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Oggi Treviso – Cospes Mogliano Veneto, i ragazzi alle prese con la scelta della scuola

Dal quotidiano on line Oggi Treviso, l’intervista ad Andrea Vettorato, orientatore del Cosp-Astori di Mogliano Veneto.

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TREVISO – L’anno scolastico – il secondo in pandemia – è alle battute finali. Alla conclusione, tra molte incertezze e sin troppi stop and go, ci si sta arrivando. E già si pensa al prossimo di anno. Che si spera “normale”, aggettivo che da quattordici mesi a questa parte è sinonimo di straordinario. Chi termina un percorso a giugno, con gli esami di Stato. E chi deve iniziarlo, senza avere avuto modo (o non sufficienti tempo e concentrazione) per operare una scelta se non azzeccata quantomeno oculata. Uno dei servizi per i quali è da molti anni apprezzato il collegio Astori di Mogliano Veneto è quello di orientamento. Al punto da rappresentare per la provincia un punto di riferimento. Il dott. Andrea Vettorato è uno degli orientatori e psicologi del Centro Cosp-Astori.

Questo che si conclude è stato più faticoso del precedente bruscamente interrotto a metà, condivide?
Un anno travagliato tra lezioni in presenza e lezioni con la didattica a distanza. Queste situazioni hanno inciso e tuttora incidono sul normale svolgimento delle lezioni, ma soprattutto sull’andamento e sul rendimento scolastico degli allievi. Per alcuni l’anno si concluderà in modo positivo, con la promozione tra bei voti e il plauso per un impegno mantenuto sempre costante.

Per altri, invece….
I risultati potranno essere più mediocri, legati alle difficoltà che gli allievi hanno sperimentato in questo periodo.

Di quale genere soprattutto?
Difficoltà di attenzione, concentrazione e un approssimativo metodo di studio: sono il bagaglio negativo che una parte degli allievi ha nello zaino, a prescindere dall’emergenza Covid e dalla Dad.

Quali servizi avete approntato?
In più occasioni, come esperti di orientamento, ci troviamo a confrontarci con situazioni di disagio e difficoltà sia degli allievi che dei loro genitori in merito a dolorosi fallimenti scolastici. Spesso interveniamo nel comprendere quali possono essere le cause che hanno portato un ragazzo alla bocciatura. Di sicuro le basi sono sempre quelle, legate ad un atteggiamento verso lo studio poco attento e scarsamente motivato.

Solo questa la ragione…?
Ci capita di confrontarci con situazioni personali di disagio più profondo, che toccano il piano delle relazioni (famiglia, compagni e insegnanti) e i livelli di serenità e di soddisfazione personale. Alcune cause si possono ricercare nella scelta del tipo di scuola precedentemente fatta, evitando di tener conto delle capacità, degli interessi, e delle propensioni del ragazzo.

E questo è uno dei punti dolenti: scelte sbagliate all’inizio.
Scelte legate a tentativi, “al voglio provare”, oppure per il semplice fascino di inseguire amici o amiche su percorsi in realtà poco adatti alle proprie attitudini. Per altre occasioni emergono come possibili cause consigli poco precisi o, in qualche occasione, del tutto inascoltati. Mentre, per altre situazioni, capita che allievi che ottenevano con facilità alle medie buoni voti, utilizzando un relativo impegno, incontrino gravi difficoltà nei primi anni delle scuole superiori.

Dove sta l’intoppo?
Nel fatto che gli allievi, pur accedendo alle scuole superiori, pensano di poter studiare e quindi di doversi impegnare con gli stessi livelli qualitativi ed anche quantitativi, di come erano abituati alle scuole medie.
“Andava tanto bene alle medie, bastava che stesse un po’ attento in classe e portava a casa tutti 7 e 8 con facilità!” ……“Ora, sembra essere un altro ragazzo. I voti vanno male; è sempre triste, parla di meno e sembra aver perso interesse per tutto!”.

Sono i genitori a rispondere così, supponiamo.
In particolare le mamme ci descrivono queste situazioni che creano disagio anche in famiglia, in quanto spesso ci si divide tra l’attesa “perché il ragazzo sta crescendo”, e il desiderio di intervenire per fornire al ragazzo un aiuto per superare il suo momento di disorientamento.

