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NPG – Nuova rubrica: Il “vantaggio”

Pubblichiamo la presentazione della nuova rubrica NPG, Il “vantaggio”, a cura di Clara Pomoni (Condirettrice di “Ricerca. Nuova Serie di Azione Fucina”. Responsabile della Comunicazione FUCI) – Giancarlo De Nicolò (Redattore di “Note di pastorale giovanile”) – Emanuela Gitto (Vicepresidente Giovani di Azione Cattolica). 

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«Di qualsiasi cosa i mass media si stanno occupando oggi, l’università se ne è occupata venti anni fa e quello di cui si occupa oggi l’università sarà riportato dai mass media tra vent’anni. Frequentare bene l’università vuol dire avere vent’anni di vantaggio. È la stessa ragione per cui saper leggere allunga la vita. Chi non legge ha solo la sua vita, che, vi assicuro, è pochissimo. Invece noi quando moriremo ci ricorderemo di aver attraversato il Rubicone con Cesare, di aver combattuto a Waterloo con Napoleone, di aver viaggiato con Gulliver e incontrato nani e giganti. Un piccolo compenso per la mancanza di immortalità» (Umberto Eco).

Tra i tantissimi corsi universitari, ce n’è qualcuno che oltre ad assegnare materiale da studiare dia anche spazio alla ragione per cui farlo? spazio di ricerca, costruzione e discussione dei motivi personali per cui dedicarsi a quella materia? che senso ha fare l’Università?
La stessa parola studium racchiude un significato ben più profondo dell’applicarsi in una disciplina – come se le conoscenze dovessero attaccarsi in testa come post-it. Esprime infatti un senso di cura, diligenza, impegno, uniti all’entusiasmo, alla passione e all’amore per il sapere, per ciò che si potrà così saper fare per e con gli altri.
Che tu sia studente, laureato, o curioso di fare un affondo nel mondo dell’Università, questi articoli saranno l’occasione per dare spazio e spunti a questa costruzione di senso, sia in modo diretto (scrivendo) che indiretto (leggendo le storie di altri). Chiunque vorrà potrà riflettere sull’esperienza vissuta o che stai vivendo, guardando alla disciplina che ha preso a cuore e chiedendosi: che cosa ho colto di questa disciplina? quali chiavi di lettura e strumenti per stare e agire nel mondo mi può dare? a che cosa potrebbe servire per il miglioramento della società?
Si troverà così a rileggere la propria storia personale in relazione all’impegno nello studio, con gli entusiasmi e le fatiche, gli incontri che hanno chiarito o hanno aiutato nel cammino, le scoperte entusiasmanti e il senso di un percorso in continua evoluzione. Si tratta di una grande ricchezza, spesso sommersa perché non illuminata da uno sforzo di consapevolezza, perché non trova posto tra le voci del libretto universitario o del curriculum vitae. Noi vogliamo darle attenzione perché crediamo che sia la struttura portante della formazione personale, senza la quale quella professionale si rivelerebbe un guscio vuoto. Lo studio ti ha fatto e ti fa crescere personalmente? come?
Ogni storia ha una trama, è tessuta di fili che con continuità attraversano i singoli episodi mostrandosi in modi differenti, evolvendo nelle forme, garantendo l’originalità, ovvero il collegamento con l’origine. L’esercizio di connettere le tappe della nostra storia presente e passata, riconoscendo ciò che più ci ha colpito – è stato significativo perché ha lasciato un segno – è un modo per imparare a scegliere nel futuro. È ascoltando ciò che risuona più vivamente in noi che distinguiamo i desideri profondi del nostro cuore e ci orientiamo a realizzare i sogni che vanno maturando in noi. Perché un ragazzo, una ragazza ha scelto di fare l’università, e questo percorso di studi? come si è evoluta la sua motivazione? quali progetti di vita li hanno spinti in questa direzione? quali elementi l’hanno confermata o disconfermata?
Guardando a distanza di tempo i moti del cuore che abbiamo sperimentato, scorgiamo oltre le emozioni che ci hanno attraversato e ci addentriamo nello spazio della volontà, dei valori, dei desideri. È la dimensione spirituale della persona, cioè della vita interiore, che accomuna credenti e non. Come la ricerca esistenziale ed intellettuale si intersecano? Chi vive o ha vissuto questo percorso di crescita in una dimensione di fede, poi, si pone ulteriori domande etiche, ontologiche, pragmatiche.
L’esperienza dello studio universitario, in qualunque ambito si collochi, è un’esperienza determinante per un giovane. Per la sua identità, per la sua maturazione, per la costruzione di una personale visione del mondo e del futuro, per la sua capacità di collocarsi relazionalmente, socialmente, culturalmente. Essa mette alla prova la capacità del giovane di attrezzarsi adeguatamente, di sperimentare atteggiamenti determinanti, come la programmazione realistica, la capacità di organizzarsi, di motivarsi, di vivere la fatica e l’impegno, l’incontro con i propri limiti, ma anche la gioia della scoperta, l’uso dell’immaginazione, l’accostamento al mistero. E la capacità di immaginare il futuro.
Tutto questo passa attraverso storie personali di vita, incontri-scontri con la realtà dello studio e dell’università, delle persone che ne fanno parte e delle esperienze in cui ci immergiamo, del contesto del piccolo e grande mondo in cui siamo immersi.
Alla luce di tutto ciò, questa rubrica nasce con l’intento di dare voce a questa ricchezza, celata nel percorso di formazione di ciascuno e troppo spesso nascosta all’ombra delle tappe ufficiali nell’università, che fatichiamo a riconoscere e valorizzare anche in prima persona.
Non si tratta infatti di fare uno studio sociologico o una raccolta di saggi dotti sul tema dei giovani, le loro prospettive, del futuro del lavoro ecc. Diversamente da quanto spesso accade, la rubrica è uno spazio pensato da giovani in cui i giovani stessi raccontano la propria prospettiva “dall’interno”. Un “interno” che significa sia senza uno sguardo adulto che si avvicina con una prospettiva diversa, sia con l’attenzione alla vita interiore di ciascuno, in prima persona.
Diamo spazio quindi ai racconti di come diversi giovani hanno vissuto questo periodo e di speranze/disillusioni, in cosa è mutato cammin facendo, e se e come è stata un’esperienza “di vita vera” (Etty Hillesum) [1].

