Ricucire un’alleanza – Oltre la retorica della «condizione giovanile» (Pierangelo Sequeri)

Commento di Pierangelo Sequeri

Preside del Pontificio istituto Giovanni Paolo II

Sinodo sui giovani, dei giovani o con i giovani? Sono le domande che la Chiesa si va facendo, mentre cerca una formula per dire da un lato che la prossima Assemblea ordinaria del Sinodo è «dei vescovi». e dall’altro che quando si mette a tema una determinata categoria di persone si cerca di renderle protagoniste. Alla Chiesa sta a cuore che i giovani possano condividere con lei un’idea a proposito di loro stessi.
Occorre tuttavia mettere a fuoco i termini. Si parla correntemente, anche nella Chiesa, di «condizione giovanile»: un’espressione che tuttavia non va data per scontata. È solo di recente, infatti, che per «condizione giovanile» s’intende dire che i giovani sono un gruppo diverso e contrapposto rispetto agli adulti, con bisogni e desideri specifici.
Questa divisione è stata inventata dall’economia, poi assunta dalla sociologia, che ha enfatizzato l’idea che i giovani devono conquistare la propria libertà. Ma a mio avviso è una trappola che tiene separata l’umanità per venderle le cose due volte e allo stesso tempo ottenere una certa immobilità nel rapporto tra le generazioni e nel rinnovamento della storia.
I due mondi, tuttavia, sono costretti evidentemente a incontrarsi, secondo modalità non sempre prive di conflitti. I ragazzi cercano di difendere il loro mondo dall’invadenza degli adulti, che comandano perché arrivati prima.
Una difesa a oltranza che provoca frustrazione, perché viene loro a mancare l’appoggio degli adulti, a sua volta necessario.
La difesa della propria autonomia è un tema culturale diffuso, accarezzato ed esaltato dalla pubblicità. Tuttavia, poiché alla fin fine il mondo giovanile dipende da quello adulto, l’enfasi sulla specificità comunica ai ragazzi la sensazione di essere da soli. E quando ci si sente soli ci si difende e si cerca di resistere; dall’altra parte il mondo adulto si allarma.

Gli adulti patetici

Questa divisione tra mondi passa naturalmente attraverso le famiglie. Come reagisce il mondo giovanile? Se ai giovani diciamo che sono un mondo a parte e che devono vivere i propri valori e logiche, ma ciò nella realtà si rivela impossibile, non dobbiamo meravigliarci che la loro difesa oltranzista assomigli a una fuga che non morde sulla realtà, perché essi hanno bisogno dell’altra metà del mondo, quella degli adulti, quelli che hanno «le chiavi» del potere.
Sul versante invece dei genitori, molti cercano di diventare più giovani che possono e obbediscono al refrain pubblicitario che solo «finché sei giovane e gagliardo vali qualcosa». Per timore di non valere imitano i ragazzi, vivono come loro, si vestono come loro… Certo questo ha anche un aspetto positivo: il voler essere amico dei ragazzi significa non essere distante da loro, manifesta la volontà d’entrare in contatto, tuttavia un conto è colmare le distanze, un altro è il giovanilismo degli adulti: il rischio è di sembrare patetici. Anche perché gli stessi ragazzi – pur non ammettendolo volentieri – sentono la necessità di qualcuno che abbia accumulato abbastanza esperienza della vita da fare loro da sponda e sostenerli, dicendo ciò che è bene e ciò che è male.
I padri e le madri esistono per questo, queste sono le cose che i ragazzi hanno bisogno di sentirsi dire non in modo fiscale, formale, autoritario, ma in base all’esperienza: vedere un genitore che cura il bambino malato o la nonna anziana dà un orientamento su ciò che vale nella vita. Se invece noi adulti ci limitiamo a imitare la spensieratezza dei ragazzi, il loro gioco, il voler essere giovani fino a quando abbiamo già i capelli bianchi, qualcosa non torna.
Questo è il primo tema che la Chiesa deve affrontare: la separazione tra i due mondi. Essa è andata molto lontano e ha fatto sì che entrambi abbiano accumulato frustrazione senza aver trovato una forma di rapporto giusto: un’urgenza a mio avviso che attraversa tutta la condizione famigliare.
La Chiesa quindi deve interrogarsi su quale sia il modo giusto per ristabilire un rapporto tra i due mondi. metterli sul loro asse e fare in modo che la condizione giovanile venga percepita come un’iniziazione alla vera condizione umana, quella che conta, quella che fa la storia, cioè quella dell’adulto, che è in grado di prendere la parola nella comunità perché si prende delle responsabilità nella vita.
Occorre dare dignità e appeal al desiderio di diventare adulto, che è un diritto guadagnato col lavoro, con la famiglia, con ciò che si è imparato, con la maturità che ci si è guadagnata. Così si può prendere la parola nella comunità ed essere ascoltati, non solo dai ragazzi ma da tutti.
La domanda è: come si crea questo asse senza mortificare la condizione giovanile, che ha bisogno di fare i suoi esperimenti e di trovare la propria strada e non può semplicemente essere inquadrata in schemi preconfezionati? E come fare in modo che gli adulti si assumano la responsabilità d’essere il punto di traino per fare posto alla nuova generazione, senza chiudere le porte del mondo ai giovani perché ci si sente minacciati dalla loro esuberanza, ma anche senza adottare l’atteggiamento opposto e patetico di volerli scimmiottare, salvo poi tenere saldamente in mano le leve della politica, dell’economia e delle cose che contano?

La condizione umana è una

Dovremo lavorare per ristabilire un rapporto dialettico e positivo tra le generazioni, e soprattutto per ristabilire l’unità della condizione umana, che non è di tipo orizzontale, con due mondi che devono in qualche modo combattersi e difendersi l’uno dall’altro, ma è lineare, come la prospettiva della storia.
I giovani hanno il diritto a essere iniziati alla vita in modo non oppressivo o dispotico e d’arrivare alla maturità del modo di abitare la vita, che comporta per i giovani il diritto di contare e per gli adulti il diritto di rappresentare per essi una sponda capace di comprendere ciò che di nuovo ogni generazione porta con sé e di non mortificarlo, ma anche di offrirgli le condizioni e le risorse perché arrivi a valere.
Di qui una seconda riflessione. Nella ricomposizione dei due mondi tocca agli adulti – Sinodo dei vescovi – fare la prima mossa: sono loro che devono essere convinti di volere offrire la possibilità che ogni nuova generazioni porti al mondo la propria carica di novità e sostenerla in questo, pur con le sue difficoltà, ferite, frustrazioni: l’età giovanile ha diritto a essere un po’ sognatrice e a fare le proprie esperienze anche dolorose.
Ma nel fare questo occorre capire che cosa s’intende per «vocazione»: «I giovani, la fede e il discernimento vocazionale» è, infatti, il tema di questo Sinodo. La vocazione è in generale l’apertura alla vita e la personalizzazione che di essa ciascuno deve fare, secondo un nome e un cognome precisi. Non si tratta solo di scegliere una professione o una condizione di vita, ma un’intonazione personale nell’esistenza, che io traduco con il concetto di «destinazione».
È un’idea che deve essere sottratta al fatalismo, che un tempo era religioso e oggi è di tipo evoluzionistico, e che ci dice che siamo insetti ingegnosi fatti di organismi, di materia, di polvere di stelle, abili predatori e consumatori che hanno come obiettivo il godimento del mondo e la sopravvivenza a spese altrui. Questa rappresentazione dell’umano che filtra dalle ideologie che si appoggiano alla scienza – ma non ne avrebbero il diritto – è molto mortificante: bisogna dirlo ai ragazzi. Non siamo un grumo di cellule! Siamo umani!
E condizione umana significa essere in grado d’indagare sulla propria destinazione, sul perché ci sentiamo attratti e verso dove siamo destinati a indirizzare le nostre risorse migliori.
Solo una volta individuata in tutta libertà la nostra destinazione capiremo quali sono le nostre risorse e il loro scopo; scopriremo in definitiva chi è la persona che abbiamo ricevuto il compito molto misterioso di rendere felice. Se scopriremo questo saremo felici anche noi: è un grande segreto della vita, di cui il Vangelo porta la chiave.
Se invece ci domanderemo innanzitutto «come posso essere felice?», e poi dopo vediamo che cosa fare con gli altri, non raggiungeremo nessuno dei due obiettivi: rimarremo senza destinazione nella vita e non saremo felici, perché guardando solo in sé stessi non si troverà una felicità definitiva.

Chi devo rendere felice?

La cultura dell’individualismo e del godimento a tutti i costi ha inquinato la ricerca della destinazione e ha posto la domanda in questi termini: «Qual è il modo migliore per godere la vita?». È la strada peggiore, perché è falso pensare che accumulare risorse mi renda felice.
Infatti alle nostre latitudini i ragazzi stanno diventando infelici e l’Europa è un’incubatrice di generazioni infelici e malinconiche, alle quali non basta niente e che devono vincere la noia. Questo male di vivere deriva dalla trappola creata dalla domanda su che cosa posso trovare dentro di me per nutrirmi di godimento ed essere felice. I giovani stessi possono insegnarci come disinnescarla, se si lasciano afferrare dall’idea che c’è un segreto del proprio compimento, che consiste nell’interrogarsi creativamente su chi sono destinato a rendere felice e su che cosa posso inventarmi per abbellire il mondo.
Allora si potranno scoprire molte cose su sé stessi, che altrimenti non si scopriranno mai e capire la verità della parola evangelica che dice che se si dona la vita la si guadagna cento volte.
A prima vista in un mondo come il nostro questa potrebbe apparire una sfida impossibile. La Chiesa è invece convinta che i giovani siano in grado di assumerla se incoraggiati. Ne trarranno vantaggio anche gli adulti, che smetteranno di essere patetici imitatori degli adolescenti e faranno loro sponda, sostenendoli nella ricerca della loro destinazione.
Quando la Chiesa parla di vocazioni parla di questo, ma per non rischiare di rimanere imprigionata in una tradizione troppo limitata di questo termine si rivolge ai giovani e chiede loro: «Che cosa vi serve, che cosa pensate, quali sono le difficoltà che provate quando cercate di porvi questa vera domanda?». Questa è la domanda che dobbiamo porci insieme, e sono sicuro che anche la Chiesa ci guadagnerà se riusciremo a stringere questa alleanza.

