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Disponibile il sussidio per vivere al meglio il Giubileo

È disponibile online il sussidio che ci accompagnerà a vivere al meglio l’esperienza del Giubileo.
All’interno un’introduzione, anche storica, all’evento, una parte dedicata al pellegrinaggio, una dedicata alla liturgia e la parte più corposa che approfondisce attraverso parole chiave, i tre momenti fondamentali del Giubileo: pellegrinaggio e professione di fede; passaggio dalla Porta Santa; Riconciliazione.

Qui una breve presentazione di don Riccardo Pincerato:
https://www.youtube.com/watch?time_continue=5&v=wR8n-8-wE6Q&embeds_referring_euri=https%3A%2F%2Fgiovani.chiesacattolica.it%2F&source_ve_path=Mjg2NjY

Qui le immagini e il logo:
https://giovani.chiesacattolica.it/il-sussidio-per-prepararsi-al-giubileo-dei-giovani/

Indice ampio

I. Introduzione
II. Giovani pellegrini a caccia di stelle
III. Cenni storici sul Giubileo
IV. I cammini della Fede
V. I tre momenti del Giubileo e le parole chiave
VI. Proposte liturgiche
La prima parte fornisce uno schema per la celebrazione del sacramento della riconciliazione
La seconda parte, divisa in due grandi momenti, accompagnerà verso il cuore della pratica giubilare.

(SPECIFICHE)

IV. I cammini della Fede
la via Francigena del Nord e del Sud,
la via di Francesco,
la via Lauretana,
la via Amerina (o cammino della Luce),
la via Romea Strata
e la via Matildica

V. I tre momenti del Giubileo e le parole chiave

  • Pellegrinaggio e professione di fede
    1. Coraggio
    2. Abito
    3. Senso e Con-senso
    4. Popolo
  • Porta Santa
    5. Soglia
    6. Libertà/Responsabilità
    7. Scoperta
    8. Gioia piena
  • Riconciliazione
    9. Riscatto
    10. Coscienza
    11. Promessa
    12. Abbraccio

GLI SVILUPPI PER OGNUNA DELLE 12 VOCI

1.1. Orizzonte tematico
1.2. Domande per la riflessione
1.3. Lectio
1.4. Testimonianza
1.5. Selezioni musicali (CON ANALISI DEL TESTO)
1.6. Testi letterari
1.7. Composizioni artistiche
1.8. Filmografia
1.9. La Parola di Papa Francesco
1.10. Attività laboratoriali

Papa Francesco in visita all’Università Pontificia Salesiana

Dal sito dell’Università Pontificia Salesiana.

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Martedì 11 giugno, alle ore 16, la visita di Papa Francesco presso la nostra Università. L’occasione è stata data da un incontro privato che il Pontefice ha tenuto con i preti di fascia “media” (dagli 11 ai 39 anni di ordinazione sacerdotale) di Roma e grande è stato l’eco nel quartiere con i tanti cittadini giunti davanti all’UPS per salutarlo.

Arrivato in prossimità dell’Aula Paolo VI, il Papa è stato accolto dal Cardinale Ángel Fernández Artime, Gran Cancelliere dell’UPS e Rettor Maggiore della Congregazione Salesiana, dal Rettor Magnifico prof. don Andrea Bozzolo e da tutte le autorità accademiche e religiose dell’UPS che lo hanno salutato con affetto. Subito dopo il Papa si è avvicinato ai tanti docentistudenti collaboratori presenti salutandoli uno ad uno e facendo festa con loro tra canti ed entusiasmo incontenibile. Non è mancato un fraterno saluto ai Salesiani anziani, alla novantaseienne mamma del Rettore e alle suore che li accudiscono nell’infermeria interna.

Alle 16:15 Papa Francesco è entrato in Aula per l’incontro, a porte chiuse, con il clero invitato al termine del quale ha firmato, alla presenza del Rettore, il “Libro d’onore” dell’Università su cui ha scritto: “Molto contento di quest’incontro con i sacerdoti. Pregate per me. Fraternamente, Francesco”.

Sito UPS

Vaticano – Prima Giornata Mondiale dei Bambini: Papa Francesco affida ai più piccoli il mondo e la pace

Dall’agenzia ANS.

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(ANS – Città del Vaticano) – Una celebrazione semplice e piena di gioia, così come sono i bambini di tutto il mondo: questa è stata la I Giornata Mondiale dei Bambini (GMB), istituita da Papa Francesco su suggerimento proprio di un bambino, e realizzata nel fine-settimana del 25-26 maggio 2024 a Roma. Nelle due tappe della manifestazione – sabato pomeriggio allo Stadio Olimpico e domenica mattina in Piazza San Pietro – il Santo Padre ha dialogato con i più piccoli in maniera affettuosa e sincera, affidando loro il compito di coltivare l’amicizia e la pace e di avere cura dei poveri, degli anziani, dei malati e del mondo intero.

L’evento dello Stadio Olimpico si è aperto con una sfilata di 101 delegazioni – dall’Afghanistan allo Zambia – che ha dato il senso della reale universalità di questa GMB, evento promosso dal Dicastero vaticano per la Cultura e l’Educazione. Il pomeriggio è poi proseguito con momenti d’intrattenimento musicale, testimonianze e sport e, tra le esibizioni di cantanti affermati o amati dai bambini e i momenti di gioco con grandi campioni del recente passato, un bambino di ogni continente ha raccontato la sua vita e ciò che lo preoccupa.

Victor, 13 anni, da Betlemme, vede da otto mesi il cielo occupato dai missili e si chiede: “Che colpa abbiamo noi bambini se siamo nati a Betlemme, a Gerusalemme o Gaza?”. Eugenia, da Kharkiv, in Ucraina, vuole la pace e non vuole che i bambini sentano le bombe cadere e vedere la morte. Mila, dalla Nuova Zelanda, teme per il futuro del pianeta a causa dell’aumento delle inondazioni, così come Mateo da Buenos Aires si è detto angosciato per i bambini che sono malati e non hanno da mangiare.

Al suo arrivo il Papa, accolto da grandi ovazioni da parte di tutti i presenti, ha esortato a ripetere “Ecco io faccio nuove tutte le cose”, il motto della GMB, e ha fatto da vero animatore con i più piccoli. “In voi, bambini, tutto parla di vita, di futuro. E la Chiesa, che è madre, vi accoglie, vi accompagna con tenerezza e con speranza (…) Dio vuole questo, tutto ciò che non è nuovo passa. Dio è novità. Sempre il Signore ci dà la novità” ha affermato, prima di ricordare a tutti che “Gesù vi vuole bene!” e di invitare i 50mila presenti a recitare un’Ave Maria “alla Mamma del Cielo”.

Nel successivo dialogo con alcuni rappresentati dei bambini, Papa Francesco ha regalato sorrisi e risposte genuine, alla portata di tutti. “Come si fa ad amare tutti?”, ha chiesto Riccardo, bimbo rom di Scampia. Cominciamo con amare coloro che sono più vicini a noi, ha risposto il Papa, e poi andiamo avanti.

“Sono felice di stare con voi perché siete gioiosi e avete la gioia della speranza del futuro”, ha ribadito poco dopo Papa Francesco, che se potesse fare un miracolo chiederebbe che tutti i bambini abbiano il necessario per vivere, mangiare e andare a scuola e che “tutti siano felici”, ha dichiarato rispondendo a una bambina indonesiana. Un bambino del Nicaragua gli ha chiesto perché tante persone non hanno una casa o un lavoro. “È il frutto della malizia, dell’egoismo e della guerra”, ha sottolineato il Pontefice.

“Come si apre il cuore dei grandi?”, ha chiesto ancora Ido, dalla Corea del Sud, protagonista del corto “la Casa dei tutti”, rappresentazione dello spirito della GMB, in cui la bambina incontra un senzatetto e lo conduce nella Basilica di San Pietro. C’è tanta gente chiusa “col cuore duro, col cuore che sembra un muro”, ha osservato il Papa. Non è facile, ripete, ma voi bambini, ha avvertito il Papa, dovete avere questa speranza di fare delle cose che facciano pensare gli adulti. “Dovete bussare alle porte dei grandi (…) e, anzi, dovete fare queste domande anche a Dio. Voi bambini potete fare una vera rivoluzione con queste domande e con queste inquietudini”.

Il pensiero di Papa Francesco è andato ancora agli anziani, sollecitato dalla domanda di Iolanda. “Viva i nonni”, ha chiesto di urlare ai bambini dell’Olimpico, dopo aver ricordato l’importanza di vistarli e di andare a trovarli.

Completata la prima sessione, i 50mila dell’Olimpico si sono ritrovati in Piazza San Pietro per la Messa nella Solennità della Santissima Trinità, una celebrazione composta e curata, ma al tempo stesso accessibile ai più piccoli. Il Pontefice in primis ha offerto una catechesi limpida e vivace, con la quale ha riassunto il grande mistero della Trinità in poche e semplici parole: il Padre ci ha creato, Gesù ci ha salvato, lo Spirito Santo “ci accompagna nella vita”, come ha fatto ripetere più e più volte all’assemblea, consapevole che delle tre persone della Trinità proprio lo Spirito Santo sia il più difficile da conoscere e comprendere.

