Articoli

“Carisma e cultura per il futuro”: weekend di formazione del CGS a Roma

Dal sito del CGS.

***

Siamo lieti di presentare una nuova edizione del Week-end di formazione organizzato dalla nostra Associazione, che si terrà a Roma dal 1° al 3 novembre 2024.

L’appuntamento di quest’anno è destinato in modo specifico ai dirigenti dei Circoli locali e dei Coordinamenti territoriali, e in particolare ai giovani (dai 18 anni in su) già impegnati nell’animazione e nel coordinamento delle attività in ambito locale, che desiderano approfondire l’identità associativa CGS per una futura disponibilità negli Organi direttivi dell’Associazione, a tutti i livelli, anche in preparazione della prossima Assemblea nazionale elettiva, prevista dal 2 al 4 maggio 2025.

Obiettivi: Conoscere e approfondire la nostra identità salesiana, associativa e culturale, attraverso i documenti, la storia dell’Associazione e il confronto a più voci tra Soci che rappresentano realtà, generazioni ed esperienze diverse. Ci si propone di vivere un’esperienza di condivisione e di confronto, più che di ascolto passivo dei relatori.

Programma e informazioni logistiche – clicca qui: programma aggiornato al 11/10/2024

Mostra del Cinema di Venezia: la Giuria CGS sbarca in Laguna

La Giuria CGS (Cinecircoli Giovanili Socioculturali, associazione nazionale di cultura cinematografica) è presente all’ottantunesima edizione della Mostra del Cinema di Venezia (dal 28 agosto al 7 settembre) con 26 partecipanti, per la maggior parte giovani dai 18 anni in su, provenienti dai Circoli locali di Alassio, Genova, Padova, Ancona, Cagliari, Taranto e Sesto San Giovanni, che saranno protagonisti di un laboratorio di critica cinematografica, coordinato dal Consiglio direttivo nazionale con il supporto del CGS Marche.

Il Laboratorio Venezia Cinema da più di quarant’anni costituisce uno dei momenti più interessanti della formazione nazionale CGS, proprio per la concomitanza con il Festival del Cinema più prestigioso e “antico” del mondo e l’opportunità di parteciparvi dalla prospettiva privilegiata di accreditati. Da 27 anni, inoltre, al lavoro di Laboratorio sul linguaggio Cinema si associa, per il gruppo partecipante, il compito di Giuria del Premio “Lanterna Magica”, riconosciuto dalla Mostra del Cinema fra i Premi collaterali, che sarà assegnato dai Cinecircoli Giovanili Socioculturali alla pellicola più significativa per le tematiche collegate alla condizione giovanile e all’educazione.

Le attività saranno documentate sui profili social dell’Associazione nazionale CGS e le recensioni prodotte nell’ambito del Laboratorio saranno pubblicate sul sito www.sentieridicinema.it.

Giffoni 54 – L’illusione della distanza: confermate le due giurie CGS “Percorsi Creativi”

“L’illusione della distanza” è il tema della 54^ edizione del Giffoni Film Festival, in programma dal 18 al 28 luglio 2024. Confermati anche i 35 partecipanti al Campo di Formazione C.G.S. (Cinecircoli Giovanili Socioculturali), responsabili adulti, animatori e ragazzi delle due giurie collaterali C.G.S. Percorsi Creativi che saranno presenti alla rassegna internazionale del Cinema di Giffoni Valle Piana (SA) a partire da sabato 20 luglio.

Dalla scorsa edizione, la presenza CGS permette di costituire due Giurie: una per la sezione +13, che fin dal 2007 ci vede presenti, e una per la categoria +16, che testimonia il fatto che i giurati CGS crescono ed affrontano un percorso di formazione con ricaduta su chi entra dopo, non fermandosi soltanto all’adesione emotiva che l’esperienza immancabilmente fa scattare. Ritrovandosi dunque da tutta Italia con gruppi provenienti da Ancona, Civitavecchia, Genova, Padova, Taranto e Cagliari, giovani e animatori responsabili vivranno a Giffoni un “laboratorio permanente” fatto di visione e valutazione dei film in concorso per l’assegnazione dei due Premi C.G.S. Percorsi Creativi, giornalismo web di documentazione, seminari e percorsi di team building. Partito dal coordinamento marchigiano del progetto CGS-Sentieri di Cinema, il gruppo dei formatori che quest’anno guiderà l’esperienza è diventato espressione di più realtà associative regionali (Marche, Lazio, Veneto, Sardegna, Liguria, Puglia), in una rete che vede la costante presenza organizzativa e progettuale della presidenza nazionale CGS.

