Un Sinodo sui giovani – La Lettera di papa Francesco (Lilia Sebastiani)
Lilia Sebastiani
Il tema-Sinodo dopo la grande attenzione mediatica quasi esasperata con cui era stata seguita la prima fase di quello 2014-2015 sulla famiglia – un po’ meno la seconda fase, forse, in cui già all’inizio si avvertiva l’impressione di un certo ripiegamento – era rientrato nel silenzio dell’ordinarietà. Adesso si risveglia: più sottovoce e con limitato coinvolgimento mediatico, il che del resto potrebbe essere un fatto positivo. È stato deciso (e comunicato fin dal 6 ottobre 2016) che la prossima assemblea generale ordinaria del Sinodo dei Vescovi, la quindicesima, nell’ottobre 2018, verterà sul tema dei giovani: precisamente I giovani, la fede e il discernimento vocazionale.
Perché questa scelta? La spiegazione offerta da un nota della Sala Stampa vaticana («Dimostra una sollecitudine pastorale della Chiesa verso i giovani») è di tono parecchio ecclesiastico e nel solco della tradizione. La stessa nota dice pure che papa Francesco ha scelto il tema «dopo aver consultato (…) le Conferenze episcopali, le Chiese orientali cattoliche sui iuris e l’Unione dei superiori generali, nonché aver ascoltato i suggerimenti dei Padri della scorsa Assemblea sinodale e il parere del XIV Consiglio ordinario». Tutto irreprensibile, certo, ma non dà esattamente l’impressione di una chiesa in uscita, per usare l’espressione tanto cara a papa Francesco e ormai entrata (buon segno) nel linguaggio ecclesiale corrente.
Ancora: «intende accompagnare i giovani nel loro cammino esistenziale verso la maturità affinché, attraverso un processo di discernimento, possano scoprire il loro progetto di vita e realizzarlo con gioia, aprendosi all’incontro con Dio e con gli uomini e partecipando attivamente all’edificazione della Chiesa e della società», e qui si comincia a scorgere uno spiraglio di novità e si chiarisce meglio l’intenzione di papa Francesco. Egli assume un atteggiamento di ascolto, si propone di accompagnare, e invita i vescovi a fare lo stesso, e prima ancora si propone di ascoltare i giovani: un processo che può solo cominciare dal ‘vicino’, cioè dal loro cammino di vita cristiana (nei casi in cui di un tale cammino si possa parlare, che non sono la maggioranza), dalle loro domande esistenziali e religiose; ma non solo.
Infatti il discernimento vocazionale di cui si parla riguarda tutte le scelte di vita, e riguarda eventualmente le vocazioni di speciale consacrazione, ma anche l’impegno nel matrimonio, negli studi, nel lavoro. Questa non sarebbe una novità, il tema vocazionale è già affiorato in diverse assemblee sinodali in riferimento a diverse scelte e condizioni di vita (molto presente anche nell’ultimo Sinodo sulla famiglia), ma in questo caso la vita come chiamata, l’importanza del discernimento -quindi la centralità dello Spirito – sono centrali nell’approccio all’universo giovanile.
In effetti nella situazione dei giovani che possiamo scorgere intorno a noi, nella confusa polifonia di voci che troppo spesso rendono frammentata la loro esperienza fino a diventare una specie di a-fonia un po’ troppo fragorosa, l’aspetto più carente e confuso sembra proprio la dimensione educativa e in particolare il discernimento.
La lettera ai giovani
Chi sono i giovani? La definizione di partenza, dichiaratamente insufficiente però, è di ordine anagrafico: sotto il termine giovani vengono intesi quelli la cui età è compresa tra i 16 e i 29 anni. Una fascia molto ampia quindi, che comprende momenti diversissimi dell’esistenza, da un individuo all’altro, da un ambiente all’altro, da una civiltà all’altra. Il papa appare ben consapevole della necessità di adattare ogni analisi, ogni proposta, alle diverse realtà locali, come viene spiegato in modo dettagliato e organizzato nel documento preparatorio. La lettera di papa Francesco colpisce anche per la sua brevità. Forse perché è uno scritto che serve solo a stabilire un contatto iniziale, perché la riflessione non è stata ancora avviata; ma si potrebbe anche pensare che il papa abbia tenuto conto del fatto che i giovani sono oggi abituati di solito a comunicazioni molto essenziali (sms, chat…), anche troppo essenziali, non di rado a spese dell’approfondimento.
