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Semi e cammini di spiritualità

Per questa ultima newsletter prima della pausa estiva, proponiamo un “raccoglitore” di alcuni temi di approfondimento sulla spiritualità per i cammini rivolti ai giovani.

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Essendo questo un campo grande quanto la vita e la fede… indichiamo solo alcuni temi di approfondimento, tralasciando altri più specifici e trattati altrove.

SPIRITUALITÀ COME IDENTITÀ CRISTIANA – di Riccardo Tonelli

Il tema scelto per questo studio potrebbe risultare superato in partenza: una ricerca sulla «spiritualità»? E, per di più, per i giovani d’oggi?
Siamo consapevoli che il termine può risultare equivoco, evocativo di modelli cristiani che molti ormai hanno messo a disuso.
Parliamo di spiritualità per riaffermare invece una esigenza imprescindibile dell’esperienza cristiana. Diamo però a questa voce una dimensione ampia e totalizzante.
Pensiamo alla spiritualità come ricerca sulla identità cristiana, come significato globale di vita, capace di unificare, nella prospettiva del senso, i singoli gesti che qualificano l’uomo cristiano.
Spiritualità giovanile è quindi per noi il tentativo di «inventare» una immagine di giovane cristiano, proponibile oggi a quei giovani che se la sentono di giocare la propria vita per Gesù Cristo, nella sua Chiesa e che, a partire da questa decisione radicale, si interrogano sul proprio quotidiano esistere come uomini nuovi.
Con questa pretesa, vogliamo superare due stimoli, che riteniamo negativi: da una parte, la riproduzione, con qualche aggiustamento di ammodernizzazione, di molte spiritualità tradizionali, consapevoli che la riflessione antropologica e teologica attuale ha modificato i presupposti su cui si reggevano quei progetti; dall’altra, la tentazione, facile quando non si riesce a trovare modelli praticabili, di svuotare l’esperienza cristiana della sua irrinunciabile dimensione «spirituale».
Si tratta invece, come dicevamo, di affermare a piena voce l’esigenza di spiritualità; ma di farlo in modo che essa risulti una proposta teologicamente e antropologicamente corretta, significativa. È cioè un evento di salvezza, per i giovani d’oggi.

Sbagliare e crescere

di Stefano Siso Clerici
Da Note di Pastorale Giovanile

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La scuola è un ambiente unico. Nascono relazioni, amicizie, si cresce, ma è anche il primo luogo dove i ragazzi iniziano a conoscere il fallimento, l’insuccesso e la frustrazione. Soprattutto alle medie, quando il cambiamento sia fisico che psicologico inizia a caratterizzare le giornate dei nostri ragazzi. Ed è qui che la figura dell’educatore è fondamentale, dove il carisma salesiano riesce ad incunearsi e a far sbocciare qualcosa di bello! È faticoso e impegnativo mettersi in gioco con i preadolescenti, ma è una vocazione che ripaga di tante cose; soprattutto nelle situazioni difficili. Mi è successo più volte di essere dentro a situazioni spiacevoli come quella volta con Marco, ragazzo semplice, ma al quale la vita aveva già messo davanti molti ostacoli; dalla separazione dei genitori, alle loro nuove famiglie, condite da un disturbo dell’apprendimento che lo faceva sentire diverso agli occhi dei suoi compagni. Mi ricordo bene quella mattina, Marco si era preparato per l’interrogazione di Storia, aveva studiato, ma al momento di rispondere si era bloccato, non riusciva ad interloquire con la professoressa, sembrava proprio che la sua mente fosse priva di ogni nozione e così il voto non potè essere che negativo.
Io non avevo assistito all’interrogazione e stavo lavorando nel mio ufficio organizzando i tornei del pomeriggio, ma sentii le urla provenire dal corridoio e le porte del bagno sbattere prepotentemente. Subito mi alzai per andare a vedere cose fosse successo e quando entrai in bagno vidi Marco sbattere forte i punti contro le porte dei bagni; non è mai facile entrare subito in empatia con un ragazzo pieno di rabbia, la prima cosa che ho fatto è stata esserci e premurarmi che non si stesse facendo male. Per un ragazzo così, già il fatto che qualcuno si interessi a lui è fondamentale, quante urla e manifestazioni di rabbia vengono lanciate nel nulla senza che nessuno risponda, sono richieste d’aiuto che noi adulti dobbiamo recepire e immagazzinare.
“Cos’è successo?” gli dissi.
“Niente!” tipica risposta dei ragazzi.
“Allora perché te la prendi con la porta?”
“Perché sono arrabbiato!”
“Allora sto qui a difendere la porta dal tuo niente! Ma appena finisci vieni con me in ufficio e facciamo 4 chiacchiere.”
Vedendo che non me ne andavo, ma anzi cercavo di interagire con lui, Marco ha cominciato a tranquillizzarsi e a lasciare in pace la povera porta verde del bagno ed è scoppiato a piangere. Ci sono pianti e pianti, quello di Marco era di frustrazione, come di rassegnazione dell’ennesimo insuccesso della sua vita. A quel punto l’ho accompagnato da me, l’ho fatto sedere, gli ho dato qualcosa di dolce da mangiare, che non fa mai male, e mi sono fatto raccontare tutto quello che era successo.
Anche solo raccontando il fatto, Marco stava già meglio, sentire che qualcuno era lì per lui solo per ascoltarlo era già un gran risultato, al giorno d’oggi i ragazzi cercano come oro qualcuno che li ascolti senza essere giudicati, qualcuno che dimostri loro che possono essere amati e compresi con i loro pregi e i loro difetti.
A scuola è più facile, ma non sempre scontato, di ragazzi come Marco ce ne sono tanti e tutti hanno bisogno di qualcuno che li aiuti a sbagliare e a crescere dai propri errori.

