Una grande opportunità (Michele Falabretti)

Commento di Michele Falabretti
Responsabile del Servizio Nazionale per la Pastorale Giovanile – CEI

È una grande opportunità che ci dobbiamo giocare bene, non solo per aprire un confronto franco tra chi con loro lavora tutti i giorni, e penso alle pastorali giovanili diocesane, ma anche perché porterà noi adulti a interrogarci sulla nostra fede.
Esso potrebbe tramutarsi in concreta e preziosa occasione per “aprire gli occhi” su un mondo, quello dei nostri figli, che non può essere solo osservato dall’alto.
Mi auguro che la Chiesa e gli adulti non li guardino in questi due anni che ci separano dall’evento da lontano, come se registrassero i loro movimenti attraverso una telecamera montata su un drone, ma che li accompagnino nel cammino. Oggi i nostri ragazzi hanno bisogno di testimoni e di padri, di qualcuno che gli faccia vedere il lato promettente della vita.
Se penso ai miei nonni o ai miei genitori posso dire che hanno vissuto tanti periodi critici che corrispondevano a quelli che stava attraversando il Paese, ma si sentivano anche “costruttori” del loro futuro. Oggi invece in un momento di diffusa crisi e fragilità del mondo adulto, bisogna dare atto ai giovani che nonostante la precarietà negli affetti, sul lavoro e riguardo al futuro, non si sono persi d’animo e hanno cercato di inventarsi nuove strade. A Cracovia, durante la GMG, la polizia faceva entrare nelle stazioni solo dagli ingressi principali, ma i ragazzi pur di non perdere i treni riuscivano a sgattaiolare e a passare da varchi secondari. Presidiarli dunque non serve perché trovano sempre la loro strada. E l’indizione di un Sinodo è il segno della cura che il Papa ci chiede di riservare loro nel lavoro quotidiano di accompagnamento.

La grande domanda (Paola Bignardi)

Paola Bignardi

Presidente nazionale dell’Azione cattolica italiana dal 1999 al 2005

Avvenire.it17 ottobre 2016:

È una bella notizia quella diffusa nei giorni scorsi: il prossimo Sinodo dei vescovi sarà dedicato ai giovani. Dà speranza e nuova motivazione a tutti coloro che hanno a cuore le nuove generazioni e che vorrebbero capirle meglio per accompagnarle con maggiore efficacia nel cammino della vita. Il mondo giovanile è quanto mai complesso, anche dal punto di vista religioso: vi è quello degli slanci generosi che si vedono alle Giornate mondiali della gioventù, quello delle inquietudini che tengono tanti giovani sulla soglia della comunità cristiana; quello dei ragazzi e delle ragazze che sono approdati a una indifferenza tale da apparire impermeabili a ogni proposta.

La parola del Vangelo è per tutti e la sfida – la grande domanda – che la Chiesa accoglie, anche con questo Sinodo, è quella di interrogarsi su come aprire strade nuove al dialogo con i giovani e al tempo stesso, attraverso di loro, strade nuove per il Vangelo. Le nuove generazioni sono una componente fondamentale della Chiesa, come di ogni società, e non solo perché senza di loro non vi è futuro possibile, ma soprattutto perché essi sono la componente più innovativa e aperta, quella che respira più facilmente l’aria del proprio tempo e può provocare la Chiesa a camminare con esso.

Quando papa Giovanni volle parlare del rinnovamento che si attendeva dal Concilio, parlò di ringiovanimento: le nuove prospettive cui la Chiesa era chiamata a orientarsi dovevano avere il sapore di novità e l’apertura al futuro della giovinezza. Oggi è evidente che i giovani vivono un profondo disagio verso la Chiesa e la proposta di vita cristiana. Basta vedere quanto esigua, sebbene non irrilevante, sia la presenza giovanile alle assemblee domenicali o ad altri appuntamenti ecclesiali.

I dati della ricerca dell’Istituto Toniolo dicono che appena un quarto, per l’esattezza il 24%, di coloro che si dichiarano cattolici hanno una frequenza settimanale a un rito religioso. Eppure il desiderio di Dio non si è spento nel cuore dei giovani, che però si trovano alle strette in ogni comunità cristiana che non abbia rinnovato i suoi linguaggi, che non abbia trovato nuovo slancio per la sua azione missionaria, che non viva con uno stile gioioso la sua testimonianza quotidiana.

