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Vaticano – Don Mauro Mantovani, SDB, nominato Prefetto della Biblioteca Apostolica Vaticana

Dall’agenzia ANS.

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(ANS – Città del Vaticano) – La Sala Stampa della Santa Sede ha comunicato oggi, 14 febbraio 2023, che il Santo Padre Francesco ha nominato Prefetto della Biblioteca Apostolica Vaticana don Mauro Mantovani, SDB, finora Decano della Facoltà di Filosofia presso l’Università Pontificia Salesiana a Roma (Italia) e già Rettore Magnifico dell’Università Pontificia Salesiana.

Mauro Mantovani è nato il 3 gennaio 1966 a Moncalieri (Italia), ha svolto il noviziato presso la casa salesiana “Monteoliveto” di Pinerolo e ha emesso i primi voti nella Società Salesiana di San Giovanni Bosco l’8 settembre 1986; ha professato i voti perpetui a Castelnuovo Don Bosco il 27 settembre 1992 ed è stato ordinato presbitero il 12 settembre 1994 a Torino.

Ha compiuto studi di Filosofia e di Teologia presso l’Università di Roma Tor Vergata (Laurea in Filosofia, 1995), l’Università Pontificia Salesiana (Baccalaureato e Licenza in Filosofia; Baccalaureato in Teologia presso la sezione di Torino, e Licenza in Teologia Dogmatica); l’“Universidad Pontificia de Salamanca”, in Spagna (Dottorato in Filosofia e Lettere, 2006) e la Pontificia Università San Tommaso d’Aquino – “Angelicum” a Roma (Dottorato in Teologia Tomistica, 2011).

Dal 2007 è Professore Ordinario all’Università Pontificia Salesiana (UPS) a Roma, con ricerche e pubblicazioni riguardanti la teologia filosofica, la filosofia della storia, la propedeutica filosofica e vari temi di confine tra teologia, filosofia e scienza. In modo particolare si occupa di tomismo e della tradizione commentaristica alla Summa Theologiae (specie la q. 2 della I Pars) di Tommaso d’Aquino negli autori della “Seconda Scolastica” e della cosiddetta “Scuola di Salamanca”.

Per l’UPS ha ricoperto i seguenti incarichi: Decano della Facoltà di Filosofia; Decano della Facoltà di Scienze della Comunicazione Sociale; Vicerettore; Rettore Magnifico per due mandati (2015-2018 – 2018-2021).

Nel 2016 è stato nominato Presidente della Conferenza dei Rettori delle Università Pontificie Romane (CRUPR) ed attualmente è Membro della Pontificia Accademia di San Tommaso d’Aquino e del Comitato scientifico dell’Agenzia della Santa Sede per la Valutazione e la Promozione della Qualità delle Università e Facoltà Ecclesiastiche (AVEPRO).

Vaticano: i salesiani al summit internazionale “Sport for all”

Anche la Congregazione salesiana ha partecipato al summit internazionale “Sport for all”, promosso dal Vaticano che si è tenuto proprio in quella sede il 29 e il 30 settembre 2022. Di seguito la notizia a cura di ANS.

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Nei giorni 29 e 30 settembre si è tenuto in Vaticano, precisamente nell’Aula Paolo VI, il summit internazionale “Sport for all”, promosso dal Vaticano stesso, attraverso il Dicastero per i Laici, la Famiglia e la Vita e dal Dicastero per la Cultura e l’Educazione, e dalla Fondazione Giovanni Paolo II per lo Sport, dal Comitato Olimpico Internazionale, dal Comitato Paralimpico Internazionale, dall’Alto Commissariato delle Nazioni Unite per i Rifugiati, dall’UNESCO… e da varie organizzazioni sportive internazionali. Anche la Congregazione salesiana vi ha partecipato, venendo rappresentata da Diego Pérez Ordóñez, membro della Commissione Sport dell’Ispettoria “Spagna-Maria Ausiliatrice” (SMX), presente per conto del Settore per la Pastorale Giovanile salesiana.

Il motto del congresso è stato: SPORT FOR ALL, COHESIVE, ACCESIBLE AND TAILORED FOR EACH PERSON (SPORT PER TUTTI, COESIVO, ACCESSIBILE E SU MISURA PER OGNI PERSONA) e questo motto è stato il grande obiettivo che il Santo Padre ha chiesto a tutte le organizzazioni presenti, per garantire in tutto il mondo che nessuno, al di là della razza, dalla condizione ideologica, dalla situazione economica, della famiglia, dalla disabilità… sia lasciato senza l’opportunità di praticare sport o attività fisica; e che si uniscano le forze, gli sforzi, si creino comunità, reti, progetti, per garantire l’attività fisico-sportiva a tutte le persone del mondo, con particolare attenzione ai bambini e ai giovani.

In diverse occasioni si è parlato della dimensione cristiana e spirituale dello sport, di come lo sport aiuti il bene integrale della persona, sia fisicamente che psicologicamente, di come lo sport sia al servizio della persona, e di come uno sport responsabile e sano sia una testimonianza di speranza. Uno sport che in molte occasioni “salva” persone che hanno perso tutto, uno sport che serve come “rifugio” per molte persone quando stanno attraversando un brutto momento, che serve come “via di fuga” in situazioni di angoscia…

Allo stesso modo, è stato osservato al summit internazionale, lo sport è uno strumento di cambiamento, un riflesso della società e una forza trainante per la trasformazione, nonché un elemento molto importante per l’inclusione sociale. Per poter sviluppare tutto questo, è stato più volte reiterato l’invito a creare alleanze e reti per portare avanti progetti onesti e coerenti.

Mons. Melchor Sánchez de Toca, Segretario del Dicastero per l’Educazione e la Cultura, a cui compete il tema dello sport, ha insistito sul fatto che bisogna convincere la società della bontà dello sport, che bisogna unire i nostri sforzi e le nostre risorse, che lo sport porta alla felicità, a trovare il senso della vita, che produce gioia e quindi deve essere un diritto fondamentale per tutti. Ha trattato lo sport come un ambito di creazione di valori e di servizio alla società, uno strumento essenziale per la qualità della vita.

Nel discorso pronunciato dal Papa alla fine del Congresso, sono incise alcune frasi memorabili sullo sport:

  • Vi incoraggio a impegnarvi affinché lo sport sia una casa per tutti, aperta e accogliente. Vi sono vicino in questa missione e la Chiesa vi sostiene nel vostro impegno educativo e sociale.
  • Vi animo ad impegnarvi per la promozione di uno sport che sia per tutti, che sia “coeso”, “accessibile” e “a misura di ogni persona”. Un grande impegno, senza dubbio, una sfida che nessuno è in grado di portare avanti da solo. Ma voi sapete bene che per raggiungere obiettivi alti, ardui e difficili serve fare gioco di squadra, serve mettersi insieme.
  • La Chiesa è vicina allo sport, perché crede nel gioco e nell’attività sportiva come luogo di incontro tra le persone, di formazione ai valori e di fraternità. Per questo lo sport è di casa nella Chiesa, specialmente nelle scuole e negli oratori o centri giovanili.
  • La dimensione del gioco è fondamentale, soprattutto per i più giovani: dà gioia, crea socialità e fa nascere amicizie, e nello stesso tempo è formativo. Grazie allo sport si possono stabilire relazioni forti e durature. Lo sport è un generatore di comunità.
  • Se il mondo dello sport trasmette unità e coesione può diventare un alleato formidabile nel costruire la pace. Lo sport è un bene educativo e sociale e deve continuare ad esserlo.
  • Praticare uno sport può diventare una via di riscatto personale e sociale, una via per recuperare dignità!
  • Bisogna rimuovere quelle barriere fisiche, sociali, culturali ed economiche che precludono od ostacolano l’accesso allo sport, e insieme all’accessibilità deve esserci l’accettazione.
  • Così si promuove uno sport a misura di ciascuno e ogni persona può sviluppare i propri talenti, a partire dalla propria condizione, anche di fragilità o disabilità

Il congresso si è concluso con una dichiarazione internazionale che i partecipanti hanno firmato, assumendo l’impegno che il Santo Padre ha chiesto a tutti.