I giovani animatori stessi, tutorati e coordinati da chi ha qualche anno in più, guideranno i laboratori dei giurati e le giornate saranno scandite dal lavoro proprio della Giuria e dalla partecipazione agli eventi del Festival; spettacoli teatrali e di strada, incontri con attori, interviste, verranno documentati con foto e filmati prodotti dai ragazzi stessi.
E’ la formula ormai collaudata, che rappresenta la caratteristica identità dell’associazione C.G.S.: declinare la cultura cinematografica e mediale nel mondo degli interessi delle ultime generazioni, per farne occasione di palestra critica e per offrire l’opportunità di proseguire il cammino per diventare animatori e formatori dei più giovani.

A conclusione del campus, nella serata finale del GFF verranno consegnati i Premi C.G.S. Percorsi Creativi ai film delle categorie +13 e +16 valutati, con motivazione scritta dei giurati, come i più interessanti della rassegna. Chi vorrà, potrà seguire i lavori sul sito dell’Associazione nazionale (www.cgsweb.it) e su www.sentieridicinema.it.

 

CGS, SAL-Fiction 2024 a Cagliari

Dal sito dell’associazione CGS.

***

Ritorna l’appuntamento con il SAL-Fiction, tradizionale incontro formativo organizzato dalla nostra Associazione, dedicato in particolare agli operatori e agli animatori delle Sale della Comunità, ma aperto a tutti gli appassionati di cinema, nell’ambito del progetto annuale di attività a favore dei Circoli finanziato dal Ministero della Cultura – Direzione Generale Cinema. Dopo le tappe del 2022 a Molfetta e del 2023 a Civitavecchia, l’edizione del 2024 sarà ospitata dal Coordinamento territoriale C.G.S. della Sardegna presso l’Istituto Salesiano “Don Bosco” a Cagliari (via Sant’Ignazio da Laconi 64), sabato 22 giugno, a partire dalle 19:15.

L’incontro avrà inizio con la presentazione del docu-film “Intro e fora – 11 storie sarde”, realizzato nel 2014 da Antonio Mannu, costruito con l’utilizzo di video interviste e immagini fotografiche raccolte nell’ambito di un progetto di ricerca sulla migrazione sarda. Racconta le storie di 11 persone, nate in Sardegna o con origini nell’isola che, per lungo tempo o periodi più brevi, hanno vissuto in paesi diversi dall’Italia. A queste persone viene data voce in prima persona, con l’obiettivo di conoscere, attraverso i loro racconti, le esperienze di chi ha lasciato l’isola, di provare il loro mutato rapporto con la terra d’origine, indagando insieme il senso d’identità (se esiste o è percepito), il modo in cui questo si esprime e si trasforma nei luoghi del mondo, su come cambia, evolve o si annulla il sentimento di appartenenza. Questa proiezione è realizzata in collaborazione con l’Associazione culturale “Ogros” e si inserisce nell’ambito del progetto “Migrazioni – la Trasmissione del Senso”, che gode del sostegno della Fondazione di Sardegna, realizzato in collaborazione con la FASI (Federazione delle Associazioni Sarde in Italia), dell’Istituto Etnografico della Sardegna e di altre realtà associative.

A seguire, verrà presentato il cortometraggio “Sonallus” di Tomaso Mannoni, che racconta la storia di Elio, una sorta di “liutaio di sonagli”, che dedica il suo tempo a cercare il suono giusto per dare conforto alle capre e per farle sentire a loro agio. La realizzazione del corto ha richiesto un’osservazione partecipata, con un approccio diretto votato soprattutto a raccontare la dedizione e la capacità del protagonista mentre accorda lo strumento sonoro e racconta l’importanza del suono per le capre. Secondo l’Autore, “Entrare nel suo laboratorio è stata un’esperienza di ricerca anche personale: infatti, sentire il suono, l’intensità, il timbro di un campanaccio che pian piano veniva accordato, permette di interrogarci su quanto tempo dedichiamo ad ascoltare, a sentire quel suono unico e speciale che c’è in ognuno di noi? Quanto tempo impegniamo a costruire il campanaccio della nostra vita?”. La proiezione è realizzata in collaborazione con l’Associazione nazionale FICC (Federazione Italiana Circoli del Cinema).

Al termine delle proiezioni, è previsto un confronto con gli Autori.

Il tempo attorno – La stagione delle stragi narrata dallo sguardo di un adolescente

Dalla rubrica “Sguardi in sala tra cinema e teatro” a cura del CGS.

***

Myriam Leone e Gianpaolo Bellanca (docenti e responsabili della compagnia teatrale “Volti dal Kàos” del CGS Don Bosco – Villa Ranchibile di Palermo)

