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Domine, quo vadis? Una rilettura del Convegno

Da Note di Pastorale Giovanile, nuovo numero di settembre/ottobre.

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di don Riccardo Pincerato

“Domine, quo vadis?” Questa domanda è il filo rosso del XVIII Convegno Nazionale di Pastorale Giovanile che si è svolto a Sacrofano dal 6 al 9 maggio. La prima tra le tante domande che hanno accompagnato i giorni del convegno. La prima e la fondamentale, una domanda che mette al centro il desiderio di voler incontrare il Signore nelle sfide della quotidianità. Accompagnare ed essere al fianco delle nuove generazioni oggi è una sfida; a volte nascono dubbi e incertezze e le provocazioni del mondo giovanile non lasciano indifferenti e possono a volte disorientare. Per questo non possiamo essere da soli di fronte alle tante sfide del mondo giovanile e della cultura contemporanea, siamo invitati ad uscire per cercare compagni di viaggio e, tra questi compagni, il primo resta il Signore Gesù: Via, Verità e Vita.
“Signore, dove vai?” è la domanda che troviamo al cuore del Vangelo di Giovanni (Gv 13,36) nel contesto dell’ultima cena, dopo che Gesù consegna ai discepoli il comandamento dell’amore: “vi do un comandamento nuovo: che vi amiate gli uni gli altri, come io ho amato voi; così anche voi amatevi gli uni gli altri” (Gv 13,34).
Questa domanda esprime l’ansia e l’incomprensione dei discepoli di fronte all’annuncio di Gesù. Essi non comprendono ancora pienamente il significato del sacrificio che sta per compiere.
Gesù invita i discepoli e Pietro in primis a comprendere che il suo percorso è un atto di amore supremo, è un amore incondizionato, che richiede un tempo di preparazione e di crescita per essere compreso e seguito. La risposta di Gesù a Pietro apre a un doppio cammino: il cammino di Gesù verso la propria passione, morte e resurrezione, segno dell’amore indelebile ed eterno del Padre per l’umanità, e il cammino che anche Pietro dovrà fare se vorrà continuare ad essere discepolo del Signore. Pietro per seguire il Maestro dovrà accettare le proprie fragilità, le proprie infedeltà, le proprie miserie e dovrà accettare l’onnipotenza dell’amore di Dio che è l’unica in grado di ri-abilitarlo, di rimetterlo in cammino. Pietro dovrà accettare e riconoscere che la propria forza sta nella Grazia anticipata, donata e confermata dallo sguardo del Signore.
Alla fine del Vangelo di Giovanni il Maestro dirà a Pietro: “Vieni e seguimi”. “Segui-me” è l’appello che il Signore continua a fare a ciascuno di noi nella vita quotidiana e personale, nel nostro impegno a servizio delle nuove generazioni. Di fronte alle sfide, ai dubbi, alle perplessità, alla complessità del contesto attuale e del contesto giovanile non possiamo rispondere solo con le nostre forze. Non possiamo seguire solo le strategie o gli strumenti del mondo, che certo ci possono aiutare, che certo sostengono l’opera evangelizzatrice del nostro impegno, ma non sono questi l’obiettivo del nostro agire. Le strategie, i piani, i progetti restano e devono restare strumenti a servizio del giovane perché possa vivere libero, riconciliato e accompagnato; sono strumenti importantissimi nella misura in cui permettono al giovane di incontrare Cristo Risorto e quindi permettono al giovane di scoprire chi è, a chi appartiene e per chi la sua vita può essere un dono (Karl Rahner diceva: «Il cristiano del futuro o sarà un mistico o non sarà»).
“Signore, dove vai?”, la domanda ancorata al cuore del Vangelo di Giovanni e inserita nei nostri cuori, resta aperta e attuale. Resta una domanda che ci può spostare e che ci può continuamente rimettere in gioco.
Durante il Convegno attraverso le riflessioni, gli incontri, i momenti di preghiera e le esperienze che abbiamo vissuto, abbiamo cercato di declinarla, di offrire alcuni tratti, alcune pennellate; abbiamo cercato di offrire alcune piste in cui possiamo intravvedere che lì il Signore ci sta attendendo e ci sta interpellando. Nel nostro cammino personale verso l’età adulta, nelle nuove tecnologie, nelle grandi esperienze internazionali, nelle relazioni delicate e da tutelare, nel cuore delle nostre città, nell’arte e nel servizio, nel dialogo e nel vissuto di altre religioni che sono nel territorio nazionale, in associazioni e movimenti che si mettono a servizio del cammino di crescita dei bambini nelle città con meno possibilità economiche e culturali, nel dialogo fraterno e sincero che si è instaurato nei momenti laboratoriali e nei momenti informali; è lì che desideriamo tenere aperta costantemente questa domanda, perché è lì, nella vita, che possiamo incontrare il Vivente.
Vi auguriamo che i testi del Convegno possano essere di aiuto e di sostegno per la vostra riflessione e per il vostro cammino.