Non sono mancati anche degli accenni speciali a Gesù, “che perdona sempre… anche il più brutto dei peccatori”, e a Maria, la mamma di tutti. Il Papa, infine, ha esortato ancora i piccoli a pregare, per la pace, i genitori, per i nonni e per i bambini ammalati. E al termine della celebrazione ha annunciato che la GMB avrà una seconda edizione nel settembre del 2026.

Terminata la Messa, la festa si è conclusa con la recita dell’Angelus nella versione breve e l’intervento del regista e attore premio oscar Roberto Benigni, che tra varie citazioni ha ben sintetizzato il significato dell’evento affermando: “Prendete il volo, prendete in mano la vostra vita e fatene un capolavoro… Costruite un mondo migliore, fatelo diventare più bello, che noi non ci siamo riusciti”.

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Avvenire – La formazione professionale in udienza dal Papa: «Troppi giovani sfruttati»

Pubblichiamo un articolo da Avvenire, a firma di Paolo Ferrario.

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«Una valida formazione professionale è un antidoto alla dispersione scolastica e una risposta alla domanda di lavoro in diversi settori dell’economia. Il lavoro è fondamentale della nostra vita e della nostra vocazione. Eppure, oggi assistiamo a un degrado del senso del lavoro, che viene sempre più interpretato in relazione al guadagno piuttosto che come espressione della propria dignità e apporto al bene comune.

Un «incontro storico» – promosso in occasione del 25° di fondazione di Forma e del 50° di Confap – perché, per la prima volta, il Papa incontrerà esclusivamente i rappresentanti di questa importante espressione del sistema italiano di istruzione, composto da circa 160mila allievi tra i 14 e i 18 anni. Ragazzi che vogliono lasciare la propria «impronta nel mondo» attraverso il lavoro. « Noi non formiamo manodopera ma persone in opera», sottolinea don Massimiliano Sabbadini, presidente di Confap. «È motivo di grande gioia poterci presentare al Papa nella nostra specificità – aggiunge – che è aiutare i ragazzi a sviluppare tutte le loro caratteristiche e potenzialità. E siamo orgogliosi di accogliere nei nostri centri di formazione anche giovani che sono stati espulsi dalla scuola, dando loro una nuova dignità». Ragazzi con alle spalle «storie complicate che da noi ritrovano la propria strada», interviene Paola Vacchina, presidente di Forma e amministratore delegato di Enaip (Ente nazionale impresa sociale), fondato negli anni Cinquanta su iniziativa delle Acli. «Abbiamo il desiderio di sentirci abbracciati e incoraggiati da papa Francesco – aggiunge Vacchina – e sappiamo quanto il Santo Padre sia attento alla formazione dei giovani e alla costruzione di una società migliore in cui ciascuno, attraverso il proprio lavoro, possa contribuire al bene comune».

«Una valida formazione professionale è un antidoto alla dispersione scolastica e una risposta alla domanda di lavoro in diversi settori dell’economia. Il lavoro è fondamentale della nostra vita e della nostra vocazione. Eppure, oggi assistiamo a un degrado del senso del lavoro, che viene sempre più interpretato in relazione al guadagno piuttosto che come espressione della propria dignità e apporto al bene comune.

Pertanto, è importante che i percorsi di formazione siano al servizio della crescita globale della persona». Sono le parole con cui questa mattina, in Aula Nervi, Francesco s’è rivolto agli allievi e insegnanti nel corso di un’udienza «straordinaria ed esclusiva», promossa in occasione del 50° di fondazione di Confap e del 25° di Forma. «Questo incontro riveste un significato particolare poiché sottolinea il continuo impegno di Forma e Confap nel promuovere una formazione che non solo trasmetta competenze tecniche, ma anche valori di solidarietà, giustizia sociale e rispetto per la dignità umana. Inoltre, conferma l’importanza cruciale della formazione professionale nel contesto contemporaneo e l’impegno costante nel promuovere un’economia al servizio dell’umanità». Così, Forma e Confap sottolineano l’importanza dell’appuntamento di questa mattina in Aula Nervi, in Vaticano, dove è in programma un’udienza straordinaria ed esclusiva concessa da papa Francesco al mondo della formazione professionale.

Un «incontro storico» – promosso in occasione del 25° di fondazione di Forma e del 50° di Confap – perché, per la prima volta, il Papa incontrerà esclusivamente i rappresentanti di questa importante espressione del sistema italiano di istruzione, composto da circa 160mila allievi tra i 14 e i 18 anni. Ragazzi che vogliono lasciare la propria «impronta nel mondo» attraverso il lavoro. « Noi non formiamo manodopera ma persone in opera», sottolinea don Massimiliano Sabbadini, presidente di Confap. «È motivo di grande gioia poterci presentare al Papa nella nostra specificità – aggiunge – che è aiutare i ragazzi a sviluppare tutte le loro caratteristiche e potenzialità. E siamo orgogliosi di accogliere nei nostri centri di formazione anche giovani che sono stati espulsi dalla scuola, dando loro una nuova dignità». Ragazzi con alle spalle «storie complicate che da noi ritrovano la propria strada», interviene Paola Vacchina, presidente di Forma e amministratore delegato di Enaip (Ente nazionale impresa sociale), fondato negli anni Cinquanta su iniziativa delle Acli. «Abbiamo il desiderio di sentirci abbracciati e incoraggiati da papa Francesco – aggiunge Vacchina – e sappiamo quanto il Santo Padre sia attento alla formazione dei giovani e alla costruzione di una società migliore in cui ciascuno, attraverso il proprio lavoro, possa contribuire al bene comune».

Già 180 anni fa, nel 1842, don Giovanni Bosco seguiva i giovani apprendisti nelle botteghe di Torino e da quel seme è nata l’esperienza salesiana nel campo della formazione professionale. Porta la firma di don Bosco, infatti, il primo contratto di apprendistato della storia, siglato l’8 febbraio del 1852 tra lo stesso don Bosco, il datore di lavoro, il giovane apprendista e suo padre. Dal 1977, inoltre, la Federazione Cnos Fap è la struttura associativa che attualizza in Italia l’esperienza formativa di don Bosco e dei Salesiani. Una rete oggi composta da 63 centri, 16 sedi regionali, 1.593 operatori su tutto il territorio nazionale, 1.541 corsi, 23.332 allievi e 865.527 ore di formazione erogate. Inoltre, il tasso di occupazione dei diplomati Its (Istituti tecnici superiori) è del 94,2% per il sistema meccanica, dell’89,9% per la Mobilità sostenibile e dell’88,5% per l’Efficienza energetica. « Al Papa – dice don Giuliano Giacomazzi, direttore del Cnos-Fap nazionale – offriamo il nostro impegno per i ragazzi in maggiore difficoltà, il lavoro fatto con loro per collaborare alla costruzione del loro futuro, la collaborazione con le aziende per rispondere con la formazione professionale a un bisogno sempre più urgente nella nostra nazione, cercando di fare un match fra bisogni del mondo del lavoro, le esigenze dei ragazzi, le opportunità della formazione».

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Avvenire – La formazione professionale dal Papa: «Il lavoro dei giovani cambia il mondo»

Dal quotidiano Avvenire, di Paolo Ferrario.

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«Questo incontro riveste un significato particolare poiché sottolinea il continuo impegno di Forma e Confap nel promuovere una formazione che non solo trasmetta competenze tecniche, ma anche valori di solidarietà, giustizia sociale e rispetto per la dignità umana. Inoltre, conferma l’importanza cruciale della formazione professionale nel contesto contemporaneo e l’impegno costante nel promuovere un’economia al servizio dell’umanità». Così, Forma e Confap sottolineano l’importanza dell’appuntamento di questa mattina in Aula Nervi, in  Vaticano, dove è in programma un’udienza straordinaria ed esclusiva concessa da papa Francesco al mondo della formazione professionale. Un «incontro storico» – promosso in occasione del 25° di fondazione di Forma e del 50° di Confap – perché, per la prima volta, il Papa incontrerà esclusivamente i rappresentanti di questa importante espressione del sistema italiano di istruzione, composto da circa 160mila allievi tra i 14 e i 18 anni. Ragazzi che vogliono lasciare la propria «impronta nel mondo» attraverso il lavoro. «Noi non formiamo manodopera ma persone in opera», sottolinea don Massimiliano Sabbadini, presidente di Confap. «È motivo di grande gioia poterci presentare al Papa nella nostra specificità – aggiunge – che è aiutare i ragazzi a sviluppare tutte le loro caratteristiche e potenzialità. E siamo orgogliosi di accogliere nei nostri centri di formazione anche giovani che sono stati espulsi dalla scuola, dando loro una nuova dignità». Ragazzi con alle spalle «storie complicate che da noi ritrovano la propria strada», interviene Paola Vacchina, presidente di Forma e amministratore delegato di Enaip (Ente nazionale impresa sociale), fondato negli anni Cinquanta su iniziativa delle Acli. «Abbiamo il desiderio di sentirci abbracciati e incoraggiati da papa Francesco – aggiunge Vacchina – e sappiamo quanto il Santo Padre sia attento alla formazione dei giovani e alla costruzione di una società migliore in cui ciascuno, attraverso il proprio lavoro, possa contribuire al bene comune». Un assaggio delle competenze apprese nei centri di formazione professionale e della passione dei giovani allievi saranno i doni presentati al Papa durante l’udienza.