Il tempo attorno è un suggestivo spettacolo teatrale d’ispirazione autobiografica, scritto e diretto da Giuliano Scarpinato, che ha debuttato per la prima volta al Teatro ‘Biondo’ Stabile di Palermo lo scorso dicembre. È il racconto di cinque vite che sono state travolte dalla storia degli anni Ottanta e Novanta nel capoluogo siciliano, la storia di Cosa Nostra e delle stragi ma anche di coloro che hanno coraggiosamente combattuto contro tutto questo: in scena due agenti della scorta, due magistrati e il loro unico figlio, Benedetto, che da bambino diviene adolescente sperimentando tutte le contraddizioni della sua condizione. Ed è proprio il suo punto di vista quello attraverso il quale viene narrata l’intera vicenda: le insicurezze, le fragilità e l’instabilità della sua storia personale s’intersecano con la Storia che incombe dall’esterno e che sembra costantemente minacciare l’intimità domestica della sua famiglia. In una dialettica pubblico / privato che rappresenta la chiave interpretativa del dramma, Scarpinato ricostruisce la memoria di eventi oscuri quanto cruciali per la storia del nostro paese raccontandoci la sua storia e facendola diventare, nel contempo, una vicenda universale. E intanto… attorno scorre il tempo…

“Nella mia stanza quel pomeriggio pensai un sacco alla domanda di Paola,
se volevo che uno sconosciuto mi facesse fuori, se volevo sparire.
È una bella domanda quando sei quasi adolescente
e una parte di te sta andando via, la più intatta:
quella cosa di essere felice
perché sei al mondo, semplicemente,
perché appartieni alla vita e vai bene così come sei,
cade giù a tocchi
come la pelle a settembre,
dopo il sole che sembrava eterno”.

Queste le parole di Benedetto, un bambino che sta diventando adolescente e che narra la sua difficile quotidianità attraverso lo scorrere de Il tempo attorno, spettacolo teatrale andato in scena in prima assoluta al Teatro ‘Biondo’ Stabile di Palermo lo scorso dicembre, scritto e diretto da Giuliano Scarpinato, regista di origini palermitane diplomatosi alla scuola del Teatro Biondo Stabile di Torino e vincitore di numerosi premi nazionali e internazionali (fra cui, con lo spettacolo Fa’afafine – mi chiamo Alex e sono un dinosauro, il Premio Scenario Infanzia e il Premio Infogiovani al Festival Internazionale di Lugano).
Benedetto appare come un alter-ego del regista stesso o, piuttosto, come un suo riflesso autobiografico, così come autobiografica è tutta la vicenda rappresentata: si tratta infatti di una narrazione ispirata al reale vissuto di Scarpinato il quale, figlio unico di due noti magistrati antimafia dei tempi del maxi-processo, Roberto Scarpinato e Teresa Principato, sceglie coraggiosamente di tradurre teatralmente la sua esperienza tramite un racconto mai didascalico che mostra senza pretendere di insegnare, che descrive senza illustrare e che ricorda senza fare facili moralismi. Così Giuliano diviene Benedetto, Roberto Michele (Vetrano, interpretato da Giandomenico Cupaiuolo) e Teresa Paola (Randazzo, interpretata da Roberta Caronia): le loro sono ipostasi teatrali che incarnano e, nel contempo, portano in scena la reale identità dei personaggi rappresentati. Insieme a loro due agenti della scorta, sul palco chiamati Liborio Mansueto e Diego De Piccolo, i quali, individualizzandosi, racchiudono in sé l’immagine di centinaia di colleghi che hanno vissuto vicende ed esistenze fin troppo simili alle loro.