(Il testo è una rielaborazione della riflessione che l’autore ha pubblicato sul canale Youtube della diocesi di Milano https://www.youtube.com/watch?v=w5seoIU4kHM. REGNO – ATTUALITÀ 2/2018, pp. 8-9)

Un Sinodo sui giovani – La Lettera di papa Francesco (Lilia Sebastiani)

Lilia Sebastiani

Il tema-Sinodo dopo la grande attenzione mediatica quasi esasperata con cui era stata seguita la prima fase di quello 2014-2015 sulla famiglia – un po’ meno la seconda fase, forse, in cui già all’inizio si avvertiva l’impressione di un certo ripiegamento – era rientrato nel silenzio dell’ordinarietà. Adesso si risveglia: più sottovoce e con limitato coinvolgimento mediatico, il che del resto potrebbe essere un fatto positivo. È stato deciso (e comunicato fin dal 6 ottobre 2016) che la prossima assemblea generale ordinaria del Sinodo dei Vescovi, la quindicesima, nell’ottobre 2018, verterà sul tema dei giovani: precisamente I giovani, la fede e il discernimento vocazionale.
Perché questa scelta? La spiegazione offerta da un nota della Sala Stampa vaticana («Dimostra una sollecitudine pastorale della Chiesa verso i giovani») è di tono parecchio ecclesiastico e nel solco della tradizione. La stessa nota dice pure che papa Francesco ha scelto il tema «dopo aver consultato (…) le Conferenze episcopali, le Chiese orientali cattoliche sui iuris e l’Unione dei superiori generali, nonché aver ascoltato i suggerimenti dei Padri della scorsa Assemblea sinodale e il parere del XIV Consiglio ordinario». Tutto irreprensibile, certo, ma non dà esattamente l’impressione di una chiesa in uscita, per usare l’espressione tanto cara a papa Francesco e ormai entrata (buon segno) nel linguaggio ecclesiale corrente.
Ancora: «intende accompagnare i giovani nel loro cammino esistenziale verso la maturità affinché, attraverso un processo di discernimento, possano scoprire il loro progetto di vita e realizzarlo con gioia, aprendosi all’incontro con Dio e con gli uomini e partecipando attivamente all’edificazione della Chiesa e della società», e qui si comincia a scorgere uno spiraglio di novità e si chiarisce meglio l’intenzione di papa Francesco. Egli assume un atteggiamento di ascolto, si propone di accompagnare, e invita i vescovi a fare lo stesso, e prima ancora si propone di ascoltare i giovani: un processo che può solo cominciare dal ‘vicino’, cioè dal loro cammino di vita cristiana (nei casi in cui di un tale cammino si possa parlare, che non sono la maggioranza), dalle loro domande esistenziali e religiose; ma non solo.
Infatti il discernimento vocazionale di cui si parla riguarda tutte le scelte di vita, e riguarda eventualmente le vocazioni di speciale consacrazione, ma anche l’impegno nel matrimonio, negli studi, nel lavoro. Questa non sarebbe una novità, il tema vocazionale è già affiorato in diverse assemblee sinodali in riferimento a diverse scelte e condizioni di vita (molto presente anche nell’ultimo Sinodo sulla famiglia), ma in questo caso la vita come chiamata, l’importanza del discernimento -quindi la centralità dello Spirito – sono centrali nell’approccio all’universo giovanile.
In effetti nella situazione dei giovani che possiamo scorgere intorno a noi, nella confusa polifonia di voci che troppo spesso rendono frammentata la loro esperienza fino a diventare una specie di a-fonia un po’ troppo fragorosa, l’aspetto più carente e confuso sembra proprio la dimensione educativa e in particolare il discernimento.

La lettera ai giovani

Chi sono i giovani? La definizione di partenza, dichiaratamente insufficiente però, è di ordine anagrafico: sotto il termine giovani vengono intesi quelli la cui età è compresa tra i 16 e i 29 anni. Una fascia molto ampia quindi, che comprende momenti diversissimi dell’esistenza, da un individuo all’altro, da un ambiente all’altro, da una civiltà all’altra. Il papa appare ben consapevole della necessità di adattare ogni analisi, ogni proposta, alle diverse realtà locali, come viene spiegato in modo dettagliato e organizzato nel documento preparatorio. La lettera di papa Francesco colpisce anche per la sua brevità. Forse perché è uno scritto che serve solo a stabilire un contatto iniziale, perché la riflessione non è stata ancora avviata; ma si potrebbe anche pensare che il papa abbia tenuto conto del fatto che i giovani sono oggi abituati di solito a comunicazioni molto essenziali (sms, chat…), anche troppo essenziali, non di rado a spese dell’approfondimento.
È una lettera semplice, diretta, affettuosa («Ho voluto che foste voi al centro dell’attenzione perché vi porto nel cuore»), senza retorica. La centralità del discernimento emerge subito: «Vi invito ad ascoltare la voce di Dio che risuona nei vostri cuori attraverso il soffio dello Spirito Santo». Insiste sul tema dell’uscire, in riferimento alla chiamata da Dio rivolta ad Abramo (Gen 12,1), e, nel NT, sulla chiamata dei primi discepoli sottolineando che uscire non significa fuggire, ma dischiudere nuovi orizzonti.
«Qual è per noi oggi questa terra nuova, se non una società più giusta e fraterna che voi desiderate profondamente e che volete costruire fino alle periferie del mondo?». E più avanti: «Un mondo migliore si costruisce anche grazie a voi, alla vostra voglia di cambiamento e alla vostra generosità. Non abbiate paura di ascoltare lo Spirito che vi suggerisce scelte audaci, non indugiate quando la coscienza vi chiede di rischiare per seguire il Maestro».
È importante che la Chiesa si impegni ad ascoltare i giovani, mentre ai giovani non si chiede, almeno prioritariamente, di ascoltare la Chiesa; ma di farsi sentire con piena fiducia. «Pure la Chiesa desidera mettersi in ascolto della vostra voce, della vostra sensibilità, della vostra fede; perfino dei vostri dubbi e delle vostre critiche. Fate sentire il vostro grido, lasciatelo risuonare nelle comunità e fatelo giungere ai pastori. San Benedetto raccomandava agli abati di consultare anche i giovani prima di ogni scelta importante, perché ‘spesso è proprio al più giovane che il Signore rivela la soluzione migliore’ (Regola di San Benedetto III, 3)».
È quasi un tòpos obbligato che gli scritti papali si concludano con un riferimento a Maria, ma quello che si trova al termine della Lettera ai giovani sembra più dinamico e stimolante: il papa invita i giovani a «intraprendere un itinerario di discernimento per scoprire il progetto di Dio» per realizzare in maniera gioiosa e piena la loro vita, e li affida a Maria di Nazareth, che per prima ha compiuto questo cammino, accogliendo con il suo «sì» la Parola di Dio nella sua vita.
Maria vi appare come una giovane in ricerca e in ascolto, «una giovane (…) a cui Dio ha rivolto il Suo sguardo amorevole», come una discepola in cammino.

Chiesa in uscita, Chiesa ‘prossima’

In occasione di diversi sinodi precedenti, una critica ricorrente (forse un po’ sbrigativa, certo però non ingiusta) riguardava la formula. Si diceva in sostanza che un gruppo di vescovi, anche qualificato e benintenzionato, riunito «per parlare di», forse non poteva offrire al mondo nulla di realmente nuovo. I laici, gli sposi cristiani o no, la famiglia, i giovani… non possono essere solo oggetto di riflessione e destinatari di un messaggio conclusivo, fosse pure illuminato e illuminante quanto si vuole: quel messaggio correrebbe il rischio di restare sostanzialmente inascoltato e anzi sconosciuto.
La comunicazione a senso unico e priva di feedback è un limite storico della chiesa; se una volta sembrava cosa ovvia, oggi comincia ad essere percepito come inaccettabile. Il peggio è che non suscita, di solito, critica o ribellione (le quali sottintenderebbero comunque un interesse, una qualche forma di rapporto), ma disinteresse ed estraneità.
Ancora non sappiamo come andranno le cose quando i lavori del Sinodo saranno entrati nel vivo, ma le intenzioni appaiono diverse e trasformative.
Alla conferenza stampa di presentazione del Sinodo erano presenti anche due giovani, entrambi della parrocchia di S. Tommaso Moro in Roma: la ventiquattrenne Federica Ceci, responsabile della Scuola di formazione sociale e politica, e Elvis Do Ceu, 21 anni, catechista, i quali hanno dichiarato la loro gratitudine a papa Francesco per aver voluto rendere i giovani «interlocutori privilegiati di una Chiesa in uscita e in dialogo con le nuove generazioni» e hanno espresso il loro obiettivo con parole che ricordano lo stile di papa Francesco: «… Sporcarci le mani, vivendo nella società non da spettatori ma da protagonisti attivi e consapevoli».
In ordine al Sinodo e alla sua preparazione, osservazioni notevoli per acutezza e umanità sono state espresse in un’intervista da don Michele Falabretti, responsabile del SNPG (Servizio nazionale per la pastorale giovanile della CEI), che nel documento preparatorio e nella Lettera ai giovani ha sottolineato la dimensione di sfida che questo Sinodo può costituire per la comunità cristiana, «che deve essere generativa della fede».
Riferendosi in particolare all’ultima GMG (svoltasi a Cracovia), d. Falabretti sottolinea che «i ‘nostri’ non esistono più. Ci sono tanti ragazzi venuti alla GMG che normalmente non appartengono ai circuiti di nostra conoscenza. I giovani oggi hanno tante appartenenze e la pastorale giovanile non può essere qualcosa che si aggiunge alla loro vita. Il tempo del gruppo deve diventare la possibilità per il giovane di fare sintesi di tutto il resto, scuola, famiglia, passioni, hobby, di costruirsi una biografia dove mettere insieme vita e Vangelo».
E raccomanda, pensando al Sinodo che si aprirà nel 2018, che la Chiesa e gli adulti in genere non guardino i giovani da lontano, in questi quasi due anni che ancora mancano all’evento, «come se registrassero i loro movimenti attraverso una telecamera montata su un drone», cioè come una realtà esterna che li osservi dall’alto e da lontano, ma che li accompagnino nel cammino.

Un viaggio della Chiesa: il documento preparatorio

Sempre più si ha l’impressione che questo Sinodo che deve aprirsi sia chiamato ad ascoltare i giovani per parlare di loro / a loro / con loro, ma forse non solo questo. Se funzionerà, infatti, sarà per tutta la Chiesa una grande occasione di riflettere su se stessa: anche per gli adulti al suo interno, vescovi e operatori pastorali in primo luogo, provocati a riflettere sulla loro fede.
Non è possibile comprendere davvero la Lettera ai giovani se non la si considera insieme al Documento preparatorio, pubblicato anch’esso il 13 gennaio, a cui il papa scrivendo fa esplicito riferimento.
Ha ancora un carattere molto generale ed è volto soprattutto a delineare intenzioni e a raccogliere dati affidabili sulla concreta situazione dei giovani nelle diverse parti del mondo. Le intenzioni del Sinodo si faranno più leggibili quando, sulla base di questi dati, verrà pubblicato l’Instrumentum Laboris, punto di riferimento per la discussione che verrà condotta in assemblea dai Padri sinodali.
Il Documento preparatorio intanto si pone in continuità con il cammino che la Chiesa sta percorrendo con papa Francesco; rinvia molto riconoscibilmente in più punti all’Evangelii gaudium e all’esortazione postsinodale Amoris laetitia (che verteva sull’amore e sulla famiglia, ma in cui, è stato osservato, i giovani venivano nominati ben 36 volte).
Il Documento preparatorio che il papa affida ai giovani come una bussola per orientarsi nel cammino raccomanda fra l’altro ai vescovi e agli operatori pastorali in genere di «uscire dai propri schemi preconfezionati, incontrando [i giovani] lì dove sono, adeguandosi ai loro tempi e ai loro ritmi» e uscendo da «quelle rigidità che rendono meno credibile l’annuncio della gioia del Vangelo».
A conclusione del testo viene pubblicato un primo questionario indirizzato ai giovani di tutte le diocesi del mondo – non un’appendice, ma un contenuto fondamentale -, al quale seguirà una seconda consultazione di tutti i giovani attraverso un sito Internet appositamente dedicato, con un questionario sulle loro aspettative e la loro vita.
Dall’Evangelii Gaudium in particolare proviene una doppia triade di verbi: uscire -vedere – chiamare (che risponde alla domanda centrale, «Che cosa significa per la Chiesa accompagnare i giovani ad accogliere la chiamata alla gioia del Vangelo, soprattutto in un tempo segnato dall’incertezza, dalla precarietà, dall’insicurezza?»). E poi riconoscere – interpretare – scegliere, in cui è condensata la dinamica del discernimento vocazionale.
L’invito vocazionale a ‘uscire’ non è rivolto solo ai giovani, ma alla Chiesa tutta. Uscire non significa solo andare da un’altra parte, ma «abbandonare gli schemi che incasellano le persone, (…) ridestare il desiderio, smuovere le persone da ciò che le tiene bloccate, porre domande a cui non ci sono risposte preconfezionate».
E quindi, viene detto apertamente, anche uscire da quelle rigidità – di idee ma anche di stile espressivo – che troppo spesso rendono meno credibile l’annuncio della gioia del Vangelo, da un modo di essere Chiesa che a volte risulta anacronistico.
Le vocazioni sono tante e nello stesso tempo si tratta di una sola: la vocazione all’amore, che nella vita quotidiana assume per ciascuno una forma concreta attraverso una serie di scelte: «Assunte o subite, consapevoli o inconsapevoli, si tratta di scelte da cui nessuno può esimersi. Lo scopo del discernimento vocazionale è scoprire come trasformarle, alla luce della fede, in passi verso la pienezza della gioia a cui tutti siamo chiamati».

