“Conviene che ci aiutiamo”: le lettere tra Don Bosco e Antonio Rosmini

Riportiamo un articolo a firma di Ercole Pelizzone, uscito sul “Corriere di Novara” dove viene presentato un volume che parla del rapporto epistolare tra Don Bosco e Antonio Rosmini: “Carteggio Rosmini-Don Bosco”, di don Gianni Picenardi.

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“Conviene che noi ci aiutiamo reciprocamente, giacché abbiamo un solo fine”: così, affidandosi alla divina Provvidenza (e a una strenua forza di volontà), scriveva Antonio Rosmini (1797-1855) a Giovanni Bosco (1815-1888) da Stresa il 19 febbraio 1855, dopo essersi conosciuti a Torino una quindicina d’anni prima circa, quando Rosmini aveva fatto catechismo ai suoi ” biricchini ” .

A cura di don Gianni Picenardi, rosminiano, è uscito il carteggio tra queste due grandi figure della Chiesa, edito dalle Edizioni rosminiane di Stresa (200 pagine, 10 euro): raccoglie anche la corrispondenza fra religiosi rosminiani con don Bosco e altre lettere di religiosi salesiani, realizzando così un quadro realistico e rivelatore dei rapporti fra i due fondatori, anche per il prezioso contributo di note del curatore e di utili appendici biografiche. L ‘ opera è stata presentata al Collegio Rosmini di Stresa alla presenza del cardinale Tarcisio Bertone, salesiano e del preposito generale dei Rosminiani, padre Vito Nardin. Don Picenardi, augurandosi in futuro un ‘ edizione completa del carteggio, individua le sei tematiche che animano le lettere: la “promozione vocazionale” , il “progetto iniziale di una comune collaborazione per Valdocco” (1850) con l ‘ idea di una casa rosminiana accanto all’istituto salesiano, la “costruzione della chiesa di S. Francesco di Sales” (1851), “progetti di aprire una casa rosminiana e una tipografia comune a Torino” (1853), l’ “acquisto del terreno a Valdocco e la sua successiva rivendita a don Bosco ” (1851-1854) e infine le “buone relazioni e l ‘ amicizia tra Salesiani e Rosminiani ” proseguite fino ai nostri giorni.

Non si pensi che il dialogo tra queste anime elette non toccasse temi prosaici, perché spesso si tratta di soldi (in lire e in sterline) e cambiali, conti correnti, debiti e interessi, cedole al portatore e rendite, progetti di acquisti e vendite, disegni di fabbricati, sullo sfondo dell ‘ Italia risorgimentale e del conte Cavour, spesso nella persona del suo amministratore, Carlo Rinaldi, frequentemente impegnato a Torino per conto di Rosmini nei rapporti economici con don Bosco (tra i due epistolografo più assiduo). E può capitare di trovare (lettera di don Puecher a Rosmini, 5 luglio 1850) una descrizione di don Bosco in questi termini: ” mi pare un sacerdote fornito di molta pietà, semplicità e carità; di un ‘ indole mansueta, benevola e dolce; d’ingegno e cognizioni discrete, ma nulla più; di viste alquanto ristrette e anguste …” .

Su prevalenti questioni pratiche s ‘ innestano i propositi di ” salute delle anime ” per la quale tanto si adoperarono Rosmini e don Bosco, differenti per nascita e indole intellettuale, ma entrambi all’ insegna di un comune denominatore: la carità, attirando da subito un gruppo di collaboratori sempre crescente, per numero e zelo. Nella presentazione del volume, il cardinale Bertone parla dei due protagonisti come ” due stelle di prima grandezza nel firmamento del Cielo, due carismi che hanno impreziosito la Chiesa e dato vita a due famiglie religiose che continuano a riverberarne la luce nel mondo ” , sottolineando la ” relazione di carità ” da loro condivisa, mentre padre Nardin pone l’attenzione sulla Chiesa come ” società dei figli di Dio”: “alla vita consacrata spetta il compito di vivere e favorire il più possibile la realizzazione della preghiera di Gesù” .