La scena è semplice ma terribilmente efficace. Al centro una montagna, un cono, forse un vulcano: cosa simboleggia? Credo che buona parte dell’interpretazione venga lasciata allo spettatore (come avrebbe suggerito Umberto Eco): tale promontorio viene scoperchiato al vertice, a un certo punto della rappresentazione, e da esso emerge il magistrato, Michele Vetrano, che pronuncia veementemente la sua arringa mentre i fogli che legge vanno “esplodendo” dall’interno come un caotico flusso magmatico che scorre da un vulcano. È dunque una verità che viene fuori dall’inconscio quella cui allude l’elemento scenografico? O quest’ultimo rappresenta forse una salda montagna che simboleggia l’ultimo baluardo di stabilità in un mondo privato che si sta sgretolando tutto intorno? O forse esso allude piuttosto a quel cono d’ombra che si dipana dagli anni ’80 fino al termine della trattativa Stato / mafia, tanto nota al pubblico di oggi? Di certo si tratta di un espediente di grande suggestione che viene opportunamente usato in più momenti della rappresentazione teatrale: sui suoi fianchi, spesso usati come superficie su cui vengono proiettati video e filmati, sono inglobati un frigorifero, un televisore e un divano, simboli di una dimensione domestica e familiare che sembra contrastare aspramente con quella prospettiva “pubblica” che incombe continuamente dall’esterno. Ed è proprio su questa dialettica fra pubblico e privato, fra intimità della vita quotidiana ed esposizione pubblica e mediatica della realtà professionale (dei due magistrati) che si innesta l’intero spettacolo. Afferma Scarpinato: «La commistione di pubblico e privato si è rivelata vincente perché l’aspetto sentimentale delle vicende aiuta a veicolare la storia grande senza un approccio retorico, didattico, scolastico. Io sono sempre convinto del fatto che una narrazione in cui le emozioni siano raccontate in modo autentico, sincero, sia una narrazione capace di veicolare qualsiasi cosa». Ed è proprio in questo continuo dialogo fra universale e particolare che, a nostro parere, consiste la straordinaria originalità della scelta del regista.
Per le suddette ragioni, Il tempo attorno acquisisce un’altissima valenza culturale ed educativa per dei giovani spettatori e per degli adolescenti in particolare. Infatti, come ci rivela Giuliano stesso, sarebbe opportuno che, appunto, i ragazzi venissero ad assistere allo spettacolo «per ricostruire la memoria di eventi oscuri quanto cruciali per la storia del nostro paese, il cui oblio – purtroppo una tendenza eminentemente italiana – genera un pericolo per la democrazia e la crescita antropologica culturale e politica delle società a venire, di cui i nostri ragazzi sono il seme vivo.»
Al centro della rappresentazione, come accennato prima, c’è Benedetto interpretato da Emanuele Del Castillo un talentuoso giovane attore palermitano: in scena egli è un bambino che gradualmente diviene ragazzo e poi adulto (come testimoniano i video che guarda alla televisione, dapprima cartoni animati poi trasmissioni sempre meno infantili), che sperimenta un coacervo di vissuti e stati d’animo differenti. Si tratta di un personaggio estremamente complesso che riflette e incarna tutte le contraddizioni della sua esistenza. Il fatto di vivere continuamente sotto scorta, lo porta ad avvertire un continuo senso di minaccia attorno a sé, una spada di Damocle costantemente sospesa sulle sue giornate: perfino quando entra in ascensore egli deve avvisare gli agenti dei suoi spostamenti. Stima e ammira i suoi genitori per il loro lavoro in prima linea contro gli atti di Cosa Nostra che culmineranno nella stagione delle stragi ma, nel contempo, sperimenta un senso di inadeguatezza e, forse, anche di inferiorità nei loro confronti. Si vergogna di ammettere con i suoi amici la peculiarità della condizione in cui vive e tenta di cancellarne le tracce prima che essi possano notarle. In tal modo, Benedetto svilupperà frustrazioni che sfogherà sul cibo e che lo porteranno a diventare sovrappeso: la sua autostima ne risentirà ancora di più, ricadendo in un circolo vizioso che lo porterà a sentirsi sempre più fragile e insicuro. Così egli continua il suo monologo:

“Ed è incredibile quanto ci si senta soli, all’improvviso,
anche se la casa, le persone attorno, sono sempre quelli;
soli coi peli, nei bagni, coi corpi che… boh, e i primi desideri.
Quello di morire anche, un po’, che prima non c’era,
e non sai perché adesso ci sia…
perché ci sia la vergogna, la malinconia…”

Quando abbiamo chiesto ad Emanuele quale fosse stato l’aspetto più difficile nell’interpretazione di un ruolo del genere, lui ci ha risposto così: «Dall’inizio del lavoro Giuliano mi aveva detto che Benedetto era una specie di ‘maghetto’, come quelli della televisione a cui lui è tanto affezionato. La sfida più grande è stata sicuramente ritrovare quella magia dentro di me e farla venire fuori. Più concretamente potrei dire che il doppio aspetto del mio personaggio – ovvero quello del narratore/creatore della messinscena e quello del personaggio vero e proprio (bambino di 8-9 anni, ragazzino e poi adolescente) – è stata la parte più impegnativa. Stare dentro e fuori allo stesso momento, ricordare da “adulto” ma allo stesso tempo rivivere tutto quanto con la sorpresa e lo smarrimento del bambino: questo è ciò su cui ho dovuto lavorare di più.»
Anche i due genitori “teatrali”, i magistrati Michele e Paola, sperimenteranno sulla loro pelle la graduale disgregazione dell’unità familiare, incessantemente concentrati sulla frenetica attività professionale che irromperà bruscamente nelle loro vite private fino a calpestarne del tutto l’intimità domestica e a provocarne la definitiva separazione. Infatti, quella “proiezione ideale in un futuro migliore per la polis”, per la comunità “politica” (nel senso di “collettiva”) a cui appartenevano ha richiesto loro un prezzo altissimo: il sacrificio della propria famiglia. È come se la dialettica pubblico / privato su cui si impernia tutto il dramma si fosse risolta con la dissoluzione delle loro relazioni, travolte dalla prepotente irruzione della storia che le trascina con sé , proprio come il violento flusso che fuoriesce idealmente dal cono vulcanico al centro della scena: le stragi Falcone e Borsellino, il sequestro e la successiva uccisione del piccolo Di Matteo, il processo a Giulio Andreotti, da molti considerato “il processo del secolo”… A proposito, vorremmo soffermarci su un altro interessante aspetto della rappresentazione: essa si apre con la proiezione di una nota intervista al politico, quella in cui lui cade in una sorta di catalessi dopo una domanda della conduttrice Paola Perego: davanti a milioni di telespettatori, un inebetito Giulio Andreotti rimane pietrificato per alcune decine di secondi – che sembrano secoli – con lo sguardo perso nel vuoto, finché l’intervistatrice, intuendo la gravità della situazione, invoca uno stacco pubblicitario. Quello che trovo più inquietante, in questa strana vicenda che , appunto, coincide con l’avvio della rappresentazione di Scarpinato, è che la domanda posta dalla Perego prima del malore fosse stata «Presidente, quale futuro si augura per i nostri bambini?»: è chiaro che si è trattato di una strana coincidenza, ma credo che il regista abbia abilmente sfruttato il fatto che il “Divo” piombi in uno stato catatonico proprio dopo che era stato interpellato dalla conduttrice sul futuro delle nuove generazioni, come se tale questione lo avesse lasciato ammutolito, privato della parola.
Ogni aspetto della messa in scena di Giuliano Scarpinato è studiato, pensato, mai lasciato al caso: vivendo a Palermo siamo abituati a sentir parlare, di stragi, mafia e Cosa Nostra. Anche noi eravamo adolescenti negli anni ‘Novanta e abitavamo a Palermo, proprio come il regista e come il giovane protagonista che incarna il suo “io” scenico: ma quello che abbiamo trovato particolarmente azzeccato ed efficace ne Il tempo attorno la prospettiva dalla quale le vicende “storiche” vengono narrate del dramma, una prospettiva personale, individuale, un osservatorio privilegiato che coincide con il punto di vista di Benedetto, l’adolescente protagonista del dramma. E questo espediente narrativo, che potremmo definire “affettivo”, conferisce alla rappresentazione un valore particolare, rendendola più verosimile e, di conseguenza, molto coinvolgente. È lo stesso Scarpinato ad affermare che in tutto questo c’è moltissimo della sua esperienza personale: «Ovviamente la ricerca storiografica non è il mio mestiere, però mi sembrava interessante raccontare questi fatti da un punto di vista nuovo, molto intimo. La mia vita si è svolta sul tracciato di questa relazione tra la storia piccola e la storia grande: i due momenti non sono mai stati separati».
Così, l’inserimento di due figure apparentemente secondarie, gli agenti della scorta, conferisce veridicità alla vicenda rappresentata e, contestualmente, focalizza un ulteriore aspetto della dialettica pubblico / privato esplorando le relazioni dei due poliziotti fra di loro e nell’ambiente domestico in cui sono chiamati ad operare. La storia delle stragi, infatti, ha tristemente dimostrato come le vite di tali agenti, distrutte insieme a quelle dei magistrati che proteggevano, siano state a malapena ricordate, così come i loro nomi, troppo spesso dimenticati… quasi che le loro esistenze avessero avuto un valore differente, meno prezioso… I loro dialoghi in scena riflettono sì l’orgoglio di un ruolo assunto con serietà e consapevolezza, ma, contestualmente, la paura e il desiderio di una quotidianità “normale”.
In conclusione, attraverso il racconto di quegli anni, Scarpinato si pone l’obiettivo di dare vita a un teatro “politico”, inteso come teatro “civico”, dalla forte valenza sociale: egli vuole creare un teatro “per la polis“, per una comunità, comunità che, come la nostra palermitana, è stata troppo spessa ferita e lacerata nel suo corpus civico, nella sua coscienza cittadina. Così commenta il regista: «Volevo un’inchiesta partecipata dal pubblico, che ponesse delle domande. Per esempio l’Edipo parte dalla cronaca cittadina, ma poi questa si riversa nel mondo interiore del protagonista, per ritornare infine nella cronaca. Mi interessa questo rifluire delle cose tra il dentro e il fuori. Siamo abituati a pensarci come delle monadi che consumano, quando in realtà facciamo parte di un quadro generale: e questa cosa non facciamo altro che scordarcela». Un “teatro della polis”, dunque, che narri l’universale rappresentando il particolare, che descriva vicende storiche note a tutti tramite il racconto di personaggi fittizi, e l’aspetto più delicato, e prezioso nel contempo, di tale processo drammaturgico è l’inserimento della dimensione autobiografica e personale che, tuttavia, non diviene mai autoreferenziale. E intanto, fuori, scorre… il tempo attorno…

Abbonamenti

 

Salesiani Italia Centrale, CGS, VIS e Salesiani per il sociale: concluso il concorso “Please Look Forward”, ecco i vincitori

Dall’agenzia ANS.

***

(ANS – Roma) – Si è conclusa, con la scelta dei migliori video elaborati, l’iniziativa “Please look forward” (Guarda avanti, per favore), il concorso per giovani eco-reporter promosso dall’Ispettoria Salesiana “Sacro Cuore di Gesù” dell’Italia Centrale (ICC) e dall’associazione Cinecircoli Giovanili Socioculturali APS (CGS) insieme ai partner “Salesiani per il Sociale APS” e all’ONG salesiana “Volontariato Internazionale per lo Sviluppo” (VIS).