È una lettera semplice, diretta, affettuosa («Ho voluto che foste voi al centro dell’attenzione perché vi porto nel cuore»), senza retorica. La centralità del discernimento emerge subito: «Vi invito ad ascoltare la voce di Dio che risuona nei vostri cuori attraverso il soffio dello Spirito Santo». Insiste sul tema dell’uscire, in riferimento alla chiamata da Dio rivolta ad Abramo (Gen 12,1), e, nel NT, sulla chiamata dei primi discepoli sottolineando che uscire non significa fuggire, ma dischiudere nuovi orizzonti.
«Qual è per noi oggi questa terra nuova, se non una società più giusta e fraterna che voi desiderate profondamente e che volete costruire fino alle periferie del mondo?». E più avanti: «Un mondo migliore si costruisce anche grazie a voi, alla vostra voglia di cambiamento e alla vostra generosità. Non abbiate paura di ascoltare lo Spirito che vi suggerisce scelte audaci, non indugiate quando la coscienza vi chiede di rischiare per seguire il Maestro».
È importante che la Chiesa si impegni ad ascoltare i giovani, mentre ai giovani non si chiede, almeno prioritariamente, di ascoltare la Chiesa; ma di farsi sentire con piena fiducia. «Pure la Chiesa desidera mettersi in ascolto della vostra voce, della vostra sensibilità, della vostra fede; perfino dei vostri dubbi e delle vostre critiche. Fate sentire il vostro grido, lasciatelo risuonare nelle comunità e fatelo giungere ai pastori. San Benedetto raccomandava agli abati di consultare anche i giovani prima di ogni scelta importante, perché ‘spesso è proprio al più giovane che il Signore rivela la soluzione migliore’ (Regola di San Benedetto III, 3)».
È quasi un tòpos obbligato che gli scritti papali si concludano con un riferimento a Maria, ma quello che si trova al termine della Lettera ai giovani sembra più dinamico e stimolante: il papa invita i giovani a «intraprendere un itinerario di discernimento per scoprire il progetto di Dio» per realizzare in maniera gioiosa e piena la loro vita, e li affida a Maria di Nazareth, che per prima ha compiuto questo cammino, accogliendo con il suo «sì» la Parola di Dio nella sua vita.
Maria vi appare come una giovane in ricerca e in ascolto, «una giovane (…) a cui Dio ha rivolto il Suo sguardo amorevole», come una discepola in cammino.
Chiesa in uscita, Chiesa ‘prossima’
In occasione di diversi sinodi precedenti, una critica ricorrente (forse un po’ sbrigativa, certo però non ingiusta) riguardava la formula. Si diceva in sostanza che un gruppo di vescovi, anche qualificato e benintenzionato, riunito «per parlare di», forse non poteva offrire al mondo nulla di realmente nuovo. I laici, gli sposi cristiani o no, la famiglia, i giovani… non possono essere solo oggetto di riflessione e destinatari di un messaggio conclusivo, fosse pure illuminato e illuminante quanto si vuole: quel messaggio correrebbe il rischio di restare sostanzialmente inascoltato e anzi sconosciuto.
La comunicazione a senso unico e priva di feedback è un limite storico della chiesa; se una volta sembrava cosa ovvia, oggi comincia ad essere percepito come inaccettabile. Il peggio è che non suscita, di solito, critica o ribellione (le quali sottintenderebbero comunque un interesse, una qualche forma di rapporto), ma disinteresse ed estraneità.
Ancora non sappiamo come andranno le cose quando i lavori del Sinodo saranno entrati nel vivo, ma le intenzioni appaiono diverse e trasformative.
Alla conferenza stampa di presentazione del Sinodo erano presenti anche due giovani, entrambi della parrocchia di S. Tommaso Moro in Roma: la ventiquattrenne Federica Ceci, responsabile della Scuola di formazione sociale e politica, e Elvis Do Ceu, 21 anni, catechista, i quali hanno dichiarato la loro gratitudine a papa Francesco per aver voluto rendere i giovani «interlocutori privilegiati di una Chiesa in uscita e in dialogo con le nuove generazioni» e hanno espresso il loro obiettivo con parole che ricordano lo stile di papa Francesco: «… Sporcarci le mani, vivendo nella società non da spettatori ma da protagonisti attivi e consapevoli».
In ordine al Sinodo e alla sua preparazione, osservazioni notevoli per acutezza e umanità sono state espresse in un’intervista da don Michele Falabretti, responsabile del SNPG (Servizio nazionale per la pastorale giovanile della CEI), che nel documento preparatorio e nella Lettera ai giovani ha sottolineato la dimensione di sfida che questo Sinodo può costituire per la comunità cristiana, «che deve essere generativa della fede».