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Il salesiano coadiutore Artemide Zatti è santo!

Artemide Zatti è stato dichiarato santo durante la Celebrazione Eucaristica sul Sagrato di piazza San Pietro di domenica 9 ottobre 2022. Di seguito il resoconto della giornata e le testimonianze di alcuni salesiani coadiutori giunti in Vaticano per il grande evento, apparse sul sito ANS.

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 “Il fratello salesiano Artemide Zatti è stato un esempio vivente di gratitudine”.

Con queste parole, pronunciate nel corso dell’omelia della Messa del 9 ottobre 2022, Papa Francesco indica a tutti i fedeli il modello del “santo infermiere” e “parente di tutti i poveri”, nel giorno in cui ne proclama la santità davanti alla Chiesa universale. Sono da poco passate le 10:00 (UTC+1) quando ha inizio sul Sagrato di piazza San Pietro a Roma la Celebrazione Eucaristica con il Rito di Canonizzazione del salesiano coadiutore Artemide Zatti e di mons. Giovanni Battista Scalabrini, vescovo e Fondatore della Congregazione dei Missionari di San Carlo e della Congregazione delle Suore Missionarie di San Carlo Borromeo.

Solenne, come merita l’occasione, tutta la celebrazione, a cominciare proprio dal rito di canonizzazione, posto all’inizio della liturgia. Dopo il canto d’ingresso, la Schola della Basilica di San Pietro intona l’inno Veni, Creator Spiritus e il Cardinale Marcello Semeraro, Prefetto del Dicastero delle Cause dei Santi, accompagnato dai Postulatori, Padre Graziano Battistella, CS, e don Pierluigi Cameroni, SDB, si reca dal Santo Padre a presentare la Petitiola domanda con cui si chiede di procedere alla Canonizzazione dei due Beati.

Le figure di mons. Scalabrini e del sig. Zatti vengono così brevemente ricordate attraverso la lettura, da parte del Card. Semeraro, delle rispettive biografie.

Successivamente l’intera piazza gremita di fedeli invoca, attraverso le litanie dei Santi, la partecipazione di tutta la Chiesa celeste ad accompagnare l’iscrizione nell’Albo dei Santi dei due Beati.

Sono le 10:30 esatte quando il Santo Padre Francesco pronuncia in latino la solenne formula di canonizzazione con la quale dichiara e definisce santi Giovanni Battista Scalabrini e Artemide Zatti.

Un grande applauso dell’assemblea dei fedeli accompagna la proclamazione, seguita poco dopo dall’incensazione e dalla deposizione ai piedi della statua della Madonna delle reliquie insigni dei due neo-santi, e dal ringraziamento del cardinale Prefetto del Dicastero delle Cause dei Santi, che al tempo stesso chiede e ottiene dal Pontefice l’assenso alla redazione della Lettera Apostolica circa l’avvenuta canonizzazione.

Riprende poi la liturgia eucaristica domenicale, concelebrata da diversi Cardinali, Arcivescovi, Vescovi e sacerdoti, molti dei quali Figli di Don Bosco, guidati dal Rettor Maggiore, Don Ángel Fernández Artime. Al momento dell’omelia il Papa approfondisce le Letture della XXVIII Domenica del Tempo Ordinario. Due gli aspetti sottolineati in particolare dal Pontefice: il camminare insieme e la gratitudine.

Camminare insieme è la caratteristica dei dieci lebbrosi guariti da Gesù.

“È un’immagine bella anche per noi – afferma il Pontefice –. Quando siamo onesti con noi stessi, ci ricordiamo di essere tutti ammalati nel cuore, di essere tutti peccatori, tutti bisognosi della misericordia del Padre. E allora smettiamo di dividerci in base ai meriti, ai ruoli che ricopriamo o a qualche altro aspetto esteriore della vita. Fratelli e sorelle, verifichiamo se nella nostra vita, nelle nostre famiglie, nei luoghi dove lavoriamo e che ogni giorno frequentiamo, siamo capaci di camminare insieme agli altri, di ascoltare, di superare la tentazione di barricarci nella nostra autoreferenzialità e di pensare solo ai nostri bisogni”

è l’invito che ne fa scaturire il Papa.

È questa anche l’occasione per denunciare ancora una volta l’esclusione dei migranti, che il Papa definisce a chiare lettere “scandalosa, criminale, schifosa e peccaminosa”.

“Oggi pensiamo ai nostri migranti, quelli che muoiono – soggiunge ancora il Papa, lasciando la domanda aperta a tutti – E quelli che riescono ad entrare, li riceviamo come fratelli o li sfruttiamo?”.

Successivamente il Santo Padre evidenzia il valore della gratitudine, sul modello del samaritano, l’unico dei dieci lebbrosi guariti che torna a ringraziare Gesù:

“Questa è una grande lezione anche per noi, che beneficiamo ogni giorno dei doni di Dio, ma spesso ce ne andiamo per la nostra strada dimenticandoci di coltivare una relazione viva con Lui. (…). E, così, si finisce per pensare che tutto quanto riceviamo ogni giorno sia ovvio e dovuto”.

Al contrario, osserva il Pontefice “la gratitudine, il saper dire ‘grazie’, ci porta invece ad affermare la presenza di Dio-amore. E anche a riconoscere l’importanza degli altri, vincendo l’insoddisfazione e l’indifferenza che ci abbruttiscono il cuore”.

Il sapere camminare insieme agli altri e lo spirito di gratitudine, afferma il Papa, sono proprio ciò che ha contrassegnato la vita dei due neo-santi. Di Mons. Scalabrini che fondò una congregazione per la cura degli emigrati, il Papa offre una citazione per affermare che

“nel comune camminare di coloro che emigrano non bisogna vedere solo problemi, ma anche un disegno della Provvidenza. ‘Proprio a causa delle migrazioni forzate dalle persecuzioni – egli disse – la Chiesa superò i confini di Gerusalemme e di Israele e divenne cattolica. grazie alle migrazioni di oggi la Chiesa sarà strumento di pace e di comunione tra i popoli’ (G.B. Scalabrini, L’emigrazione degli operai italiani, Ferrara 1899)”.

Il Pontefice riflette allora sulla migrazione forzata di cui è vittima la popolazione ucraina:

“Non dimentichiamo oggi la martoriata Ucraina”.

Mentre sul salesiano coadiutore Artemide Zatti, ribadisce, poi:

“Da parte sua, il fratello salesiano Artemide Zatti, con la sua bicicletta, è stato un esempio vivente di gratitudine: guarito dalla tubercolosi, dedicò tutta la vita a gratificare gli altri, a curare gli infermi con amore e tenerezza. Si racconta di averlo visto caricarsi sulle spalle il corpo morto di uno dei suoi ammalati. Pieno di gratitudine per quanto aveva ricevuto, volle dire il suo “grazie” facendosi carico delle ferite degli altri”.