Si può fare diversamente?
Un contributo fondamentale sta nell’incontrare una persona esterna al mondo della scuola e della famiglia, che sappia comprendere il momento, ma sia equidistante e che aiuti il ragazzo nel percorso di consapevolezza rispetto alle proprie potenzialità, alle proprie preferenze e ai propri limiti. Questo tipo di percorso viene definito come “attività di ri-orientamento”.

In cosa consiste praticamente?
Il focus sta nell’aumentare, per quanto possibile, la consapevolezza di sé e la concretezza delle scelte, sia dei ragazzi che delle famiglie, per favorire percorsi scolastici sereni, che motivino e che gratifichino gli allievi, sostenendoli nel difficile percorso nella ricerca della costruzione della propria identità all’interno di un mondo che cambia, pieno di suggestioni, falsi valori e comodità seducenti.

Quanta preoccupazione trasmettono i genitori ai figli in procinto di scegliere la scuola superiore?
Si preoccupano nel vedere il proprio figlio attraversare questa impasse, ma se riescono in ogni caso a mantenere impegno e disponibilità nell’accompagnare la crescita del figlio, non sarà certamente tempo perso. Magari coinvolgendo gli esperti per un lavoro di squadra.

Gli occhi sulla bussola: le caratteristiche dell’accompagnatore

di Raffaele Mantegazza

… con ambo le braccia mi prese;
e poi che tutto su mi s’ebbe al petto,
rimontò per la via onde discese
Dante, Inferno, XIX, 124-126

Protegge, guida, lascia andare avanti, richiama indietro; scosta i sassi sulla via, ne posiziona alcuni dove non ve ne sono, scava buche, ne riempie, ne riscava; consola chi è stanco, incita i pigri, rallenta i troppo audaci; conosce la strada ma finge di non conoscerla, si è perso ma finge di conoscere la via: è l’accompagnatore educativo.
Ruolo difficile, che tocca nel profondo chi lo ricopre, che lo colpisce in profondità emotive che spesso nemmeno sapeva di possedere, ruolo che richiede il massimo delle competenze tecniche, relazionali, emotive. Professione impossibile, come la definiva Freud: “sembra quasi che quella dell’analizzare sia la terza di quelle professioni ‘impossibili’ il cui esito insoddisfacente è scontato in anticipo. Le altre due, note da tempo, sono quella dell’educare e del governare”[1]. Ruolo che richiede distanziamento, attimi di distacco, di completo riposo, coinvolgimento misurato, distanza calda; ruolo che ogni giorno è differente eppure ha bisogno di costanti per non smarrirsi nelle relazioni che di volta in volta cambiano protagonisti.
Educare è difficile, al punto che da qualche anno capita di incontrare educatori che non vogliono essere tali. “Io non posso educare nessuno”, “io non ho nulla da insegnare”: affermazioni che sembrerebbero manifestare umiltà ma che invece sono il segno della resa, della dismissione di un ruolo, come se un medico dicesse che non può curare nessuno o un politico affermasse di non avere nessun progetto da portare a termine per il bene dei cittadini. Affermazioni anche un po’ vili, perché portano alla dismissione della responsabilità, all’abbandono degli educandi, che saggiamente se ne vanno da un’altra parte.
La prima caratteristica dell’accompagnatore è la sicurezza; una sicurezza mai al riparo dal dubbio, che spesso si trasforma nella sicurezza di avere dubbi, ma che non può mai sfociare negli opposti estremismi dell’arroganza e del totale nichilismo. L’educatore deve mostrare sicurezza anche quando è insicuro, perché il suo ruolo prevede che conosca la strada o, se si è perso, conosca il modo per ritrovarla. Nessun relativismo alla moda potrà mai convincerci che esiste perfetta simmetria tra educatore ed educando, tra accompagnatore e accompagnato: in questo caso basterebbe parlare di amicizia senza scomodare l’educazione (“educazione” è forse uno dei termini della lingua italiana maggiormente abusato, o usato in modo scorretto). E ovviamente la prima sicurezza dell’educatore è che di fianco a sé, da qualche parte, ha un collega che può aiutarlo e dal quale può imparare. Dovrebbe essere vietato svolgere il ruolo educativo da soli; se vogliamo che educare sia insegnare a condividere la prima cosa da condividere è la nostra attività educativa, liberandoci da ogni protagonismo, narcisismo, senso di superiorità.