NOTA

1 «Quando, in passato, sedevo alla mia scrivania, ero presa da irrequietezza al pensiero di perdermi qualcosa fuori, qualcosa della “vera” vita. E così non riuscivo mai a concentrarmi sui miei studi. E quando ero immersa nella “vita vera”, in mezzo alle persone, provavo sempre il desiderio disperato di tornare a quella scrivania e non ero affatto allegra insieme agli altri. Quella distinzione artificiale tra studio e “vita vera” adesso è scomparsa. Adesso “vivo” davvero dietro alla mia scrivania. Lo studio è diventato una “vera” esperienza di vita e non è più solo qualcosa che riguardi la mente. Alla mia scrivania io sono completamente immersa nella vita, e trasporto nella “vita vera” la tranquillità interiore e l’equilibrio che mi sono conquistata nell’intimo. Prima dovevo ogni volta ritirarmi dal mondo esterno, perché le molte impressioni mi confondevano e mi rendevano infelice. Dovevo rifugiarmi in una stanza silenziosa. Adesso quella “stanza silenziosa”, per dir così, la porto sempre con me, e mi ci posso ritirare a ogni istante, sia che mi trovi in un tram pieno di gente sia nel mezzo della confusione in città» (Etty Hillesum).

Italia – Sorgenti di Speranza al Meeting MGS 2024

Dall’agenzia ANS.

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Roma, Italia – settembre 2024 – Dal 6 al 7 Settembre 2024, nell’oratorio salesiano dell’opera Don Bosco a Cinecittà, si è svolto il Meeting MGS che ha visto coinvolti più di 600 giovani provenienti da tutto il territorio MGS Italia Centrale. Sui passi della proposta pastorale “Attesi dal Suo amore, gioiosi nella Speranza”, sono state proposte le attività per tutte le fasce di età: Biennio, Triennio e Giovani adulti. Per entrare nel vivo della proposta pastorale, il Biennio e il Triennio hanno partecipato a giochi e attività ricchi di allegria e formazione. Per i giovani adulti, invece, si è svolta una tavola rotonda come occasione per confrontarsi sul tema della Speranza. Il sabato, tutti i partecipanti hanno preso parte alle “Sorgenti di Speranza”, un momento dedicato al confronto con il vissuto di vari testimoni nella loro esperienza di Speranza su alcune tematiche particolari, concludendo poi con un momento di condivisione tra case. Il Meeting MGS si è chiuso con la Celebrazione Eucaristica presieduta dal nuovo Ispettore dell’ICC don Roberto Colameo, il saluto dell’Ispettrice FMA Suor Gabriella Garofoli e l’invio dei nuovi incarichi di segreteria e animazione pastorale. Seguendo l’esempio di Don Bosco, e per iniziare ad essere insieme delle vere sorgenti di Speranza, i giovani hanno deciso di devolvere la cifra destinata ai loro gadget all’oratorio Don Bosco di Alessandria D’Egitto, andando a finanziare le attività oratoriane annuali di 10 bambini.

Primo Annuncio e dialogo interreligioso, seminario in Spagna per la Regione Mediterranea

Dall’11 al 13 ottobre, a Madrid, si svolgerà il seminario sul Primo annuncio e il dialogo interreligioso rivolto agli operatori di Pastorale Giovanile della Regione Mediterranea.

Gli obiettivi del seminario sono: riflettere sulla realtà dei giovani nel contesto secolare delle nostre società complesse, plurali e multireligiose e sulla sfida dell’esperienza creativa; approfondire la necessità di ricorrere al kerygma, proponendo con coraggio la Buona Novella di Gesù Cristo; prospettive e percorsi pastorali di accompagnamento dell’esperienza di vita fin dal primo annuncio e dall’accoglienza del Vangelo.

I destinatari sono: operatori pastorali, salesiani e laici, con esperienza evangelizzatrice e responsabilità nell’animazione; coordinatori pastorali in contesti secolarizzati e multireligiosi; accompagnatori dei giovani in itinerari di crescita nella fede.

Per iscriversi, è necessario rivolgersi al delegato di Pastorale giovanile della propria ispettoria.

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Note di Pastorale Giovanile, gli studi di approfondimento per il 2025

Di seguito pubblichiamo gli Studi di NPG per l’anno 2025.

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1. Pastorale identitaria o contestualizzata? Un modello innovativo per tempi e culture diverse (Michal Vojtas)
Uno studio sul modello pastorale che mantiene l’identità carismatica (ad esempio salesiana, ma non solo) e prevede una differenziazione nel tempo e nelle culture diverse. È una riflessione legata alla “fedeltà creativa” della nostra progettualità pastorale in un mondo sempre più multiculturale e globalizzato.

2. Accompagnamento vocazionale dei giovani (Claudia Ciotti)
Partendo da tre sfide nell’ambito della pastorale giovanile-vocazionale (intimità tradita, gratuità sconosciuta, interiorità occupata) lo studio offre spunti sia teorici che operativi per accompagnare i giovani nel loro percorso vocazionale unendo allo sguardo pastorale quello psicologico. Il presente studio è pensato in continuità con quello di M. Fusi (cfr. NPG dicembre 2023).

3. 80 anni dalla “liberazione” in Italia (Raffaele Mantegazza)
In un’Europa in cui vi sono nuove guerre che si affacciano vecchi spettri che risorgono, è utile andare a vedere quali esperienze e confronti proporre agli adolescenti e ai giovani come antidoti in vista di una crescita che tenga viva la memoria delle tragedie che hanno segnato l’Europa nel XX secolo.

4. Diventare insegnante: una vocazione per i giovani d’oggi? (Marco Pappalardo)
Una riflessione sulla capacità delle comunità di suscitare ancora vocazioni educative stabili e professionali. Lo studio dovrebbe approfondire il senso di una chiamata specifica che rischia di essere sottovalutata per i giovani d’oggi, e che invece sta nel cuore dell’impegno cristiano inteso come “carità educativa”.

5. Infosfera, intelligenza artificiale e pastorale giovanile (Elio Cesari, Marta Rossi e CSS)
Uno studio iniziale che disegna l’orizzonte attuale e le sue principali articolazioni. Tale studio darà poi il via ad una rubrica online (vedi sotto, alla sezione rubriche online) che darà continuità teorica e strumenti utili.

6. Il disagio educativo nel mondo dell’oratorio (Stefano Guidi e Pierpaolo Triani)
ODL sta conducendo una ricerca sul disagio educativo nel mondo degli oratori. Lo studio presenterà i risultati principali della ricerca orientata a indagare su come il mondo degli oratori è in grado di intercettare e interfacciare situazioni di fatica e disagio nel mondo adolescenziale e giovanile.

7. Il coordinatore laico in oratorio (Stefano Guidi e Paolo Carrara)
Visto l’aumento dell’affidamento della conduzione dell’oratorio a figure laiche, in questo studio si tratterà di fare il punto della situazione. Vedere come stanno andando le cose, confermare i punti fermi, evidenziare le criticità e proporre passi in avanti.