Riferendosi in particolare all’ultima GMG (svoltasi a Cracovia), d. Falabretti sottolinea che «i ‘nostri’ non esistono più. Ci sono tanti ragazzi venuti alla GMG che normalmente non appartengono ai circuiti di nostra conoscenza. I giovani oggi hanno tante appartenenze e la pastorale giovanile non può essere qualcosa che si aggiunge alla loro vita. Il tempo del gruppo deve diventare la possibilità per il giovane di fare sintesi di tutto il resto, scuola, famiglia, passioni, hobby, di costruirsi una biografia dove mettere insieme vita e Vangelo».
E raccomanda, pensando al Sinodo che si aprirà nel 2018, che la Chiesa e gli adulti in genere non guardino i giovani da lontano, in questi quasi due anni che ancora mancano all’evento, «come se registrassero i loro movimenti attraverso una telecamera montata su un drone», cioè come una realtà esterna che li osservi dall’alto e da lontano, ma che li accompagnino nel cammino.
Un viaggio della Chiesa: il documento preparatorio
Sempre più si ha l’impressione che questo Sinodo che deve aprirsi sia chiamato ad ascoltare i giovani per parlare di loro / a loro / con loro, ma forse non solo questo. Se funzionerà, infatti, sarà per tutta la Chiesa una grande occasione di riflettere su se stessa: anche per gli adulti al suo interno, vescovi e operatori pastorali in primo luogo, provocati a riflettere sulla loro fede.
Non è possibile comprendere davvero la Lettera ai giovani se non la si considera insieme al Documento preparatorio, pubblicato anch’esso il 13 gennaio, a cui il papa scrivendo fa esplicito riferimento.
Ha ancora un carattere molto generale ed è volto soprattutto a delineare intenzioni e a raccogliere dati affidabili sulla concreta situazione dei giovani nelle diverse parti del mondo. Le intenzioni del Sinodo si faranno più leggibili quando, sulla base di questi dati, verrà pubblicato l’Instrumentum Laboris, punto di riferimento per la discussione che verrà condotta in assemblea dai Padri sinodali.
Il Documento preparatorio intanto si pone in continuità con il cammino che la Chiesa sta percorrendo con papa Francesco; rinvia molto riconoscibilmente in più punti all’Evangelii gaudium e all’esortazione postsinodale Amoris laetitia (che verteva sull’amore e sulla famiglia, ma in cui, è stato osservato, i giovani venivano nominati ben 36 volte).
Il Documento preparatorio che il papa affida ai giovani come una bussola per orientarsi nel cammino raccomanda fra l’altro ai vescovi e agli operatori pastorali in genere di «uscire dai propri schemi preconfezionati, incontrando [i giovani] lì dove sono, adeguandosi ai loro tempi e ai loro ritmi» e uscendo da «quelle rigidità che rendono meno credibile l’annuncio della gioia del Vangelo».
A conclusione del testo viene pubblicato un primo questionario indirizzato ai giovani di tutte le diocesi del mondo – non un’appendice, ma un contenuto fondamentale -, al quale seguirà una seconda consultazione di tutti i giovani attraverso un sito Internet appositamente dedicato, con un questionario sulle loro aspettative e la loro vita.
Dall’Evangelii Gaudium in particolare proviene una doppia triade di verbi: uscire -vedere – chiamare (che risponde alla domanda centrale, «Che cosa significa per la Chiesa accompagnare i giovani ad accogliere la chiamata alla gioia del Vangelo, soprattutto in un tempo segnato dall’incertezza, dalla precarietà, dall’insicurezza?»). E poi riconoscere – interpretare – scegliere, in cui è condensata la dinamica del discernimento vocazionale.
L’invito vocazionale a ‘uscire’ non è rivolto solo ai giovani, ma alla Chiesa tutta. Uscire non significa solo andare da un’altra parte, ma «abbandonare gli schemi che incasellano le persone, (…) ridestare il desiderio, smuovere le persone da ciò che le tiene bloccate, porre domande a cui non ci sono risposte preconfezionate».
E quindi, viene detto apertamente, anche uscire da quelle rigidità – di idee ma anche di stile espressivo – che troppo spesso rendono meno credibile l’annuncio della gioia del Vangelo, da un modo di essere Chiesa che a volte risulta anacronistico.
Le vocazioni sono tante e nello stesso tempo si tratta di una sola: la vocazione all’amore, che nella vita quotidiana assume per ciascuno una forma concreta attraverso una serie di scelte: «Assunte o subite, consapevoli o inconsapevoli, si tratta di scelte da cui nessuno può esimersi. Lo scopo del discernimento vocazionale è scoprire come trasformarle, alla luce della fede, in passi verso la pienezza della gioia a cui tutti siamo chiamati».