La maggior parte della generazione giovanile ha ricevuto una formazione alla vita cristiana negli anni della fanciullezza, e ha tagliato i ponti con la comunità appena dopo la celebrazione dei sacramenti. La vita tuttavia ha proposto a essa le grandi domande che solo nell’incontro con il Signore e il suo Vangelo trovano quiete: ma quali strade percorrere, se nel frattempo si sono perduti i contatti con i contesti dove queste domande possono essere affrontate? Come continuare a coltivare il desiderio di Dio e la ricerca di Lui, senza avere al fianco qualcuno che faccia da guida?

Come costruire il proprio progetto di vita, integrando in esso gli orizzonti della fede, se di essa non si è ancora maturata una visione adulta e convincente? Le domande restano sepolte sotto gli impegni di ogni giorno: studi, lavoro, amici, tempo libero, social… salvo riaffiorare in circostanze particolari, magari quando la vita riserva qualche esperienza dura.

Oppure vengono affrontate in solitudine, e l’approdo è quello di una fede senza riferimenti, senza comunità, senza storia. È l’esperienza di tanti giovani, che nella ricerca di ragioni personali per credere e nello sforzo di trovare forme attuali alla loro esperienza spirituale finiscono con il confezionarsi una fede su misura. Il prezioso percorso verso una fede personale, quando è condotto in solitudine, approda quasi sempre a un’esperienza spirituale individualistica e di poco spessore. L’educatore che rifletta su questo processo si rende conto di quante aperture a una ricerca autentica di Dio vi sia nella coscienza di tanti giovani, solo che trovino accanto a sé una Chiesa pronta a «uscire », che faccia cioè sentire l’accoglienza, l’apertura, il calore della sua maternità e la concretezza della fraternità.

E al tempo stesso, il cristiano attento coglie nella ricerca dei giovani i germi che possono contribuire a rinnovare la comunità stessa e le forme del suo credere. Questo Sinodo è un segnale di vicinanza che molti giovani accoglieranno come un ponte nuovo lanciato verso di loro perché possano non essere soli ad affrontare il loro percorso interiore e sperimentare che la comunità cristiana costituisce una famiglia con la quale questo cammino si fa più agevole, maturo, interessante.

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La potenza del Vangelo (Enzo Bianchi)

Intervento al sinodo dei Vescovi di Enzo Bianchi – 10 ottobre 2018
Fondatore della Comunità monastica di Bose

Santità, venerabili padri, fratelli e sorelle,
intervengo a partire dall’assiduo ascolto dei giovani dell’Europa occidentale manifestandovi congiunture e urgenze.
Per la grande maggioranza dei giovani che non vivono la vita cristiana ed ecclesiale e che non sono rappresentati in questa assemblea, “Dio” è una parola che cade nell’indifferenza, che è estranea alla loro esperienza, e per alcuni appare addirittura una parola “ambigua”, di cui avere diffidenza perché legata a fanatismo religioso, intolleranza, violenza. Non solo le immagini di Dio ricevute dalla tradizione sono contestate e incapaci di interessare i giovani, ma questi pensano di poter vivere bene senza Dio. Ciò non significa che questi giovani non abbiano sete di vita interiore e di spiritualità. Restano in ricerca. Ma l’offerta che viene fatta loro anche da parte nostra è sovente un teismo etico e terapeutico, cioè un’affermazione nebulosa di Dio accompagnata da una vita etica che ha come scopo lo stare bene con se stessi, il benessere individuale, esteriore e psichico.
Dunque il vero problema che riguarda le nuove generazioni è la crisi della fede, la mancata trasmissione della fede da parte delle nostre generazioni.
Ma in questa situazione dobbiamo constatare che i giovani restano sensibili all’umanità di Gesù Cristo che è il Vangelo e al Vangelo che è Gesù Cristo! I giovani di fatto ci dicono: “Vogliamo vedere Gesù” (Gv 12,21), come quei pagani presenti a Gerusalemme in occasione della sua ultima Pasqua. Gesù e il Vangelo intrigano i giovani; questi possono sentirsi estranei a Dio ma non a Gesù, che è il Dio fatto uomo, carne come noi tutti (cf. Gv 1,14). Ecco dunque la via che dobbiamo percorrere: far vedere Gesù, permettere l’incontro tra i giovani e Gesù, consegnare loro la buona notizia del Vangelo che può dare senso e significato alla loro vita. Ma noi abbiamo fede nella potenza del Vangelo, nella presenza viva di Gesù Cristo che con la sua vita ha raccontato l’amore e ha vinto la morte?
I giovani hanno domande che li abitano: come vivere una vita buona, una vita bella, una vita piena di senso e perciò felice. Solo Gesù Cristo dà la possibilità a un giovane di sentirsi giustificato, di esistere come esiste, mettendo vita nella sua vita. La mia esperienza di ascolto, incontro e cammino con tanti giovani mi convince, sempre di più, che quando approdano a conoscere Gesù ne restano affascinati e toccati. La vita di Gesù come vita buona, nella quale egli “ha fatto il bene” (cf. At 10,38), cioè ha scelto l’amore, la vicinanza, la relazione mai escludente, la cura dell’altro e soprattutto dei bisognosi, è vita non solo esemplare ma capace di affascinare e di rivelare la possibilità di una “bontà” che i giovani vorrebbero ispiratrice per la propria vita. Ma vi è anche un’attrazione nei confronti della vita bella vissuta da Gesù. Il suo non essere mai isolato, il suo vivere in una comunità, in una rete di affetti, il suo vivere l’amicizia, il suo rapporto con la natura: tutto ciò resta molto eloquente. Infine, vi è grande interesse per la sua vita beata, non nel senso di esente da fatiche, crisi e contraddizioni, ma beata in quanto Gesù aveva una ragione per cui valeva la pena spendere e dare la vita, fino alla morte: questa la sua gioia, la sua beatitudine. I giovani attendono di vedere Gesù, non sono una generazione malvagia, sono assetati di vita autentica, sono quelli che Gesù guarda e ama perché ha sete di averli come amici e fratelli. Dio è per loro oggi una parola ingombrante, la chiesa a volte è un ostacolo alla fede – come diceva il cardinale Joseph Ratzinger – ma Gesù resta la via! Incontrando Gesù i giovani possono andare a Dio, e quindi scoprire anche il suo corpo che è la chiesa.