L’omelia del Santo Padre si conclude, pertanto, con un’esortazione finale:

Preghiamo perché questi nostri santi fratelli ci aiutino a camminare insieme, senza muri di divisione; e a coltivare questa nobiltà d’animo tanto gradita a Dio che è la gratitudine”.

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L’attualità di Sant’Artemide Zatti: voci dei Salesiani Coadiutori da piazza San Pietro

Tra i circa 50mila fedeli accorsi in piazza San Pietro per la canonizzazione dei Beati Giovanni Battista Scalabrini e Artemide Zatti, diverse centinaia erano i salesiani coadiutori giunti da tutto il mondo. Ne abbiamo incontrati alcuni che ci hanno testimoniato con le loro parole tutto il loro entusiasmo e la loro soddisfazione per il riconoscimento della santità incarnata da Zatti: una santità del quotidiano e della gioia; una santità che testimonia la bellezza della Vita Consacrata e della consacrazione salesiana, nello specifico; la santità di chi cerca e compie la volontà di Dio.

Dalla terra di Don Bosco, nella Circoscrizione Speciale Piemonte e Valle d’Aosta, ci sono ad esempio tre coadiutori: Domenico Francesco Allasia, Fabrizio Spina e José Eusebio Trigona, quest’ultimo originario dell’Argentina, la terra in cui Zatti visse tutta la sua santa vita salesiana.

Comincia il sig. Allasia, il maggiore dei tre:

“Sono molto contento di quest’occasione, perché è un modo per far conoscere ancora di più la vocazione del salesiano coadiutore, e nel suo specifico caso, del coadiutore che diventa santo facendo le cose ordinarie, con fede, fiducia e sacrificio; ma allo stesso tempo anche con gioia con felicità, con soddisfazione del proprio lavoro, senza cercare di più di quello che gli è stato richiesto di fare”.

Il sig. Spina, da parte sua manifesta:

“Il senso di gratitudine per essere qui in questo posto è enorme; non ci rendiamo conto di quante persone hanno lavorato, hanno fatto di tutto per far sì che tutto il mondo salesiano sia qui oggi. Davvero è per noi veramente una grande, una grandissima grazia. Da vivere, soprattutto, senza attaccarsi al ‘ruolo’, ma comprendendo, grazie alla figura di Artemide Zatti, che essere salesiano è la cosa importante: non avere un ruolo, avere un potere, avere dei titoli, ma essere salesiano –non fare il salesiano, esserlo! Questo è veramente un dono che ricevo ad essere qua oggi”.

Conclude infine il sig. Trigona:

“Oltre a tutto quello che abbiamo sentito in questi giorni, sia da parte del Papa, sia dal Rettor Maggiore, credo che la cosa importante che Zatti ci insegna è quella di fare la volontà di Dio, cercarla e farla, anche quando alle volte ci sono delle avversità. E un altro grande messaggio anche riguarda la ricchezza dell’essere religioso, al di là dei titoli. Mentre, nella Chiesa oggi in genere, come dice il Papa, c’è una forte mentalità clericale, Artemide Zatti ci fa vedere il valore e la bellezza della vita religiosa in sé”.

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“Tu l’hai fatto un uomo buono…grazie Signore!!!” Testimonianza di Hugo Vera, Salesiano coadiutore argentino

Nella preghiera con l’intercessione di Artemide Zatti che per tanti anni abbiamo recitato con il grande desiderio di vederlo tra i nostri amici del cielo, i santi, c’è un’espressione che mi ha sempre attirato l’attenzione: “Tu [Signore] l’hai fatto un UOMO BUONO”. Può sembrare un’ovvietà o una semplificazione dire di un santo che è stato un “uomo buono”. In questo caso credo sia il miglior riconoscimento che possiamo offrirgli. Di fatto, anche il Signore Gesù, nel vangelo mette l’attenzione su questo particolare: “Perchè mi chiami buono – dice al giovane ricco – soltanto Dio è buono”. L’uomo buono è quello che nella sua limpidezza lascia vedere “direttamente” Dio. E Zatti era proprio così. La sua chiarezza evangelica e salesiana “risplendeva di normalità”. Sono “i santi della porta accanto” come ci ricorda Papa Francesco.

Ma se guardiamo più attentamente, possiamo vedere i mille colori che aveva la bontà di Artemide. In Lui l’uomo buono era: senso di fede, fiducia, dedizione estrema, vicinanza, attenzione concreta, buon umore, tenacità, genialità, viva fratellanza, testimonianza provocante, mitezza anche nelle dure prove… E lo chiamiamo “uomo buono” anche perché ha saputo scoprire il volto del Signore direttamente nelle sofferenze e necessità dei malati, dei poveri, degli scartati del suo tempo. Con viso gioioso è riuscito a intravedere Dio nei poveri infermi, giovani e adulti, facendo sì che la sua vita fosse una chiara realizzazione del riconoscimento di Gesù: “tutto quello che avete fatto a uno solo di questi miei fratelli più piccoli, l’avete fatto a me” (Mt 25, 40).

Tra noi, in Argentina, il meglio che si può dire di una persona è proprio quello: è una donna, un uomo, un giovane “buono”. La gente semplice vuol riconoscere con questa espressione coloro che sono veramente coerenti, senza doppiezza, “de una sola pieza”, si dice. Puoi stare sicuro di poter contare sempre e ovunque su di loro. I cittadini di Viedma avevano percepito così il nostro santo confratello. Vedendolo in sella alla leggendaria bicicletta qualcuno dice: “Lì va un angelo”, ma un altro lo corregge: “No, Zatti è un vero uomo, in carne ed ossa”. Di fatto si affermò che Artemide non era né più né meno che “il parente di tutti i poveri”. Ci ricorda l’“uomo giusto” o “fedele” della Bibbia.

Ho avuto l’opportunità di conoscere parecchi confratelli salesiani che avevano vissuto con il nostro Artemide. Tra essi c’era il sentire comune che Zatti era proprio un santo salesiano… perchè molto normale!!! La sua “bontà”, mi diceva una volta uno, si percepiva nella sua chiara, grave e potente voce con cui pregava o cantava in Chiesa, ma anche scherzava nel refettorio o chiacchierava fraternamente in cortile. Un altro ricordava: “era capace di condividere una profonda sensibilità di fede con la naturale gioiosità di una barzelletta”. Tutti concordavano che a Lui conveniva un appellativo a noi famigliare che unisce bontà e semplicità in grande misura: “Don Zatti era bonachón”.

Vorrei condividere con voi due fatti di questa bontà di Artemide legate alla mia vita. Il primo risale ai tempi delle mie decisioni vocazionali, quando nel discernimento cominciai a capire che il Signore (e le circostanze) mi chiamavano como salesiano coadiutore. Il mio accompagnatore spirituale mi disse di concludere quella tappa facendo partecipi i miei genitori dei miei desideri vocazionali. Qualche tempo prima io avevo inviato a loro, per posta (oggi ci suona come una cosa dell’Antico testamento), un paio di paginette con un cenno biografico di Artemide Zatti. Andai a casa senza sapere come condividere le mie domande sulla vocazione. Direttamente dissi a mamma e papà: “Beh, noi salesiani abbiamo due modi di dedicarci ai giovani, io vorrei sceglierne uno, come salesiano coadiutore che…” E subito, quasi sopra le mie parole, mio padre aggiunse: “Come Don Zatti, l’infermiere della Patagonia!!”. Non c’era più nulla da dire. Artemide era entrato nel suo cuore appianandomi la strada prima delle mie spiegazioni. Zatti li aveva già colpiti e affascinati. Era una grande gioia per loro che il loro figlio pensasse alla vocazione salesiana con lo stile di quell’ “uomo buono”.

