Vocazione e senso della vita (Mimmo Muolo)
Così il Papa parla ai giovani
Mimmo Muolo
Avvenire – 11 aprile 2017
Con due raduni mondiali della GMG già alle spalle (Rio de Janeiro 2013 e Cracovia 2016) e uno all’orizzonte (Panama 2019), e soprattutto con la scelta di indire un Sinodo dei vescovi dedicato ai giovani, il Papa ha ampiamente dimostrato quanto tiene alle nuove generazioni. Proprio due giorni fa, nella Domenica delle Palme, si è svolto in piazza san Pietro il rito della consegna della Croce simbolo delle GMG dai ragazzi polacchi a quelli panamensi. Un passaggio di consegne ormai tradizionale, che però introduce anche una fase nuova nella pastorale giovanile di papa Bergoglio. Da Rio de Janeiro sono passati infatti poco meno di quattro anni, ma molto è già cambiato. Il Pontefice in particolare ha dapprima segnalato il rischio che nella società liquida del terzo millennio i giovani siano trattati da «materiale di scarto» (lo ha detto chiaramente anche nella veglia di sabato scorso a Santa Maria Maggiore, presenti i responsabili nazionali della pastorale giovanile di tutto il mondo); quindi ha invitato gli stessi giovani a coltivare maggiormente i rapporti intergenerazionali. Proprio il Sinodo del 2018, il primo in assoluto sul pianeta giovanile, è l’emblema di un duplice passo avanti rispetto all’eredità delle stagioni precedenti. Da un lato il «materiale di scarto» diventa invece il fulcro del dibattito, dall’altro la voce delle nuove generazioni (Francesco ha più volte espresso il desiderio che tutti i giovani, anche i più lontani dalla fede, siano ascoltati) viene messa in rapporto con quella di tutta la Chiesa, quasi a simboleggiare quella relazione tra le diverse generazioni («ascoltate i nonni», la sua ricorrente raccomandazione, da ultimo nella già citata veglia mariana di sabato) di cui si è detto.
Queste due novità sostanziali sono la magna charta di una pastorale giovanile 2.0 che ha precise caratteristiche. Prima di tutto l’intergenerazionalità, appunto. Per Francesco i giovani non sono un mondo a parte, un universo parallelo, ma devono entrare in relazione feconda con chi li precede nel computo degli anni. Essi possono dare alla società freschezza, entusiasmo, idee nuove. Ma in cambio hanno bisogno di ricevere esperienza, saggezza e valori. La stessa scelta di un dicastero che comprende laici (e quindi pastorale giovanile), famiglia e vita può essere inquadrata in questo contesto. Tutto ciò è risultato particolarmente chiaro alla GMG di Cracovia. Per tre sere – ripetendo l’esperienza cara a Giovanni Paolo II durante le sue visite da papa in città – Bergoglio si è affacciato alla finestra dell’episcopio che dà su via Franciszkanska e ha parlato a migliaia di ragazzi che lo aspettavano nello spiazzo antistante. Ma tutte e tre le sere ha toccato argomenti a prima vista non in sintonia con un evento così gioioso come la GMG. Il 27 luglio ha ricordato Maciej Ciešla, un giovane volontario della Giornata di 22 anni, morto poche settimane prima di tumore. Il 28 luglio ha parlato delle tre parole che salvano le famiglie («Permesso, grazie, perdono»), invitando a pregare per tutte le famiglie. Il 29 luglio, venerdì, al termine di una giornata scandita dalla visita ad Auschwitz, dalla sosta in un ospedale pediatrico e dalla via crucis con i giovani, ha esortato ad avere a cuore «tutti i Gesù che ci sono oggi nel mondo», cioè per coloro che in diversa forma portano la propria personale croce.
