CHRISTUS VIVIT – Invito alla lettura
a cura di don Michele Falabretti
Direttore del Servizio Nazionale di Pastorale Giovanile della Conferenza Episcopale Italiana
L’esperienza del Sinodo che tutti – in modi diversi – abbiamo condiviso, ci ha fatti ritrovare attorno alle domande su come tenere viva l’esperienza generativa della fede cristiana. I giovani rappresentano molto nella vita dell’uomo, soprattutto la possibilità di consegnare qualcosa di sé: la vita e il suo senso, la cura e gli affetti, e così assistere allo spettacolo di veder crescere in altri ciò che a noi adulti è capitato molto tempo fa.
Per questo il Sinodo (in tutto il suo percorso) è stato una grande promessa di speranza, soprattutto per dare risposta a ciò che talvolta ci mette in ansia, come la fatica di interagire con la cultura contemporanea nella quale i giovani stanno crescendo. In questa ricerca sincera sono venute alla luce e hanno preso forma tante belle opportunità.
Gli snodi culturali di questo tempo (che loro sanno intercettare prima e talvolta meglio degli adulti) suonano estranei a ciò che consideriamo essenziali alla vita di fede; ma se non vogliamo tradire il principio di incarnazione non possiamo né ignorarli, né considerarli in eterno contrasto con le istanze della fede stessa. Come ha più volte ricordato papa Francesco, l’ascolto è un atto di fede. Per fare questo è necessario camminare insieme, riconoscendo nella presenza, nello sguardo, nelle parole intelligenti di chi ci sta accanto un aiuto e un sostegno ai passi di tutti.
Fondamentalmente è accaduto questo nell’aula sinodale e nei circoli minori, nei corridoi e nei cortili all’aperto dove l’ottobre romano concedeva ancora di passeggiare e confrontarsi. Ma anche, immagino, negli innumerevoli incontri (quanti saranno stati?) che in tutto il mondo si sono svolti nei due anni circa di cammino sinodale, un grande laboratorio dove confluisce la geografia del mondo intero. Ogni volta ciascuno è entrato in quegli spazi con le sue convinzioni; se ha aperto il cuore all’ascolto, esse si sono rimpicciolite sempre più in favore di una visione più ampia frutto del confronto e dello scambio.
Il Sinodo, dunque, ha messo i giovani al centro: la fede (per quanto ferma nei suoi contenuti) non può essere immutabile nelle forme, che saranno necessariamente storiche. In un tempo così frammentato, tentare di ridurla a poche norme significa renderla inefficace oltre che impoverirla. Le domande su come consegnare il vangelo ai giovani di questo tempo, mostrano il bisogno di considerare questo compito come un’impresa comune che fa lo sforzo di valorizzare le sensibilità di tutti cercando comunque di fare sintesi.
Un’esperienza del genere è tanto affascinante quanto pericolosa. Essa rischia di lasciare un vuoto, di sembrare improduttiva, perché le risposte non sono né immediate né a portata di mano. Forse per questa ragione, c’è stata una convergenza dell’Assemblea sinodale nello scegliere il brano dei discepoli di Emmaus come paradigma di ciò che la Chiesa vive (o avrebbe il desiderio di vivere) nel suo rapporto con gli adolescenti e i giovani di oggi.
Essi non sono “altro” dal resto della Chiesa, ma sarebbe sciocco non accettare il gioco delle generazioni che è vecchio come il mondo. Da sempre i giovani, che pure appartengono alla famiglia e alla società che li ha generati, si collocano quasi naturalmente in antitesi con il mondo degli adulti. Questo confronto rende il compito degli adulti sempre arduo e permette ai giovani di far emergere le domande più importanti, di costruire le proprie biografie. Proprio come è accaduto a ogni adulto di questo mondo, dal quale è lecito aspettarsi una comprensione dei più piccoli, un atteggiamento di ascolto e di cura amorevole.
L’esperienza sinodale è sembrata a tutti un grande laboratorio e non è improbabile la sensazione che non se ne esca con delle ricette pronte. Per questo, ora, è importante che ci raggiunga la parola autorevole del Santo Padre, che con la sua Esortazione Apostolica ci aiuti a riprendere con pazienza le istanze che il Sinodo ha provato a far emergere e a comporre.
Come i discepoli di Emmaus, ci sentiamo nella condizione di pellegrini, sentiamo il bisogno di una parola che ci scaldi il cuore. Una parola che, anzitutto, ci tenga compagnia: la vita non sempre mantiene ciò che promette e il pericolo di annegare nelle proprie solitudini è in agguato.
Questo libro contiene il testo dell’Esortazione Apostolica del Papa: è la parola conclusiva che rilancia il percorso sinodale, e che insieme ad altri testi lascia in eredità alla Chiesa – in particolare a chi si occupa di pastorale giovanile vocazionale – una piccola biblioteca: si parte dal Documento preparatorio (gennaio 2017), passando per quello dei giovani al termine dell’Assemblea presinodale (marzo 2018), all’Instrumentum laboris (giugno 2018), fino al Documento finale (ottobre 2018) votato interamente a maggioranza qualificata al termine delle varie sedute del Sinodo.
I due Segretari speciali del Sinodo ci guidano alla lettura del testo consegnato dal Papa nella Santa Casa di Loreto il 25 marzo scorso.
Sono contento di non doverlo commentare. Sento anche io il bisogno di mettermi di fronte alla parola del Papa per non chiudere troppo frettolosamente il discernimento: quello che dovrebbe fare ciascuno su se stesso, prima di pretendere che lo facciano gli altri.
Per questo l’invito è, semplicemente, alla lettura. Con il cuore libero: dalle paure rispetto a questo tempo, perché anche oggi il Signore parla – lo disse Isaia al popolo in un contesto non facile: «Cercate il Signore, mentre si fa trovare, invocatelo, mentre è vicino» (Is 55,6); dalle incertezze rispetto ai giovani, perché anche in essi c’è il sigillo della creazione e anche nel loro cuore c’è il soffio dello Spirito; dai pregiudizi che nascondono le fragilità attorno alle quali ci illudiamo di costruire fortezze inattaccabili.
Un Sinodo non è la riscrittura della Rivelazione. È tutto ciò che riusciamo a fare per comprendere il tempo che stiamo attraversando. Sono testimone che questo sforzo è stato fatto intensamente durante il percorso sinodale. La Parola che ci guida da sempre, queste parole di chi ci guida in questo tempo, possono essere nostro viatico. Se con un po’ di umiltà e pazienza apriremo il cuore al loro ascolto.