Il secondo episodio è accaduto parecchi anni dopo. Mio padre era molto ammalato di Alzheimer, ricoverato in ospedale. Ci permettevano di fargli compagnia tutto il tempo. Una notte è toccato a me passarla con lui ed è stato molto duro. Sembrava che lottasse per respirare ed era molto in difficoltà. Non sapendo cosa fare per assisterlo mi avvicinai al suo fianco e cominciai a parlargli all’orecchio: “Dai papà, lascia stare, non sforzarti così. Hai fatto molto nella vita (bene o male) ed è già sufficiente. Guarda che Don Zatti è qui, prendi la sua mano e lasciati condurre…”. A dir la verità non è che avessi pensato di dire quelle parole, mi parlò semplicemente il cuore. Ricordo che a poco a poco la sua faticosa respirazione si è normalizzata e credo restasse addormentato. In un paio di ore mio padre consegnava l’ultimo sospiro. Sono sicuro che Artemide lo ha preso per mano e con il suo ampio sorriso sotto i baffi ha fatto sentire mio padre “in famiglia”. Quell’ “uomo buono” ne faceva un’altra volta “una delle sue”.

“Tu l’hai fatto un UOMO BUONO…GRAZIE SIGNORE”

Testimonianza di Hugo Vera, Salesiano coadiutore argentino

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Vaticano – I “Sogni Giganti” dell’Estate Ragazzi in Vaticano

Dall’agenzia salesiana ANS.

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(ANS – Città del Vaticano) – Due anni fa, nel 2020, Papa Francesco chiese ai Salesiani, veri professionisti del settore, di coordinare l’Estate Ragazzi in Vaticano, un’iniziativa rivolta alle famiglie dei dipendenti della Santa Sede, per far vivere ai ragazzi l’esperienza di un oratorio estivo all’interno delle mura vaticane. L’iniziativa ha avuto un tale successo che è stata ripetuta anche nel 2021 e quest’anno è giunta alla sua terza edizione.

L’Estate Ragazzi in Vaticano è iniziata lo scorso 4 luglio e proseguirà fino al 5 agosto. In questo mese, tanti ragazzi potranno prendere parte all’oratorio estivo, in spazi dedicati e attrezzati per svolgere attività ludiche e ricreative.

Si tratta, come ricordato, di un’iniziativa fortemente voluta da Papa Francesco e promossa dal Governatorato dello Stato, per offrire ai figli dei dipendenti tra i 5 e i 13 anni un’esperienza di cinque settimane di formazione in un clima di festa e di condivisione forte dei valori cristiani.

L’animazione di queste giornate è curata da un’équipe di Salesiani, Figlie di Maria Ausiliatrice, animatori appartenenti all’associazione “Tutto in una festa” ed aiuto-animatori adolescenti che vogliono mettersi in gioco in un’esperienza di servizio per i ragazzi più piccoli. Questa presenza è la grande novità di quest’anno poiché, per la prima volta, si è realizzato il passaggio da “animati” ad aiuto-animatori, un passo decisivo e carismatico per rendere questa esperienza un vero oratorio con lo stile di Don Bosco.

Il tema dell’Estate Ragazzi del 2022 è “Sogni giganti”, ispirato dal libro per ragazzi “Il GGG” (Grande Gigante Gentile) di Roald Dahl. È stato deciso, infatti, di mettere al centro della proposta formativa i sogni di ciascuno dei ragazzi e l’accompagnamento di Gesù nella loro difficile realizzazione, incoraggiandoli a guardare un po’ più lontano, oltre le sfide quotidiane della vita.

Giovanni Bosco è l’esempio perfetto di un ragazzo che credette ai sogni di Dio, diventando sacerdote e dedicando tutta la sua vita ai suoi giovani. Ogni settimana, infatti, come esempio di sogno “gigante”, ne sarà proposto uno di un maestro nel campo, appunto Don Bosco. I suoi racconti fanno crescere ancora i ragazzi di oggi e fanno capire che non bisogna aver paura di fare cose grandi, di portare gioia in ogni momento della giornata, di essere gentili anche dopo una sconfitta, di proporre idee geniali, di generare amicizie genuine e di imparare attraverso il gioco… Un bel programma di vita!

La comunità salesiana in Vaticano è presente dal 1937 ed è stata eretta canonicamente il 12 aprile del 1946. Oggi è incorporata tra le comunità del Rettor Maggiore (RMG), per le quali egli è direttamente responsabile. Oltre al Direttore, don Franco Fontana, cappellano della Gendarmeria e dei Musei Vaticani, sono presenti il Vicario, don Mauro Mantovani, Decano della Facoltà di Filosofia dell’Università Pontificia Salesiana, l’Economo, il sig. Roberto Bava, che lavora nell’Ufficio del Segretario di Stato Vaticano, il Consigliere don Kureethadam Joshtrom, che presta la sua opera nel Dicastero per il Servizio dello Sviluppo Umano Integrale, don Miguel Angel Ruíz Espinola, che presta servizio nella prima sezione della Segreteria di Stato della Santa Sede e don Padinjarathala Anton Paul, che lavora in Propaganda Fide.

La presenza salesiana in Vaticano evidenzia la dimensione ecclesiale e un forte senso di appartenenza e disponibilità alla Chiesa Universale, dove ciascuno offra il suo  servizio per il bene della Chiesa.

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Papa Francesco nomina tre donne al Dicastero per i Vescovi, tra queste anche suor Yvonne Reungoat

Dal sito di Avvenire.

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Papa Francesco ha nominato tre donne come membri del Dicastero per i Vescovi.

Sono suor Raffaella Petrini, Fse, segretario generale del Governatorato dello Stato della Città del Vaticano, suor Yvonne Reungoat, Fma, già superiora generale delle Figlie di Maria Ausiliatrice, e Maria Lia Zervino, presidente dell’Unione Mondiale delle Organizzazioni Femminili Cattoliche. Le tre nuove nominate saranno dunque coinvolte nel processo per eleggere i nuovi pastori diocesani.

La settimana scorsa papa Francesco, in una lunga intervista con l’agenzia Reuters, aveva annunciato la sua intenzione. Il Pontefice aveva risposto a una domanda sulla presenza femminile in Vaticano, su quanto stabilito dalla nuova Costituzione apostolica Praedicate Evangelium che riforma la Curia e su quali dicasteri potranno in futuro essere affidati a un laico o a una laica. Questa la risposta di Francesco, come riferita dai media vaticani:

«Io sono aperto che si dia l’occasione. Adesso il Governatorato ha una vice governatrice… Adesso, nella Congregazione dei vescovi, nella commissione per eleggere i vescovi, andranno due donne per la prima volta. Un po’ si apre in questo modo».

Francesco aveva quindi aggiunto che per il futuro vede possibile la designazione di laici alla guida di dicasteri quali «quello per i laici, la famiglia e la vita, quello per la cultura e l’educazione, o alla Biblioteca, che è quasi un dicastero».

Attualmente il Dicastero per i vescovi ha membri che sono solo cardinali e vescovi, mentre i consultori sono presuli e sacerdoti e tra gli officiali c’è una suora.

Nella sua risposta il Papa aveva citato il caso di suor Raffaella Petrini, nominata lo scorso anno “segretario generale” e quindi numero due del Governatorato dello Stato della Città del Vaticano, che ora è entrata nel Dicasteri per i Vescovi.