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La giovinezza del Vangelo (Lorenzo Baldisseri)

Lorenzo Baldisseri
Segretario generale del Sinodo dei Vescovi

Osservatore Romano8 ottobre 2016:

Il tema del prossimo sinodo è «I giovani, la fede e il discernimento vocazionale». La scelta del Papa nasce dall’ascolto dei pastori della Chiesa, attraverso fasi successive, in continuità con l’esperienza delle due assemblee sulla famiglia e con l’esortazione apostolica «Amoris laetitia». L’obiettivo della convocazione sinodale è dunque «accompagnare i giovani nel loro cammino esistenziale verso la maturità affinché, attraverso un processo di discernimento, possano scoprire il loro progetto di vita e realizzarlo con gioia».

Nell’esortazione accompagnamento e discernimento sono le parole chiave che evocano la prospettiva con la quale la Chiesa si rivolge a tutte le famiglie, nell’orizzonte della cura pastorale. Il presupposto è l’accoglienza, l’esito è l’integrazione nella vita ecclesiale e nella società. Non si tratta infatti di un percorso riservato ad alcuni: tutti hanno il diritto di ricevere la parola del Vangelo, e di rispondervi in coscienza e con libertà. Analogamente con il nuovo tema sinodale si vuole promuovere la partecipazione dei giovani alla vita delle comunità cristiane e un loro maggiore coinvolgimento nei processi di costruzione della società.

I giovani hanno il futuro davanti a loro, sperano di poterlo costruire, di raggiungere il meglio per la propria vita. Il desiderio di realizzarsi in pienezza, il coraggio di intraprendere sentieri sconosciuti, di rischiare nuove strade appartengono naturalmente alla giovinezza, in ogni contesto culturale e religioso. Per questo la Chiesa sinodale si mette in cammino per incontrare i giovani, nelle loro concrete situazioni esistenziali, ascoltare la loro voce, le loro difficoltà, i loro desideri, le loro aspettative, anche quando la loro fede è vacillante o assente.

Il primo passo dei pastori è dunque quello di star dietro, per seguire lo slancio generoso seppur incerto, delle giovani generazioni. Potrà seguire l’accompagnamento lungo le strade tortuose della ricerca, attraverso il confronto, il dialogo, il paziente discernimento. Infine, sarà possibile indicare ai giovani la direzione, star loro innanzi per sostenerli nei momenti di difficoltà. In questo modo, insieme ai giovani, la Chiesa impara, dialoga, insegna.

La Chiesa avverte così l’urgenza di attraversare con le giovani generazioni i sentieri della storia, con in mano il Vangelo e la sua esigente carica di coerenza e di impegno per i più deboli ed emarginati. Affinché i giovani possano prepararsi a scelte significative e a costruire un progetto di vita che porti alla piena realizzazione di se stessi, è necessario offrire loro strumenti che li mettano in grado di vivere concretamente i loro sogni. I giovani sono sognatori: ciò li rende particolarmente cari allo sguardo di Dio. A loro anzitutto è rivolta la domanda del Papa, formulata il 16 marzo 2015 durante la messa a Santa Marta: «Avete mai pensato: il Signore mi sogna? Mi pensa? Io sono nella mente, nel cuore del Signore? Il Signore è capace di cambiarmi la vita?». Quando un giovane sperimenta la gioia dell’incontro con Gesù, e ha la grazia di rimanere colpito da queste domande, nel suo cuore può schiudersi anche l’orizzonte della vocazione al sacerdozio e alla vita consacrata.