La proposta/sfida lanciata ai giovani partecipanti – per regolamento, dai 15 ai 30 anni – prevedeva l’ideazione e realizzazione di reportage della durata massima di 3 minuti che evidenziasse una problematica ecologica rispetto ai seguenti settori: rifiuti in genere, acqua, cibo, trasporti, plastica, vestiario o smartphone, utilizzando per le riprese esclusivamente uno smartphone.

La giuria, formata dai componenti del comitato organizzatore, ha assegnato il primo premio per la storia più significativa al video “Stop world plastic pollution” (Stop all’inquinamento mondiale di plastica), realizzato dai ragazzi della “Casa Di Salvo”, per aver utilizzato in maniera semplice e divertente lo smartphone e per i suggerimenti semplici e costruttivi da poter applicare nella vita quotidiana.

Il secondo premio, per la miglior fotografia, è stato assegnato al video “Green, lo spirito dell’ecologia”, realizzato dai giovani del gruppo “ParodieDisneyoung”, per la scelta originale della cinematografia nello sviluppo della narrazione.

È possibile visionare tutti gli elaborati prodotti collegandosi alla playlist appositamente preparata sul canale YouTube dell’associazione Cinecircoli Giovanili Socioculturali.

Vai alla notizia

Io, capitano. Il film… e il lavoro con gli studenti

Dalla rubrica “Sguardi in sala. Tra cinema e teatro” a cura del CGS.

***

di (Fabio Sandroni (Docente, formatore e presidente CGS Regione Marche; co-direttore dell’Ufficio diocesano per la cultura della Arcidiocesi di Ancona – Osimo.)

Quando abbiamo pensato alla proposta di raccontare alcuni itinerari progettuali di animazione culturale a partire dal Cinema in un periodico di pastorale giovanile ed educazione, avevamo ben presente un presupposto irrinunciabile: non esistono film in sé “educativi”, ma qualunque buon film può divenire educativo solo attraverso un lavoro di “ermeneutica laboratoriale”, come possiamo definirla dopo molte esperienze, cioè di graduale scoperta della sua ricchezza di linguaggi, senza forzarne in alcun modo i significati, con strategie operative che arrivino alle competenze teoriche attraverso la prassi del lavoro condiviso. Un film, infatti, è sempre un’operazione di linguaggio ed è proprio questo tipo di approccio laboratoriale a farne un’occasione di crescita sia interpretativa che spirituale, affinando soprattutto nei più giovani la capacità di cogliere quell’ “oltre” sotteso ad ogni vera opera d’arte.
Molto finora si è scritto su IO, CAPITANO di Matteo Garrone, per cui non proporremo l’ennesima recensione di un prodotto italiano premiato a Venezia a settembre 2023 con il Leone d’Argento per la miglior regia, il premio Mastroianni per il migliore attore esordiente al giovane Seydou Sarr e anche con diversi premi collaterali tra cui la Lanterna Magica della giuria CGS, fino ad essere in corsa per l’Oscar al miglior film straniero. Cercheremo invece di ripercorrere il lavoro svolto con questo film dal CGS Dorico con 600 ragazzi delle scuole superiori di Ancona e di proporre un percorso formativo.
Prima della proiezione ai ragazzi in sala è stato dato un triplice mandato:
● confrontare l’incipit del film con la sua conclusione, anche in termini di messa in scena;
● provare a trovare elementi o situazioni narrative ricorrenti;
● tentare di definire il genere narrativo/i generi narrativi scelti dal regista.
Sulla scorta di queste indicazioni il dibattito al termine della proiezione è divenuto opportunità per andare al di là di una più immediata fruizione emotiva e valorizzare la profondità dello sguardo dei ragazzi in sala, grazie ad un lavoro di scoperta guidata, con la figura dell’animatore culturale che ha il compito di aiutare a collegare le diverse sollecitazioni, inizialmente frammentarie, in itinerari di senso.
Al momento di tirare le conclusioni, tuttavia, ogni percorso coerente non va mai considerato come unica interpretazione, ma come possibilità supportata da elementi oggettivi di linguaggio filmico.