8. La qualità vocazionale della nostra pastorale universitaria (Ernesto Diaco)
La scelta vocazionale avviene sempre di più durante il tempo dell’università. Lo studio si impegna ad approfondire, valutare e rilanciare la “qualità vocazionale” in atto nelle nostre proposte di pastorale universitaria.

9. Quale musica per le nostre liturgie? (Elena Massimi)
In alcuni mondi cristiani (pensiamo ai pentecostali, ma anche a tante chiese protestanti) la musica di alta qualità è molto attrattiva per avvicinare i giovani alla fede. Ci pare interessante interrogarci sul rapporto tra musica giovanile e musica liturgica: un rapporto spesso eluso ma quantomai necessario. Si tratta di educare i giovani alla musica liturgica o educare la chiesa a nuove forme di musica sacra?

10. Identità e sessualità (Claudia Caneva – Cecilia Costa)
Studi estratti da vari contributi accademici delle autrici che hanno indagato sul rapporto tra identità e sessualità. In un tempo di grande confusione è utile la voce di due studiose che, dal loro punto di vista specifico (antropologico e sociologico), ci offrano delle riflessioni serie e fondate sull’argomento.

Terza Pagina – Le rubriche novità di Note di Pastorale Giovanile

Nel prossimo anno ci saranno nuove rubriche ad animare le pagine di Note di Pastorale Giovanile e invitare alla riflessione i lettori.

I sensi come vie di senso nella vita   – di Alessandra Augelli
In un’epoca in cui siamo continuamente stimolati da tanti artifici e in molteplici direzioni, rischiamo di perdere l’esercizio dei sensi, ovvero quel patrimonio basilare che ciascuna persona ha a disposizione per vivere in pieno la propria presenza nel mondo, le relazioni con gli altri e il rapporto con Dio. Come educatori consapevoli, per noi stessi e per gli altri, cercheremo di riflettere e riappropriarci di queste dimensioni per imparare a orientarci meglio nel mondo e riscoprire il senso della vita e di ciò che ci circonda.

Incontrare Gesù nel vangelo di Giovanni – di Guido Benzi
Papa Francesco nella sua esortazione apostolica rivolta ai giovani Christus vivit dice al n° 129: «Se riesci ad apprezzare con il cuore la bellezza di questo annuncio e a lasciarti incontrare dal Signore; se ti lasci amare e salvare da Lui; se entri in amicizia con Lui e cominci a conversare con Cristo vivo sulle cose concrete della tua vita, questa sarà la grande esperienza, sarà l’esperienza fondamentale che sosterrà la tua vita cristiana. Questa è anche l’esperienza che potrai comunicare ad altri giovani. Perché “all’inizio dell’essere cristiano non c’è una decisione etica o una grande idea, bensì l’incontro con un avvenimento, con una Persona, che dà alla vita un nuovo orizzonte e con ciò la direzione decisiva” (Benedetto XVI)».
Desideriamo indagare, attraverso il Vangelo di Giovanni, cosa significa questo «incontro con Cristo», seguiremo dunque Gesù e analizzeremo il suo stile, il suo modo di incontrare diversi tipi di persone, mescolandoci tra di loro per poter così fare anche noi il «nostro» incontro con Lui.

Playlist generazioneZ  – di Salvatore Miscio
Una rubrica sui giovani e la loro musica: i cantanti e le canzoni dai quali si sentono capiti e raccontati, stimolati e incoraggiati. I singoli articoli saranno condivisi con i ragazzi stessi.

Noi crediamo: ereditare oggi la novità cristiana – di Gianluca Zurra
La rubrica intende rileggere i fondamenti della fede cristiana in rapporto alla sua risonanza esistenziale per le giovani generazioni. In occasione dei 1700 anni dal Credo di Nicea, se ne riprendono gli articoli, nella consapevolezza che il lavoro compiuto allora dai nostri padri non fu quello di ridurre l’esperienza credente al dogma, ma di custodirne il cuore pulsante perché fosse ereditabile nel tempo a venire.
Proprio la categoria di “eredità” può essere suggestiva per intendere la Tradizione in modo adeguato. Non si parte mai dal nulla, ma da ciò che ci è stato consegnato; tuttavia, se ne riprende il tesoro in modo inedito e creativo, perché il Vangelo continui ad essere nel corso della storia una lieta notizia per l’umanità. 

“Pellegrini con arte” Il Giubileo della speranza di Maria Rattà
Arte e speranza sono intimamente connesse fin dalle pagine bibliche, in un gioco in cui si intrecciano immagini e colori, dalla cordicella rossa grazie a cui Giosuè si salva nell’Antico Testamento fino all’ancora paolina e (volendo estendere il discorso in chiave prettamente cristologica) al legno verde della Croce fra le pagine del Nuovo.
Sembra quasi che la speranza non si possa comprendere senza uno sguardo “artistico”, capace di dipingere di armonica bellezza questa virtù teologale così importante per la vita spirituale del cristiano.
Ma accanto a questi temi strettamente legati alla speranza, anche altri ci permettono di affrontare “con arte” il cammino giubilare, spaziando su argomenti diversi, tutti legati al Giubileo, ma che ci consentono anche di allargare il nostro sguardo.
Ecco allora una prima progettazione delle grandi tematiche che affronteremo nel corso di questo anno, nell’usuale modalità: articolo nella Rivista e approfondimento artistico come pdf nella Newsletter.

Ragazzi e adulti pellegrini sulla terra. Un viaggio attraverso le grandi domande di senso  – di Raffaele Mantegazza e Christiano Nella
La rubrica propone una serie di articoli costruiti come dialoghi tra uno studente di 21 anni, Christiano Nella e un docente di 58 anni, Raffaele Mantegazza. I temi attorno ai quali graviteranno gli articoli sono alcune domande fondamentali che attraversano l’umanità non solo da oggi ma da secoli. La forma dialogica permette di confrontare idee e pensieri cercando di accerchiare i temi senza proporre verità definitive.

 

 

 

Assemblea di Pastorale Giovanile dell’Italia Salesiana

Il 12 luglio si è tenuta l’Assemblea di Pastorale Giovanile dell’Italia Salesiana a Roma, al Centro Nazionale delle Opere Salesiane. L’appuntamento estivo, il secondo dopo quello di gennaio, raduna i Coordinatori degli Uffici nazionali e gli incaricati dei Collegamenti, con i responsabili degli enti Cnos, oltre ai direttori Laici delle Associazioni Nazionali e laici con ruoli di responsabilità nazionale, la Comunità San Lorenzo e il consiglio della CEP del Centro Nazionale.

