte ragazzi molto sfidanti e provocatori, di quelli che ti accendono la spia rossa “ACHTUNG!”. Un giorno però ho capito, grazie ad un alunno particolarmente arrabbiato, che dovevo fare cambiare qualcosa e uscire dalla mia zona di comfort perché rispondere per le rime a un adolescente (problematico, tra l’altro) non era sensato.

Mi sono chiesta cosa lo avesse fatto scattare a quel modo. In cortile gli ho chiesto solo: “Come stai?” e si sono, per così dire, aperti i rubinetti. Certo l’aggressività non è sparita dopo quel momento, ma è comparso lo spazio dell’accompagnamento. Per me ha significato sgonfiare anche la mia di arrabbiatura, aprirmi all’ascolto ha richiesto uno sforzo ma le corde così hanno iniziato a suonare più in armonia anche dentro me. Le cose in me come prof. sono cambiate dunque quando ho iniziato a mettere in atto, senza finzioni, la prossimità di cui parla Papa Francesco o la mansuetudine di cui si racconta nel sogno dei 9 anni. Ho messo da parte il ruolo, le paranoie, l’ideale di prof. in excelsis e… sono scesa nella vita reale, semplicemente.
Sono i ragazzi per primi a svegliarci dai nostri sonni educativi e questo è ancor più vero quando ci troviamo con loro nei momenti informali. Sono dei risvegli traumatici, eh, in cui capisci che educare è farsi carico, anche quando fa male.

La mansuetudine, in tutto ciò, è una sfida nella sfida: presa dalle mie cose mi capita di non pensare sempre bene alle parole che dico o ai miei silenzi, che pesano più di un macigno. Le chiavi del cuore dei ragazzi le ha solo Dio, diceva don Bosco, e penso che l’aspetto della fede debba accompagnare maggiormente le mie intenzioni e le mie azioni. Che la Maestra promessa a Giovannino nel sogno dei 9 anni guidi ogni educatore ad acquisire la sapienza per accogliere e accompagnare tutti i ragazzi, specialmente i più poveri. E davvero oggi che scrivo queste battute faccio più che mai mie le parole del Vangelo, me le voglio imprimere nel cuore: “Beati i miti, perché erediteranno la terra”.