Altre donne con incarichi “dirigenziali” in Vaticano sono la suora spagnola Carmen Ros Nortes “sottosegretario” al Dicastero per i religiosi, la suora francese Nathalie Becquart, “sottosegretario” del Sinodo dei vescovi, e la salesiana suor Alessandra Smerilli, “segretario” del Dicastero per il servizio dello sviluppo umano integrale.

Tra le donne laiche che ricoprono incarichi di alto livello ci sono Francesca Di Giovanni, “sottosegretario” per il settore multilaterale della sezione per i rapporti con gli Stati della Segreteria di Stato, la professoressa argentina Emilce Cuda, “segretario” della Pontificia Commissione per l’America Latina, Linda Ghisoni e Gabriella Gambino, entrambe “sottosegretario” al Dicastero per i laici, la famiglia e la vita: e poi Barbara Jatta, la prima donna “direttore” dei Musei vaticani; la slovena Nataša Govekar, “direttore” della direzione teologico-pastorale del Dicastero per la comunicazione; e la brasiliana Cristiane Murray, vicedirettore della Sala Stampa della Santa Sede. La professoressa tedesca Charlotte Kreuter-Kirchof è poi vicecoordinatore del Consiglio per l’economia. Recentemente il cardinale Oscar Andres Rodriguez Maradiaga ha rivelato che il Papa voleva mettere una donna a capo del “Ministero per l’economia”, ma «non ha potuto perché ci sono retribuzioni, quali questa persona meritava per competenza e curriculum, che non possono essere pagate in Vaticano».

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Vaticano – Conclusa, con un pieno successo, l’Estate Ragazzi 2021

(ANS – Città del Vaticano) – Venerdì 30 luglio 2021 si è conclusa, dopo sei settimane, l’avventura dell’Estate Ragazzi in Vaticano, una seconda edizione dedicata al tema dell’ecologia, seguendo le riflessioni proposte dal sussidio “Sei dei nostri!” (editrice Elledici). Anche quest’anno l’iniziativa si è svolta in ambienti non preposti per attività formative e di gioco per ragazzi, ma la trasformazione di luoghi quali l’Aula “Paolo VI” per le udienze papali si è rivelata una soluzione meravigliosa che ha favorito un clima eccezionale di interazione e di educazione.

Quest’anno il programma elaborato dalla comunità salesiana, coordinatrice dell’iniziativa, insieme con le associazioni “Tutto in una festa” e “Play It”, ha sviluppato “eventi” che hanno valorizzato ancora di più le immense risorse e possibilità che sono presenti all’interno del piccolo Stato vaticano. Il tema dell’ecologia ha portato i piccoli partecipanti a esplorare più volte i Giardini Vaticani e quasi ogni settimana un gruppo-fascia d’età ha piantato un leccio come simbolo del proprio impegno di rispettare la natura; mentre numerose visite a carattere culturale sono state compiute all’interno di parti dei ricchissimi Musei Vaticani.

“La simpatia che ha circondato questi piccoli esploratori da parte del personale e dalle forze dell’ordine è stata tangibile ad ogni passo: dopo mesi di stallo dovuto alle restrizioni imposte dalla pandemia, l’iniziativa – condotta, comunque, nel pieno rispetto dei protocolli di sicurezza – ha dato un bel segno di speranza e di voglia di ripartenza”, ha commentato don Franco Fontana, cappellano della Gendarmeria Pontificia e Direttore della comunità salesiana in Vaticano.

Indimenticabili, infine, sono stati i momenti di celebrazione vissuti insieme, dalle preghiere giornaliere alle confessioni e alle Messe per fasce d’età, momenti ben preparati e molto partecipati dai ragazzi.

Il culmine di questo cammino è stato vissuto davanti all’altare della Cattedra nella Basilica di San Pietro.

“La breve preghiera di ringraziamento di animatori e ragazzi per la bella esperienza vissuta, favorita dal raccoglimento che naturalmente si impone in un luogo che respira di universalità, l’abbiamo realizzata non solo a nome nostro, ma anche di tutti i ragazzi e ragazze del mondo che, come noi, hanno vissuto la medesima esperienza. Don Bosco, dalla sua nicchia a poca distanza da noi, sorrideva compiaciuto…” ha concluso don Fontana.

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“Società, quale progresso?” Intervista a Suor Alessandra Smerilli – Corriere della Sera

Nella giornata di oggi, il settimanale del venerdì del Corriere della SeraSette” dedica un’intervista a Suor Alessandra Smerilli, F.M.A., docente di economia politica e statistica presso la Pontificia facoltà di scienze dell’educazione «Auxilium» di Roma. Il tema dell’articolo è incentrato sul progresso della società dove il “prendersi cura” può diventare “cosa pubblica” per creare valore, soprattutto il questo periodo storico di pandemia. Di seguito un estratto dell’articolo redatto da Elisabetta Soglio.

SOCIETÀ QUALE PROGRESSO?
ALESSANDRA SMERILLI «PRENDERSI CURA DIVENTI COSA PUBBLICA: COSÌ SI CREA VALORE»

Dice che questa esperienza della pandemia è stata «un momento duro, ma fecondo». Anzi «rivoluzionario»: perché «questa fase storica ci ha insegnato l’importanza del prendersi cura gli uni degli altri». Ad Alessandra Smerilli, economista, consigliera del Papa e suora dell’ordine di Maria Ausiliatrice, la parola “cura” piace davvero tanto e la ripete di continuo. E cita la filosofa canadese Jennifer Nedelsky, che l’ha ispirata su questi temi: «Quando incontri una persona le chiedi di “cosa” si occupa. Invece proviamo a chiedere di “chi” si occupa». Poi, pensa che per il futuro sia necessario valorizzare le competenze e i talenti femminili, «perché le donne hanno chiaro il senso dell’I care , ne fanno esperienza nella vita privata e devono trasferire questo approccio nella dimensione pubblica». Infine suor Smerilli guarda al futuro con «grandissima fiducia», pensando soprattutto ai tanti giovani che ha incontrato e incontra e che «hanno visione, entusiasmo, capacità da mettere a disposizione».

Nata 46 anni fa a Vasto, Smerilli frequentava l’oratorio dei salesiani e lì matura esperienze di gruppo e di animazione. Inizia il liceo scientifico ed è brava negli studi: «Studiare mi piaceva proprio ed è rimasta una parte importante della mia vita».

La vocazione quando arriva?

«A 16 anni avevo già chiaro che avrei vissuto per mettermi al servizio. Stavo vivendo una storia molto bella con un ragazzo e ho avuto un lampo: neanche la persona più bella del mondo mi sarebbe bastata. A 18 anni ho lasciato casa e sono entrata dalle Figlie di Maria ausiliatrice a Roma».

E la passione per l’economia?

«Quando stavo scegliendo il corso di studi in realtà non ci pensavo per nulla. Volevo fare una facoltà scientifica, oppure scienze dell’educazione o psicologia e andare nelle periferie di Roma. Invece una madre superiora mi chiama e dice che c’è bisogno di una persona esperta di economia, culturalmente preparata alle sfide del futuro. Una donna che vede lungo, insomma».

E lei?

«Ho obbedito, anche se ero preoccupatissima perché mi vedevo già seppellita nei numeri. Invece mi sono appassionata, soprattutto ai temi dell’economia politica. Al terzo anno di studi mi sono orientata su Economia di sviluppo e ho conosciuto Luigino Bruni: mi sono resa conto che quello che studiavo poteva avere luce nuova. Io ero abituata ad un mondo in cui gli economisti consideravano la dottrina sociale della Chiesa come “giudicante”. Invece ho capito che poteva nascere da lì una teoria economica che ha in sé i presupposti di persona: questo mi ha illuminato e convinta».