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Verso il Sinodo dei giovani in nove tappe (Luciano Moia)

Luciano Moia

Caporedattore del mensile di Avvenire

Avvenire23 febbraio 2017:

Educare. Come? Quando? Con quali parole? Sono i grandi interrogativi che accompagnano il cammino verso il Sinodo dei giovani che si svolgerà nell’ottobre 2018. Un momento di riflessione serio e impegnativo in cui la Chiesa sarà chiamata a suggerire pensieri e strategie per riproporre ai giovani la verità del Vangelo in modo semplice, efficace, attraente. Il cuore del problema sarà quello educativo. Il punto di partenza il doppio Sinodo 2014-2015 sulla famiglia. Al tema papa Francesco dedica il settimo capitolo di Amoris laetitia, (‘Rafforzare l’educazione dei figli’), proprio per ribadire che qualsiasi riflessione educativa deve avere sullo sfondo il ruolo dei genitori, primi responsabili dell’educazione dei figli. Il collegamento è stato ribadito anche dal cardinale Lorenzo Baldisseri, segretario generale del Sinodo dei vescovi, che ha affrontato il tema in un ampio intervento di fronte ai docenti dell’Università Lateranense. Dopo aver ricordato il grande impegno della Chiesa italiana a proposito delle sfide educative – sfociato tra l’altro negli orientamenti pastorali del decennio con il documento Educare alla vita buona del Vangelo – Baldisseri ha suggerito nove linee guida.

1 – L’ascolto dei giovani. Come riuscirci? Innanzi tutto «uscendo dai propri schemi preconfezionati, incontrandoli lì dove sono, adeguandosi ai loro ritmi». Ma anche ascoltando le loro storie. Baldisseri ha proposto quella di una ragazza russa di 26 anni, Ksenia, adottata da una famiglia italiana quando ne aveva nove, che ha tradotto in versi aspettattive e delusioni.

2 – Come i giovani percepiscono gli adulti. «L’azione educativa fallirà – ha sottolineato il porporato – se non è sorretta da un esempio di vita coerente con quanto annunciato e richiesto».

3 – Far emergere il positivo. I giovani devono essere aiutati «a scoprire e valorizzare gli aspetti positivi e le capacità che sono già presenti dentro di loro».

4 – Indicare obiettivi chiari. In una società frammentata come la nostra i giovani rischiano di disperdersi. Occorre «contribuire a far nascere in loro motivazioni autentiche»

5 – Educare i sentimenti per educare all’amore. Una dimensione spesso dimenticata che riveste invece un ruolo «a volte decisivo nelle scelte che fanno».

6 – Educare ai valori. Il compito fondamentale di non trasmettere solo competenze ma anche valori come accoglienza, discernimento, solidarietà, sobrietà, legalità, custodia del creato.

7 – Scommettere sui giovani. Baldisseri ha ribadito che sono la prima risorsa della società. Impossibile pensare a una umanità e una Chiesa in uscita senza dare spazio ai giovani.

8 – L’importanza della comunità educante. Dopo le dinamiche attivate dalla famiglia, è l’intera comunità, nella diversità dei ruoli, che deve sentirsi responsabile del compito educativo.

9 -Volere il loro bene. «Accompagnarli con un atteggiamento di affetto, cura ed attenzione – ha concluso il segretario generale del Sinodo dei vescovi – affinché raggiungano e vivano il loro bene».

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Accompagnare – La Chiesa in uscita con e per i giovani (Card. Lorenzo Baldisseri)

Cardinale e Arcivescovo Lorenzo Baldisseri

5º segretario generale del Sinodo dei Vescovi

(Conferenza nell’ambito della Giornata di incontro e ascolto per educatori e giovani dal titolo: Il vento favorevole. Da un incontro simpatico con Cristo verso il Sinodo dei giovani 2018 – Piacenza, 10 marzo 218)

Introduzione

«Ho sempre la sensazione di dover perdere tutto ciò a cui tengo,
Forse perché ho perso tanto, troppo…
E questo mi porta a tante difficoltà.
Ce n’è una di quelle più difficili da superare:
perché quando tutti parlano e cerco di inserirmi nella conversazione,
nessuno mi ascolta?
(…)
Ci sono due donne dentro di me,
una è forte e decisa…
l’altra è una bambina fragile,
proprio come un fiore.
La prima sa cosa è giusto,
la seconda non riesce a distinguere ciò che non è giusto…
il più grande errore è quello di mettere tante spine attorno a
me per evitare che qualcuno mi ferisca.
Sono fatta di mancanze.
Il mio cuore è malato, non è a pezzi,
ma gonfio di cicatrici mai rimarginate…
La cosa più grande che desidero è di essere amata,
voluta, desiderata, e compresa
ricevendo piccole attenzioni attraverso piccoli gesti di affetto…
Sentirmi donna anch’io!»

Buonasera a tutte e a tutti. Ringrazio vivamente la Comunità Papa Giovanni XXIII per aver voluto invitarmi a partecipare a questo Convegno, che ha un titolo fortemente evocativo: Il vento favorevole. Da un incontro simpatico con Cristo verso il Sinodo dei giovani 2018.
Saluto cordialmente tutti i presenti. Mi fa particolarmente piacere sapere che il mio intervento è previsto secondo una modalità interattiva: alla mia relazione seguiranno infatti le domande dei partecipanti, che ci daranno l’opportunità di instaurare uno scambio certamente interessante e fecondo. Il tema affidatomi, Accompagnare. La Chiesa in uscita con e per i giovani: il dono di un Sinodo, si inserisce perfettamente nella tematica di tutto il Convegno. Come una barca in mezzo al mare, la Chiesa viaggia nel tempo e nello spazio, all’interno di culture e società molteplici e differenti tra loro. Questo Sinodo, sulla scia dell’entusiasmo e della voglia di rinnovamento dei giovani che ne costituiscono l’anima, potrebbe essere quel vento favorevole che accompagna la Chiesa e, forse anche l’umanità, verso un futuro migliore ed un mondo che sia, allo stesso tempo, più umano e più divino.

Un Sinodo dedicato ai giovani

Le parole con cui ho iniziato il mio intervento non sono mie. Penso che l’abbiate capito, almeno perché chi parlava era una donna….. Ho voluto iniziare proponendovi alcune righe di una poesia scritta da Ksenia, una ragazza russa di 27 anni, adottata da una famiglia italiana quando ne aveva nove. La sua testimonianza è in qualche modo rappresentativa del vissuto di tanti giovani.
È proprio pensando con tenerezza e affetto all’esistenza concreta di ragazzi e ragazze come Ksenia che Papa Francesco ha deciso che il Sinodo 2018 fosse dedicato ai giovani. Lo dice chiaramente nella Lettera che ha indirizzato loro in occasione della presentazione del Documento Preparatorio nel gennaio 2017: “Ho voluto che foste voi al centro dell’attenzione perché vi porto nel cuore”.
Posso dire, comunque, che questo tema sta a cuore realmente a tutta la Chiesa. Infatti, nello sceglierlo, il Papa ha recepito i risultati di una lunga e articolata consultazione, che ha visto coinvolti innanzitutto i membri dell’ultima Assise sinodale sulla famiglia. Successivamente è stato chiesto alle Conferenze Episcopali. ai Sinodi delle Chiese orientali, ai Dicasteri della Curia Romana e all’Unione dei Superiori Generali di indicare una terna di argomenti, motivandone la scelta. Le indicazioni provenienti da questa consultazione sono state attentamente valutate nel Consiglio di Segreteria del Sinodo. Infine, il Santo Padre ha voluto consultare anche i Cardinali nel Concistoro tenutosi nel giugno del 2017. Sentito il parere di tanti, ha potuto constatare il grande interesse che nella vita della Chiesa rivestono i giovani. La comunità ecclesiale è chiamata quindi a riflettere sulla condizione giovanile, tenendo però presente un’ottica particolare, quella del discernimento vocazionale. La parola ‘vocazione’ va intesa primariamente in senso ampio. Occorre tenere presente, infatti, innanzitutto che «la vocazione alla gioia dell’amore è l’appello fondamentale che Dio pone nel cuore di ogni giovane perché la sua esistenza possa portare frutto» (Documento Preparatorio, II,1). Questa vocazione all’amore, che ci accomuna tutti, successivamente «assume per ciascuno una forma concreta nella vita quotidiana attraverso una serie di scelte» (Documento Preparatorio, Introduzione), a cominciare da quella dello stato di vita (matrimonio, ministero ordinato, vita consacrata, ecc.). Per questo, il Sinodo si rivolge a tutti i giovani dai 16 ai 29 anni, nessuno escluso.
Ovviamente non basta solo riflettere sul tema scelto. Occorre che siamo tutti consapevoli della necessità di una rinnovata cura dei giovani, caratterizzata da un’attenzione amorevole, attenta, discreta, solida e fondata nel ricco patrimonio che deriva dalla nostra fede in Gesù Cristo. Una cura che non li tratti ‘in generale’, come ‘categoria sociologica’, ma che sia rivolta a ciascuno di loro, nella sua situazione concreta, tenendo conto della sua personalità unica e irripetibile. I giovani non vanno considerati come ‘oggetto’ dei nostri piani pastorali, ma come ‘soggetti attivi’ della costruzione della loro vita e protagonisti dell’opera di evangelizzazione della Chiesa.