Perciò l’attenzione principale va rivolta al discernimento. Occorre tenere presente cosa s’intende con il termine, quali elementi lo costituiscono e come si può svolgere questo processo. Riguarda i giovani, ai quali andrà mostrata l’importanza in ordine alle scelte da compiere, scelte che mirino al loro vero bene e permettano loro di vivere con gioia. Riguarda anche chi li accompagna (genitori, pastori, educatori) ai quali occorre fornire strumenti adeguati.

Raccontano i vangeli che i giovani hanno sempre trovato un maestro pronto ad ascoltarli: il Signore Gesù. Poco più grande di loro, li ha chiamati amici, li ha tenuti con sé accogliendo le loro fragilità senza paternalismo, mostrando loro il cuore del Padre. Sapevano che era il Signore, ma solo dopo la morte in croce hanno trovato nello Spirito la forza di diventare testimoni della sua risurrezione. Riconoscenti al Papa per aver scelto di convocare questa nuova assemblea, siamo chiamati a riflettere con gioia sul suo tema, per riscoprire la giovinezza del Vangelo.

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Cambio di passo (Mons. Pietro Fragnelli)

Intervista a Mons. Pietro Fragnelli
Vescovo di Trapani e presidente Commissione Episcopale CEI

Avvenire.it11 ottobre 2016:

Eccellenza, si aspettava la scelta di questo tema per il prossimo Sinodo?

Le aspettative non solo mie, ma di molti Pastori, vertevano principalmente su tre temi: la pace, il lavoro e i giovani. Il Papa ci ha lanciati in un percorso che obbliga ad abbracciare il mondo dei giovani e a metterci in ascolto dei loro argomenti quotidiani.

Papa Francesco ha detto ai giovani che si aspettava di sentire ‘chiasso’. Al convegno di Firenze si è puntato al protagonismo dei giovani, ma le vecchie abitudini sembrano difficili da superare. Cosa serve per un cambio di passo?

Dopo la GMG di Cracovia e il Sinodo sulla famiglia, papa Francesco impegna la Chiesa a rinnovare il suo metodo di ascolto, di confronto e di accoglienza dei giovani: da occasionale a strutturale e permanente, da moralistico e paternalistico a propositivo e collaborativo, da selettivo a inclusivo, da riduttivo (solo operativo o solo intellettuale) a integrale e comunitario. Servono lungimiranza e coraggio. Con i cambiamenti culturali in atto e con la forza trainante della parola e dell’esempio di papa Francesco si sono aperte molte brecce nel muro che separa la comunità cristiana dalla galassia giovanile. Una nuova forza gravitazionale permea il quotidiano dei giovani. Essi sanno che con i social si può attaccare l’istituzione Chiesa, ma sanno anche che se vuoi trovare un interlocutore profondo e sincero devi augurarti di incontrare un vero cristiano sulla tua strada. E questo avviene sempre più spesso, non solo con un prete o una suora, ma anche con un medico o un docente, una famiglia o un gruppo di volontari. Insomma, si tratta di un dialogo tra compagni di viaggio, non tra rappresentanti di strutture mentali diverse: l’episodio evangelico di Emmaus è modello idoneo per la ricerca sia dei giovani che della Chiesa tutta: ha un sapore di risurrezione e di comunione, di gioia da condividere, di speranza ritrovata.

Nel tema del Sinodo torna la parola chiave: discernimento. Che senso ha questo termine per i giovani?

Non mancate di dare il dono del discernimento ai giovani: così ha detto il Papa ai Gesuiti polacchi l’estate scorsa. Non un oggetto e neanche un’emozione low cost: si tratta di insegnare a camminare scegliendo bene la strada, di insegnare a mangiare scegliendo bene il cibo, di insegnare a decidere scegliendo chiaramente il bene proprio e quello di tutti. Sempre alla luce del Vangelo, da proporre e vivere come fonte di gioia e di misericordia.

Come dovrebbe prepararsi la Chiesa italiana al Sinodo?