Quindi ha deciso di diventare economista.

«Ne ho parlato molto con Stefano Zamagni. E alla fine ho proposto io alla superiora di continuare con la ricerca: mi sono laureata in Economia e commercio con indirizzo Economia politica a Roma 3 per poi proseguire negli studi».

Come la guardavano compagne e compagni?

«Beh, ovviamente all’inizio erano un po’ straniti: in mezzo a 250 persone arriva una col velo…. Ma nel primo anno in cui frequentavo, il grigio era tornato tantissimo di moda e quindi almeno ero di tendenza (ride, ndr ). In realtà sono stati anni bellissimi: avevo quattro anni di più, alcuni si avvicinavano attratti dalla stranezza della mia presenza, altri per dubbi di fede. Poi si è creato un senso di rispetto perché comunque andavo bene e mi fermavo a studiare con compagne e compagni, ci siamo aiutati a vicenda e alcuni rapporti sono diventati amicizie».

I voti perpetui?

«Sono arrivati durante il dottorato che ho fatto alla Sapienza. Poi ho fatto un visiting in Inghilterra e quindi un dottorato part time mentre avevo cominciato ad insegnare alla mia università».

Oggi insegna?

«Si. Economia politica all’Auxilium di Roma. Ho insegnato anche in Cattolica e alla Lumsa, ho tenuto un master di Economia civile in Bicocca».

In cattedra con il velo?

«Alcune volte non lo usavo perché mi pareva che la presenza di un velo nelle lezioni di Economia politica potesse rappresentare un ostacolo e costituire un pregiudizio in partenza».

Ma il fatto di essere una religiosa la fa sentire meno considerata?

«In linea di massima proprio no. Poi capita una volta durante un convegno in Calabria, ho dovuto dire a una persona che aveva evidenti pregiudizi che le cose che stavo dicendo le avevo pubblicato su una rivista scientifica non sul bollettino parrocchiale».

Fiducia?

«Ne ho sempre ricevuta molta: a 35 anni ero nel Comitato scientifico delle Settimane sociali, ad esempio (riunioni di studio per guidare l’azione cattolica nel mondo del lavoro, ndr ). Da una parte ho sempre ricevuto fiducia, dall’altra però ero sempre l’unica in un mondo maschile».

E come si è posta?

«Ho sempre cercato di non mettermi in contrapposizione e di portare competenze. Questo è l’unico modo per dimostrare che c’è bisogno di donne nel pensiero e nell’organizzazione, prima ancora che nei ruoli. Il fatto di essere economista e non teologa mi aiuta molto perché ho una professionalità in un ambito ancora prevalentemente maschile e non comune nella Chiesa».

Il suo rapporto con Papa Francesco?

«Sento molta stima da parte di Papa Francesco e gli sono profondamente grata. Da parte mia c’è il desiderio di essere al servizio della missione della Chiesa. Quando lo incontro ha sempre una battuta e con lui ho solo foto in cui rido».

Lei all’inizio parlava di un momento rivoluzionario.

«È cosi. Intanto dobbiamo smettere di relegare il tema della cura alla famiglia. Prendersi cura oggi significa parlare delle persone in generale, del Pianeta, della collettività. Un tempo rivoluzionario come quello in cui visse san Benedetto: allora si pensava che il lavoro manuale fosse cosa da schiavi, lui diede nobiltà e dignità al lavoro. Il lavoro di oggi è prenderci cura».

Lei come lo esercita?

«Nelle relazioni cerco di occuparmi delle persone che mi stanno intorno in ufficio, come dei miei studenti: di essere una con cui si può parlare e ci si può anche sfogare. Con le mie consorelle vorrei essere più presente: ma sono molto anziane e in questa fase è anche più prudente non avvicinarle troppo visto che io mi muovo comunque».

La vediamo in tivù: si è scoperta comunicatrice?

«La Rai me lo ha chiesto, ho provato e ho scoperto che mi piace. Prima era un programma radio con il pensiero del giorno, poi è cominciata questa trasmissione tivù (A sua immagine, ndr ) che mi coinvolge molto e posso collaborare con l’autore e il regista nella definizione di scaletta e testi. Accostare economia e Vangelo e farlo con volti e storie: mi piace proprio».

Non le manca una persona accanto, una famiglia?

«No, anche se so di avere fatto una scelta di rinuncia: non essermi legata a nessuno è per una risposta a una chiamata e a una missione che mi chiede di essere tutta donata. Non sempre è facile, ovvio. Ma la mia vita è piena e non penso lo sia meno di quella di chi ha scelto altri percorsi. Vivo amicizie profonde che fanno bene al cuore e all’anima. Ecco, se devo dire forse mi manca non avere avuto un figlio o una figlia, ma mi rendo conto che non sono conciliabili e questa rinuncia iniziale mi ha resa sorella e mamma di tutti».

Le donne continuano a faticare a trovare spazio anche nella Chiesa?

«Il tema è caldo e sofferto da tante donne. C’è un processo in corso che in questo momento non si può arrestare: dove lavoro, nella commissione Covid vaticana, siamo tante giovani donne in un team molto dinamico con tanta libertà di muoversi, fare e poter osare, sognare. Un famoso giornalista e conduttore quando è venuto a vedere cosa stiamo facendo mi ha detto: “Dovevo arrivare in Vaticano per trovare le novità”. Ecco, io credo si debba andare oltre certe letture. Questo non significa che il problema non ci sia. Però anche noi donne siamo un po’ timorose e timide e tante volte è difficile pensare che una responsabilità potrebbe essere affidata ad una donna perché stentiamo a farci avanti».

Servirebbero più donne nei posti di potere?

«Non tanto per il potere in sé. Ma perché se non ci sono donne a pensare e decidere, quello che viene deciso fatto e comunicato diventa escludente e tante donne non si riconoscono».

Una chiesa poco attrattiva sui giovani?

«Forse si fa fatica a trasmettere ai giovani il sapore del Vangelo. Ma giovani ne frequento tanti, in università e poi in tutta l’esperienza di Economy of Francesco; il problema non sono i giovani, ma siamo noi che non siamo capaci di affidare loro il cambiamento, e senza giovani non sarà vero cambiamento».

Economy of Francesco continuerà?

«Certo. La bellezza è aver creato una rete tra tanti giovani che desiderano cambiare il mondo e adesso sanno che c’è una comunità che la pensa allo stesso modo e che vuole sostenerli».

Cura solo anima e mente, suor Alessandra?

«È difficile fare di più. Però tutte le mattine mi alzo molto presto e cammino almeno 40 minuti sul Lungotevere o in giro per Roma prima che si svegli. Intanto prego: le mie lodi le prego camminando».

Corriere - Sette

Dicastero per i Laici, la Famiglia e la Vita: Costituito l’Organismo consultivo internazionale dei giovani – l’MGS c’è!

Su indicazione del Documento Finale del Sinodo 2018, il quale chiedeva che fosse rafforzata “l’attività dell’Ufficio Giovani”, il “Dicastero per i Laici, la Famiglia e la Vita” ha costituito nella giornata di ieri, 25 novembre, l’Organismo Consultivo Internazionale dei Giovani, nel quale anche il Movimento Giovanile Salesiano è presente. Si riporta di seguito l’articolo oggi pubblicato dall’Agenzia d’Informazione Salesiana ANS.

Vaticano – Organismo Consultivo Internazionale dei Giovani: l’MGS c’è!