Sentirsi Caino. Verso percorsi di riconciliazione

Da Note di Pastorale Giovanile.

di Carlo Roberto Maria Redaelli, Arcivescovo di Gorizia

Ci troviamo qui stasera in luogo pieno di storia. Anche con intrecci curiosi. Alle mie spalle, lì sulla collina, dove si vede il convento francescano di Castagnevizza – siamo già al di là del confine… – si trova sepolto l’ultimo re di Francia, Carlo X, in esilio dopo la rivoluzione del 1830.
Queste montagne e queste valli sono state il luogo di sanguinose battaglie della prima guerra mondiale: qui passava il fronte tra l’Italia e l’impero austroungarico di cui Gorizia era allora parte. Una guerra assurda e sanguinosa. Non lontano da qui, sul Carso, il sacrario di Redipuglia – “cimitero” l’ha chiamato giustamente papa Francesco quando lo ha visitato nel settembre del 2014 (e spesso ricorda quel suo pellegrinaggio che lo ha portato a piangere) – sono sepolti oltre 100.000 morti, quasi 15.000 nel vicino cimitero austro-ungarico. Lì davanti si intravvede sulla collina, in una frazione di Gorizia, il sacrario di Oslavia con più di 57.000 giovani soldati uccisi dalla guerra. Di fronte a me il Monte Sabotino e a fianco il Monte santo e il San Gabriele, teatro di sconti violentissimi. Il San Gabriele, poco più di una collina, il punto più avanzato dove riuscì ad arrivare l’esercito italiano nel 1917, in 9 giorni è stato preso e conquistato 5 volte dagli italiani, impiegando 700 cannoni, 45.000 proiettili e costando 17.000 morti.
Per non citare la seconda guerra mondiale, con l’ultima battaglia nella foresta di Tarnova tra i soldati italiani e i partigiani titini e le foibe e tutto il resto. E questa divisione assurda in due di una città.
Fino a un paio di settimane fa qui c’era ancora la recinzione alta un paio di metri che spaccava in due questa piazza attribuendo alla Jugoslavia (ora alla Slovenia) una delle stazioni più belle di Gorizia: la stazione Transalpina, da cui i treni partivano per andare verso nord.
Ma il confine aveva diviso piazze, strade, terreni, case, con episodi curiosi e tragici: un cimitero diviso in due qui vicino a Merna/Miren; le case scambiate tra due famiglie amiche (me lo ha raccontato qualche anno fa una signora allora bambina), una che aveva deciso di passare nella parte italiana e l’altra di andare in quella jugolasva.
Ma anche con momenti di grande forza morale e di testimonianza evangelica, come quando a un giovane seminarista sloveno scappato dalla parte italiana, al quale i titini avevano ucciso papà e fratelli, la mamma, restata al di là del confine, aveva urlato il giorno dell’ordinazione che poteva diventare prete solo se perdonava.
Tanto dolore, provocato dalla guerra e dalle uccisioni, che dura a lungo nel tempo. Ricordo, arrivato a Gorizia da un paio d’anni, di essere stato invitato a bere un caffè a un bar da una famiglia da poco conosciuta. Mentre ero seduto al tavolino, la bambina, di sei o sette anni, mi tira per la giacca e mi dice: “Vescovo, lo sai che gli sloveni sono cattivi?”. Io rispondo che non era vero, che tutti sono bravi. E lei mi controbatte, lasciandomi senza parole: “Sì, perché hanno ucciso mio nonno”.
Quante memorie, emozioni, ricordi sono concentrati qui. Ma c’è anche tanta voglia di riconciliazione, di perdono, di pace e di fraternità. Cito solo l’associazione, “Concordia et pax” che da decenni cerca e propone segni di riconciliazione. Il presidente, un italiano, ha avuto il papà gettato in una foiba…
Come si fa a realizzare qui e altrove percorsi di riconciliazione? Anzitutto sentendosi tutti Caino. Qualche volta mi è capitato di ascoltare discussioni su chi, da una parte o dall’altra, ha avuto più morti uccisi dalla parte avversa. Ma se uno è stato di meno Caino, non per questo è diventato Abele!
E poi lavorare sempre per la pace: sempre! Perché chi lavora per la guerra, lo fa sempre: non ha ferie, non ha interruzioni. È come nella vita spirituale, se si sta fermi, in realtà si va indietro.
Lavorare con realismo e concretezza: ci sono sentimenti da controllare, gesti di riconciliazione da fare, capacità di mediazione da sviluppare, complessità da riconoscere, umiltà da vivere.
Tra l’altro la pace non può essere un valore assoluto e isolato dagli altri: se non c’è giustizia, libertà, riconciliazione, accoglienza, ecc. non può esserci pace. Ce lo ricordano da decenni ogni primo dell’anno i messaggi dei papi per la giornata mondiale della pace.
A voi che siete responsabili della pastorale giovanile nelle nostre diocesi, ricordo che il lavoro educativo per la pace si deve fare sempre e non solo quando siamo tutti coinvolti dall’emozione di una guerra vicina.
Senza mai dimenticare che è la Parola di Dio ciò che dà speranza. Che dice che solo Cristo è capace di abbattere il muro, anzitutto dentro il cuore. Da noi si dice che qualcuno, anche se il confine fisico è sparito da 30 anni, ha ancora il confine in testa…
E la Parola ci svela il mistero della croce. Proprio pensando ai tanti morti il cui sangue ha bagnato come fiumi questa magnifica terra, non mi è difficile capire il perché della croce: il massimo della nostra cattiveria. Abbiamo ucciso lo stesso Figlio di Dio. Ma la croce è anche il massimo dell’amore. Quello di Dio, che è il fondamento di ogni perdono, di ogni pace, di ogni riconciliazione, di ogni fratellanza.
Per questo vi chiedo di recitare qui con me il Padre nostro. Lo farò con voi in sloveno:

Oče naš ki si v nebesih,
posvečeno bodi tvoje ime,
pridi k nam tvoje kraljestvo,
zgodi se tvoja volja
kakor v nebesih tako na zemlji.
Daj nam danes naš vsakdanji kruh
in odpusti nam naše dolge,
kakor tudi mi odpuščamo svojim dolžnikom,
in ne vpelji nas v skušnjavo,
temveč reši nas hudega.
Amen.