I giovani per la Chiesa italiana costituiranno il volano per un cammino veramente sinodale. La malattia dell’autoreferenzialità in cui gli adulti soffocano è guaribile: camminiamo insieme, troviamo i tempi e i ritmi condivisi del nostro mondo, individuiamo gli obiettivi comuni, impariamo dai testimoni, costruiamo ponti andando controcorrente. Bisogna partire da e con i giovani in ogni realtà ecclesiale. Pensando al loro ruolo futuro, apriamo spazi nuovi per loro nel presente.

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I giovani ci stanno a cuore (Gualtiero Bassetti)

Gualtiero Bassetti

Cardinale, Arcivescovo di Perugia – Presidente della Conferenza Episcopale Italiana

Osservatore Romano, 19 ottobre 2016

«Su una parete della nostra scuola c’è scritto grande I care. È il motto intraducibile dei giovani americani migliori. “Me ne importa, mi sta a cuore ”». Queste celebri parole, scritte nel 1965 da un ormai malato Don Lorenzo Milani – e contenute in una memoria difensiva ricordata come Lettera ai giudici – sono ancora oggi attualissime.
Queste due semplici parole, I care, non rappresentano, infatti, solo il punto d’incontro tra le esigenze dell’allievo e quelle del maestro in una scuola dell’Italia degli anni Sessanta, ma si configurano anche, in una visione più vasta, come il momento di raccordo tra il mondo dei giovani e quello degli adulti e, in definitiva, tra le necessità delle famiglie di oggi e le istanze individualistiche di una società sempre più secolarizzata. In altre parole, quelle parole esprimono quello stesso amore e quella identica cura pastorale verso le giovani generazioni che scaturisce dall’annuncio del prossimo Sinodo dei vescovi che avrà come tema «I giovani, la fede e il discernimento vocazionale».

Si tratta, indubbiamente, di un appuntamento di eccezionale importanza per almeno due motivi.
In primo luogo, perché questo nuovo sinodo, è bene ribadirlo con chiarezza, non è certo il frutto di una estemporanea moda ecclesiale ma è il prodotto autentico di un modo di essere Chiesa che proviene direttamente dal concilio Vaticano II. In secondo luogo, perché ci troviamo di fronte ad un drammatico paradosso del nostro tempo: la sconcertante superficialità con cui si parla dei giovani.
Viviamo, infatti, in un mondo totalmente pervaso da immagini stereotipate di giovani bellissimi e fortissimi che con i loro corpi e i loro sguardi occupano le copertine patinate di molti giornali e le fotografie di molte pubblicità. Tutto il discorso pubblico, inoltre, è caratterizzato da una retorica giovanilistica, soprattutto in politica, in cui molti dicono di spendersi per le giovani generazioni e ripetono a memoria dei ritornelli, più o meno credibili, in cui si è soliti assicurare che «il futuro è dei giovani» o che «dobbiamo pensare al futuro dei nostri figli».

Eppure, molto spesso si ha la sensazione di ascoltare un copione recitato a soggetto, senza anima e cuore. Ed è qui, a mio avviso, che si colloca la centralità del prossimo sinodo. Di fronte all’effimera leggerezza con cui ci si riferisce alle giovani generazioni, si staglia la preoccupazione sapiente di una Chiesa che è un’autentica madre dei suoi figli. E allo stesso tempo ritornano le parole di don Milani: questi giovani ci stanno a cuore.
La gioventù, infatti, è lo snodo più importante della vita di ogni persona. È il momento in cui gli uomini e le donne si trovano a compiere le scelte più importanti della loro esistenza ma è anche il momento in cui la vita, come ammoniva sant’Agostino, «è scossa da frequenti e forti tempeste di tentazioni» ed è spesso «sopraffatta dai flutti del mondo che l’assalgono impetuosamente». La gioventù è dunque il periodo della passione, della forza fisica e della speranza, ed è anche il periodo della fragilità emotiva e caratteriale, dove è facilissimo perdersi nella babele di offerte di senso che provengono da ogni angolo del mondo. «Tutto gira intorno a te» diceva una famosa pubblicità di qualche anno fa.

Questa è la sirena seducente dei tempi odierni.
Oggi, infine, i giovani sono sempre più spesso i nuovi poveri. Una povertà esistenziale – caratterizzata da «bambini orfani di genitori vivi» e da «giovani disorientati e senza regole» come ha scritto Francesco nell’Amoris Laetitia – e una povertà sociale che significa convivere con una precarietà economica umiliante che, nel caso delle donne, si accompagna da un odioso ricatto: scegliere tra una maternità desiderata e un lavoro necessario.
L’unica risposta a questa duplice povertà è la risposta della fede in Cristo. Di una fede che, come scriveva nel 1957 don Milani, non «sia qualcosa di artificiale aggiunto alla vita» ma sia invece un «modo di vivere e di pensare»

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