«Simboli dell’impegno dei ragazzi capaci di produrre cose buone», aggiunge la presidente di Forma. Tra le opere donate al Pontefice, una lampada in legno realizzata dagli allievi del Cfp di Tesero, in Trentino, con i rami e i tronchi schiantati dalla tempesta Vaia dell’autunno 2018, «simbolo della vita che rinasce e della luce che si accende nche dopo le difficoltà». Un allievo ucraino porterà in dono alcune colombe, messaggere di pace, realizzate unendo legno dolce e duro, «simbolo di speranza e riconciliazione, richiamo potente all’importanza di costruire ponti di comprensione e solidarietà, affinché possiamo tutti vivere in un mondo di pace e armonia». «Nella cultura dello scarto in cui oggi viviamo, come dice papa Francesco – si legge nella presentazione dell’udienza pubblicata sul sito di Forma – i doni portati dai ragazzi ci raccontano un’altra realtà: il valore sta nelle mani di chi sa produrre e nelle menti di chi sa concepire. Ognuno restituisce al mondo il proprio valore, con un’impronta che rimane indelebile attraverso artefatti, opere e strumenti che raccontano il meraviglioso universo che risiede in ognuno di noi. L’unicità dei doni è l’unicità dei ragazzi che li hanno creati, il valore più grande che i centri di formazione professionale hanno: i propri allievi».

Già 180 anni fa, nel 1842, don Giovanni Bosco seguiva i giovani apprendisti nelle botteghe di Torino e da quel seme è nata l’esperienza salesiana nel campo della formazione professionale. Porta la firma di don Bosco, infatti, il primo contratto di apprendistato della storia, siglato l’8 febbraio del 1852 tra lo stesso don Bosco, il datore di lavoro, il giovane apprendista e suo padre. Dal 1977, inoltre, la Federazione Cnos Fap è la struttura associativa che attualizza in Italia l’esperienza formativa di don Bosco e dei Salesiani. Una rete oggi composta da 63 centri, 16 sedi regionali, 1.593 operatori su tutto il territorio nazionale, 1.541 corsi, 23.332 allievi e 865.527 ore di formazione erogate. Inoltre, il tasso di occupazione dei diplomati Its (Istituti tecnici superiori) è del 94,2% per il sistema meccanica, dell’89,9% per la Mobilità sostenibile e dell’88,5% per l’Efficienza energetica. «Al Papa – dice don Giuliano Giacomazzi, direttore del CnosFap nazionale – offriamo il nostro impegno per i ragazzi in maggiore difficoltà, il lavoro fatto con loro per collaborare alla costruzione del loro futuro, la collaborazione con le aziende per rispondere con la formazione professionale a un bisogno sempre più urgente nella nostra nazione, cercando di fare un match fra bisogni del mondo del lavoro, le esigenze dei ragazzi, le opportunità della formazione».

Don Franco Fontana nominato Cappellano della Direzione dei Musei e dei Beni Culturali del Governatorato

Dall’agenzia ANS.

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(ANS – Città del Vaticano) – Nella giornata di giovedì 15 febbraio 2024 la Sala Stampa della Santa Sede ha reso noto che il Santo Padre Francesco ha nominato il salesiano don Francesco Fontana Cappellano della Direzione dei Musei e dei Beni Culturali, Coordinatore di tutti i Cappellani delle Direzioni e degli Uffici Centrali, Coordinatore del Programma “Estate Ragazzi” e del Programma “Festa della Famiglia” e delle altre iniziative di pastorale familiare.

Don “Franco” Fontana, come è più noto tra confratelli, amici e personale in servizio presso la Santa Sede era già Cappellano della Direzione dei Servizi di Sicurezza e Protezione Civile del Governatorato dello Stato della Città del Vaticano dal luglio 2019.

Nato il 15 agosto 1949 a Treviglio, in Lombardia, don Fontana conta 56 anni di vita salesiana e 44 di sacerdozio.

Negli ultimi cinque anni ha lavorato in Vaticano, distinguendosi nel servizio di Direttore della comunità vaticana presso la Santa Sede, come Cappellano della Gendarmeria e come Coordinatore delle già quattro esperienze di successo dell’“Estate Ragazzi” in Vaticano. Proprio al termine dell’edizione 2022 dell’Estate Ragazzi, durante l’udienza generale a cui partecipavano anche i giovani dell’Estate Ragazzi, il Santo Padre manifestò un singolare attestato di stima nei confronti del salesiano, affermando: “Voglio ringraziare don Franco, l’anima spirituale del Vaticano, che da buon salesiano è stato capace di mettere questo seme, fare questo centro estivo, è il terzo anno”.

Prima di servire in Vaticano don Fontana era stato Direttore dell’“Istituto Sant’Ambrogio” di Milano, dove accompagnava la crescita umana e spirituale di circa 2.000 allievi; e Consigliere dell’Ispettoria Italia Lombardo-Emiliana (ILE); e prima ancora aveva già servito in diverse case salesiane, sempre come Direttore, Catechista o Preside: a Parma, a Bologna-Beata Vergine di San Luca, a Castel de’ Britti (Provincia di Bologna), in un centro per il recupero di adolescenti e giovani di strada, e Chiari (Provincia di Brescia), sede di una scuola che va dalle elementari al Liceo e all’Istituto di Formazione Professionale.

Né vanno dimenticati gli incarichi svolti come Delegato di Pastorale Giovanile per l’Ispettoria ILE e Coordinatore Nazionale dell’Animazione Missionaria, Delegato del Centro Nazionale Opere Salesiane (CNOS) per l’ONG “VIS – Volontariato Internazionale per lo Sviluppo” e suo Vicepresidente.

Sul suo conto si possono ricordare anche le esperienze maturate a fianco di due compianti pastori: il Cardinale Giacomo Biffi, che a Bologna lo volle Delegato di Pastorale Giovanile e con il quale collaborò assiduamente come Segretario Generale del Congresso Eucaristico Nazionale che si svolse a Bologna nel 1997; e mons. Ernesto Vecchi, che accompagnò tra il 2013 e il 2014 nella delicata missione di Vescovo Amministratore Apostolico di Terni-Narni-Amelia, in qualità di moderatore della Curia diocesana.

Nel suo curriculum di studi, infine, ci sono il baccalaureato in Teologia, conseguito all’Università Pontificia Salesiana di Torino (1980), e la Laurea in Scienze Naturali, ottenuta presso l’Università di Parma (1984), cui ha fatto seguito anche l’abilitazione per l’insegnamento nelle scuole superiori.

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La Stampa, intervista al Papa: “Don Bosco ha cambiato un po’ la storia. Anche con riflessioni culturali. E pure attraverso conversazioni con chi lo contrastava”

In una intervista rilasciata a Domenico Agasso de La Stampa, il Papa ha parlato anche di Don Bosco.

Il 31 gennaio è la festa di don Giovanni Bosco, «il Santo dei giovani»: che cosa insegna ancora oggi?

«Pare che una volta don Bosco abbia detto: “Se volete avere e aiutare dei giovani buttate un pallone sulla strada”. Il fondatore dei Salesiani e delle Figlie di Maria Ausiliatrice è stato capace di chiamare, coinvolgere ed entusiasmare i ragazzini senza futuro, e dare loro un futuro. Come? Con gli oratori. Lì i giovani giocavano, pregavano e imparavano. Per migliaia di piccoli abbandonati, disperati, destinati a un’esistenza di stenti e di esclusione, don Bosco ha tracciato la via di un avvenire di dignità e speranza. Ha fornito loro gli strumenti intellettuali e spirituali per superare gli ostacoli e valorizzare la propria vita. E ci è riuscito nonostante attacchi feroci: non dimentichiamoci che il Santo di Valdocco ha vissuto nell’epoca del Piemonte massonico e mangiapreti, e in quell’ambiente ostile è stato capace di trasformare in meglio l’atteggiamento sociale del territorio nei confronti dei giovani. Don Bosco ha cambiato un po’ la storia. Anche con riflessioni culturali. E pure attraverso conversazioni con chi lo contrastava».