Un primo momento dell’assemblea è stato dedicato all’ascolto dell’esperienza dei Frati del SOG, il Servizio Orientamento Giovani dei frati minori di Umbria e Sardegna con fra Mirko Mazzocato che ha raccontato la nascita del SOG e il tema del primo annuncio così come viene realizzato nei corsi proposti ai giovani.

Il SOG  è da oltre 40 anni un’esperienza di incontro con i giovani: è nato da un’intuizione di padre Giovanni Marini, il quale avvertì la necessità e l’urgenza di andare a cercare i giovani per annunciare loro la bellezza di ascoltare una Parola che salva e che spalanca la possibilità di mettersi in cammino per rispondere al progetto di amore che Dio da sempre ha verso ciascun uomo. A partire dai primi anni Duemila, dopo l’intuizione di creare un centro aggregativo a Santa Maria degli Angeli, si costituisce una fraternità stabile, la comunità di “Casa Tre Compagni”. Da circa dieci anni il SOG propone un master di Pastorale Vocazionale, per aiutare religiosi e laici nella missione di accompagnamento.

Questo momento di confronto è stato propedeutico alle informazioni relative al seminario sul primo annuncio della Regione Mediterranea che si terrà a Madrid a ottobre: le linee principali del seminario si sono delineate a giugno, durante l’incontro tra i centri nazionali di Italia e Spagna; nelle prossime settimane verranno diffusi i dettagli per le iscrizioni e il programma definitivo.

Nella seconda parte dell’incontro c’è stato lo spazio per le relazioni di fine anno pastorale degli uffici nazionali  durante il quale si sono affrontati questi temi:

  • Affettività: seminario all’UPS (marzo 2024) con relazione di Aurora Perris, responsabile nazionale dei Collegi universitari che sta seguendo il corso, avvio percorso formazione incaricati ispettoriali per la redazione di percorsi nelle ispettorie e nelle case.
  • Note di Pastorale Giovanile: condivisione delle note rilevanti post – redazione del 17 giugno
  • Giubileo 2025: condivisione di note organizzative
  • Animazione Vocazionale: presentazione del libretto realizzato dall’ufficio
  • Animazione Missionaria, con la preparazione al 150mo della prima spedizione missionaria
  • Oratorio e Parrocchia: note rilevanti post-seminario
  • Scuola: aggiornamento dall’ufficio

La riunione è proseguita poi con ispettori e delegati di Pastorale Giovanile per affrontare il tema del Servizio civile universale.

 

 

 

Settimane Sociali dei Cattolici Italiani e pastorale giovanile, un resoconto e una rilettura

Le Settimane Sociali dei Cattolici Italiani a Trieste hanno visto anche la presenza del Centro Nazionale Opere Salesiane con il presidente d. Elio Cesari, il presidente di Salesiani per il Sociale d. Francesco Preite e il direttore Generale CNOS-FAP d. Giuliano Giacomazzi. D. Elio Cesari ha scritto un breve resoconto con agganci pastorali e riferimenti al mondo salesiano.

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La 50ª edizione delle Settimane Sociali dei Cattolici Italiani si è svolta a Trieste e il luogo non è stato certamente scelto “a caso”, perché si tratta di una città che ha vissuto e continua a vivere il tema dell’intreccio di confini da più punti di vista: culturali, geografici, linguistici… Dal 3 al 7 luglio 2024 si sono incontrati circa 1500 delegati oltre a tanti altri partecipanti che hanno animato gli stand in tutta la città di Trieste, per presentare le buone prassi e le diverse realtà che in questo momento sono interessate e coinvolte con un ruolo importante nella dinamica politica e sociale italiana. Hanno partecipato alcune personalità illustri: il Presidente della Repubblica Sergio Mattarella, il Cardinale e Presidente della CEI Matteo Zuppi e infine e non ultimo il Santo Padre: tutto
questo ha segnalato l’importanza di questi giorni, che hanno sono stati caratterizzati da incontri e riflessione approfondita nella condivisione delle diverse esperienze. Se potessi riassumere in  pochi punti quanto mi sembra più importante di questi giorni, sottolineerei i seguenti:

  • Il cuore della democrazia (tema di questa edizione) non è un metodo, ma sta nella partecipazione libera delle persone di buona volontà e della loro passione a volere cercare con tutto il cuore e con tutte le forze il Bene comune, cioè un bene che sia tale per tutti, nessuno escluso.  Approfittando delle parole di Mons. Renna (Presidente del Comitato Organizzatore e Scientifico), l’obiettivo è “portare a casa questa esperienza nella convinzione che i Cattolici, nei vari ambiti, sentono l’importanza di ripensare la dimensione comunitaria, partecipando alla vita sociale e democratica, in Italia come in Europa”. Una conclusione che non chiude, ma che al contrario nutre la promessa di nuove opportunità da esplorare per costruire un futuro democratico, partecipato e per tutti. Insieme.
  • Si è percepito il grande lavoro di preparazione del Comitato Scientifico e Organizzatore, che ha fatto tesoro della storia di questi eventi e ha corretto la rotta proponendo delle
    intelligenti correzioni. Nulla accade a caso! Degna di nota la presenza di Sr Angela Elicio FMA tra i membri del Comitato stesso e la valorizzazione della presenza della Famiglia Salesiana, anche con gli Exallievi e i Salesiani Cooperatori.
  • C’è stato un grande spazio per la condivisione attraverso il metodo sinodale, che ha fatto emergere la parola di ciascuno, solo così si costruisce insieme un percorso che ha avuto come linea comune il fatto che non ci si può disinteressare del fatto sociale e politico, ma bisogna fare in modo di interessarsi e intervenire in tutti quegli spazi in cui la voce della Chiesa può ancora esprimersi in modo efficace. Nulla che sia importante per l’uomo può non essere importante per la Chiesa.
  • Ci sono state tante occasioni in cui si è coinvolta la città di Trieste in una forma inedita nelle edizioni passate: ci sono stati stand e incontri in tutta la città. Non si è trattato di una scelta organizzativa, ma di una vera e propria linea e indicazione progettuale: l’intersezione tra gli spazi dell’uomo e quelli ecclesiali devono avere sempre più intrecci e intersezioni.
  • Hanno partecipato tanti giovani e tutto questo mi ha dato molta speranza per il futuro. In particolare, mi ha colpito la loro voglia di essere protagonisti, di partecipare, di dire la propria e di essere attivi e propositivi per costruire un Bene che torni a vantaggio di tutta la nostra società. Questa realtà interroga la nostra Pastorale Giovanile, che spesso ha evitato di trattare alcune tematiche ritenendole poco apprezzabili (o, forse, scomode?) per la sua missione con e tra i Giovani.
  • Dai dibattiti e contributi di questi giorni, mi è sembrato che per quanto riguarda il pensiero e l’azione sociale e politica il proprium della Chiesa sarà quello di portare un contributo che vada al di là degli schieramenti di destra e di sinistra, recuperando il valore e il senso del “lievito”, principio attivo e sostegno alla base dell’impegno e del successivo ed eventuale schieramento politico.

