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Strage di Capaci, al Ranchibile di Palermo il confronto tra due professori

Pubblichiamo un articolo uscito su Palermo Today che riporta il confronto tra due professori al Ranchibile di Palermo in ricordo  del 23 maggio, giornata della strage di Capaci.

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Più che “giorno della memoria” dovremmo segnare questa giornata che ricorda il 23 maggio del 1992, la cosiddetta strage di Capaci, come memoriale della democrazia attiva. Era l’impegno di Falcone. Rendere effettivi i diritti, tutelare il bene comune e sostenere una politica “pulita” ossia accompagnare una consistente percentuale di cittadini che all’epoca (ed anche oggi) manifestavano condizioni di debolezza. Falcone come Borsellino ed altri credevano che la lotta alla mafia non poteva ridursi solo a repressione, ma era necessario farla entrare nelle pieghe della cultura, da esprimersi come movimento culturale ed impegno morale condiviso. In cui l’arma letale sono l’educazione e la formazione.

La scuola Don Bosco Ranchibile si è concessa un break di riflessione guidato dal professore Don Massino Naro, e dal professore Nicola Filippone, a partire dalla domanda: “Quale memoria, oggi?”. Per don Naro, direttore Centro studi Cammarata di San Cataldo e docente di teologia sistematica nella facoltà Teologica di Sicilia a Palermo, “Se si sente il bisogno di commemorarlo ancora assieme a tante altre vittime di mafia è forse anche perché il ricordo di lui si va sbiadendo. Purtroppo, molti adolescenti oggi non sanno chi sia stato Giovanni Falcone. Eppure, Giovanni Falcone è stato uno tra i principali capofila della grande carovana che in Sicilia ha camminato contro corrente resistendo alla mafia”.

Don Massimo, ricordando le parole di Borsellino, dice: “I giovani riescono a disprezzare il puzzo del compromesso, dell’indifferenza, della contiguità e quindi della complicità”. Come eco s’impone la riflessione del professore Filippone, preside del Don Bosco Ranchibile, il quale sottolinea che “sarebbe stato un grosso errore far passare il 23 maggio come una giornata qualunque”. Per il professore Filippone “la mafia ed il Covid-19 hanno degli elementi in comune. La mafia è invisibile come il virus e riesce ad annidarsi anche in situazioni impensabili. Se bastasse solo la repressione la mafia non dovrebbe esistere più da anni. Ma è ancora viva ed attiva, ha cambiato solo strategia”.

La vera battaglia, spiega il preside, docente di storia e filosofia, va combattuta sul terreno culturale e su quello politico. “Il versante culturale è affidato ai docenti, agli educatori i quali devono formare le generazioni alla cultura della legalità, ma devono anche far capire ai ragazzi che va scelta la cultura della vita rispetto alla cultura della morte, propinata dalla mafia, e questa non consiste solo nella eliminazione fisica delle persone, ma anche nel calpestamento della loro dignità”. E per versante “politico” intende la politica nell’accezione classica cioè della scienza etica che insegna a rendere felici i cittadini.