L’intervista poi ha trattato i temi di attualità, la guerra, la pace e i giovani:

Santità, il mondo è nel pieno della «guerra mondiale a pezzi» da cui Lei aveva messo in guardia anni fa…
«Mai mi stancherò di ribadire il mio appello, rivolto in particolare a chi ha responsabilità politiche: fermare subito le bombe e i missili, mettere fine agli atteggiamenti ostili. In ogni luogo. La guerra è sempre e solo una sconfitta. Per tutti. Gli unici che guadagnano sono i fabbricanti e i trafficanti di armi. È urgente un cessate il fuoco globale: non ci stiamo accorgendo, o facciamo finta di non vedere, che siamo sull’orlo dell’abisso». Esiste una «guerra giusta»? «Bisogna distinguere e stare molto attenti ai termini. Se ti entrano in casa dei ladri per derubarti e ti aggrediscono, tu ti difendi. Ma non mi piace chiamare “guerra giusta” questa reazione, perché è una definizione che può essere strumentalizzata. È giusto e legittimo difendersi, questo sì. Ma per favore parliamo di legittima difesa, in modo da evitare di giustificare le guerre, che sono sempre sbagliate».

Come descrive la situazione in Israele e Palestina?
«Adesso il conflitto si sta drammaticamente allargando. C’era l’accordo di Oslo, tanto chiaro, con la soluzione dei due Stati. Finché non si applica quell’intesa, la pace vera resta lontana». Che cosa teme più di tutto? «L’escalation militare. Il conflitto può peggiorare ulteriormente le tensioni e le violenze che già segnano il pianeta. Però allo stesso tempo in questo momento coltivo un po’ di
speranza, perché si stanno svolgendo riunioni riservate per tentare di arrivare a un accordo. Una tregua sarebbe già un buon risultato». Come sta agendo la Santa Sede in questa fase degli scontri in Medio Oriente? «Una figura cruciale è il cardinale Pierbattista Pizzaballa, patriarca di Gerusalemme dei Latini. È un grande. Si muove bene. Sta provando con determinazione a mediare. I cristiani e la gente di Gaza – non intendo Hamas – hanno diritto alla pace. Io tutti i giorni videochiamo la parrocchia di Gaza. Ci vediamo nello schermo di Zoom, parlo alla gente. Lì in parrocchia sono 600 persone. Stanno continuando la loro vita guardando ogni giorno la morte in faccia. E poi, l’altra priorità è sempre la liberazione degli ostaggi israeliani».

E come procede la diplomazia vaticana sul fronte del conflitto in Ucraina?
«Ho dato l’incarico di questa missione complicata e delicata al cardinale Matteo Zuppi, presidente della Conferenza episcopale italiana: è bravo ed esperto, sta attuando una costante e paziente opera diplomatica per mettere da parte le conflittualità e costruire un’atmosfera di riconciliazione. È andato a Kiev e a Mosca, e poi a Washington e a Pechino. La Santa Sede sta cercando di mediare per lo scambio di prigionieri e il rientro di civili ucraini. In particolare stiamo lavorando con la signora Maria Llova-Belova, la commissaria russa ai diritti dell’infanzia, per il rimpatrio dei bambini ucraini portati con la forza in Russia. Qualcuno è già tornato nella sua famiglia».

Quali sono i pilastri su cui costruire la pace nel mondo?
«Dialogo. Dialogo. Dialogo. E poi, la ricerca dello spirito di solidarietà e fraternità umana. Non possiamo più ucciderci tra fratelli e sorelle! Non ha senso!».

Lei invita sempre alla preghiera: quanto conta e può incidere mentre il mondo brucia?
«La preghiera non è astratta! È una lotta con il Signore affinché ci dia qualcosa. La preghiera è concreta. E forte, e incisiva. La preghiera conta! Perché prepara il cammino verso una pacificazione, bussa alla porta del cuore di Dio affinché illumini e conduca gli esseri umani verso la pace. La pace è un dono che Dio può darci anche quando sembra che la guerra stia prevalendo  inesorabilmente. Per questo insisto in ogni occasione: bisogna pregare per la pace».

Lei a Lisbona, la scorsa estate, di fronte a milioni di giovani ha gridato con forza che la Chiesa è per «todos, todos todos»: rendere la Chiesa aperta a tutti è la grande sfida del suo pontificato?
«È la chiave di lettura di Gesù. Cristo chiama tutti dentro. Tutti. C’è proprio una parabola: quella del banchetto nuziale al quale nessuno si presenta, e allora il re manda i servi “ai crocicchi delle strade e tutti quelli che troverete, chiamateli alle nozze”. Il Figlio di Dio vuole far capire che non desidera un gruppo selezionato, un’élite. Poi qualcuno magari entra “di contrabbando”, ma a quel punto è Dio a occuparsene, a indicare il percorso. Quando mi interrogano: “Ma possono entrare pure queste persone che sono in tale inopportuna situazione morale?”, io assicuro: “Tutti, l’ha detto il Signore”. Domande come questa mi arrivano soprattutto negli ultimi tempi, dopo alcune mie decisioni…».

In particolare la benedizione delle «coppie irregolari e dello stesso sesso»…
«Mi chiedono come mai. Io rispondo: il Vangelo è per santificare tutti. Certo, a patto che ci sia la buona volontà. E occorre dare istruzioni precise sulla vita cristiana (sottolineo che non si benedice  l’unione, ma le persone). Ma peccatori siamo tutti: perché dunque stilare una lista di peccatori che possono entrare nella Chiesa e una lista di peccatori che non possono stare nella Chiesa? Questo non è Vangelo».

Durante la seguitissima intervista televisiva a Fabio Fazio nella trasmissione Che Tempo Che Fa ha parlato del prezzo della solitudine che deve pagare dopo un passo come questo: come sta vivendo la levata di scudi di chi insorge?
«Chi protesta con veemenza appartiene a piccoli gruppi ideologici. Un caso a parte sono gli africani: per loro l’omosessualità è qualcosa di “brutto” dal punto di vista culturale, non la tollerano. Ma in generale, confido che gradualmente tutti si rasserenino sullo spirito della dichiarazione “Fiducia supplicans” del Dicastero per la Dottrina della Fede: vuole includere, non dividere. Invita ad accogliere e poi affidare le persone, e affidarsi, a Dio».

Soffre per la solitudine?
«La solitudine è variabile come la primavera: in quella stagione puoi trascorrere una giornata bellissima, con il sole, il cielo azzurro e una brezza piacevole; 24 ore dopo magari il clima ti incupisce. Tutti viviamo solitudini. Chi dice “io non so che cos’è la solitudine” è una persona acui manca qualcosa. Quando mi sento solo innanzitutto prego. E quando percepisco tensioni attorno a me, provo con calma a instaurare dialoghi e confronti. Ma vado comunque sempre avanti, giorno dopo giorno».

Teme uno scisma?
«No. Sempre nella Chiesa ci sono stati gruppetti che manifestavano riflessioni di colore scismatico… bisogna lasciarli fare e passare… e guardare avanti».

Siamo all’alba di una nuova era segnata dall’Intelligenza artificiale: quali sono le sue speranze e le sue preoccupazioni?
«Qualsiasi novità scientifica e tecnologica deve avere carattere umano, e permettere agli esseri umani di rimanere pienamente umani. Se si perde il carattere umano si perde l’umanità. Nel Messaggio per la Giornata mondiale delle Comunicazioni sociali ho scritto: “In quest’epoca che rischia di essere ricca di tecnica e povera di umanità, la nostra riflessione non può che partire dal cuore umano”. L’Intelligenza artificiale è un bel passo in avanti che potrà risolvere molti problemi, ma potenzialmente, se gestita senza etica, potrà anche provocare tanto male all’uomo. L’obiettivo da porsi è che l’Intelligenza artificiale sia sempre in armonia con la dignità della persona. Se non ci sarà quest’armonia, sarà un suicidio».

Dio troverà ancora posto in mezzo ai robot?
«Dio c’è sempre. Lui si arrangia. È sempre vicino a noi, pronto ad aiutarci, anche quando non ce ne accorgiamo. Anche quando non lo cerchiamo. Anche quando non lo vogliamo. E se vede che le
derive sono sfrenate, si fa sentire. Nei suoi modi, che superano tutto e tutti».

Come va la sua salute?
«Qualche acciacco c’è, ma adesso va meglio, sto bene».

Le dà fastidio sentire parlare delle sue possibili dimissioni a ogni colpo di tosse?
«No, perché la rinuncia è una possibilità per ogni pontefice. Ma adesso non ci penso. Non mi inquieta. Se e quando non ce la farò più, inizierò eventualmente a ragionarci. E a pregarci su».

Quali potrebbero essere i suoi viaggi del 2024? «Uno in Belgio. Un altro a Timor Est, Papua Nuova Guinea e Indonesia, ad agosto. Poi c’è l’ipotesi Argentina, che però tengo per adesso “tra parentesi”: l’organizzazione della visita non è ancora cominciata. Per quanto riguarda l’Italia, andrò a Verona a maggio, e a Trieste a luglio».

Il neo presidente argentino Javier Milei l’ha attaccata più volte e con irruenza in questi mesi: si è sentito offeso?
«No. Le parole in campagna elettorale vanno e vengono».