Penso che questa 50ma edizione delle Settimane Sociali possa segnare un vero e proprio passaggio perché il mondo cattolico possa non solo non sentirsi estraneo, ma addirittura “soggetto attivo” nel dibattito e nell’azione sociale e politica, portando un contributo inedito in un momento in cui ne sentiamo tutti un gran bisogno.

Pastorale giovanile del quotidiano. Comunità, giovani e scuola

Da Note di Pastorale Giovanile, numero di luglio e agosto.

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di Rossano Sala

Una lamentela spesso ricorrente

Una delle critiche regolari che vengono rivolte alla pastorale giovanile è la sua concentrazione sugli “eventi”. Il loro primato di visibilità e di organizzazione d’altra parte emerge: pensiamo alla Giornata Mondiale della Gioventù, che è il “grande evento” che ad intermittenza si ripropone. Ma pensiamo anche al prossimo anno giubilare, dove molti momenti riguardanti il mondo giovanile sono già calendarizzati, primo fra tutti il “Giubileo dei giovani” a cavallo tra luglio e agosto 2025.
Tale focus alimenta legittimamente l’idea che la pastorale giovanile sia lontana dalla vita quotidiana dei giovani. E che, in fondo, la Chiesa stessa lo sia. Vite parallele che talvolta si incrociano senza lasciare segni né dall’una né dall’altra parte, mantenendo la divaricazione un dato scontato e incontestabile: la Chiesa nel suo insieme non sembra essere toccata se non tangenzialmente dall’esperienza di fede dei giovani, e i giovani nel loro insieme non entrano nei circuiti ecclesiali se non occasionalmente, ma senza esserne intimamente toccati.
Effettivamente, sulla questione degli “eventi” la riflessione pastorale ha già fatto il punto: se non riescono a fecondare la vita quotidiana sono sostanzialmente avvicinabili all’esperienza di alcune sostanze stupefacenti, come ad esempio all’eroina: quest’ultima fa entrare in un mondo altro e ci fa andare altrove, e non ci aiuta ad affrontare le sfide dell’esistenza. Ci porta ad essere distopici rispetto alla vita quotidiana.

Immersi nel quotidiano dei giovani

Una pastorale giovanile seria e incisiva non ha paura del quotidiano. Non ha timore di vivere e operare dove la vita dei giovani si svolge concretamente. Non teme di giocare sul campo dell’esistenza concreta. Anzi, al contrario e con entusiasmo si posiziona strategicamente lì dove i giovani vivono e crescono, gioiscono e soffrono.
Questo è il caso specifico – e con un grande peso specifico – del mondo della scuola e della formazione professionale. La scuola, lo si deve riconoscere, è uno degli spazi privilegiati in cui la vita di un giovane avviene. Molto del loro tempo tutte le giovani generazioni lo vivono a scuola: luogo di socializzazione primaria, spazio privilegiato di istruzione, casa per la formazione, esperienza di affetti e legami condivisi. Questa è la scuola, anche quella italiana, che con tutti i suoi difetti continua ad essere una struttura accogliente e generativa per i giovani. E non dimentichiamo, per tutti i giovani, nessuno escluso.
Dove la scuola non arriva o non è incisiva lì c’è degrado, criminalità, inciviltà. Lì si cresce allo stato brado, lì tutto diventa possibile. Abbiamo esperienza continua di tutto ciò, perché dove la scuola non riesce a far scattare la scintilla della passione tutto si deprime, si appiattisce e diventa spazio aperto per ogni barbarie.
Questo la pastorale giovanile lo deve vedere, apprezzare e coltivare. E, senza nessuna indecisione, è chiamata a fare alleanza con chi in questo mondo spende la vita da sempre: dirigenti scolastici, insegnanti, educatori e formatori. È strategico più che mai, soprattutto oggi, perché siamo nel tempo della sinodalità!

In alleanza con il mondo della scuola

E così arriviamo al Dossier che viene presentato, curato magistralmente da E. Diaco e E. Cesari. Una pietra miliare che vuole confermare l’interesse della pastorale giovanile per il mondo della scuola. Qui, e non altrove, sta la vera sinodalità, quella capacità di camminare insieme che ci fa crescere tutti. La scuola è uno spazio privilegiato di alleanza, e la nostra Rivista da anni oramai batte questa strada.
Lo ha fatto qualche anno fa – cfr. il Dossier del dicembre 2018, intitolato La Chiesa e la scuola. Un rapporto che viene da lontano e che vuole rinnovarsi alla luce delle nuove sfide pastorali, culturali, educative, reperibile on line sul nostro sito – a cui è seguita una rubrica che ci ha accompagnato dal 2019 al 2022, significativamente intitolata La Chiesa per la scuola, anch’essa completamente on line sul nostro sito.
Tutto materiale di alta qualità facilmente fruibile da non lasciar cadere, ma da legare al Dossier di questo numero di NPG, perché si tratta di una vera continuità e un autentico approfondimento tematico.
Noi a tutto questo ci crediamo! Siamo convinti che il mondo della scuola e quello della pastorale (giovanile, ma non solo) si debbano incontrare, debbano collaborare, siamo chiamati per vocazione a vivere in unità d’intenti un’inclusione reciproca. Se ciò non avviene uno degli ambienti privilegiati della vita dei giovani viene escluso dal nostro raggio d’azione, generando pericolosi cortocircuiti civili ed ecclesiali.