Le iniziative adottate dalla Segreteria Generale per ascoltare i giovani

Avere cura dei giovani e prestare attenzione alla loro vita concreta significa accompagnarli nel percorso della loro esistenza, «affiancandoli nell’affrontare le proprie fragilità e le difficoltà della vita, ma soprattutto sostenendo le libertà che si stanno ancora costituendo» (Documento Preparatorio, II) al fine di aiutarli a prendere decisioni significative per il loro futuro. Questo accompagnamento non può che avere il suo punto di partenza nell’ascolto. Ascoltare ciò che hanno da dire, da criticare, da proporre.
Nella Lettera indirizzata ai giovani, Papa Francesco, li incoraggia a non avere paura di ascoltare lo Spirito che suggerisce di compiere scelte audaci e di non indugiare quando la coscienza chiede “di rischiare per seguire il Maestro”. Si rivolge poi direttamente a loro dicendo che «pure la Chiesa desidera mettersi in ascolto della vostra voce, della vostra sensibilità, della vostra fede; perfino dei vostri dubbi e delle vostre critiche. Fate sentire il vostro grido, lasciatelo risuonare nelle comunità e fatelo giungere ai Pastori». (Papa Francesco, Lettera ai giovani)
Per favorire il più possibile questo ascolto, la Segreteria Generale del Sinodo ha promosso cinque iniziative in aggiunta a quelle che abitualmente hanno caratterizzato la fase della consultazione del popolo di Dio nei precedenti Sinodi.
– La prima è stata l’allestimento di un sito web (indirizzo: www.synod2018.va) e la presenza in alcuni social network – twitter, facebook, whatsapp – (nome di accesso: synod2018). I giovani possono così ricevere informazioni sull’andamento del processo sinodale ed accedere a vari contenuti riguardanti il tema. Allo stesso tempo, possono postare commenti, video, informazioni ed interagire così con la Segreteria del Sinodo e tra di loro.
– La seconda iniziativa si è tenuta nel marzo dell’anno scorso all’interno dell’Incontro dei Responsabili della Pastorale Giovanile di tutte le Conferenze Episcopali e dei movimenti del mondo, organizzato dal Pontificio Consiglio per i Laici, la Famiglia e la Vita. Per due giorni interi, i Responsabili ed i giovani partecipanti hanno potuto approfondire i contenuti del Documento Preparatorio ed elaborare delle interessanti relazioni come frutto del loro lavoro.
– La terza iniziativa è stata il questionario online, attivo in rete dal 14 giugno al 31 dicembre 2017. Esso conteneva domande di tipo diverso rispetto a quelle che sono state indirizzate alle Conferenze Episcopali nel Documento Preparatorio. Si rivolgeva, infatti, direttamente ai giovani, affinché facessero conoscere le loro situazioni concrete di vita ed esprimessero la loro opinione su alcune tematiche importanti riguardanti la Chiesa e la società.
Vi hanno partecipato giovani da tutto il mondo, dalla Nuova Zelanda all’Uganda, dal Venezuela all’Iraq e all’Ucraina. I contatti sono stati 220.238 e le risposte completate 100.523. A queste andrebbero aggiunte più di 10.000 in lingue diverse da quelle richieste ufficialmente. I risultati completi dell’analisi delle risposte al questionario online sono ancora in fase di elaborazione sia dal punto di vista statistico che da quello contenutistico. Sappiamo, comunque, che l’Europa fa la parte del leone per quanto riguarda il numero delle risposte, con il 56.4 per cento del totale. Sul podio anche l’America Centrale e del Sud, con il 19.8 per cento delle risposte totali, e l’Africa, con il 18.1 per cento.
La fascia d’età che si è mostrata maggiormente interessata è stata quella che va dai 16 ai 19 anni. Il 50.6 per cento delle risposte provengono da questa fascia. Poi si va a decrescere. Il 27.7 per cento sono quelle della fascia d’età tra i 20 ed i 24 anni ed il 21.7 per cento per la fascia dai 25 ai 29 anni.
– La quarta iniziativa è stata il Seminario internazionale sulla condizione giovanile nel mondo, tenutosi a metà settembre dell’anno scorso. Ad esso hanno partecipato una cinquantina di Esperti della condizione giovanile provenienti dai 5 Continenti e sono stati invitati una ventina di giovani, anch’essi provenienti da tutto il pianeta. Le tematiche affrontate hanno riguardato i giovani in relazione alla loro ricerca di identità, al rapporto con gli altri, al mondo dello studio, del lavoro, della politica, del volontariato, della tecnologia e della religione.
– La quinta ed ultima iniziativa si terrà dal 19 al 24 di questo mese a Roma. Si tratta della Riunione pre-sinodale, alla quale sono stati invitati circa 300 giovani provenienti dalle Conferenze Episcopali e dalle Chiese Orientali, dalla vita consacrata e da coloro che si preparano al sacerdozio, da Associazioni e Movimenti ecclesiali, da altre Chiese e comunità cristiane e da altre Religioni, dal mondo della scuola, dell’università e della cultura, del lavoro, dello sport, delle arti, del volontariato e del mondo giovanile che si ritrova nelle estreme periferie esistenziali, nonché esperti, educatori e formatori impegnati nell’aiuto ai giovani per il discernimento delle loro scelte di vita. Obiettivo della Riunione pre-sinodale è l’elaborazione di un documento che sia frutto di un lavoro che nasca direttamente dai giovani, che potranno così esprimere senza filtri il loro punto di vista sulla condizione giovanile, far conoscere situazioni che a volte non sono sotto i riflettori dei media, suggerire proposte per migliorare la vita della Chiesa e della società. Esso verrà offerto alla riflessione e all’approfondimento dei Padri sinodali, in modo che la voce propria dei giovani possa giungere fin dentro l’Aula dove si svolgerà l’Assemblea Generale.
E adesso dico qualcosa di importante, forse la novità delle novità. Giovani, soprattutto voi, aprite bene le orecchie. Oltre a quelli che saranno fisicamente presenti a Roma, a questa Riunione pre-sinodale potranno partecipare tutti i giovani del mondo, tramite i social network. Sono state infatti aperte 6 pagine Facebook, una per ognuna delle principali lingue, alle quali i giovani da 16 ai 29 anni possono iscriversi per far pervenire ‘in tempo reale’ le loro opinioni e i loro suggerimenti sulle stesse tematiche che verranno trattate a Roma. Alcuni giovani raccoglieranno i loro commenti e li uniranno alle relazioni dei gruppi di lavoro presenti a Roma. Si formeranno così 6 “gruppi della rete”, che contribuiranno alla stesura del documento finale alla pari dei giovani che saranno a Roma. Per iscriversi, occorre visitare: www.synod2018.va oppure andare su: facebook.com/synod2018

Dall’ascolto all’accompagnamento

Ascoltare i giovani direttamente, quindi. All’inizio abbiamo ascoltato Ksenia. Ora ascoltiamo una ragazza, alunna in una classe Seconda Superiore di una scuola di Modena, la quale ha scritto una lettera al Papa presentandogli cosa vivono i giovani di oggi secondo lei. Nelle sue parole ritroviamo anche un accorato appello lanciato al ‘mondo degli adulti’:
«Penso che noi giovani d’oggi abbiamo un forte bisogno di aiuto; anche nei nostri silenzi e nella nostra finta indifferenza c’è una richiesta di aiuto. Siamo sempre più carichi di stress e di pretese, stiamo implodendo di richieste e di impegni; siamo spesso troppo fragili per sopportare questo fardello e ci scarichiamo su cose e con cose di cui non dovremmo nemmeno essere a conoscenza. Siamo soli e abbandonati a esperienze troppo impegnative per i nostri pochi anni di vita. La cosa che mi terrorizza è che molti giovani si tolgono la vita proprio perché si sentono soli, e in realtà non lo sono mai stati. Ho passato dei momenti veramente bui e proprio in mezzo a tutto il mio dolore e apparente solitudine ho trovato la Chiesa. Frequento tutte le settimane la mia parrocchia, mi aiuta e mi conforta. Basta poco per salvarci. Abbiamo bisogno di sentirci presi per mano, o quanto meno renderci conto che la “persona” che ci ha donato la vita ci ama e non smetterà mai di farlo. Più che soli, siamo solo ricoperti di strati e strati di inutili pretese che ci annebbiano l’anima e ci fanno perdere il cammino. Abbiamo spesso paura dell’amore, non lo riusciamo a riconoscere, immersi in un caotico mondo che si sta trasferendo all’interno di un cellulare. Insegnateci ad amare amandoci. Smettete di disprezzare una società messa in pericolo dall’incapacità di amare».
Questa ragazza è come se fosse la portavoce di tantissimi suoi coetanei. La Chiesa non può essere indifferente al senso di smarrimento che le sue parole comunicano, al suo grido di aiuto, alla esplicita richiesta di ‘compagnia’, che in ultima istanza si può tradurre in questa semplice frase: “Abbiamo bisogno che qualcuno ci accompagni nel cammino della vita”. Posso affermare che la comunità ecclesiale non è indifferente a questo appello. Si legge nel Documento Preparatorio: «Attraverso il percorso di questo Sinodo, la Chiesa vuole ribadire il proprio desiderio di incontrare, accompagnare, prendersi cura di ogni giovane, nessuno escluso. Non possiamo né vogliamo abbandonarli alle solitudini e alle esclusioni a cui il mondo li espone. Che la loro vita sia esperienza buona, che non si perdano su strade di violenza o di morte, che la delusione non li imprigioni nell’alienazione: tutto ciò non può non stare a cuore a chi è stato generato alla vita e alla fede e sa di avere ricevuto un dono grande» (DP, II).
Accompagnare i giovani nel loro percorso di vita è un’esperienza affascinante, ma non è certamente un compito facile. Non si può pensare di assolvere questo compito senza lasciarsi mettere in discussione dai giovani che si incontrano e dalle variegate situazioni di vita in cui essi si trovano. Occorre che siamo ben consapevoli di questo. Lo stesso Documento Preparatorio ci ricorda opportunamente che «accompagnare i giovani richiede di uscire dai propri schemi preconfezionati, incontrandoli lì dove sono, adeguandosi ai loro tempi e ai loro ritmi; significa anche prenderli sul serio nella loro fatica a decifrare la realtà in cui vivono e a trasformare un annuncio ricevuto in gesti e parole, nello sforzo quotidiano di costruire la propria storia e nella ricerca più o meno consapevole di un senso per le loro vite» (DP, III, 1).
Ma i giovani non chiedono solo di avere qualcuno vicino che li aiuti a superare i loro momenti difficili o il loro senso di vuoto. La nostra esperienza comune evidenzia che molti di loro esprimono il bisogno e il desiderio di essere accompagnati in un processo di discernimento che li aiuti a trovare la loro ‘strada nella vita’. I tre verbi che nella Evangelii Gaudium, caratterizzano il percorso di discernimento – ovvero riconoscere, interpretare e scegliere – ci forniscono delle valide indicazioni per delineare un itinerario adatto di accompagnamento dei giovani (cfr. EG, 51). Un itinerario che possiamo sintetizzare in tre compiti fondamentali:
1. Primo compito. Illuminare il percorso personale di riconoscimento di ciò che avviene nel loro mondo interiore. Illuminare vuol dire accendere la luce perché il giovane veda come il Signore opera nel profondo del suo cuore. Non vuole dire, quindi, pretendere di vedere al suo posto né di avere la soluzione pronta per ogni circostanza. Anzi, è addirittura controproducente pensare di avere capito tutto e di doverlo solo spiegare chiaramente. È illusorio pensare di avere la risposta pronta per ogni cosa, quasi che si trattasse di applicare alla vita concreta di un’altra persona una lezione imparata a memoria o uno spartito che si ripete sempre uguale nonostante la sonata sia diversa.
2. Secondo compito. Fornire gli elementi fondamentali affinché i giovani sappiano interpretare in maniera esatta ciò che imparano a riconoscere dentro di sé. Chi ha un po’ di esperienza della vita ha imparato che “l’intimo dell’uomo, il suo cuore, è un abisso”, come dice il Salmo 64,7. Sono presenti desideri diversificati e prospettive affascinanti, ma spesso incompatibili tra loro. Occorre allora interpretare bene ciò che si affaccia alla coscienza, in maniera da individuarne l’origine e comprenderne le conseguenze. Questo passo prepara quello successivo, che è anche quello decisivo: lo scegliere.
3. Il Terzo compito, quindi, è quello di sostenere i giovani nella scelta che scoprono essere la volontà di Dio sulla loro vita, quella che incarna la realizzazione autentica di se stessi. ‘Sostenere’ non vuole dire decidere al loro posto. Non bisogna dimenticare, infatti, che «discernere la voce dello Spirito dagli altri richiami e decidere che risposta dare è un compito che spetta a ciascuno: gli altri lo possono accompagnare e confermare, ma mai sostituire» (DP, II, 1).

