“Adulti, per favore: stateci a sentire”: lettera aperta di una tredicenne
Virginia Di Vincenzo, 13 anni, frequenta la II media nella scuola Oscar Levi a Chieri (Torino). In questa lettera aperta, rivolta agli adulti – genitori, insegnanti, educatori – Virginia scrive delle riflessioni sul mondo “dei grandi” e rivolge a tutti delle domande.
LA PAROLA AI RAGAZZI
(NPG 2019-04-60)
Cari adulti,
perché scrivo? Perché vi scrivo?
Ho solo 13 anni, ho già 13 anni; ovviamente non sono ancora adulta ma lo diventerò, e intanto ci siete nel nostro mondo e noi ci siamo nel vostro. Insomma, condividiamo tante cose, ma in tante altre siamo diversi.
Anche se ci dite che a volte siamo incomprensibili a voi (ma anche voi, credetemi, lo siete per noi), e anche se a volte ci fate tenerezza, a volte rabbia, vorrei dialogare con voi, perché ho delle cose da dire, e non mi va più di stare soltanto ad ascoltarvi.
Parlo per me, ma parlo anche per i miei amici e compagni. Cosa credete che facciamo nelle nostre interminabili conversazioni e telefonate? Parliamo di noi, certo, ma parliamo anche di voi e di come vi vediamo, cosa proviamo, cosa vorremmo.
Ecco, dunque, un dialogo con voi in forma di lettera (sperando che leggere vi costi meno fatica che ascoltarci). E parto subito da una parola che forse voi avete abolito dal vostro vocabolario per senso di “realismo” (o opportunismo?), ma che noi ci fa ancora sobbalzare e ci attrae: la Felicità.
Essa deriva – lo abbiamo appreso da alcuni libri di letteratura che studiamo a scuola e anche da alcuni film che ci hanno emozionati e che rivediamo quasi ossessivamente – dal compimento di un sogno inseguito, soprattutto se con fatica, anche con sofferenza. E ci chiediamo: perché ci dite subito che la realtà non è così e non volete lasciarci sognare? Perché “addomesticate” la parte della nostra mente che ci fa desiderare di raggiungerla? Perché ci fate sentire esagerati quando puntiamo ad arrivarci, in alto? Forse perché avete dimenticato cosa significhi immaginare, darsi degli obiettivi, per quanto grandi e “impossibili” sembrino. Beh, questo proprio non ci va, non vogliate in questo essere per noi “modelli”! Non capiamo la vostra indifferenza nei confronti di quei piccoli dettagli “perfetti” che ci capita di incontrare ogni giorno; non capiamo la vostra disillusione e la vostra paura che si tratti solo di un’illusione; non capiamo la vostra carenza di curiosità e di domande, sì, proprio quelle domande che ritenete stupide quando ve le poniamo. Eppure un uomo che non si pone domande “stupide” non è un uomo intelligente.
Ricordate quando, camminando per strada, osservavate le facce di tutti i passanti e immaginavate una storia per ognuno di loro? Ricordate cosa si prova ad amare per la prima volta e ad essere amati per la prima volta? Ricordate tutte le litigate coi genitori senza un motivo, forse per sfogo, forse per stanchezza? Ricordate cosa si prova ad essere adolescenti? Probabilmente no, e allora è un gran peccato perché forse, se ricordaste, potreste aiutarci ad affrontare questa fase che ci rende spavaldi e intimoriti. Ma, in parte, è una cosa positiva, perché questa, oltre ad essere l’età della speranza, delle nuove emozioni e dei castelli in aria, è anche l’età in cui dobbiamo imparare a cavarcela da soli, a maturare e a raggiungere l’autosufficienza.
Siamo ad-olescenti… e la parola stessa (ci avete “linguisticamente” spiegato, ma noi lo sentiamo sulla nostra pelle, e nel nostro corpo e nella nostra mente) indica tensione in direzione di una pienezza. Oggi questa pienezza – lo constatiamo – viene in genere associata all’essere apprezzati da tutti, al rispettare gli standard imposti dalla società, invece che rappresentare per ognuno un proprio modo di essere. Siamo obbligati a stare dentro a dei limiti che vorremmo valicare, ma nei quali rimaniamo per paura di essere criticati. Tutto questo è difficile da capire e soprattutto da accettare. Posso sognare? Vorrei un mondo nel quale ognuno possa mostrare ed esprimere la parte più autentica di sé, senza maschere né timore del giudizio altrui. Ognuno di noi ha dei propri pregi e valori, degli aspetti che ci contraddistinguono dalla moltitudine, e dovremmo imparare a mostrarli e a sfruttarli. Dovremmo imparare ad aiutare gli altri a comprendere le loro peculiarità specifiche e soprattutto a rispettarle, per quanto diverse dalle nostre siano. Sarebbe un passo in avanti verso il sentirci e condividere una comune umanità.