Lo incontrerà?
«Sì. L’11 febbraio verrà alla canonizzazione di “Mama Antula”, fondatrice della Casa per Esercizi spirituali di Buenos Aires. Prima delle canonizzazioni è consuetudine il saluto con le autorità in sacrestia. E poi so che ha chiesto appuntamento per un colloquio con me: ho accettato, e dunque ci vedremo. E sono pronto a iniziare un dialogo – parola e ascolto – con lui. Come con tutti».

Perché ha istituito la Giornata mondiale dei Bambini?
«Perché mancava. Ne percepivo il bisogno. A novembre abbiamo realizzato quell’incontro con migliaia di bimbi e ragazzini giunti da tutto il pianeta nell'”Aula Paolo VI”: è andato molto bene. Il 25 e 26 maggio a Roma ci sarà la prima Giornata ufficiale. Lo scopo è suscitare meditazioni e azioni per rispondere ai quesiti: “Che tipo di mondo desideriamo lasciare ai bambini che stanno crescendo? Con quali prospettive?”. Se li ascoltiamo e li osserviamo, i bambini sono maestri di vita per noi adulti e anziani, perché sono puri, genuini e spontanei. Ogni loro comportamento, anche quello più complicato e apparentemente indecifrabile, è una lezione. Se ci impegniamo per il loro bene, faremo del bene a noi stessi. E all’umanità intera».

Qual è il suo sogno per la Chiesa che verrà?
«Seguire la bella definizione della “Dei Verbum”, la costituzione dogmatica del Concilio Vaticano II: “Dei Verbum religiose audiens et fidenter proclamans”, ascoltare religiosamente la Parola di Dio e proclamarla con ferma fiducia, e con forza. Sogno una Chiesa che sappia essere vicina alla gente nella concretezza e nelle sfumature e nelle asperità della vita quotidiana. Io continuo a pensare ciò che ho detto nelle Congregazioni generali, le riunioni dei cardinali che precedono il Conclave: “La Chiesa è chiamata a uscire da se stessa e a dirigersi verso le periferie, non solo quelle geografiche ma anche quelle esistenziali: quelle del mistero del peccato, del dolore, dell’ingiustizia, quelle dell’ignoranza e dell’assenza di fede, quelle del pensiero, quelle di ogni forma di miseria”».

Che cosa ricorda delle giornate storiche del marzo di undici anni fa?
«Dopo il mio intervento è scattato un applauso, inedito in tale contesto. Ma io assolutamente non avevo intuito ciò che molti mi avrebbero poi rivelato: quel discorso è stata la mia “condanna” (sorride, nda). Quando stavo uscendo dall'”Aula del Sinodo” c’era un cardinale di lingua inglese che mi ha visto e ha esclamato: “Bello quello che hai detto! Bello. Bello. Ci vuole un Papa come te!”. Ma io non mi ero accorto della campagna che stava nascendo per eleggermi. Fino al pranzo del 13 marzo, qui a Casa Santa Marta, alcune ore prima della votazione decisiva. Mentre stavamo mangiando, mi hanno posto due o tre interrogativi “sospetti”… Allora nella mia testa cominciavo a dirmi: “Qui sta accadendo qualcosa di strano…”. Ma sono comunque riuscito a fare una siesta. E quando mi hanno eletto ho avuto una sorprendente sensazione di pace dentro di me». E oggi come si sente? «Mi sento un parroco. Di una parrocchia molto grande, planetaria, certo, ma mi piace mantenere lo spirito da parroco. E stare in mezzo alla gente. Dove trovo sempre Dio».

Intelligenza artificiale e sapienza del cuore: per una comunicazione pienamente umana

Di seguito il messaggio di Papa Francesco per la 58ma Giornata Mondiale delle Comunicazioni Sociali che quest’anno si celebra, in molti Paesi, il 12 maggio 2024 sul tema: Intelligenza artificiale e sapienza del cuore: per una comunicazione pienamente umana. Il messaggio viene pubblicato oggi in occasione della Festa di San Francesco di Sales, patrono dei giornalisti.

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Cari fratelli e sorelle!

L’evoluzione dei sistemi della cosiddetta “intelligenza artificiale”, sulla quale ho già riflettuto nel recente Messaggio per la Giornata Mondiale della Pace, sta modificando in modo radicale anche l’informazione e la comunicazione e, attraverso di esse, alcune basi della convivenza civile. Si tratta di un cambiamento che coinvolge tutti, non solo i professionisti. L’accelerata diffusione di meravigliose invenzioni, il cui funzionamento e le cui potenzialità sono indecifrabili per la maggior parte di noi, suscita uno stupore che oscilla tra entusiasmo e disorientamento e ci pone inevitabilmente davanti a domande di fondo: cosa è dunque l’uomo, qual è la sua specificità e quale sarà il futuro di questa nostra specie chiamata homo sapiens nell’era delle intelligenze artificiali? Come possiamo rimanere pienamente umani e orientare verso il bene il cambiamento culturale in atto?

A partire dal cuore

Innanzitutto conviene sgombrare il terreno dalle letture catastrofiche e dai loro effetti paralizzanti. Già un secolo fa, riflettendo sulla tecnica e sull’uomo, Romano Guardini invitava a non irrigidirsi contro il “nuovo” nel tentativo di «conservare un bel mondo condannato a sparire». Al tempo stesso, però, in modo accorato ammoniva profeticamente: «Il nostro posto è nel divenire. Noi dobbiamo inserirvici, ciascuno al proprio posto (…), aderendovi onestamente ma rimanendo tuttavia sensibili, con un cuore incorruttibile, a tutto ciò che di distruttivo e di non umano è in esso». E concludeva: «Si tratta, è vero, di problemi di natura tecnica, scientifica, politica; ma essi non possono esser risolti se non procedendo dall’uomo. Deve formarsi un nuovo tipo umano, dotato di una più profonda spiritualità, di una libertà e di una interiorità nuove»[1].

In quest’epoca che rischia di essere ricca di tecnica e povera di umanità, la nostra riflessione non può che partire dal cuore umano[2]. Solo dotandoci di uno sguardo spirituale, solo recuperando una sapienza del cuore, possiamo leggere e interpretare la novità del nostro tempo e riscoprire la via per una comunicazione pienamente umana. Il cuore, inteso biblicamente come sede della libertà e delle decisioni più importanti della vita, è simbolo di integrità, di unità, ma evoca anche gli affetti, i desideri, i sogni, ed è soprattutto luogo interiore dell’incontro con Dio. La sapienza del cuore è perciò quella virtù che ci permette di tessere insieme il tutto e le parti, le decisioni e le loro conseguenze, le altezze e le fragilità, il passato e il futuro, l’io e il noi.

Questa sapienza del cuore si lascia trovare da chi la cerca e si lascia vedere da chi la ama; previene chi la desidera e va in cerca di chi ne è degno (cfr Sap 6,12-16). Sta con chi accetta consigli (cfr Pr 13,10), con chi ha il cuore docile, un cuore che ascolta (cfr 1 Re 3,9). Essa è un dono dello Spirito Santo, che permette di vedere le cose con gli occhi di Dio, di comprendere i nessi, le situazioni, gli avvenimenti e di scoprirne il senso. Senza questa sapienza l’esistenza diventa insipida, perché è proprio la sapienza – la cui radice latina sapere la accomuna al sapore – a donare gusto alla vita.

Opportunità e pericolo

Non possiamo pretendere questa sapienza dalle macchine. Benché il termine intelligenza artificiale abbia ormai soppiantato quello più corretto, utilizzato nella letteratura scientifica, machine learning, l’utilizzo stesso della parola “intelligenza” è fuorviante. Le macchine possiedono certamente una capacità smisuratamente maggiore rispetto all’uomo di memorizzare i dati e di correlarli tra loro, ma spetta all’uomo e solo a lui decodificarne il senso. Non si tratta quindi di esigere dalle macchine che sembrino umane. Si tratta piuttosto di svegliare l’uomo dall’ipnosi in cui cade per il suo delirio di onnipotenza, credendosi soggetto totalmente autonomo e autoreferenziale, separato da ogni legame sociale e dimentico della sua creaturalità.

In realtà, l’uomo da sempre sperimenta di non bastare a sé stesso e cerca di superare la propria vulnerabilità servendosi di ogni mezzo. A partire dai primi manufatti preistorici, utilizzati come prolungamenti delle braccia, attraverso i media impiegati come estensione della parola, siamo oggi giunti alle più sofisticate macchine che agiscono come ausilio del pensiero. Ognuna di queste realtà può però essere contaminata dalla tentazione originaria di diventare come Dio senza Dio (cfr Gen 3), cioè di voler conquistare con le proprie forze ciò che andrebbe invece accolto come dono da Dio e vissuto nella relazione con gli altri.

