Roma Don Bosco, don Luigi Ciotti: la legalità, «strumento per raggiungere la giustizia»
Da Roma Sette.
***
«Diffidate di chi parla di voi ma non con voi. Sappiate distinguere tra i seduttori e gli educatori perché ci sono tanti seduttori oggi, ben mascherati. Anche forme di pubblicità studiate per catturarvi, per vendere merci, per illudervi con parole scintillanti e immagini meravigliose. I seduttori vogliono suggestionarvi. Gli educatori, invece, vogliono rendervi persone libere. Non mettete in vendita la vostra libertà lasciandovi tentare dalle lusinghe della società delle merci e spacciatrice di illusioni». È un appello accorato ai giovani arrivato da chi ha trascorso la propria vita accanto a chi si è “perso” affascinato da false promesse, a chi ha combattuto, e non sempre vinto, contro le dipendenze, a chi è stato lasciato ai margini. È l’appello di don Luigi Ciotti, fondatore del gruppo Abele e presidente di Libera, rivolto ai tanti ragazzi che ieri sera, 23 gennaio, hanno affollato il cine-teatro della parrocchia San Giovanni Bosco per l’incontro su “La legalità è lo strumento per raggiungere la giustizia”, uno degli eventi organizzati dalla comunità in occasione della festa di san Giovanni Bosco, che la Chiesa celebra il 31 gennaio.
Un dialogo a tutto tondo su legalità, giustizia, responsabilità , impegno civile, durante il quale il sacerdote ha sollecitato gli adulti ad ascoltare di più i ragazzi, «portatori di una linfa nuova, con grandi intuizioni e capaci di leggere la realtà». La società moderna ha bisogno dei giovani, ha rimarcato; «la Chiesa ha bisogno dei giovani, delle loro capacità, fantasie, passioni». Lo aveva ben capito don Giovanni Bosco, del quale Ciotti avverte il «grande fascino. Parlo spesso di lui – ha affermato – per le cose che ha fatto, per la capacità, per le intuizioni. Si inventava di tutto per accompagnare i suoi ragazzi. È stato una meraviglia. Gli dobbiamo molto». Oggi abbiamo bisogno di persone che, nel solco tracciato da don Bosco, «tengano conto delle grandi trasformazioni, siano capaci di accogliere e accompagnare a nuove professioni, dando nuovi strumenti a chi vive situazioni di difficoltà. È una storia che si ripete e che impone a ciascuno di noi uno scatto in più».
All’incontro, ha tenuto subito a precisare, non c’era solo “don Luigi Ciotti” perché lui rappresenta «più un “noi” che un “io”» in quanto quello che è riuscito a fare in 79 anni di vita è «frutto di una condivisione con altri. È il noi che vince – ha specificato -. Diffidate dei navigatori solitari». In prima fila ad ascoltarlo anche il vescovo del settore est Riccardo Lamba, il superiore provinciale dei salesiani don Stefano Aspettati, il parroco di San Giovanni Bosco don Roberto Colameo, il presidente del VII municipio Francesco Laddaga. Don Ciotti ha ricordato i primi anni della sua infanzia, il distacco dalle Dolomiti, dov’era nato, per trasferirsi con la famiglia a Torino, nei primi anni ’50, dove il papà aveva trovato lavoro. Sradicati dalla propria terra, «come accade oggi a migliaia di persone», per una città dove c’era il lavoro ma «non una casa, come accade ancora oggi a chi arriva in Italia». Ha raccontato degli anni trascorsi in una baracca, e poco importava se la sua «era una famiglia molto povera ma dignitosa, era comunque additata da tutti. Come succede ancora oggi verso i poveri».
Parlando della legalità, ha spiegato che questa «è lo strumento per raggiungere la giustizia», che a sua volta deve essere giusta per andare incontro a tutti e mantenere la democrazia, la cui «spina dorsale è la responsabilità». A tal proposito ha osservato che «ci sono momenti nella vita in cui si ha la responsabilità civile di parlare, di far emergere le cose che non vanno bene. È un impegno morale, un’esigenza categorica». Davanti alla forbice della disuguaglianza sempre più ampia in Italia, davanti ai 6 milioni di persone in povertà assoluta e a un milione e 400mila bambini poveri, «uno scatto delle nostre coscienze dobbiamo farlo, non possiamo restare in silenzio. Quando vediamo che l’Italia è all’ultimo posto per povertà educativa non possiamo rimanere spettatori».