Dall’accompagnamento all’accompagnatore

Se teniamo presente la prospettiva che ho appena delineato, diviene chiaro a tutti l’importanza che assume la persona dell’accompagnatore. Il suo è un ruolo strategico, delicato e impegnativo, che richiede un’attenzione e una preparazione particolari, che si basano sulla necessità di seri percorsi di formazione. Ne va della crescita dei ragazzi, degli adolescenti e dei giovani che ci vengono affidati e con i quali siamo in contatto.
Volendo tratteggiare brevemente il profilo ideale dell’accompagnatore, la prima cosa che ritengo necessario mettere in risalto è che «per accompagnare una persona non basta studiare la teoria del discernimento: occorre fare sulla propria pelle l’esperienza di interpretare i movimenti del cuore per riconoscervi l’azione dello Spirito, la cui voce sa parlare alla singolarità di ciascuno. L’accompagnamento personale richiede di affinare continuamente la propria sensibilità alla voce dello Spirito e conduce a scoprire nelle peculiarità personali una risorsa e una ricchezza» (DP, II, 4).
A questo proposito, il Documento Preparatorio ha parole molto incisive quando sottolinea che «il ruolo di adulti degni di fede (…) è fondamentale in ogni percorso di maturazione umana e di discernimento vocazionale». E continua dando delle indicazioni molto precise sulle caratteristiche specifiche che devono avere coloro che decidono di rendere questo servizio ai giovani nella Chiesa o si trovano a svolgerlo inevitabilmente (pensiamo ad esempio ai genitori che accompagnano i figli nel loro processo di crescita): «Servono credenti autorevoli, con una chiara identità umana, una solida appartenenza ecclesiale, una visibile qualità spirituale, una vigorosa passione educativa e una profonda capacità di discernimento» (DP, III, 2).
L’accompagnatore deve essere ben consapevole che uno dei suoi obiettivi principali è quello di favorire una sana autonomia decisionale nel giovane che accompagna. Per questo, sa che a volte è necessario che proceda davanti a lui per ritmargli il passo del cammino; a volte, invece, gli starà al fianco, per sostenerlo quando la fatica si fa sentire; altre volte, infine, starà dietro di lui per fargli sperimentare l’ebbrezza della ricerca della strada giusta e la gioia di averla trovata. Sa, soprattutto, che non deve ‘legarlo’ a sé. Purtroppo, in alcune circostanze, ci troviamo di fronte ad adulti che sono tali solo per l’età anagrafica, i quali, essendo in realtà «impreparati ed immaturi, tendono ad agire in modo possessivo e manipolatorio, creando dipendenze negative, forti disagi e gravi contro testimonianze» (DP, III, 2).
Su questo punto Papa Francesco è molto chiaro e deciso. Parlando ai partecipanti alla Riunione Plenaria della Congregazione per gli Istituti di Vita Consacrata e le Società di Vita Apostolica il 28 gennaio del 2017 ha affermato: «dobbiamo evitare qualsiasi modalità di accompagnamento che crei dipendenze. Questo è importante: l’accompagnamento spirituale non deve creare dipendenze. (…) dobbiamo evitare qualsiasi modalità di accompagnamento (….) che protegga, controlli o renda infantili». E dà successivamente alcune indicazioni che fanno risaltare gli elementi che favoriscono la buona riuscita di un accompagnamento personale: «Il discernimento richiede, da parte dell’accompagnatore e della persona accompagnata, una fine sensibilità spirituale, un porsi di fronte a se stesso e di fronte all’altro “sine proprio”, con distacco completo da pregiudizi e da interessi personali o di gruppo» (Francesco, Discorso ai partecipanti alla Riunione Plenaria della Congregazione per gli Istituti di Vita Consacrata e le Società di Vita Apostolica, 28 gennaio 2017).
Si potrebbe parlare ancora a lungo di tanti altri aspetti collegati alla persona dell’animatore: di quanto sia indispensabile che egli sia capace di avere la maggiore conoscenza possibile delle logiche che animano il mondo giovanile, in maniera da comprendere anche come i giovani percepiscono gli adulti; di come egli possa essere in grado di attivare le giuste motivazioni per raggiungere gli scopi che ci si prefigge; di quali strumenti utilizzare per educare i sentimenti e gli affetti al fine di educare all’amore; dell’importanza della comunità educante; della crescita nella consapevolezza che volere bene ai giovani significa volere il loro autentico bene e non quello che noi abbiamo stabilito essere tali secondo i nostri parametri, che sono sempre insufficienti e lacunosi.
Si potrebbe…. Ma penso che sia giunto il momento di dare inizio al dialogo.

 

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Nel tempo dell’uomo senza vocazione (Paolo Martinelli)

Paolo Martinelli
Vescovo ausiliare di Milano

Osservatore Romano2 febbraio 2017:

È cominciata la preparazione al prossimo Sinodo dei vescovi (ottobre 2018), che sarà sul tema dei giovani e del discernimento vocazionale. Ho letto il documento preparatorio, ho letto la lettera del Papa, ho assistito alla conferenza stampa di presentazione, ma più che in qualità di giornalista vorrei dire qualche cosa ai nostri pastori in qualità di mamma di giovani, e anche da ex giovane che ha fatto, pur se a tentoni, il suo cammino di discernimento vocazionale, con catechismo, corsi e direttori spirituali.
Ho notato nel documento, e nel questionario lanciato (che presto sarà online) un grande e sincero desiderio di ascoltare i giovani, di capire cosa è nel loro cuore. Mi è sembrato di cogliere un tentativo di entrare in sintonia, di ascoltare, di seguire. È bello, davvero, ma c’è un rischio. Non penso che ci sia tanto bisogno di ascoltare, se inteso come tentativo di inseguire i giovani sul loro terreno, perché lì saremo sempre perdenti, saremo ridicoli se proveremo a parlare la loro lingua a noi giustamente impenetrabile. Mi sembra invece che manchi una cosa, che è quella che fa funzionare le esperienze vocazionali di cui so.

Queste esperienze sono quelle in cui veri pastori, uomini virili, dicono ai ragazzi che devono buttare via tutto quello su cui hanno fondato le loro certezze prima di incontrare Cristo, devono fare un’esperienza personale e radicale di incontro con l’unico buono, perché l’uomo da sé non è capace di bene, devono partire come Abramo – che è l’immagine da cui parte il Papa – alla ricerca dell’amicizia vera con Dio, quella che i ragazzi forse hanno solo annusato da lontano. Bisogna far capire loro che quello è un grosso affare, e che conviene investirci tutto, buttare il resto, e che non si può salvare qualcosa della vita di prima, perché in questa caccia al tesoro non ti devi distrarre.
I giovani hanno sete di radicalità, di assoluto, di cose grandi. I giovani, i migliori di loro, non tollerano le ingiustizie, le falsità, l’incoerenza, hanno un radar potentissimo contro le falsità. I sacerdoti che hanno il maggior seguito di ragazzi sono quelli che più che stare ad ascoltarli, annunciano loro la radicalità di Cristo: senza di me non potete far nulla. Non cercano di lisciare loro il pelo, come si dice, non li assecondano. Non fanno concerti o balletti per cercare di attrarli. Ricordo che da ragazza questa era una cosa che mi irritava un sacco. Io dalla Chiesa non volevo proposte di pizzate o iniziative conviviali. Se avessi voluto quello sarei andata a cercare i ragazzi più di moda, quelli fighi veri (che negli anni ’80 erano i paninari, a Perugia “quelli della Jeans West”, casta da me inavvicinabile in quanto sprovvista della divisa di ordinanza, Timberland e Moncler). Va be’, mi piacevano, ma non tanto come quella cosa che avevo intuito. Invece a 16 anni partii e andai col treno all’altro capo di Italia, solo per sentire ancora parlare Suor Elvira della comunità Cenacolo di Saluzzo, una suora che, per prima, mi parlava di castità, della mia grandezza in quanto donna, delle mie potenzialità di futura madre, e mi faceva battere il cuore dicendomi che una donna consegnata a Dio poteva cambiare il mondo. ma che tutto sarebbe partito dalle ginocchia. Dalla preghiera. Dal digiuno. Quanti sacerdoti hanno ancora il coraggio di proporre queste cose? Quanti fanno sconti temendo di allontanare la gente, e invece che far crescere vocazioni creano parcheggi (molte parrocchie sono parcheggi)? Non c’è bisogno di convincere le folle, basta qualcuno, qualche giovane santo, che attrarrà gli altri a frotte (come Chiara Corbella Petrillo, come san Jose Sanchez Del Rio, come Carlo Acutis).

Non si può sperare in una società più giusta se non si parte dalla verità: noi siamo mendicanti. Noi siamo feriti dal peccato originale. Noi siamo destinati a morire, e con questo dobbiamo fare i conti. Perché c’è una speranza. Dicono che uno sia risorto, e possiamo decidere se scommetterci su tutto, oppure no. Ma non si può proporre un cristianesimo a base di concertini o di concorsi sul presepe più bello, un cristianesimo che assomiglia al mondo migliore che vogliono tutti, con in più Cristo, così, come accessorio, una specie di ciliegina sulla torta. La Chiesa tornerà a sedurre – magari pochi, pochissimi, il piccolo gregge, d’altra parte il lievito è un pizzico rispetto alla farina – quando avrà il coraggio di dire che i nostri matrimoni sono diversi, che la nostra ecologia è diversa, che la nostra giustizia è diversa, perché noi supplichiamo a Dio la grazia di mantenerci giusti, ecologisti e sposati solo perché abbiamo incontrato Cristo. E allora sembriamo sposati come gli altri, mettiamo le bottiglie nella differenziata come gli altri, ma per noi tutto parte da un incontro che cambia le cose in modo sostanziale.
Senza Cristo siamo dei poveracci, dei miserabili. I giovani vogliono qualcuno che dica loro la verità, senza sconti. Venite e vedrete, scrive il Papa ai giovani. La meta ultima di questo viaggio è il nostro cuore, quello nel quale avviene l’incontro che ci salva, che ci definisce. Non credo che servano pastorali, tecniche, strategie comunicative. Serve che noi guide – anche io mi ci metto, da mamma – ci convertiamo seriamente. Che chiediamo al Signore di farsi carico delle nostre povertà. Che (ri)cominciamo a pregare seriamente. Che chiediamo a Dio di farci santi, cioè totalmente abbandonati al suo amore, totalmente confidenti nella sua iniziativa, veramente figli. I giovani non ci seguono quando non siamo credibili, quando non vedono che ci facciamo carico gli uni dei pesi degli altri, perdendoci qualcosa di tasca nostra. I giovani vogliono roba forte (non è un caso che Mein Kampf sia risultato nella classifica dei libri più amati indetta dal Miur: vogliamo lasciare che sia quella roba lì a rispondere alla sete di radicalità dei giovani? Vogliamo lasciare che chi cerca roba forte trovi quello? In un’epoca in cui tutto è sempre più fluido e relativo, noi che sappiamo chi è la Verità vogliamo addomesticare le cose per renderle meno spigolose?). I giovani, i migliori di loro, sono pieni di energie, vogliono spaccare il mondo, vogliono qualcosa per cui combattere. Bisogna dire loro chi è il vero nemico: è il diavolo, è il peccato, e il campo di battaglia il nostro cuore, e la meta la vita eterna. Non servono tanti sondaggi per capire che solo questo infiamma i cuori, solo questo li attrarrà più del mondo. Sennò, se dobbiamo scimmiottare il mondo, preferiranno l’originale (che il principe del mondo le sue cose le sa fare meglio di noi).