Agenti “in incognito” di pastorale giovanile

Veniamo ora al tema specifico di questo Dossier, ovvero alla focalizzazione sul docente di IRC. Mi piace definirlo un “agente in incognito di pastorale giovanile”. Nell’ordinamento italiano è un professore riconosciuto come tutti gli altri, ma ha la particolarità di avere un legame diretto con la Chiesa, perché secondo il Concordato vigente egli deve avere un’approvazione ecclesiastica, oltre che i titoli adeguati derivanti da una formazione specifica.
È una doppia appartenenza la sua, civile ed ecclesiale. E se il suo compito è primariamente legato ad una presentazione “culturale” del fenomeno religioso in generale e del cristianesimo in particolare – chi potrebbe vivere non solo in Italia, ma anche nel mondo attuale, senza conoscere la storia (e il presente) delle istituzioni religiose e dei dinamismi di ricerca spirituale dell’umanità tutta? – non possiamo pensare che la sua presenza sia pastoralmente insignificante.
È esattamente vero il contrario. Egli è mandato dalla Chiesa per dire la verità della fede. Senza alcun intento proselitistico, ma con una missione di verità e di chiarezza. Per combattere l’ignoranza religiosa, per istruire sul fenomeno permanente e pervasivo della fede, per mostrare come essa ha plasmato il mondo in cui viviamo e come dobbiamo sempre fare i conti con i suoi dinamismi.
Un autentico docente di IRC vive di una missione ecclesiale e cerca di farla emergere entro i confini del suo ruolo istituzionale. Non confonde il suo ruolo con quello del catechista parrocchiale e nemmeno con il predicatore carismatico, ma fa valere lo spessore culturale del cristianesimo con professionalità impeccabile, passione profonda e sapienza pedagogica.

Parte di una comunità di fede

Il Dossier che segue ha anche – ultimo ma non ultimo! – un’intenzionalità decisiva: quella di riportare il mondo della scuola, l’insegnamento dell’IRC e la pastorale giovanile in dialogo e all’interno di una comunità cristiana che sa riconoscere e vivere la sua apertura verso il mondo.
La pastorale della scuola è una “pastorale in uscita”, ovvero capace di vivere in un contesto non direttamente legato alla comunità cristiana, ma con i tratti assunti dalla frequentazione della vita della Chiesa. È la Chiesa missionaria questa, che sa abbattere le barriere per essere presente altrove, ma senza abbandonare gli stili amorevoli e i passi educativi imparati dalla frequentazione della pedagogia della fede che affonda le sue radici nel vangelo.
Pedagogia che sa coltivare la certezza che non di solo pane vive l’uomo, e che questo fa parte dell’umano che è comune a tutti gli uomini. Proprio così: si sta nel mondo della scuola da cristiani quando si insegna che non solo di istruzione vivono i ragazzi, adolescenti e i giovani, che per loro natura sono creati per l’infinito e nessun sapere potrà mai saziare la loro inquietudine spirituale. Aprire spiragli di trascendenza nel mondo della scuola e della formazione professionale è l’impegno prioritario di un docente di IRC.
E questo lo si fa a nome e per conto di una Chiesa locale che ha a cuore i giovani: tutti i giovani, nessuno escluso. È importante, anzi decisivo, per un docente di IRC essere e sentirsi parte di una comunità. Purtroppo spesso ciò non capita, soprattutto quando un docente non partecipa alla vita di fede e al cammino di una comunità locale e di una Chiesa particolare.
Altrettanto importante per una comunità cristiana è riconoscere, sostenere e accompagnare queste persone che si impegnano con la Chiesa e per la Chiesa. Non solo con corsi di aggiornamento specifici, ma soprattutto con cammini ecclesiali di appartenenza e di condivisione. A loro modo, tutti i docenti di IRC sono missionari dei giovani. Possono fare molto se non vengono lasciati soli.

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Incontro tra i Centri Nazionali di Roma e Madrid, condivisione di calendari ed esperienze

Dal 18 al 21 giugno si è svolto a Madrid l’incontro tra i centri nazionali salesiani di Italia e Spagna, due giorni di confronto e lavoro sui prossimi seminari e sulle attività da portare avanti insieme.
All’incontro hanno partecipato la comunità San Lorenzo del CNOS con i tre laici che compongono il consiglio della CEP del Cnos e, oltre ai componenti del Centro nazionale di Madrid, anche i due delegati spagnoli di Pastorale Giovanile.
Il primo giorno è stato di presentazione del Centro Nazionale di Italia e di Spagna, di una delle ispettorie della Spagna oltre alla verifica del seminario sui Migranti che si è svolto a Malaga lo scorso anno, grazie al contributo in collegamento di don Rafael Bejarano e don Alberto Ares, SJ. I lavori sono andati avanti con la riflessione sul seminario sul Primo annuncio che si svolgerà a Madrid in autunno e sull’organizzazione.
Il secondo giorno, spazio alla presentazione della seconda ispettoria della Spagna e confronto sul lavoro del Settore di PG sull’affettività e l’educazione sessuale. Collegati da Roma don Andrea Bozzolo – Rettore dell’Università Pontificia salesiana –  e Antonella Sinagoga, psicoterapeuta e autrice con il Consigliere Generale Miguel Ángel García Morcuende e e Monica Ronchi, psicologa del volume: “Una pastorale giovanile che educa all’amore”. Don Andrea Bozzolo ha offerto un inquadramento teorico e presentato i nodi educativi, mentre Antonella Sinagoga ha presentato le buone prassi e passi da compiere forte dell’esperienza maturata a partire dal volume pubblicato.
L’incontro si è concluso con la condivisione di alcuni appuntamenti comuni, a partire dal prossimo seminario regionale sul primo annuncio che si terrà a Madrid in autunno. Prossimo incontro tra i due centri nazionali: Roma, giugno 2025.

Il tempo attorno – La stagione delle stragi narrata dallo sguardo di un adolescente

Dalla rubrica “Sguardi in sala tra cinema e teatro” a cura del CGS.

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Myriam Leone e Gianpaolo Bellanca (docenti e responsabili della compagnia teatrale “Volti dal Kàos” del CGS Don Bosco – Villa Ranchibile di Palermo)

Il tempo attorno è un suggestivo spettacolo teatrale d’ispirazione autobiografica, scritto e diretto da Giuliano Scarpinato, che ha debuttato per la prima volta al Teatro ‘Biondo’ Stabile di Palermo lo scorso dicembre. È il racconto di cinque vite che sono state travolte dalla storia degli anni Ottanta e Novanta nel capoluogo siciliano, la storia di Cosa Nostra e delle stragi ma anche di coloro che hanno coraggiosamente combattuto contro tutto questo: in scena due agenti della scorta, due magistrati e il loro unico figlio, Benedetto, che da bambino diviene adolescente sperimentando tutte le contraddizioni della sua condizione. Ed è proprio il suo punto di vista quello attraverso il quale viene narrata l’intera vicenda: le insicurezze, le fragilità e l’instabilità della sua storia personale s’intersecano con la Storia che incombe dall’esterno e che sembra costantemente minacciare l’intimità domestica della sua famiglia. In una dialettica pubblico / privato che rappresenta la chiave interpretativa del dramma, Scarpinato ricostruisce la memoria di eventi oscuri quanto cruciali per la storia del nostro paese raccontandoci la sua storia e facendola diventare, nel contempo, una vicenda universale. E intanto… attorno scorre il tempo…

“Nella mia stanza quel pomeriggio pensai un sacco alla domanda di Paola,
se volevo che uno sconosciuto mi facesse fuori, se volevo sparire.
È una bella domanda quando sei quasi adolescente
e una parte di te sta andando via, la più intatta:
quella cosa di essere felice
perché sei al mondo, semplicemente,
perché appartieni alla vita e vai bene così come sei,
cade giù a tocchi
come la pelle a settembre,
dopo il sole che sembrava eterno”.