A seconda dell’orientamento del cuore, ogni cosa nelle mani dell’uomo diventa opportunità o pericolo. Il suo stesso corpo, creato per essere luogo di comunicazione e comunione, può diventare mezzo di aggressività. Allo stesso modo ogni prolungamento tecnico dell’uomo può essere strumento di servizio amorevole o di dominio ostile. I sistemi di intelligenza artificiale possono contribuire al processo di liberazione dall’ignoranza e facilitare lo scambio di informazioni tra popoli e generazioni diverse. Possono ad esempio rendere raggiungibile e comprensibile un enorme patrimonio di conoscenze scritto in epoche passate o far comunicare le persone in lingue per loro sconosciute. Ma possono al tempo stesso essere strumenti di “inquinamento cognitivo”, di alterazione della realtà tramite narrazioni parzialmente o totalmente false eppure credute – e condivise – come se fossero vere. Basti pensare al problema della disinformazione che stiamo affrontando da anni nella fattispecie delle fake news[3] e che oggi si avvale del deep fake, cioè della creazione e diffusione di immagini che sembrano perfettamente verosimili ma sono false (è capitato anche a me di esserne oggetto), o di messaggi audio che usano la voce di una persona dicendo cose che la stessa non ha mai detto. La simulazione, che è alla base di questi programmi, può essere utile in alcuni campi specifici, ma diventa perversa là dove distorce il rapporto con gli altri e la realtà.

Della prima ondata di intelligenza artificiale, quella dei social media, abbiamo già compreso l’ambivalenza toccandone con mano, accanto alle opportunità, anche i rischi e le patologie. Il secondo livello di intelligenze artificiali generative segna un indiscutibile salto qualitativo. È importante quindi avere la possibilità di comprendere, capire e regolamentare strumenti che nelle mani sbagliate potrebbero aprire scenari negativi. Come ogni altra cosa uscita dalla mente e dalle mani dell’uomo, anche gli algoritmi non sono neutri. Perciò è necessario agire preventivamente, proponendo modelli di regolamentazione etica per arginare i risvolti dannosi e discriminatori, socialmente ingiusti, dei sistemi di intelligenza artificiale e per contrastare il loro utilizzo nella riduzione del pluralismo, nella polarizzazione dell’opinione pubblica o nella costruzione di un pensiero unico. Rinnovo dunque il mio appello esortando «la Comunità delle nazioni a lavorare unita al fine di adottare un trattato internazionale vincolante, che regoli lo sviluppo e l’uso dell’intelligenza artificiale nelle sue molteplici forme»[4].Tuttavia, come in ogni ambito umano, la regolamentazione non basta.

Crescere in umanità

Siamo chiamati a crescere insieme, in umanità e come umanità. La sfida che ci è posta dinanzi è di fare un salto di qualità per essere all’altezza di una società complessa, multietnica, pluralista, multireligiosa e multiculturale. Sta a noi interrogarci sullo sviluppo teorico e sull’uso pratico di questi nuovi strumenti di comunicazione e di conoscenza. Grandi possibilità di bene accompagnano il rischio che tutto si trasformi in un calcolo astratto, che riduce le persone a dati, il pensiero a uno schema, l’esperienza a un caso, il bene al profitto, e soprattutto che si finisca col negare l’unicità di ogni persona e della sua storia, col dissolvere la concretezza della realtà in una serie di dati statistici.

La rivoluzione digitale può renderci più liberi, ma non certo se ci imprigiona nei modelli oggi noti come echo chamber. In questi casi, anziché accrescere il pluralismo dell’informazione, si rischia di trovarsi sperduti in una palude anonima, assecondando gli interessi del mercato o del potere. Non è accettabile che l’uso dell’intelligenza artificiale conduca a un pensiero anonimo, a un assemblaggio di dati non certificati, a una deresponsabilizzazione editoriale collettiva. La rappresentazione della realtà in big data, per quanto funzionale alla gestione delle macchine, implica infatti una perdita sostanziale della verità delle cose, che ostacola la comunicazione interpersonale e rischia di danneggiare la nostra stessa umanità. L’informazione non può essere separata dalla relazione esistenziale: implica il corpo, lo stare nella realtà; chiede di mettere in relazione non solo dati, ma esperienze; esige il volto, lo sguardo, la compassione oltre che la condivisione.

Penso al racconto delle guerre e a quella “guerra parallela” che si fa tramite campagne di disinformazione. E penso a quanti reporter sono feriti o muoiono sul campo per permetterci di vedere quello che i loro occhi hanno visto. Perché solo toccando con mano la sofferenza dei bambini, delle donne e degli uomini, si può comprendere l’assurdità delle guerre.

L’uso dell’intelligenza artificiale potrà contribuire positivamente nel campo della comunicazione, se non annullerà il ruolo del giornalismo sul campo, ma al contrario lo affiancherà; se valorizzerà le professionalità della comunicazione, responsabilizzando ogni comunicatore; se restituirà ad ogni essere umano il ruolo di soggetto, con capacità critica, della comunicazione stessa.

Interrogativi per l’oggi e il domani

Alcune domande sorgono dunque spontanee: come tutelare la professionalità e la dignità dei lavoratori nel campo della comunicazione e della informazione, insieme a quella degli utenti in tutto il mondo? Come garantire l’interoperabilità delle piattaforme? Come far sì che le aziende che sviluppano piattaforme digitali si assumano le proprie responsabilità rispetto a ciò che diffondono e da cui traggono profitto, analogamente a quanto avviene per gli editori dei media tradizionali? Come rendere più trasparenti i criteri alla base degli algoritmi di indicizzazione e de-indicizzazione e dei motori di ricerca, capaci di esaltare o cancellare persone e opinioni, storie e culture? Come garantire la trasparenza dei processi informativi? Come rendere evidente la paternità degli scritti e tracciabili le fonti, impedendo il paravento dell’anonimato? Come rendere manifesto se un’immagine o un video ritraggono un evento o lo simulano? Come evitare che le fonti si riducano a una sola, a un pensiero unico elaborato algoritmicamente? E come invece promuovere un ambiente adatto a preservare il pluralismo e a rappresentare la complessità della realtà? Come possiamo rendere sostenibile questo strumento potente, costoso ed estremamente energivoro? Come possiamo renderlo accessibile anche ai paesi in via di sviluppo?

Dalle risposte a questi e ad altri interrogativi capiremo se l’intelligenza artificiale finirà per costruire nuove caste basate sul dominio informativo, generando nuove forme di sfruttamento e di diseguaglianza; oppure se, al contrario, porterà più eguaglianza, promuovendo una corretta informazione e una maggiore consapevolezza del passaggio di epoca che stiamo attraversando, favorendo l’ascolto dei molteplici bisogni delle persone e dei popoli, in un sistema di informazione articolato e pluralista. Da una parte si profila lo spettro di una nuova schiavitù, dall’altra una conquista di libertà; da una parte la possibilità che pochi condizionino il pensiero di tutti, dall’altra quella che tutti partecipino all’elaborazione del pensiero.

La risposta non è scritta, dipende da noi. Spetta all’uomo decidere se diventare cibo per gli algoritmi oppure nutrire di libertà il proprio cuore, senza il quale non si cresce nella sapienza. Questa sapienza matura facendo tesoro del tempo e abbracciando le vulnerabilità. Cresce nell’alleanza fra le generazioni, fra chi ha memoria del passato e chi ha visione di futuro. Solo insieme cresce la capacità di discernere, di vigilare, di vedere le cose a partire dal loro compimento. Per non smarrire la nostra umanità, ricerchiamo la Sapienza che è prima di ogni cosa (cfr Sir 1,4), che passando attraverso i cuori puri prepara amici di Dio e profeti (cfr Sap 7,27): ci aiuterà ad allineare anche i sistemi dell’intelligenza artificiale a una comunicazione pienamente umana.

Roma, San Giovanni in Laterano, 24 gennaio 2024

FRANCESCO

Santa Sede

Italia – Al via, da gennaio, il corso online di Ecologia Integrale (edizione in lingua inglese)

Dal sito infoANS.

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Il 4 ottobre 2023, in occasione della festa di San Francesco d’Assisi, patrono dell’ecologia, Papa Francesco ha pubblicato la Laudato Deum, l’esortazione apostolica che fa seguito alla storica lettera enciclica Laudato si’ del 2015.

Con la nuova esortazione, Papa Francesco alza ancora una volta la sua voce profetica per la cura della nostra casa comune e gli uni degli altri, specialmente i più vulnerabili in mezzo a noi.

Come sottolinea il Pontefice, «non reagiamo abbastanza» e «il mondo che ci accoglie si sta sgretolando e forse si sta avvicinando a un punto di rottura» (LD, 2).

Papa Francesco ci ricorda che

«non ci viene chiesto nulla di più che una certa responsabilità per l’eredità che lasceremo dietro di noi dopo il nostro passaggio in questo mondo» (LD, 18).

Il recente Summit sul clima di Dubai (COP28) ha dolorosamente dimostrato che continuiamo a rimanere largamente sordi al crescente «grido della terra» e «al grido dei poveri» (Laudato si’, 49).