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“Chiesa in uscita” anche nelle carceri – Lettera dei Cappellani (Raffaele Grimaldi)

Raffaele Grimaldi

Ispettore Generale dei Cappellani unitamente ai Cappellani degli Istituti penali per minori

(Agli incaricati degli Uffici di Pastorale giovanile diocesani, degli Istituti di Vita Consacrata, delle Aggregazioni Laicali Giovanili)

La libertà è un dono prezioso, ma ci si rende conto di quanto lo sia, solo dopo averla persa.

Siamo i cappellani degli istituti penali per minori. Il Sinodo “Giovani: fede e discernimento vocazionale” è l’occasione per ascoltare tutti i giovani, anche quelli che si trovano lontano, anche quelli rinchiusi all’interno di una cella. La realtà del Carcere Minorile può e deve essere una risorsa della Chiesa, uno spazio giovane anche se pur ristretto.

Per questo, sarebbe bello provare a i nostri ragazzi partecipi del cammino della Chiesa Universale, attraverso l’occasione del sinodo dei Giovani.

Crediamo che i nostri ragazzi siano testimoni di umanità e di fede, proprio grazie al cammino di recupero intrapreso a seguito del reato.

La Chiesa in uscita di cui parla Papa Francesco, quell’andare incontro alle periferie esistenziali, può trovare risvolto anche nelle carceri, espressione non soltanto di compassione e consolazione, ma luogo di rilancio e fortificazione della fede. Anche in una cella di carcere, su un letto, all’aria, in cappella, Dio ascolta la voce di questi giovani, di questi figli. Non è questo il senso del Sinodo? La Chiesa deve ascoltare le aspirazioni e i sogni anche di questi suoi figli in questi luoghi di restrizione. Anche qui si annuncia che il regno di Dio è in mezzo a noi e si sperimenta la forza della gioia del Vangelo.

Gli Istituti penali per minori – ma non solo quelli per minori – potrebbero essere considerati punti di sosta dei cammini che i giovani delle diocesi italiane compiranno ad agosto per giungere infine a Roma. Potrebbero rappresentare uno dei tanti “Santuari della Gioventù”, dove ci si ferma per incontrare l’altro lontano da noi e per ascoltare quello che ha da dire, quello che ha da raccontare. Le riflessioni di giovani detenuti possono essere anch’esse spinta per superare prove e difficoltà.

Ascolto, preghiera e – perché no – accoglienza di un nuovo compagno di strada con cui camminare insieme verso Roma. Anche questo può, anzi deve essere, il Sinodo dei Giovani: un tentativo di camminare davvero insieme verso un obiettivo comune.

Il Sinodo può essere l’inizio di un progetto di collaborazione tra il Servizio di Pastorale Giovanile diocesano e la realtà del l’Istituto Penale per Minori. Sarebbe molto apprezzabile che i diversi direttori della Pastorale Giovanile delle diocesi, in modo particolare quelli dove è presente un carcere minorile, prendessero contatto con noi cappellani per costruire insieme cammini di rinascita, di riconciliazione e inserimento.

Il che implica sinergia tra il cappellano e direttore del Servizio, uno studio di attività e laboratori di fede da poter portare avanti insieme. Non abbiate paura di investire energie e tempo collaborando con noi che spendiamo con gioia il nostro in ascolto dei molti bisogni dei giovani ospiti nelle strutture di pena. Noi abbiamo urgenza che il grido di aiuto arrivi a tutti voi. Non lasciateci soli nell’aiutare questi nostri ragazzi.

Un seme che nasce in questa occasione può diventare il segno di un cammino comune che va avanti in tempi ordinari. Il Sinodo è certamente un luogo per ascoltare le preoccupazioni del mondo giovanile e provare a infondere fiducia e speranza nel futuro. I giovani che escono dal carcere hanno bisogno di aiuto concreto, sono essi stessi ‘opere segno’ di cui tanto si parla nella Chiesa. Hanno bisogno di casa, lavoro ma soprattutto di accoglienza nelle nostre comunità. Come cappellani, comprendiamo le difficoltà nel realizzare tutto questo, ma crediamo anche che tutti noi insieme dobbiamo avere il coraggio di osare per realizzare concretamente il Vangelo, attraverso opere che promuovono il rispetto e la dignità di coloro che si sentono emarginati dalla società.

L’immagine scelta per il Sinodo Giovani è quella del discepolo amato. Quel discepolo può essere ognuno di noi, i nostri ragazzi e ancor più i giovani detenuti. Per sentirsi amati da Gesù, a volte bisogna sentirsi amati e ascoltati anche dal prossimo e dai coetanei più lontani e, nel caso dei detenuti, anche da chi sceglie di varcare quella soglia per entrare in contatto con loro e ascoltarti.

Roma, 26 marzo 2018

 

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Parlate ai ragazzi di cose grandi (Costanza Miriano)

Costanza Miriano

Giornalista, scrittrice e blogger italiana

17 gennaio 2017

È cominciata la preparazione al prossimo Sinodo dei vescovi (ottobre 2018), che sarà sul tema dei giovani e del discernimento vocazionale. Ho letto il documento preparatorio, ho letto la lettera del Papa, ho assistito alla conferenza stampa di presentazione, ma più che in qualità di giornalista vorrei dire qualche cosa ai nostri pastori in qualità di mamma di giovani, e anche da ex giovane che ha fatto, pur se a tentoni, il suo cammino di discernimento vocazionale, con catechismo, corsi e direttori spirituali.
Ho notato nel documento, e nel questionario lanciato (che presto sarà online) un grande e sincero desiderio di ascoltare i giovani, di capire cosa è nel loro cuore. Mi è sembrato di cogliere un tentativo di entrare in sintonia, di ascoltare, di seguire. È bello, davvero, ma c’è un rischio. Non penso che ci sia tanto bisogno di ascoltare, se inteso come tentativo di inseguire i giovani sul loro terreno, perché lì saremo sempre perdenti, saremo ridicoli se proveremo a parlare la loro lingua a noi giustamente impenetrabile. Mi sembra invece che manchi una cosa, che è quella che fa funzionare le esperienze vocazionali di cui so.

Queste esperienze sono quelle in cui veri pastori, uomini virili, dicono ai ragazzi che devono buttare via tutto quello su cui hanno fondato le loro certezze prima di incontrare Cristo, devono fare un’esperienza personale e radicale di incontro con l’unico buono, perché l’uomo da sé non è capace di bene, devono partire come Abramo – che è l’immagine da cui parte il Papa – alla ricerca dell’amicizia vera con Dio, quella che i ragazzi forse hanno solo annusato da lontano. Bisogna far capire loro che quello è un grosso affare, e che conviene investirci tutto, buttare il resto, e che non si può salvare qualcosa della vita di prima, perché in questa caccia al tesoro non ti devi distrarre.
I giovani hanno sete di radicalità, di assoluto, di cose grandi. I giovani, i migliori di loro, non tollerano le ingiustizie, le falsità, l’incoerenza, hanno un radar potentissimo contro le falsità. I sacerdoti che hanno il maggior seguito di ragazzi sono quelli che più che stare ad ascoltarli, annunciano loro la radicalità di Cristo: senza di me non potete far nulla. Non cercano di lisciare loro il pelo, come si dice, non li assecondano. Non fanno concerti o balletti per cercare di attrarli. Ricordo che da ragazza questa era una cosa che mi irritava un sacco. Io dalla Chiesa non volevo proposte di pizzate o iniziative conviviali. Se avessi voluto quello sarei andata a cercare i ragazzi più di moda, quelli fighi veri (che negli anni ’80 erano i paninari, a Perugia “quelli della Jeans West”, casta da me inavvicinabile in quanto sprovvista della divisa di ordinanza, Timberland e Moncler). Va be’, mi piacevano, ma non tanto come quella cosa che avevo intuito. Invece a 16 anni partii e andai col treno all’altro capo di Italia, solo per sentire ancora parlare Suor Elvira della comunità Cenacolo di Saluzzo, una suora che, per prima, mi parlava di castità, della mia grandezza in quanto donna, delle mie potenzialità di futura madre, e mi faceva battere il cuore dicendomi che una donna consegnata a Dio poteva cambiare il mondo. ma che tutto sarebbe partito dalle ginocchia. Dalla preghiera. Dal digiuno. Quanti sacerdoti hanno ancora il coraggio di proporre queste cose? Quanti fanno sconti temendo di allontanare la gente, e invece che far crescere vocazioni creano parcheggi (molte parrocchie sono parcheggi)? Non c’è bisogno di convincere le folle, basta qualcuno, qualche giovane santo, che attrarrà gli altri a frotte (come Chiara Corbella Petrillo, come san Jose Sanchez Del Rio, come Carlo Acutis).

Non si può sperare in una società più giusta se non si parte dalla verità: noi siamo mendicanti. Noi siamo feriti dal peccato originale. Noi siamo destinati a morire, e con questo dobbiamo fare i conti. Perché c’è una speranza. Dicono che uno sia risorto, e possiamo decidere se scommetterci su tutto, oppure no. Ma non si può proporre un cristianesimo a base di concertini o di concorsi sul presepe più bello, un cristianesimo che assomiglia al mondo migliore che vogliono tutti, con in più Cristo, così, come accessorio, una specie di ciliegina sulla torta. La Chiesa tornerà a sedurre – magari pochi, pochissimi, il piccolo gregge, d’altra parte il lievito è un pizzico rispetto alla farina – quando avrà il coraggio di dire che i nostri matrimoni sono diversi, che la nostra ecologia è diversa, che la nostra giustizia è diversa, perché noi supplichiamo a Dio la grazia di mantenerci giusti, ecologisti e sposati solo perché abbiamo incontrato Cristo. E allora sembriamo sposati come gli altri, mettiamo le bottiglie nella differenziata come gli altri, ma per noi tutto parte da un incontro che cambia le cose in modo sostanziale.
Senza Cristo siamo dei poveracci, dei miserabili. I giovani vogliono qualcuno che dica loro la verità, senza sconti. Venite e vedrete, scrive il Papa ai giovani. La meta ultima di questo viaggio è il nostro cuore, quello nel quale avviene l’incontro che ci salva, che ci definisce. Non credo che servano pastorali, tecniche, strategie comunicative. Serve che noi guide – anche io mi ci metto, da mamma – ci convertiamo seriamente. Che chiediamo al Signore di farsi carico delle nostre povertà. Che (ri)cominciamo a pregare seriamente. Che chiediamo a Dio di farci santi, cioè totalmente abbandonati al suo amore, totalmente confidenti nella sua iniziativa, veramente figli. I giovani non ci seguono quando non siamo credibili, quando non vedono che ci facciamo carico gli uni dei pesi degli altri, perdendoci qualcosa di tasca nostra. I giovani vogliono roba forte (non è un caso che Mein Kampf sia risultato nella classifica dei libri più amati indetta dal Miur: vogliamo lasciare che sia quella roba lì a rispondere alla sete di radicalità dei giovani? Vogliamo lasciare che chi cerca roba forte trovi quello? In un’epoca in cui tutto è sempre più fluido e relativo, noi che sappiamo chi è la Verità vogliamo addomesticare le cose per renderle meno spigolose?). I giovani, i migliori di loro, sono pieni di energie, vogliono spaccare il mondo, vogliono qualcosa per cui combattere. Bisogna dire loro chi è il vero nemico: è il diavolo, è il peccato, e il campo di battaglia il nostro cuore, e la meta la vita eterna. Non servono tanti sondaggi per capire che solo questo infiamma i cuori, solo questo li attrarrà più del mondo. Sennò, se dobbiamo scimmiottare il mondo, preferiranno l’originale (che il principe del mondo le sue cose le sa fare meglio di noi).