GLI ITINERARI DI SENSO RICOSTRUITI DALLE RISONANZE DEI RAGAZZI E DALLA DISCUSSIONE GUIDATA

Il racconto (la cui prima inquadratura su una mappa geografica scolorita è analoga all’ultima, dopo l’assolvenza dal volto del protagonista) inizia con un risveglio, quello del sedicenne Seydou, mentre il sonoro lo circonda di voci di bambini. Lo spazio su cui si apre è quello del paese del Senegal ove Seydou vive con la madre, i fratelli e le sorelle: uno spazio gioioso in cui i piccoli personaggi si stanno mascherando per una festa tradizionale. Il mascheramento è un primo indizio della cifra stilistica scelta da Garrone: quella della fiaba, in cui la realtà traspare senza ingombrare lo spazio narrativo. In questa prima parte, di circa venti minuti, l’Africa è connotata con colori caldi e vivaci e non viene assolutamente rappresentata come luogo da cui fuggire. Infatti il protagonista Seydou e il cugino Moussa scelgono di partire non per necessità, ma per seguire un sogno, e in questo hanno in comune molto di più con qualsiasi giovane del mondo che con i figli di una marginalità con cui spesso i ragazzi africani vengono rappresentati.
Un altro elemento caratterizzante della presentazione dei personaggi è il loro ricorrere a piccole bugie per nascondere le proprie intenzioni agli adulti e anche per raccontare a se stessi una versione “tranquillizzante” del viaggio: esorcizzano le minacce dell’uomo che cerca di dissuaderli rivelandogli che il cammino per raggiungere l’Europa è un cammino di morte, ad esempio, dicendo che “è fuori di testa!”. Il loro infantile credere ad una illusione, il mentire alla madre, i soldi seppelliti per pagarsi il viaggio, che richiamano il precedente film di Garrone (“Pinocchio”, con la vicenda dell’albero degli zecchini), rinforzano il riferimento al genere fiabesco, anche se la narrazione, nella parte iniziale del film, resta ancorata ad una verosimiglianza abbastanza realistica.
Ma dal momento dell’incontro con lo stregone del villaggio, la storia compie una prima virata verso la dimensione magico/onirica, che si svilupperà attraverso molteplici avvenimenti: dalla scena poetica della donna volante nel deserto, al sogno del ritorno a casa dalla prigione con lo spirito Malika per vedere, non visto, la propria madre, fino ad intrecciarsi sul piano narrativo con il provvidenziale incontro del carpentiere Martin, unica vera figura paterna, e all’improbabile, suggestiva edificazione di una fontana nel deserto, con in premio la libertà, un dono degno del Mangiafuoco di Collodi… La cifra della favola rende accettabile anche una serie di altri avvenimenti: dal ritrovamento a Tripoli di Moussa, all’insperato aiuto di Samir il barbiere per curarlo, fino alla possibilità di imbarcarsi senza soldi.
La vicenda si dipana come un racconto di viaggio, che è anche racconto di formazione (e qui si moltiplicano i riferimenti a Dante, Omero, Virgilio…) durante il quale non possono mancare le esperienze di morte, sfruttamento e tortura; Garrone, infatti, coerente con la sua scelta di genere, non affonda il coltello nel crudo realismo, ma non nasconde drammi ed orrori, collocandoli solo apparentemente sullo sfondo della narrazione. È suggestivo l’intrecciarsi di tradizioni favolistiche e mitologiche più “europee” con altre di origine prettamente africana, come lo spirito jinn Malika appartenente alla cultura marocchina, figura in genere benevola, di aiuto in situazioni difficili; o lo stregone/sciamano del villaggio, che prima della partenza invia i due ragazzi a chiedere ai morti l’autorizzazione a partire, per ottenere quasi un pronunciamento oracolare, un viatico che rappresenta il consenso “cosmico” all’impresa dei protagonisti. L’impresa del viaggio, così, non è più solo individuale, ma riceve la protezione spirituale della Terra d’origine, indispensabile per affrontare un percorso difficilissimo secondo le predizioni.
Superando le molteplici e dolorose prove Seydou cresce, proprio come in un rito di iniziazione, e, se all’inizio erano le illusioni di Moussa a spingere alla partenza, ora è la sua determinazione a permettere ad entrambi di proseguire il viaggio e a fare di lui una guida, un “capitano”, prima per sé, poi per il cugino, quindi per i tanti profughi sulla barca verso la Sicilia.
Il film si conclude in prossimità delle coste italiane, proprio dove iniziano i tristi drammi dei soccorsi e dell’accoglienza, tanto che, mentre assistiamo al rimpallo di responsabilità tra guardia costiera italiana e autorità di Malta, sarà Seydou a prendersi sulle spalle il destino dei suoi compagni di viaggio. La macchina da presa si muove con affanno tra i profughi che sovraffollano l’incerto natante guidato dal ragazzo: un parto in grande emergenza, la salvezza di alcuni uomini stipati sotto coperta, il rischio sventato di rovesciare la barca per il panico, tutto può avvenire grazie alla grande forza d’animo del sedicenne. L’invocazione “Allah Akbar!” degli immigrati sulla barca, che per gli occidentali è divenuto sinonimo di fanatismo, con un significativo ribaltamento semantico qui è preghiera e richiamo alla speranza, indice anche questo di un altro ribaltamento rispetto alla narrazione ricorrente: dal “viaggio come fuga e necessità” al “viaggio come diritto a Sognare”, un diritto che appare sempre più frequentemente negato ad una larga parte del nostro mondo, che tende a normalizzare in modo inquietante anche le più ingiuste disuguaglianze.
La salvezza è nell’ultimo orgoglioso grido di Seydou, quasi sommerso dal rumore degli elicotteri: “Io, Capitano” ripete più volte. Un urlo che, rivendicando la propria assunzione di responsabilità, denota la compiuta transizione all’età adulta.
Dalle voci dei bambini del risveglio dell’incipit fino al lungo primo piano del finale, la narrazione ha al centro la crescita di un giovane, che avviene solo quando si accettano le proprie responsabilità, cosa che l’Occidente “adulto”, il Vecchio Mondo, sembra non saper più fare.