(ANS – Città del Vaticano) – Nella Solennità di Cristo Re, domenica 25 novembre, il Dicastero vaticano per i Laici, la Famiglia e la Vita ha annunciato con gioia l’istituzione dell’“Organismo consultivo internazionale dei giovani”, composto da 20 giovani provenienti da diverse regioni del mondo e da alcuni movimenti, associazioni e comunità internazionali. Anche il Movimento Giovanile Salesiano (MGS) è rappresentato, grazie a Carina Baumgartner, 28enne austriaca, che ha già partecipato a numerosi incontri internazionali – tra cui l’XI Forum Internazionale dei Giovani dello scorso giugno – e che ha una vasta esperienza in materia di gioventù in tutto il mondo.

Il Documento finale del Sinodo 2018 chiedeva che fosse rafforzata “l’attività dell’Ufficio Giovani del Dicastero per i Laici, la Famiglia e la Vita anche attraverso la costituzione di un organismo di rappresentanza dei giovani a livello internazionale”. L’istituzione di questo nuovo organismo, dunque, è figlia diretta di quel Sinodo, oltre che della volontà di Papa Francesco, che sottolinea spesso come il contributo attivo dei giovani sia essenziale per la Chiesa.

L’organismo lavorerà a stretto contatto con il Dicastero sulle questioni giovanili e i primi 20 ragazzi e ragazze selezionati, nominati per un triennio, sono giovani che sono stati coinvolti in diverse fasi del processo sinodale; ad aprile 2020 avranno il loro primo incontro.

“Non vedo l’ora di ascoltare e discutere le diverse prospettive da tutto il mondo. In particolare, voglio contribuire con la mia esperienza nell’MGS. Mettiamo i giovani al centro, diamo loro la responsabilità, ci fidiamo di loro e prendiamo sul serio le loro preoccupazioni. Sono lieta che Papa Francesco dia questo posto ai giovani ora nella Chiesa!” ha commentato Carina.

La ventottenne viennese ha rappresentato l’Austria nel Movimento Giovanile Salesiano in Europa e Medio Oriente. Ha anche contatti in diversi Paesi africani, asiatici e americani. Una sincera preoccupazione è per lei l’impegno dei giovani nell’iniziativa Generazione Laudato Si’. Quando venne fondata, durante la Giornata Mondiale della Gioventù a Panama, lei era presente. E all’XI Forum Internazionale della Gioventù a Roma ha avuto anche l’opportunità di incontrare personalmente Papa Francesco.

Nata a Vienna nel 1991, Carina è maestra d’asilo e di doposcuola. Ha studiato Lavoro Sociale e attualmente sta completando il suo Master come insegnante di Teatro. Da tre anni lavora come addetta pedagogica nell’MGS dei Salesiani di Don Bosco; ha svolto numerose iniziative di volontariato, sempre rivolte alla cura di bambini e adolescenti, e con le Figlie di Maria Ausiliatrice e l’ONG VIDES è stata volontaria in Georgia ed Etiopia. Ha messo in scena spettacoli per bambini, dirige un coro di bambini ed è stato responsabile dei chierichetti nella sua parrocchia d’origine.

“Sono molto felice di essere una persona credente e religiosa e di sapere che c’è Dio al mio fianco. La mia fede dà significato alla mia vita. La Santa Messa, il festeggiare, cantare e pregare insieme sono per me come delle stazioni di rifornimento. Con un serbatoio pieno provo nella vita di tutti i giorni a vivere, come Don Bosco, le parole ‘Sii felice, fa’ del bene e lascia fischiare i passeri (Laetare et bene facere… Lasciar cantar le passere!)”.

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Sinodo Amazzonia, un primo sguardo di don Rossano Sala

Pubblichiamo da ANS un primo sguardo sul Sinodo per l’Amazzonia, appena concluso in Vaticano, da parte di don Rossano Sala.

(ANS – Roma) – A pochi giorni dalla chiusura del Sinodo dei Vescovi sulla regione Pan-Amazzonica, don Rossano Sala, SDB, che ha partecipato al Sinodo, presenta una sua prima analisi di quest’importante appuntamento ecclesiale.

Il grido dei poveri e della terra

Domenica 27 ottobre all’Angelus Papa Francesco salutava i fedeli parlando del Sinodo appena concluso. Ci ha detto che «il grido dei poveri, insieme a quello della terra, ci è giunto dall’Amazzonia. Dopo queste tre settimane non possiamo far finta di non averlo sentito. Le voci dei poveri, insieme a quelle di tanti altri dentro e fuori l’Assemblea sinodale – Pastori, giovani, scienziati – ci spingono a non rimanere indifferenti».

Che cosa posso dire, ad un primo sguardo, rispetto a questa esperienza spirituale che ho vissuto dal 6 al 27 ottobre? Ci sarebbero evidentemente tante cose: nella mia anima è rimasta impressa la forza di alcuni interventi di singoli padri sinodali che portavano a noi il grido dei poveri e della terra; insieme sono molto grato della ricchezza dei lavori fatti nel circolo minore a cui appartenevo; è stata edificante la parola di papa Francesco in alcuni momenti, perché ci ha spinto ad occuparsi di ciò che è essenziale e a mettere sullo sfondo le cose inutili. Anche le diverse visioni e prospettive, che in vari momento sono emerse durante i lavori, fanno parte della normale dinamica di un Sinodo, dove “parlare con franchezza” e “ascoltare con rispetto” sono le due regole di base per poter camminare insieme da fratelli e sorelle nella fede.

Un accostamento tra i due ultimi Sinodi

È per me naturale, innanzitutto, osservare i due Sinodi che ho vissuto: nell’ottobre del 2018 il Sinodo sui giovani e quest’anno il Sinodo sull’Amazzonia. Il primo era “ordinario”, nel senso che le 114 Conferenze Episcopali del mondo erano equamente rappresentate; il secondo era “speciale”, nel senso che vi erano presenti in maniera completa solo le 7 Conferenze Episcopali che hanno l’Amazzonia nel loro territorio. Nel primo ero Segretario Speciale, quindi ero impegnato fin dall’inizio del processo e poi ero protagonista nella scrittura del Documento finale insieme agli esperti, nel secondo ero un “semplice” Padre sinodale tra gli altri, anche se poi è giunta la nomina pontificia di far parte del “gruppo di redazione” (che, al di là del nome, in realtà ha solo un compito di controllo e di approvazione del Documento finale, e nessun compito di scrittura diretta del testo). Nel primo c’erano i giovani uditori, e la loro voce è stata forte, vivace e propositiva; nel secondo c’erano uditori indigeni, donne e animatori di comunità che hanno portato la concretezza della loro esperienza di fede.

Mi sono pian piano accorto con sempre maggiore forza che i problemi di tutti sono i problemi di ciascuno e che ogni piccola parte della chiesa è un frammento che rimanda al tutto. Per questo il Sinodo “speciale” ha sempre qualcosa di “ordinario”, che riguarda tutti; e ogni Sinodo “ordinario” ha sempre la necessità di essere “speciale”, cioè deve arrivare a concretizzarsi in ogni chiesa particolare.

I due polmoni di questo Sinodo

Pian piano mi sono reso conto che il Sinodo, per essere ben compreso, ha bisogno di essere visto come l’apparato respiratorio della Chiesa in cammino nella storia. E come nel corpo abbiamo due polmoni per respirare, anche nel Sinodo sull’Amazzonia abbiamo avuto due polmoni.