Il tempo sta per scadere. Possiamo ancora svegliarci alla gravità della minaccia esistenziale alla vita e alla civiltà su questo pianeta che chiamiamo “casa”?

La sfida senza precedenti che il pianeta e le persone si trovano ad affrontare può essere affrontata solo nell’ottica di una visione ecologica integrale che Papa Francesco ha offerto nella Laudato si’.

La ricostruzione della nostra casa comune e della nostra comune famiglia umana e biotica richiede un’alleanza tra tutti i membri della nostra famiglia e tutti i segmenti della società.

È nello spirito di questa missione profetica che le Università e gli Atenei Pontifici di Roma si sono riuniti subito dopo la pubblicazione della Laudato si’ per avviare il Joint Diploma in Ecologia Integrale.

“Nel settimo anniversario di questo sforzo collettivo e fecondo – scrivono dall’Università Pontificia Salesiana (UPS) di Roma – siamo lieti di annunciare il lancio dell’edizione inglese di questa iniziativa che sarà offerta online, in collaborazione con numerosi gruppi di rilievo impegnati nell’area della cura del creato”.

Il Corso di Ecologia Integrale, dal titolo “Course on Integral Ecology: from Laudato Si’ to Laudate Deum”, consisterà in sei moduli di 90 minuti ciascuno che si terranno da gennaio a giugno 2024 (ogni terzo giovedì del mese dalle ore 13.30 alle 15.00 CEST/GMT+1), insieme a una conferenza internazionale online sulla Laudate Deum che sarà organizzata nel maggio 2024.

Le iscrizioni online al corso sono aperte da dicembre 2023 e su richiesta, al termine del programma, i partecipanti riceveranno un certificato di partecipazione.

Il Corso sarà gestito da una comunità internazionale di studiosi qualificati, leader e attivisti nel campo della cura del creato, provenienti dalle Università e dagli Atenei Pontifici di Roma e di tutto il mondo.

Per maggiori informazioni, è possibile visitare il sito dell’UPS, mentre per l’iscrizione online, il modulo è disponibile alla seguente pagina: http://immatricolazioni.unigre.it.

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Il sogno della pace. La GMG di Lisbona, profezia di fraternità universale

Dalla newsletter di Note di Pastorale Giovanile di novembre.

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di don Rossano Sala

Un nuovo inizio

La Giornata Mondiale della Gioventù di Lisbona ha segnato una vera e propria ripartenza dopo la drammatica esperienza della pandemia. Si respirava una certa tensione ecclesiale rispetto alla riuscita di questo incontro mondiale. Gli organizzatori erano realmente preoccupati. Alcuni pensavano che dopo la pandemia sarebbe finito il tempo dei grandi raduni internazionali, altri invece immaginavano una presenza molto ridotta di giovani. La Chiesa invece ha scommesso di nuovo sui giovani e ancora una volta ha avuto ragione! E dopo questo evento l’aria è finalmente cambiata, come ha ben commentato papa Francesco qualche giorno dopo il termine degli eventi:

Questa GMG di Lisbona, venuta dopo la pandemia, è stata sentita da tutti come dono di Dio che ha rimesso in movimento i cuori e i passi dei giovani, tanti giovani da tutte le parti del mondo – tanti! – per andare a incontrarsi e incontrare Gesù.
La pandemia, lo sappiamo bene, ha inciso pesantemente sui comportamenti sociali: l’isolamento è degenerato spesso in chiusura, e i giovani ne hanno risentito in modo particolare. Con questa Giornata Mondiale della Gioventù, Dio ha dato una “spinta” in senso contrario: essa ha segnato un nuovo inizio del grande pellegrinaggio dei giovani attraverso i continenti, nel nome di Gesù Cristo. E non è un caso che sia accaduto a Lisbona, una città affacciata sull’oceano, città-simbolo delle grandi esplorazioni via mare[1].

Un nuovo inizio, dunque, che ha invertito la rotta. Speriamo che lo sia anche per la pastorale giovanile e la Chiesa in Italia. Non è poco aver accompagnato 65.000 giovani italiani a Lisbona. Significa aver messo da parte un certo “tesoretto” da far ora fruttificare nella vita quotidiana, nei nostri ambienti ecclesiali e nella società tutta. Si può ripartire prendendo sul serio il “mandato” che Francesco ha consegnato a tutti i giovani nel giorno della trasfigurazione del Signore, ultimo della GMG di Lisbona:

«Signore, è bello per noi essere qui!» (Mt 17,4). Queste parole, che disse l’apostolo Pietro a Gesù sul monte della Trasfigurazione, vogliamo farle anche nostre dopo questi giorni intensi. È bello quanto stiamo sperimentando con Gesù, ciò che abbiamo vissuto insieme, ed è bello come abbiamo pregato, con tanta gioia del cuore. Allora possiamo chiederci: cosa portiamo con noi ritornando alla vita quotidiana?
La prima: brillare. Gesù si trasfigura. Il Vangelo dice: «Il suo volto brillò come il sole» (Mt 17,2). […] Il nostro Dio illumina. Illumina il nostro sguardo, illumina il nostro cuore, illumina la nostra mente, illumina il nostro desiderio di fare qualcosa nella vita. Sempre con la luce del Signore.
Il secondo verbo è ascoltare. Sul monte, una nube luminosa copre i discepoli. E questa nube, dalla quale parla il Padre, che cosa dice? «Ascoltatelo», «questi è il Figlio mio prediletto, ascoltatelo» (Mt 17,5). È tutto qui: tutto quello che c’è da fare nella vita sta in questa parola: ascoltatelo. Ascoltare Gesù. Tutto il segreto sta qui. Ascolta che cosa ti dice Gesù.
Brillare è la prima parola, siate luminosi; ascoltare, per non sbagliare strada; e infine la terza parola: non avere paura. Non abbiate paura. Una parola che nella Bibbia si ripete tanto, nei Vangeli: “non abbiate paura”. Queste furono le ultime parole che nel momento della Trasfigurazione Gesù disse ai discepoli: «Non temete» (Mt 17,7)[2].

Brillare, ascoltare e non avere paura. Un piccolo ma prezioso programma non solo per tutti i giovani, ma per la Chiesa nel suo insieme. Diventa un compito chiaro, un manifesto da prendere sul serio, una prospettiva attorno a cui creare coinvolgimento e corresponsabilità tra giovani e adulti.

Un messaggio chiaro

Per chi ha vissuto una delle tante GMG degli ultimi decenni, sa che questo evento è un’esperienza di fratellanza universale più unica che rara. Effettivamente trovare tante nazionalità così diverse che vivono insieme in un clima di festa e di comunione è praticamente quasi impossibile. La GMG è un’esperienza di pace universale, un momento magico in cui si prende atto che la convivenza pacifica dei popoli è una possibilità reale. Effettivamente,

mentre in Ucraina e in altri luoghi del mondo si combatte, e mentre in certe sale nascoste si pianifica la guerra – è brutto questo, si pianifica la guerra! –, la GMG ha mostrato a tutti che è possibile un altro mondo: un mondo di fratelli e sorelle, dove le bandiere di tutti i popoli sventolano insieme, una accanto all’altra, senza odio, senza paura, senza chiusure, senza armi! Il messaggio dei giovani è stato chiaro: lo ascolteranno i “grandi della terra”? Mi domando, ascolteranno questo entusiasmo giovanile che vuole pace? È una parabola per il nostro tempo, e ancora oggi Gesù dice: “Chi ha orecchie, ascolti! Chi ha occhi, guardi!”. Speriamo che tutto il mondo ascolti questa Giornata della Gioventù e guardi questa bellezza dei giovani andando avanti[3].