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Sono ottimista perché conosco i giovani di oggi (Rossano Sala)

Commento di don Rossano Sala

Segretario speciale del Sinodo dei giovani

(Articolo pubblicato sul periodico San Paolo “Credere” il 25 marzo 2018 – testo a cura di Emanuela Citterio)

Lavorare con i giovani è stata l’esperienza più entusiasmante della mia vita. Chi sta con loro non può che essere ottimista». A confidarlo è don Rossano Sala, uno dei due segretari speciali del Sinodo dei vescovi sui giovani, che si terrà dal 3 al 24 ottobre a Roma. Nato a Calò di Besana, in Brianza, don Rossano è sacerdote salesiano dal 2000 e ha sempre vissuto in mezzo ai ragazzi: per due anni a Brescia nell’oratorio e nel collegio salesiani, per quattro anni nella scuola superiore di Bologna, per altri sei anni di nuovo a Brescia come direttore dell’Istituto salesiano Don Bosco, che comprende una parrocchia, un oratorio, una scuola superiore e un centro di formazione professionale. Nel 2010 gli è stato chiesto di portare questa esperienza a livello universitario, prima a Torino dove ha insegnato per due anni Teologia, e dal 2012 a Roma alla Pontificia università salesiana, dove è docente di pastorale giovanile.

Don Rossano è anche direttore di Note di pastorale giovanile, rivista che da cinquant’anni si occupa dell’accompagnamento di tutti coloro che lavorano con i giovani. In questi anni è riuscito a unire un’esperienza sul campo «bella, gratificante e impegnativa» alla riflessione teorica. E forse è proprio per questo che papa Francesco l’ha scelto — in modo, comunque, del tutto inaspettato — insieme al padre gesuita Giacomo Costa per accompagnare un evento che vede la Chiesa interrogarsi sulle sfide che riguardano le nuove generazioni. In questi giorni, fino al 25 marzo, si svolge a Roma il presinodo, una novità assoluta: 300 giovani da tutto il mondo si sono confrontati per arrivare a un documento condiviso che sarà consegnato nelle mani dei 300 padri sinodali che si riuniranno a ottobre. «Anche questa è un’invenzione di papa Francesco», spiega don Rossano. «Per ascoltare innanzitutto coloro di cui si sta parlando».

Al pre-sinodo ognuna delle 114 Conferenze episcopali del mondo ha inviato due o tre giovani, ma sono stati invitati anche aderenti ad altre confessioni cristiane e altre religioni, non credenti o appartenenti ad associazioni giovanili non confessionali, e ragazzi che hanno vissuto o vivono situazioni particolari, come il carcere, la tratta di persone, la tossicodipendenza.

UNA CHIESA IN ASCOLTO

«Vogliamo ascoltare qui e adesso le domande dei giovani che vivo – no all’inizio del terzo millennio, non rispondere a domande precostituite che i giovani facevano una volta ma ora non fanno più», afferma don Rossano. «L’idea è che tutti i giovani in tutte le situazioni possano partecipare, anche attraverso i social media e il sito www.synod2018.va. È un bel segno di una Chiesa che vuole esse – re universale, un gesto di ascolto a 360 gradi». Sui giovani don Rossano è ottimista a ragion veduta: «Chi ne parla male, in genere, non li frequenta. Se si sta con loro, si scopre come siano davvero la ricchezza del mondo e della Chiesa, per il loro entusiasmo, la loro voglia di fare. Certo, cercano accompagnamento e aiuto, però sono una promessa. A volte si dice che i giovani sono il futuro. In realtà sono il presente. Sono gli adulti del futuro, ma sono anche i giovani di oggi. E sono il presente della società e della Chiesa». Ma perché questa attenzione sui giovani in questo momento storico? «Un Sinodo si fa perché c’è qualche sfida importante che la Chiesa ritiene opportuno affrontare», risponde don Rossano. «Alla fine di ogni assemblea sinodale il Papa chiede ai partecipanti su cosa vogliono discutere nella successiva, e questa richiesta viene fatta anche alle Conferenze episcopali. Il tema emerso a maggioranza, alla fine del Sinodo sulla famiglia, è stato quello dei giovani. Si è trattato, quindi, di una richiesta della Chiesa universale, che poi il Papa ha fatto sua, declinando il tema su I giovani, la fede e il discernimento vocazionale. Cosa sta dietro questa richiesta? Probabilmente una fatica da parte della Chiesa di essere generativa nei confronti dei giovani. Anche perché siamo in un tempo di metamorfosi: la Chiesa sa che alcuni strumenti della sua tradizione non funzionano più, perché sta cambiando il mondo. Pensiamo solamente al mondo digitale: non abbiamo una tradizione ecclesiale che ci dice cosa dobbiamo fare, perché semplicemente non c’è mai stato prima di adesso. Questo significa che la Chiesa deve interrogarsi sui nuovi linguaggi, su come interagire coi giovani che vivono in un mondo virtuale, di fronte a un cambiamento antropologico di questa portata. Vuol dire che ci sono delle novità che ci interpellano e che ci chiedono di metterci in un atteggiamento di discernimento. Non possiamo far finta che non esista il mondo globalizzato o il mondo digitale. Anche a livello educativo c’è la necessità di rispondere alle domande delle nuove generazioni che sono — in realtà, lo sono da sempre — la porzione più delicata e promettente della società, ma anche quella più a rischio. I giovani sono sismografi e sentinelle dei cambiamenti, cioè quelli che li sentono per primi, per questo ci richiedono di impegnarci di più».

SPAZIO ALL’AUDACIA

Ma questo Sinodo potrebbe an – che avere un effetto “collaterale”: «Aiutarci a riscoprire la giovinezza della Chiesa», afferma don Rossano. «Cosa vuol dire, per la Chiesa, assumere o riassumere un dinamismo giovanile? Intendo dire: un dinamismo di entusiasmo, coraggio, capacità di rischiare, mettersi in gioco in maniera rinnovata, non aver paura del cambiamento, essere desiderosa di andare incontro alle persone così come sono, svecchiarsi rispetto ad alcuni stili e modalità di es – sere?». Parlare di “giovinezza della Chiesa”, soprattutto in Europa, suona quantomeno azzardato, con una gerarchia ecclesiale lontana, anche anagraficamente, dal mondo giovanile: «Questo è vero», risponde don Rossano. «I giovani, però, sono spesso più vicino ai nonni che ai padri e alle madri. Il punto è cosa vuol dire assumere per la Chiesa un ruolo di “anzianità vera”. Il Papa lo sottolinea molto: il legame fra gli anziani e i giovani è un legame importante, perché anziano vuol dire anche sapiente, che ha una padronanza della vita che i giovani non hanno, una visione più ampia. Molte Conferenze episcopali rivelano piuttosto il fatto che la Chiesa non riesce a intercettare le domande dei giovani. È interessante che la Chiesa sia saggia, il problema è che non sia vecchia nel senso di continuare a proporre dei modelli che sono superati». Per ovviare a questo problema, il Sinodo punta sull’ascolto e il discernimento, attraverso tappe ben precise: il 6 ottobre 2016 è stato annunciato il tema, il 13 gennaio scorso è stato pubblicato il documento preparatorio, il 25 marzo si chiuderà il pre-sinodo, a fine maggio uscirà lo “strumento di lavoro”, e infine tutto il materiale raccolto verrà discusso a ottobre al Sinodo, che durerà quasi un mese. L’assemblea si chiuderà con delle proposizioni che verranno consegnate al Papa, il quale preparerà un’esortazione apostolica che dovrebbe uscire a marzo del prossimo anno.

UNA CHIESA CHE SIA CASA

«In questo momento si legge molto la nostalgia spirituale dei giovani», anticipa don Rossano, che sta già facendo sintesi dei contributi arrivati dalle Conferenze episcopali e attraverso il questionario online, al quale hanno risposto 200 mila giovani di tutto il mondo. «Una Conferenza episcopale ha detto che abbiamo a che fare con una “generazione mistica”, alla ricerca di trascendenza in un mondo dominato dall’immanenza, dove sembra che il consumo sia al primo posto. Certo, i ragazzi consumano. Ma non sono riempiti da questo e se ne rendono conto. Molte ricerche mostrano che sono alla ricerca più di beni relazionali che materiali, soprattutto nel nostro mondo occidentale, in particolare di amicizia, amore, famiglia. Paradossale, in un momento in cui la famiglia vive una crisi per molti motivi. E quando parlano della Chiesa la intendono nell’ottica familiare. Sono alla ricerca di una Chiesa che non sia istituzionale, ma accogliente, una Chiesa che sia casa». «I giovani sono anche spesso critici nei confronti della Chiesa», continua don Rossano. «Ma a mio parere molte delle loro critiche sono costruttive. Molti tengono le distanze e non chiedono nulla alla Chiesa. Quando si chiede loro perché, rispondono: “È fonte di scandalo dal punto di vista sessuale o economico”; “I ministri sono impreparati nei nostri confronti, non riescono a cogliere le nostre domande, non sono in grado di accompagnarci”; “Molte volte la liturgia della Chiesa e le omelie non dicono niente alla nostra vita”. Quando si va in profondità, ci si accorge che le loro sono critiche verso una Chiesa che vogliono più santa, vera, coerente». Don Rossano sogna una Chiesa che faccia leva sul bene che c’è nei giovani: «C’è un’immagine molto bella nella Bibbia, quella del giovane Giosuè. Mosè muore e gli affida il popolo e lui non sa bene cosa fare. “Sii forte e coraggioso”, gli dice. È un’espressione che mi colpisce molto. Mi sembra sintetizzi il messaggio che papa Francesco rivolge ai giovani, ma anche alla sua Chiesa: “Sii forte e coraggiosa”».