Il primo polmone si chiama Evangelii gaudium, documento che segna la svolta missionaria che papa Francesco sta imprimendo a tutta la vita della Chiesa. Questo non è un tema solo ricorrente, ma propriamente è l’orientamento fondamentale di questo pontificato. Si tratta di comprendere che la missione è la vita della Chiesa e che la Chiesa stessa esiste per evangelizzare. Papa Francesco sta facendo questo in tutte direzioni: nella riforma del Sinodo (cfr. Episcopalis communio), nella riforma della Curia romana che sta portando a termine in questi mesi, nei suoi discorsi a tutti e nelle sue visite in ogni continente. Ci sta ripetendo che la Chiesa non esiste per se stessa, per l’autoconservazione e per l’autoconsumo dei doni che riceve continuamente da Dio. È proprio uscendo da se stessa che la Chiesa è veramente se stessa!

Il secondo polmone si chiama Laudato sì’, e sappiamo che questo documento cerca di rendere tutti consapevoli della situazione davvero critica della nostra madre terra in questi primi decenni del Terzo millennio. Un testo che finora è stato valorizzato più fuori che dentro la Chiesa: in genere la società civile sembra più consapevole della Chiesa di quanto sia importante custodire il dono che Dio ci ha fatto nella creazione! Il magistero di Francesco – come lo è stato quello di Benedetto XVI durante la crisi finanziaria del 2007 che ha prodotto l’enciclica Caritas in veritate – è attento alla storia, e quindi fa sue le ansie e le gioie, i dolori e le speranze di tutti i popoli del mondo. E oggi la questione ambientale ci deve risvegliare alle nostre responsabilità ecclesiali e civili!

Avere chiaro questo doppia ispirazione del Sinodo ci aiuta a leggere ciò che abbiamo vissuto nel migliore dei modi, senza perderci in chiacchiere che ci allontanano da ciò che davvero conta nel cammino che siamo chiamati a compiere insieme.

Verso una “conversione integrale”

Per questo, dal mio punto di vista, sono tornato a casa con la convinzione che prima di riprendere in mano il Documento finale di questo Sinodo sull’Amazzonia, devo andare a rileggere con attenzione Evangelii gaudium e Laudato sì’, perché solo in questo modo posso avere dei criteri adeguati per comprendere quello che è successo in questo mese di ottobre 2019 nell’Aula sinodale. Solo in questo modo potremmo davvero avere un quadro di riferimento che ci aiuti a comprendere l’importanza di questo tentativo di rendere praticabile una “conversione integrale”, che tocca cioè tutti gli aspetti della nostra umanità, nessuno escluso.

D’altra parte il Documento finale del Sinodo, con tutte le ricchezze e i limiti di un testo scritto in pochi giorni e in poche notti – e parlo per esperienza, perché effettivamente il compito di scrittura in così poco tempo di un documento articolato e interconnesso è una sfida enorme e la sua riuscita è sempre da considerarsi una sorta di miracolo! – ha uno schema molto chiaro. Parte proprio dal concetto di “conversione integrale” – che è il concetto generativo centrale del testo – e poi nei quattro capitoli successivi cerca di sviluppare questo concetto in quattro direzioni diverse ma convergenti: a livello pastorale (II capitolo), poi culturale (III capitolo), poi ancora ecologica (IV capitolo) e infine sinodale (V capitolo).

Generare processi più che occupare spazi

Il Sinodo, lo sappiamo, è consultivo e non decisionale. È un “camminare insieme” e non un “decidere insieme” (decidere insieme è il compito di un Concilio e non di un Sinodo). Il Sinodo fa proposte, offre suggerimenti, approfondisce i temi, cerca ispirazioni. Poi il papa, in piena libertà, decide quali assumere e indica come procedere, concludendo il discernimento e rilanciandolo dal punto di vista operativo.

Sapere questo è importante per superare le polemiche sterili che riempiono le testate dei giornali di questi ultimi giorni e degli stessi giorni del Sinodo: l’Assemblea sinodale ha la piena libertà di offrire il proprio punto di vista e il Santo Padre ha l’altrettanta piena libertà di prendere le opportune decisioni con prudenza, sapienza e coraggio.

Al di là delle proposte e dei suggerimenti contenuti nel Documento finale, è importante dal mio punto di vista riconoscere che questo Sinodo non si è davvero concluso, ma ha inaugurato dei processi che dovranno necessariamente continuare. Molte indicazioni che sono offerte a papa Francesco riguardano proprio la necessità prendere decisioni che generino dei processi virtuosi di evangelizzazione e di salvaguardia della nostra casa comune. Processi che avranno bisogno di anni, se non di decenni, per giungere a pienezza. Questo importante esito sinodale ci aiuta ad imparare ancora una volta a camminare insieme con uno stile davvero aperto, ispirato e propositivo.

La terra promessa è sempre davanti a noi, e solo camminando insieme potremo raggiungerla. Questo pensiero farà bene anche a noi della Famiglia Salesiana, che siamo chiamati ad assumere la sinodalità e il discernimento come stile concreto del nostro vivere e lavorare insieme negli anni a venire.

Sinodo per l’Amazzonia: il museo Etnologico Missionario dal Colle don Bosco al Mondo

Dal sito dei Salesiani Piemonte e Valle d’Aosta, pubblichiamo la notizia della mostra allestita in Vaticano, in occasione del Sinodo speciale per l’Amazzonia, frutto della collaborazione tra l’istituto Missionari Consolata e i Salesiani Don Bosco.

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In occasione del Sinodo speciale per l’Amazzonia indetto da Papa Francesco, è stata allestita presso il Museo Etnologico Vaticano “Anima Mundi” (Musei Vaticani) la mostra “Mater Amazonia – The deep breath of the world”.

Si tratta di un’importante collaborazione tra l’istituto Missionari Consolata e i Salesiani Don Bosco. Le due Congregazioni hanno partecipato attraverso il prestito di oggetti delle collezioni dei due rispettivi musei: il Museo Etnografico e di Scienze Naturali “Missioni Consolata” di Torino e il Museo Etnologico Missionario di Colle Don Bosco.

Secondo il progetto scientifico delineato da Elisabetta Gatto, antropologa, si è scelto di raccontare l’ambiente e le popolazioni dell’Amazzonia attraverso tre grandi tematiche: il fiume, la foresta e la maloca, ovvero la casa comunitaria. Per ciascuna di queste sono stati selezionati gli oggetti tra quelli delle collezioni dei due musei che meglio le rappresentassero. Sono oggetti che parlano della vita quotidiana, della sfera rituale, ma che testimoniano l’incontro con i missionari: una vetrina, infatti, è stata dedicata al tema dell’inculturazione.

A cornice dell’esposizione ci sono i volti e i nomi di alcuni dei missionari che hanno vissuto con i popoli amazzonici. Per la congregazione salesiana sono state scelte le figure di Suor Maria Troncatti FMA, missionaria tra gli Shuar in Ecuador dal 1922 al 1969; don Luigi Bolla SDB, missionario dal 1953 per 30 anni con gli Achuar in Ecuador e 30 anni in Perù; don Luigi Cocco SDB, missionario salesiano che ha vissuto dal 1951 al 1974 sulla Sierra Parima, in Venezuela.

Hanno collaborato al prestito anche il Museo Missionario Indios Cappuccini in Amazzonia (MUMA) di Assisi e il Museo d’Arte Cinese ed Etnografico di Parma, senza dimenticare gli oggetti della collezione del Museo Etnologico Vaticano “Anima Mundi” che ospita questa mostra temporanea.

L’inaugurazione è prevista il 18 ottobre 2019 e sarà possibile visitare la mostra fino all’11 gennaio 2020.

Museo Etnologico Colle Don Bosco