Perché lo ha fatto? Egli stesso in una delle sere ha sottolineato: «È un po’ triste quello che vi dico, ma è la realtà». Ecco, la realtà è che il Papa non vuole giovani tenuti in un ambiente protetto, in una sorta di bambagia spirituale, ma persone in formazione capaci fin da ora di interagire con il mondo. Ciò spiega anche perché il tema del Sinodo sarà la vocazione, nel senso più ampio della parola. In altri termini il senso della vita. Quello che la pastorale giovanile del terzo millennio deve accompagnare a scoprire in un mondo che spesso si ferma al ‘qui e ora’ senza passato e senza futuro. La seconda novità è per così dire applicativa di questo quadro di principi. Non a caso, infatti, il Papa sta cadenzando il passo dei giovani in piani triennali. Tre beatitudini hanno scandito le GMG dal 2014 al 2016, tre passi del Magnificat faranno altrettanto da qui al 2019. È una scelta innovativa, dietro la quale c’è un preciso disegno pastorale. Le beatitudini sono il cuore del Vangelo. Indicandole ai giovani, Francesco li ha invitati a una sequela radicale di Cristo, fino a toccare il culmine con la beatitudine dei misericordiosi, che ha tradotto per loro il messaggio dell’Anno Santo. In continuità con questa indicazione, ecco il riferimento a Maria, «colei che tutte le generazioni chiamano beata». E dunque un modello da imitare, una creatura che sa fare memoria del passato, avere coraggio nel presente e speranza nel futuro. Nei tre anni ‘mariani’ che ci stanno di fronte il percorso sarà animato dalle tre virtù teologali: fede, carità e speranza. Il tutto, tra l’altro, in perfetta sintonia con la riflessione che Francesco ha affidato al prossimo Sinodo dei Vescovi: I giovani, la fede e il discernimento vocazionale. E infatti, lo stesso Pontefice, nel Messaggio per la GMG su base diocesana del 2017 (celebrata in questa Domenica delle Palme) sottolinea: «Desidero che vi sia una grande sintonia tra il percorso verso la GMG di Panama e il cammino sinodale».
Infine, proprio il testo di questo Messaggio, pubblicato il 21 marzo scorso e accompagnato per la prima volta anche da un videomessaggio, ci introduce a una ulteriore novità: la capacità del Papa di parlare un linguaggio facilmente comprensibile anche dalle nuove generazioni e di ‘abitare’ gli ambienti multimediali della generazione digitale. A Cracovia, ad esempio, aveva stigmatizzato la condotta di quelli che aveva definito «giovani-divano» (metafora ripresa anche nel testo di quest’anno), cioè di coloro che se ne stanno chiusi in casa, su un comodo divano appunto, magari a giocare alla playstation o a guardare la tivu. Non solo: aveva ricordato che la vera felicità «non è un’app che si scarica sul telefonino» e che vivere senza Gesù è come se per un cellulare non ci fosse campo.
Francesco, dunque, sa come entrare in empatia con i giovani del terzo millennio, così come Giovanni Paolo II e Benedetto XVI avevano fatto con le due generazioni precedenti. A tal fine egli mescola sapientemente il nuovo e l’’antico’, ma reinventa ogni cosa alla sua maniera. Ad esempio ha voluto che si celebrasse per la prima volta un Giubileo dei ragazzi (il nuovo), per ridare importanza a un’età (quella della cresima, sacramento da lui stesso definito dell’«arrivederci») finora ai margini del discorso e tuttavia di vitale importanza per le scelte di vita. E proprio durante questo Giubileo, il 23 aprile 2016, ha compiuto uno straordinario gesto, quando a sorpresa si è recato in piazza san Pietro, sedendosi su una semplice sedia per confessare (l’’antico’) come un sacerdote qualsiasi, durante il Giubileo dei ragazzi. Il Papa ‘parroco’ non è una figura lontana, avvolta in una sacralità intangibile e quasi mitologica, ma un ‘amico’ speciale che, sull’esempio di Gesù, non esita a farsi compagno di strada di tutti. L’eloquenza del gesto diviene magistero nel momento stesso in cui è compiuto.
Possiamo ora provare a trarre qualche conclusione. Prima di tutto, come abbiamo visto, il Papa non esita a porsi sullo stesso piano. Selfie, linguaggio condito da metafore tecnologiche, vicinanza anche fisica, abbracci e gesti inattesi sono la grammatica di base di un approccio all’universo giovanile che si nutre di una dinamica inclusiva. Così i contenuti (anche quelli tradizionali) della pastorale giovanile vengono declinati con un linguaggio metaverbale particolarmente adatto ad essere recepito da chi è più a suo agio con l’immediatezza dei bit che con le riflessioni filosofiche. Nel contempo, però, questo ‘abbassarsi’ è il preludio per uno scatto in avanti, cioè per l’invito ad andare oltre l’autoreferenzialità del mondo giovanile e oltre la logica del «materiale di scarto», per mettere davvero i giovani in relazione feconda con le altre età e renderli – come il Papa stesso disse a Rio de Janeiro – «la finestra dalla quale il futuro entra nel mondo».