 

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Le difficoltà di una scelta definitiva (Lucetta Scaraffia)

Lucetta Scaraffia

Storica e giornalista italiana

Osservatore Romano – 15 gennaio 2017:

Con la scelta del tema del prossimo sinodo, incentrato sui giovani e sulla loro scelta di una vocazione di vita, Papa Francesco, ancora una volta dopo le assemblee sulla famiglia, dimostra di saper cogliere le necessità del mondo in cui vive e di andare incontro con proposte innovative alle difficoltà delle società. Mai come oggi, infatti, le nuove generazioni sono in difficoltà nello scegliere la propria vita, anche in contesti di benessere economico e di libertà; anzi, sembra che proprio queste due condizioni siano fonte di disorientamento più che di fiducia nel futuro e di volontà di lasciare un segno nel proprio tempo.
E giustamente il documento preparatorio del sinodo individua il nucleo di questa difficoltà proprio nell’incapacità di decidere, affermando che «non si può rimanere all’infinito nell’indeterminazione».
Chi sta accanto ai giovani ha quindi soprattutto il compito di aiutarli a rischiare e a compiere scelte coraggiose per cercare di mantenere fede al progetto di vita sognato e iniziato.
Alle radici di questa debolezza nella scelta di una vocazione vi è senza dubbio il collasso del sistema scolastico, ormai evidente in tutti i paesi occidentali e che non sa più preparare i giovani a sforzi prolungati in vista di obiettivi di lungo periodo. La possibilità di avere tutto subito, infatti, è dilagata in ogni ambito della vita, accentuando un atteggiamento che ha molti aspetti in comune con il consumismo.
Un altro aspetto decisamente positivo, e del tutto nuovo in un documento di tale natura, è l’attenzione costante alla differenza fra donne e uomini nel vivere gli stessi fenomeni. Per ben tre volte infatti si sottolinea che i problemi delle donne sono sempre più gravi. «Per le giovani donne questi ostacoli sono normalmente ancora più ardui da superare» si legge; poi «spesso le bambine, le ragazze e le giovani donne devono affrontare difficoltà ancora maggiori rispetto ai loro coetanei»; e «infine non possiamo dimenticare la differenza tra il genere maschile e quello femminile: da una parte essa determina una diversa sensibilità, dall’altra è origine di forme di dominio, esclusione e discriminazione di cui tutte le società hanno bisogno di liberarsi».
Osservazioni quanto mai pertinenti, perché chi paga più caro il prezzo di questa indeterminatezza nel decidere il futuro sono le giovani donne, almeno per quanto riguarda la procreazione. Infatti, mentre per loro l’orologio biologico impone scelte in un tempo determinato e abbastanza ristretto – che non tiene conto della dilatazione della gioventù che le società avanzate stanno vivendo – il problema non si pone per i ragazzi.
Quindi, almeno per questo aspetto, anche la modernità, in genere così favorevole all’uguaglianza fra i sessi, provoca una nuova ragione di disuguaglianza a danno delle donne, che incontrano sempre maggiori difficoltà ad avere un figlio.
Indicare come uno dei principali nodi da affrontare proprio questa difficoltà a fare scelte definitive costituisce dunque uno dei grandi meriti del documento.
Bisogna però anche ricordare che uno dei problemi più gravi che devono affrontare i giovani che si riconoscono nella Chiesa o che si stanno avvicinando a essa è quello della forte differenza che esiste fra la pratica sessuale prevalente e le regole della morale cattolica. Un giovane cattolico rischia, in molte occasioni, di sentirsi veramente un “diverso” e trova molte difficoltà nello spiegare una scelta che lo pone spesso ai margini della comunità dei coetanei.
Come nei sinodi sulla famiglia, anche in questa occasione la Chiesa si deve confrontare con una questione – quella sessuale – che la pone in netto contrasto con la società moderna. Non è certo la prima volta; e la ricchezza della tradizione cristiana, insieme con la realtà che oggi rivela una profonda crisi di ciò che resta della rivoluzione sessuale, possono rendere meno duro il confronto.
Ma a condizione che il problema venga affrontato, e non solo dal punto di vista teologico, e che soprattutto lo si faccia coinvolgendo le donne, le quali non accettano più che degli uomini parlino al posto loro.

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I giovani sono un pezzo di Chiesa che manca (Enzo Bianchi)

Commento di Enzo Bianchi

Fondatore della Comunità monastica di Bose

Era l’8 dicembre 1965, giorno di chiusura del concilio Vaticano II: alla radio sentii i messaggi dei padri conciliari all’umanità e fui colpito da quello rivolto ai giovani. Lo sentii indirizzato anche a me, che avevo ventidue anni e vivevo quei giorni con speranza ed entusiasmo per il futuro della Chiesa.

Quel messaggio pieno di fiducia metteva in risalto come la giovinezza abbia «la capacità di rallegrarsi per ciò che comincia, di donarsi gratuitamente, di rinnovarsi e di ripartire per nuove conquiste». Non solo erano riconosciute la forza e la bellezza dei giovani, ma la stessa Chiesa assumeva un nuovo atteggiamento nel suo stare nella storia e tra gli uomini e le donne del nostro tempo.

Quel messaggio ha conosciuto ricezione? Credo sia necessario distinguere due tempi successivi di ricezione e due categorie di destinatari. Acominciare da coloro che erano giovani nella stagione del Concilio. Mi pare che gran parte dei cattolici di quella generazione abbiano effettivamente recepito il mandato affidato loro dai padri conciliari e si siano sentiti investiti di una responsabilità. E abbiano anche colto le proprie potenzialità di giovani per mutare rotta, operare un “aggiornamento” e una conversione. E ri-formare la propria struttura di discepoli del Signore.

Ma poi c’è la ricezione del messaggio conciliare nello scorrere degli anni e nel mutare delle stagioni. E lì noi giovani di allora, forse, portiamo la responsabilità principale sulla qualità e l’efficacia della trasmissione di quel messaggio di speranza. Dobbiamo ammettere che, a oltre cinquant’anni di distanza, la vita della Chiesa registra un certo fallimento al riguardo. Nei decenni passati c’è stata un’attenzione alla cosiddetta “pastorale giovanile” mai così accentuata nella storia. Purtroppo, questa fatica non è stata sufficiente, anche perché si è continuato a pensare a un rapporto esteriore tra la Chiesa da un lato e i giovani dall’altro. Non basta ascoltare i giovani e definirli il “futuro della Chiesa” o le “sentinelle dell’avvenire”. Occorre considerarli e sentirli non come una categoria teologica o come un’entità esterna, bensì come una componente della Chiesa di oggi, attori e protagonisti già ora. Occorre pensarli nel “noi” della Chiesa. E stare anche attenti quando, nel linguaggio comune, si usano locuzioni come “la Chiesa e i giovani”, “la Chiesa parla ai giovani”. Semmai, «i giovani sono un pezzo di Chiesa che manca», come dice don Armando Matteo.

Il documento preparatorio al Sinodo su I giovani, la fede e il discernimento vocazionale chiama i giovani a «essere protagonisti» e «capaci di creare nuove opportunità», indicando così a tutta la Chiesa vie di evangelizzazione e stili di vita nuovi. Solo un ascolto reciproco, un confronto, un dialogo tra tutte le componenti del popolo di Dio possono innescare un processo di “inclusività” delle nuove generazioni nella Chiesa. Questa la sfida del prossimo Sinodo, non a caso preparato, per volontà di Francesco, da incontri di giovani messi in condizione di prendere la parola e di sentirsi partecipi di quella “conversione” che il Papa chiede a tutta la Chiesa. Questo ascoltarli oggi, nel loro presente, è la condizione indispensabile per passare da una pastorale “per i giovani” a una pastorale “con i giovani”.

Come ama ripetere Francesco, si tratta di «iniziare dei processi», non di fare conquiste, né di «far ritornare» i giovani alla Chiesa. O di misurare la riuscita sul numero delle risposte ottenute. È tramontato il tempo di chiamare a raduno i giovani e aspettare che siano loro a venire: occorre uscire, andare dove loro sono, dove abitano, combattendo ogni tentazione di avvicinamento unilaterale e massificato. I giovani hanno sete di incontri personali, di dialoghi faccia a faccia, soprattutto in un contesto sociale dominato dal virtuale. Essi domandano di essere “riconosciuti”, ciascuno nella propria individualità, ciascuno lungo il proprio cammino di ricerca di senso e di pienezza di vita. L’incontro personale è oggi decisivo per l’avventura dei giovani, i quali sentono lontani genitori, insegnanti, educatori.

Tutti constatiamo una difficoltà nell’incontro umano con l’altro, ma i giovani ne sentono urgentemente il bisogno, anche per non essere tentati dalla fuga da sé stessi. Il “complesso di Telemaco”, individuato da Massimo Recalcati come chiave di interpretazione della condizione giovanile, dovrebbe essere un monito sulla necessità di accompagnare i giovani non in modo paternalistico ma camminando con loro, con la sapienza della vita già vissuta, senza imporre, ma semplicemente proponendo, grazie al discernimento che nasce dall’ascolto nei loro confronti. Ecco perché in questa forma di pastorale, oltre alla cultura dell’incontro deve emergere anche quella della gratuità. Ricordando che «la Chiesa non cresce per proselitismo ma per attrazione» (EG 14), occorre vivere ogni atteggiamento di evangelizzazione sotto il segno della gratuità, senza l’ansia di risultati misurabili in termini di aumento del numero dei giovani coinvolti, delle vocazioni suscitate o dei servizi assunti.

L’incontro che si deve favorire è quello umanissimo nel quale sia gratuitamente possibile entrare in relazione con Gesù attraverso la fede e la testimonianza dell’evangelizzatore. Non dunque l’incontro con una dottrina, tanto meno con una grande idea o con una morale, ma con una realtà viva che intrighi, che sia portatrice di senso e promessa di vita piena. La gratuità è uno dei valori più sentiti e vissuti dai giovani: se questa non appare, i giovani diffidano. Incontro, gratuità,camminare insieme restano urgenze assolute in un nuovo paradigma di evangelizzazione nella società odierna. Ma cosa cercano i giovani? Pur in una situazione di incertezza, a livello economico, sociale, culturale familiare, i giovani cercano una vita sensata, che io amo definire una vita buona, bella e beata. Questa ricerca, sovente confusa, a volte appare paralizzata da paure e inibizioni, ma è presente nel loro cuore. È vero che la maggior parte dei giovani non vive il bisogno di Dio, ma nel loro perseguire una vita sensata, un’esistenza degna e compiuta, sono insite molte possibilità di scoprire come la fede cristiana, la persona di Gesù e il suo Vangelo siano non in contraddizione con tale desiderio, bensì un aiuto e una promessa di pienezza.

La mia esperienza di ascolto, incontro e cammino con tanti giovani mi convince, sempre di più, che quando approdano a conoscere Gesù ne restano affascinati e toccati. La vita di Gesù come vita buona, nella quale egli “ha fatto il bene”, cioè ha scelto l’amore, la vicinanza, la relazione mai escludente, la cura dell’altro e soprattutto dei bisognosi, è vita non solo esemplare ma capace di affascinare e di rivelare la possibilità di una “bontà” che si vorrebbe ispiratrice per la propria vita. Ma vi è anche un’attrazione nei confronti della vita bella vissuta da Gesù: il suo non essere mai isolato, il suo vivere in una comunità, in una rete di affetti, il suo vivere l’amicizia, il suo rapporto con la natura… restano molto eloquenti. Infine, vi è grande interesse per la sua vita beata, non nel senso di esente da fatiche, crisi e contraddizioni, ma beata in quanto Gesù aveva una ragione per cui valeva la pena spendere e dare la vita, fino alla morte: questa la sua gioia, la sua beatitudine.

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