Queste le parole di Benedetto, un bambino che sta diventando adolescente e che narra la sua difficile quotidianità attraverso lo scorrere de Il tempo attorno, spettacolo teatrale andato in scena in prima assoluta al Teatro ‘Biondo’ Stabile di Palermo lo scorso dicembre, scritto e diretto da Giuliano Scarpinato, regista di origini palermitane diplomatosi alla scuola del Teatro Biondo Stabile di Torino e vincitore di numerosi premi nazionali e internazionali (fra cui, con lo spettacolo Fa’afafine – mi chiamo Alex e sono un dinosauro, il Premio Scenario Infanzia e il Premio Infogiovani al Festival Internazionale di Lugano).
Benedetto appare come un alter-ego del regista stesso o, piuttosto, come un suo riflesso autobiografico, così come autobiografica è tutta la vicenda rappresentata: si tratta infatti di una narrazione ispirata al reale vissuto di Scarpinato il quale, figlio unico di due noti magistrati antimafia dei tempi del maxi-processo, Roberto Scarpinato e Teresa Principato, sceglie coraggiosamente di tradurre teatralmente la sua esperienza tramite un racconto mai didascalico che mostra senza pretendere di insegnare, che descrive senza illustrare e che ricorda senza fare facili moralismi. Così Giuliano diviene Benedetto, Roberto Michele (Vetrano, interpretato da Giandomenico Cupaiuolo) e Teresa Paola (Randazzo, interpretata da Roberta Caronia): le loro sono ipostasi teatrali che incarnano e, nel contempo, portano in scena la reale identità dei personaggi rappresentati. Insieme a loro due agenti della scorta, sul palco chiamati Liborio Mansueto e Diego De Piccolo, i quali, individualizzandosi, racchiudono in sé l’immagine di centinaia di colleghi che hanno vissuto vicende ed esistenze fin troppo simili alle loro.
La scena è semplice ma terribilmente efficace. Al centro una montagna, un cono, forse un vulcano: cosa simboleggia? Credo che buona parte dell’interpretazione venga lasciata allo spettatore (come avrebbe suggerito Umberto Eco): tale promontorio viene scoperchiato al vertice, a un certo punto della rappresentazione, e da esso emerge il magistrato, Michele Vetrano, che pronuncia veementemente la sua arringa mentre i fogli che legge vanno “esplodendo” dall’interno come un caotico flusso magmatico che scorre da un vulcano. È dunque una verità che viene fuori dall’inconscio quella cui allude l’elemento scenografico? O quest’ultimo rappresenta forse una salda montagna che simboleggia l’ultimo baluardo di stabilità in un mondo privato che si sta sgretolando tutto intorno? O forse esso allude piuttosto a quel cono d’ombra che si dipana dagli anni ’80 fino al termine della trattativa Stato / mafia, tanto nota al pubblico di oggi? Di certo si tratta di un espediente di grande suggestione che viene opportunamente usato in più momenti della rappresentazione teatrale: sui suoi fianchi, spesso usati come superficie su cui vengono proiettati video e filmati, sono inglobati un frigorifero, un televisore e un divano, simboli di una dimensione domestica e familiare che sembra contrastare aspramente con quella prospettiva “pubblica” che incombe continuamente dall’esterno. Ed è proprio su questa dialettica fra pubblico e privato, fra intimità della vita quotidiana ed esposizione pubblica e mediatica della realtà professionale (dei due magistrati) che si innesta l’intero spettacolo. Afferma Scarpinato: «La commistione di pubblico e privato si è rivelata vincente perché l’aspetto sentimentale delle vicende aiuta a veicolare la storia grande senza un approccio retorico, didattico, scolastico. Io sono sempre convinto del fatto che una narrazione in cui le emozioni siano raccontate in modo autentico, sincero, sia una narrazione capace di veicolare qualsiasi cosa». Ed è proprio in questo continuo dialogo fra universale e particolare che, a nostro parere, consiste la straordinaria originalità della scelta del regista.
Per le suddette ragioni, Il tempo attorno acquisisce un’altissima valenza culturale ed educativa per dei giovani spettatori e per degli adolescenti in particolare. Infatti, come ci rivela Giuliano stesso, sarebbe opportuno che, appunto, i ragazzi venissero ad assistere allo spettacolo «per ricostruire la memoria di eventi oscuri quanto cruciali per la storia del nostro paese, il cui oblio – purtroppo una tendenza eminentemente italiana – genera un pericolo per la democrazia e la crescita antropologica culturale e politica delle società a venire, di cui i nostri ragazzi sono il seme vivo.»
Al centro della rappresentazione, come accennato prima, c’è Benedetto interpretato da Emanuele Del Castillo un talentuoso giovane attore palermitano: in scena egli è un bambino che gradualmente diviene ragazzo e poi adulto (come testimoniano i video che guarda alla televisione, dapprima cartoni animati poi trasmissioni sempre meno infantili), che sperimenta un coacervo di vissuti e stati d’animo differenti. Si tratta di un personaggio estremamente complesso che riflette e incarna tutte le contraddizioni della sua esistenza. Il fatto di vivere continuamente sotto scorta, lo porta ad avvertire un continuo senso di minaccia attorno a sé, una spada di Damocle costantemente sospesa sulle sue giornate: perfino quando entra in ascensore egli deve avvisare gli agenti dei suoi spostamenti. Stima e ammira i suoi genitori per il loro lavoro in prima linea contro gli atti di Cosa Nostra che culmineranno nella stagione delle stragi ma, nel contempo, sperimenta un senso di inadeguatezza e, forse, anche di inferiorità nei loro confronti. Si vergogna di ammettere con i suoi amici la peculiarità della condizione in cui vive e tenta di cancellarne le tracce prima che essi possano notarle. In tal modo, Benedetto svilupperà frustrazioni che sfogherà sul cibo e che lo porteranno a diventare sovrappeso: la sua autostima ne risentirà ancora di più, ricadendo in un circolo vizioso che lo porterà a sentirsi sempre più fragile e insicuro. Così egli continua il suo monologo:

“Ed è incredibile quanto ci si senta soli, all’improvviso,
anche se la casa, le persone attorno, sono sempre quelli;
soli coi peli, nei bagni, coi corpi che… boh, e i primi desideri.
Quello di morire anche, un po’, che prima non c’era,
e non sai perché adesso ci sia…
perché ci sia la vergogna, la malinconia…”

Quando abbiamo chiesto ad Emanuele quale fosse stato l’aspetto più difficile nell’interpretazione di un ruolo del genere, lui ci ha risposto così: «Dall’inizio del lavoro Giuliano mi aveva detto che Benedetto era una specie di ‘maghetto’, come quelli della televisione a cui lui è tanto affezionato. La sfida più grande è stata sicuramente ritrovare quella magia dentro di me e farla venire fuori. Più concretamente potrei dire che il doppio aspetto del mio personaggio – ovvero quello del narratore/creatore della messinscena e quello del personaggio vero e proprio (bambino di 8-9 anni, ragazzino e poi adolescente) – è stata la parte più impegnativa. Stare dentro e fuori allo stesso momento, ricordare da “adulto” ma allo stesso tempo rivivere tutto quanto con la sorpresa e lo smarrimento del bambino: questo è ciò su cui ho dovuto lavorare di più.»
Anche i due genitori “teatrali”, i magistrati Michele e Paola, sperimenteranno sulla loro pelle la graduale disgregazione dell’unità familiare, incessantemente concentrati sulla frenetica attività professionale che irromperà bruscamente nelle loro vite private fino a calpestarne del tutto l’intimità domestica e a provocarne la definitiva separazione. Infatti, quella “proiezione ideale in un futuro migliore per la polis”, per la comunità “politica” (nel senso di “collettiva”) a cui appartenevano ha richiesto loro un prezzo altissimo: il sacrificio della propria famiglia. È come se la dialettica pubblico / privato su cui si impernia tutto il dramma si fosse risolta con la dissoluzione delle loro relazioni, travolte dalla prepotente irruzione della storia che le trascina con sé , proprio come il violento flusso che fuoriesce idealmente dal cono vulcanico al centro della scena: le stragi Falcone e Borsellino, il sequestro e la successiva uccisione del piccolo Di Matteo, il processo a Giulio Andreotti, da molti considerato “il processo del secolo”… A proposito, vorremmo soffermarci su un altro interessante aspetto della rappresentazione: essa si apre con la proiezione di una nota intervista al politico, quella in cui lui cade in una sorta di catalessi dopo una domanda della conduttrice Paola Perego: davanti a milioni di telespettatori, un inebetito Giulio Andreotti rimane pietrificato per alcune decine di secondi – che sembrano secoli – con lo sguardo perso nel vuoto, finché l’intervistatrice, intuendo la gravità della situazione, invoca uno stacco pubblicitario. Quello che trovo più inquietante, in questa strana vicenda che , appunto, coincide con l’avvio della rappresentazione di Scarpinato, è che la domanda posta dalla Perego prima del malore fosse stata «Presidente, quale futuro si augura per i nostri bambini?»: è chiaro che si è trattato di una strana coincidenza, ma credo che il regista abbia abilmente sfruttato il fatto che il “Divo” piombi in uno stato catatonico proprio dopo che era stato interpellato dalla conduttrice sul futuro delle nuove generazioni, come se tale questione lo avesse lasciato ammutolito, privato della parola.
Ogni aspetto della messa in scena di Giuliano Scarpinato è studiato, pensato, mai lasciato al caso: vivendo a Palermo siamo abituati a sentir parlare, di stragi, mafia e Cosa Nostra. Anche noi eravamo adolescenti negli anni ‘Novanta e abitavamo a Palermo, proprio come il regista e come il giovane protagonista che incarna il suo “io” scenico: ma quello che abbiamo trovato particolarmente azzeccato ed efficace ne Il tempo attorno la prospettiva dalla quale le vicende “storiche” vengono narrate del dramma, una prospettiva personale, individuale, un osservatorio privilegiato che coincide con il punto di vista di Benedetto, l’adolescente protagonista del dramma. E questo espediente narrativo, che potremmo definire “affettivo”, conferisce alla rappresentazione un valore particolare, rendendola più verosimile e, di conseguenza, molto coinvolgente. È lo stesso Scarpinato ad affermare che in tutto questo c’è moltissimo della sua esperienza personale: «Ovviamente la ricerca storiografica non è il mio mestiere, però mi sembrava interessante raccontare questi fatti da un punto di vista nuovo, molto intimo. La mia vita si è svolta sul tracciato di questa relazione tra la storia piccola e la storia grande: i due momenti non sono mai stati separati».
Così, l’inserimento di due figure apparentemente secondarie, gli agenti della scorta, conferisce veridicità alla vicenda rappresentata e, contestualmente, focalizza un ulteriore aspetto della dialettica pubblico / privato esplorando le relazioni dei due poliziotti fra di loro e nell’ambiente domestico in cui sono chiamati ad operare. La storia delle stragi, infatti, ha tristemente dimostrato come le vite di tali agenti, distrutte insieme a quelle dei magistrati che proteggevano, siano state a malapena ricordate, così come i loro nomi, troppo spesso dimenticati… quasi che le loro esistenze avessero avuto un valore differente, meno prezioso… I loro dialoghi in scena riflettono sì l’orgoglio di un ruolo assunto con serietà e consapevolezza, ma, contestualmente, la paura e il desiderio di una quotidianità “normale”.
In conclusione, attraverso il racconto di quegli anni, Scarpinato si pone l’obiettivo di dare vita a un teatro “politico”, inteso come teatro “civico”, dalla forte valenza sociale: egli vuole creare un teatro “per la polis“, per una comunità, comunità che, come la nostra palermitana, è stata troppo spessa ferita e lacerata nel suo corpus civico, nella sua coscienza cittadina. Così commenta il regista: «Volevo un’inchiesta partecipata dal pubblico, che ponesse delle domande. Per esempio l’Edipo parte dalla cronaca cittadina, ma poi questa si riversa nel mondo interiore del protagonista, per ritornare infine nella cronaca. Mi interessa questo rifluire delle cose tra il dentro e il fuori. Siamo abituati a pensarci come delle monadi che consumano, quando in realtà facciamo parte di un quadro generale: e questa cosa non facciamo altro che scordarcela». Un “teatro della polis”, dunque, che narri l’universale rappresentando il particolare, che descriva vicende storiche note a tutti tramite il racconto di personaggi fittizi, e l’aspetto più delicato, e prezioso nel contempo, di tale processo drammaturgico è l’inserimento della dimensione autobiografica e personale che, tuttavia, non diviene mai autoreferenziale. E intanto, fuori, scorre… il tempo attorno…

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