I giovani desiderano la pace. Lo hanno detto chiaramente con la loro presenza pacifica e gioiosa per tutti i giorni della GMG. Lo ribadiscono continuamente quando si parla con loro e quando è data loro con serietà la parola.
Lisbona, è stato detto varie volte durante i giovani della GMG, è una città che per sua natura è legata alla ricerca della pace e all’unione tra i popoli. Durante l’incontro con le autorità, con la società civile e con il corpo diplomatico Francesco è stato oltremodo esplicito e diretto sull’argomento della guerra e della pace. Direi perfino provocatorio e profetico. Conviene risentire alcuni passaggi per intero:

Lisbona può suggerire un cambio di passo. Qui nel 2007 è stato firmato l’omonimo Trattato di riforma dell’Unione Europea. Esso afferma che «l’Unione si prefigge di promuovere la pace, i suoi valori e il benessere dei suoi popoli» (Trattato di Lisbona che modifica il Trattato sull’Unione Europea e il Trattato che istituisce la Comunità europea, art. 1,4/2.1); ma va oltre, asserendo che «nelle relazioni con il resto del mondo […] contribuisce alla pace, alla sicurezza, allo sviluppo sostenibile della Terra, alla solidarietà e al rispetto reciproco tra i popoli, al commercio libero ed equo, all’eliminazione della povertà e alla tutela dei diritti umani» (art. 1,4/2.5).
Nell’oceano della storia, stiamo navigando in un frangente tempestoso e si avverte la mancanza di rotte coraggiose di pace. Guardando con accorato affetto all’Europa, nello spirito di dialogo che la caratterizza, verrebbe da chiederle: verso dove navighi, se non offri percorsi di pace, vie creative per porre fine alla guerra in Ucraina e ai tanti conflitti che insanguinano il mondo? E ancora, allargando il campo: quale rotta segui, Occidente? La tua tecnologia, che ha segnato il progresso e globalizzato il mondo, da sola non basta; tanto meno bastano le armi più sofisticate, che non rappresentano investimenti per il futuro, ma impoverimenti del vero capitale umano, quello dell’educazione, della sanità, dello stato sociale.
Lisbona, abbracciata dall’oceano, ci dà però motivo di sperare, è città della speranza. Un oceano di giovani si sta riversando in quest’accogliente città; e io vorrei ringraziare per il grande lavoro e il generoso impegno profusi dal Portogallo per ospitare un evento così complesso da gestire, ma fecondo di speranza. Come si dice da queste parti: «Accanto ai giovani, uno non invecchia». Giovani provenienti da tutto il mondo, che coltivano i desideri dell’unità, della pace e della fraternità, giovani che sognano ci provocano a realizzare i loro sogni di bene. Non sono nelle strade a gridare rabbia, ma a condividere la speranza del Vangelo, la speranza della vita.
Com’è bello riscoprirci fratelli e sorelle, lavorare per il bene comune lasciando alle spalle contrasti e diversità di vedute! Anche qui ci sono d’esempio i giovani che, con il loro grido di pace e la loro voglia di vita, ci portano ad abbattere i rigidi steccati di appartenenza eretti in nome di opinioni e credo diversi[4].

Un grande monito per il mondo degli adulti e dei politici dell’Europa e dell’Occidente a prendere sul serio ciò che dicono a parole e che poi raramente si concretizza nei fatti. Speriamo che non sia inascoltato, ma inneschi un percorso serio e consapevole che ci faccia cambiare rotta.

Dall’agonia al parto

Incontrando i giovani universitari presso l’Università cattolica del Portogallo Francesco ha chiesto di non pensare a questo tempo come a qualcosa di bloccato e incontrovertibile, come fosse legato ad un ineludibile destino di violenza, guerra e morte. Ha chiesto addirittura di interpretare i tempi difficili che stiamo vivendo in modo diverso. Non come percorso a senso unico, ma come sofferenza che potrà dare nuova vita al mondo. Pensiero ardito, il suo:

Amici, permettetemi di dirvi: cercate e rischiate, cercate e rischiate. In questo frangente storico le sfide sono enormi, gemiti dolorosi. Stiamo vedendo una terza guerra mondiale a pezzi. Ma abbracciamo il rischio di pensare che non siamo in un’agonia, bensì in un parto; non alla fine, ma all’inizio di un grande spettacolo. Ci vuole coraggio per pensare questo. Siate dunque protagonisti di una “nuova coreografia” che metta al centro la persona umana, siate coreografi della danza della vita[5].

Viene ripreso in filigrana il pensiero di Gesù nel vangelo di Giovanni, quando afferma che la vita nuova passa attraverso la sofferenza, come nel parto:

La donna, quando partorisce, è nel dolore, perché è venuta la sua ora; ma, quando ha dato alla luce il bambino, non si ricorda più della sofferenza, per la gioia che è venuto al mondo un uomo. Così anche voi, ora, siete nel dolore; ma vi vedrò di nuovo e il vostro cuore si rallegrerà e nessuno potrà togliervi la vostra gioia[6].

Gesù parla della croce, della sua sofferenza offerta per la vita del mondo, come di un parto che dona vita piena al mondo nuovo che si sta affacciando. Proprio nel momento massimo dello sconforto offre ai discepoli una diversa interpretazione della sua morte. È un ribaltamento a cui non sono ancora pronti, ma a cui dovranno aderire, riconoscendo come la più grande catastrofe della storia diventerà radice di una pace e di una gioia che non avranno confini, perché «egli è la nostra pace, colui che di due ha fatto una cosa sola, abbattendo il muro di separazione che li divideva, cioè l’inimicizia, per mezzo della sua carne»[7].
Con questo spirito costruttivo Francesco sfida i giovani: «Abbiate perciò il coraggio di sostituire le paure coi sogni. Sostituite le paure coi sogni: non siate amministratori di paure, ma imprenditori di sogni!»[8]. Certo, perché dove i discepoli erano certi che tutto era andato perduto, Gesù dirà che tutto è stato compiuto: la sua morte sarà fonte di vita piena e abbondante per tutti, nessuno escluso.
Se ci pensiamo bene, il primo “imprenditore di sogni” è proprio Francesco, che ancora una volta ci stupisce per la giovinezza del suo pensiero e della sua proposta. Proprio nel momento conclusivo della GMG ci consegna con commozione il suo grande sogno per questo mondo tanto amato da Dio e tanto lacerato dagli uomini:

In particolare, accompagniamo con l’affetto e la preghiera coloro che non sono potuti venire a causa di conflitti e di guerre. Nel mondo sono tante le guerre, sono molti i conflitti. Pensando a questo continente, provo grande dolore per la cara Ucraina, che continua a soffrire molto. Amici, permettete anche a me, ormai vecchio, di condividere con voi giovani un sogno che porto dentro: è il sogno della pace, il sogno di giovani che pregano per la pace, vivono in pace e costruiscono un avvenire di pace. Attraverso l’Angelus mettiamo nelle mani di Maria, Regina della pace, il futuro dell’umanità.
E, tornando a casa, continuate a pregare per la pace. Voi siete un segno di pace per il mondo, una testimonianza di come le diverse nazionalità, le lingue, le storie possono unire anziché dividere. Siete speranza di un mondo diverso. Grazie di questo. Avanti![9]

Si sogna la pace, si prega per la pace. Proprio in Portogallo, dove la Madonna è apparsa a tre piccoli pastorelli rivelando misteri di guerra e di pace nel mondo moderno e contemporaneo. Mai come oggi il messaggio e le profezie di Fatima è così attuale.
Proprio lì, in questo piccolo e periferico borgo ai confini dell’Europa, nel silenzio adorante e nella preghiera perseverante, il successore di Pietro ha chiesto con insistenza il dono della pace: «Ho pregato, ho pregato. Ho pregato la Madonna e ho pregato per la pace. Non ho fatto pubblicità. Ma ho pregato. E dobbiamo continuamente ripetere questa preghiera per la pace. Lei nella prima guerra mondiale aveva chiesto questo. E io questa volta l’ho chiesto alla Madonna. E ho pregato. Non ho fatto pubblicità»[10].

I diversi testi legati al tema della pace citati sopra e ripresi dalla recente Giornata Mondiale della Gioventù di Lisbona ci sembrano un’ottima introduzione all’articolato e ricco Dossier che segue, dove in molti modi vengono declinati i linguaggi e le pratiche della pace, che così appaiono possibili e realizzabili. Esso vuole essere una grande spinta a diventare in ogni occasione degli operatori di pace nel proprio contesto di azione civile ed ecclesiale, così da essere riconosciuti come amici e familiari di Dio: «Beati gli operatori di pace, perché saranno chiamati figli di Dio»[11]. Che il sogno della pace diventi sempre più una realtà concreta e sperimentabile per tutti i giovani, nessuno escluso. E per tutta la Chiesa e la società. Il mondo ne ha davvero bisogno, soprattutto in questo tempo.
Un grande ringraziamento per la tessitura del presente Dossier va a Renato Cursi, da anni membro attivo e propositivo della redazione di NPG, che con competenza ed eleganza sempre accompagna la nostra rivista in molti modi apprezzati dai lettori. La sua esperienza salesiana internazionale, oltre che la sua competenza specifica nell’ambito delle istituzioni di pace, ne fanno una vera ricchezza per noi tutti. Il suo lavoro quotidiano all’interno del mondo sociale in ottica salesiana rimane una garanzia di concretezza e sensibilità per i giovani, soprattutto per i più poveri e abbandonati.

NOTE

[1] Francesco, Udienza generale del 9 agosto 2023.
[2] Francesco, Omelia del 6 agosto 2023.
[3] Francesco, Udienza generale del 9 agosto 2023.
[4] Francesco, Discorso alle autorità, alla società civile e al corpo diplomatico del 2 agosto 2023.
[5] Francesco, Incontro con i giovani universitari, 3 agosto 2023.
[6] Gv 16,21-22.
[7] Ef 2,14.
[8] Francesco, Incontro con i giovani universitari, 3 agosto 2023.
[9] Francesco, Angelus del 6 agosto 2023.
[10] Francesco, Conferenza stampa del santo padre durante il volo di ritorno del 6 agosto 2023.
[11] Mt 5,9.

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