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“Sono operaio e sono cattolico”. Bartolomé Blanco Márquez (1914-1936)

Pierluigi Cameroni

(NPG 2020-05-66)

“Io sono operaio, sono nato da genitori che pure lo erano. Ho vissuto e vivo nell’ambiente di strettezza e di lavoro delle classi umili e sento correre nelle mie vene, esacerbate a volte dal fuoco dell’entusiasmo giovanile, una protesta, un’energica protesta, contro coloro che credono che non siamo uomini come loro perché abbiamo avuto la disgrazia – o forse la sorte – di nascere nella povertà, di usare il camice da lavoro e avere le mani ruvide e callose. Però chiariamo i concetti: sono operaio e sono cattolico”.

Chi parla così è un giovane di 19 anni, di professione fabbricatore di sedie, seggiolaio, al comizio dell’Azione Popolare il 5 novembre 1933 a Pozoblanco (Spagna); un giovane retto e coraggioso, con un’intelligenza non comune, di umili origini, di condizione operaia, difensore dei diritti del popolo e della Chiesa.

Una vita breve, ma intensa

Bartolomé Blanco Márquez nasce a Pozoblanco (Cordova, Spagna) il 25 dicembre 1914. Sua mamma muore a causa dell’epidemia detta “spagnola” prima che il bimbo compia i quattro anni. Figlio e padre vanno a vivere dagli zii. Orfano anche di padre a dodici anni, perso a seguito di un grave incidente, deve lasciare la scuola e mettersi a lavorare da seggiolaio nel piccolo laboratorio del cugino. Quando nel settembre 1930 arrivano a Pozoblanco i Salesiani, Bartolomé frequenta l’oratorio e aiuta come catechista e animatore. Trova in don Antonio do Muiño un direttore che lo spinge a continuare la sua formazione intellettuale, culturale e spirituale attraverso la partecipazione ai circoli di studio. Questo Salesiano sarà, fino alla prematura morte di Bartolomé, suo confessore e guida spirituale. Don Antonio intuisce la buona stoffa di quel ragazzino, già provato dalla vita, che grazie all’impegno cristiano e all’influenza della dottrina sociale della Chiesa si sarebbe coinvolto fin da giovanissimo nell’impegno di trasformazione sociale. È apprezzato da parenti, amici, compagni per il suo ingegno, l’impegno apostolico, l’attitudine di leader. Più tardi entra nell’Azione Cattolica, di cui è segretario e dove dà il meglio di sé. Trasferitosi a Madrid per specializzarsi nell’apostolato fra gli operai presso l’Istituto Sociale Operaio, si distingue come oratore eloquente e studioso della questione sociale. Ottenuta una borsa di studio, può conoscere attraverso un viaggio organizzato dall’Istituto Sociale Operaio le organizzazioni operaie cattoliche di Francia, Belgio e Olanda. Nominato delegato dei sindacati cattolici, nella provincia di Cordoba ne fonda otto sezioni.

Quando esplode la rivoluzione, il 30 giugno 1936, Bartolomé ritorna a Pozoblanco e si mette a disposizione della “Guardia Civile” per la difesa della città, che dopo un mese si arrende ai rossi. Dopo qualche giorno di nascondimento si consegna il 18 agosto. Accusato di ribellione viene portato in carcere, dove continua ad avere un comportamento esemplare: “Per meritarsi il martirio, bisogna offrirsi a Dio come martiri!”. Il 24 settembre viene trasferito nel carcere di Jaén, nel quartiere di ‘Villa Cisneros’, dove condivide la sorte con quindici sacerdoti e molti altri laici impegnati. Viene processato e condannato a morte a Jaén il 29 settembre. Il processo avviene davanti a un pubblico che grida e insulta, attraverso testimoni falsi e manipolati, con accuse prive di fondamento. I veri motivi sono la fede cattolica e l’impegno di Bartolomé in diverse associazioni e attività a favore della giustizia. Come è tipico di queste situazioni si tratta di un processo farsa, con giudizio iniquo. Le accuse sono: essere di destra, ribellione alla Repubblica, congiura contro il governo costituito, addirittura l’assassinio. Lo fa soffrire che il delatore sia un compagno di infanzia animato da odio viscerale nei confronti suoi e della Chiesa. Dopo la sentenza, mantenendo la calma e difendendosi con dignità, dice: “Avete creduto di farmi un male e invece mi fate un bene perché mi cesellate una corona”.

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