LA SFIDA NECESSARIA

Organizzare la visione di un film in sala cinematografica in orario curricolare, vincendo le resistenze di chi pensa che siano “ore perse” di didattica “vera” (ossia frontale), ragionare sulla designazione dei docenti accompagnatori, scrivere la circolare con tutte le istruzioni e gli orari, con il consenso dei genitori, accertarsi che non ci siano barriere architettoniche, guidare la mattinata… Tutto questo è molto faticoso e basta averlo fatto una volta per capire di che stiamo parlando.
Però alla fine della giornata, dopo aver visto in 600 e in silenzio il film sul telo e con il buio in sala per cui l’autore l’ha pensato, rimangono le prove indelebili della necessità educativa intrinseca in queste “avventure”: la partecipazione dei ragazzi e dei colleghi, le domande profonde, la ricostruzione fatta insieme rivelatrice di significati “altri” rispetto a quelli percepiti in superficie e in visione solitaria.

Abbonamenti

 

CGS – Please look forward: concorso per giovani ecoreporter

Dal sito del CGS nazionale.

***

L’Ispettoria Salesiana Italia Centrale (équipe di ecologia integrale) e l’associazione CGS (Cinecircoli Giovanili Socioculturali APS) intendono lanciare una challenge, dal titolo “Please look forward”, per sensibilizzare gli adolescenti e i giovani (dai 15 ai 30 anni) sulle tematiche dell’ecologia integrale, tramite l’ideazione e la realizzazione di prodotti audiovisivi. Altri partner dell’iniziativa sono Salesiani per il Sociale APS e VIS (Volontariato Internazionale per lo Sviluppo, ONG). L’obiettivo del concorso è ideare e realizzare un reportage della durata massima di 3 minuti, utilizzando esclusivamente lo smartphone, che metta in luce una problematica ecologica rispetto ai seguenti settori: rifiuti in genere, acqua, cibo, trasporti, plastica, vestiario, smartphone. La partecipazione al concorso è gratuita.

Per offrire alcuni suggerimenti utili ai creatori dei video, è a disposizione una video-lezione gentilmente realizzata da Teresa Paoli (giornalista e regista, dal 2017 è inviata di PresaDiretta, il programma di approfondimento Riccardo Iacona in onda su Rai3).

I partecipanti al concorso potranno inviare i propri video a partire dal 18 marzo 2024 e fino al 4 maggio 2024. A cominciare da lunedì 6 maggio, i video ricevuti saranno pubblicati sul canale Youtube dell’associazione Cinecircoli Giovanili Socioculturali e sottoposti alla votazione da parte del pubblico. Le votazioni saranno aperte fino al 24 maggio 2024.

Il primo premio (storia più significativa) sarà assegnato al video che avrà raggiunto il maggior numero di votazioni on-line (50% del punteggio) e che avrà ricevuto il massimo dei voti dalla giuria (50% del punteggio). Il vincitore riceverà un buono acquisto per attrezzature audio-video da 500 €, oltre alla possibilità di partecipare ad un Festival cinematografico con l’Associazione CGS. Il secondo premio (miglior fotografia) sarà assegnato dalla giuria e riceverà un buono acquisto da 200 €.

Info e regolamento

Sguardi in sala. Percorsi educativi e ricerca di senso tra Cinema e Teatro

Di seguito la presentazione della nuova rubrica su NPG a cura del CGS – Cinecircoli Giovanili Socioculturali.

***

A partire da gennaio 2024, grazie alla collaborazione tra l’associazione Cinecircoli Giovanili Socioculturali APS e la rivista Note di Pastorale Giovanile, è disponibile on-line la rubrica “Sguardi in sala: percorsi educativi e ricerca di senso tra Cinema e Teatro”.

L’iniziativa editoriale ha l’obiettivo di mostrare come alcuni film recenti e opere teatrali possono illuminare, far capire e mettere in scena temi, personaggi e situazioni che ormai fanno parte della cultura e sensibilità di oggi, o modi di rivedere temi passati: giovani e adolescenti, famiglie, figli, identità personale (sociale, sessuale…), relazioni uomo-donna, ambiente, povertà, migrazioni, territorio, pace, intelligenza artificiale, fantasia, immaginazione, amore, morte… Le diverse uscite (cinque a tema cinema e cinque a tema teatro) prenderanno in considerazione film e spettacoli di facile reperibilità online, offrendo anche spunti a chi volesse utilizzarli per qualche attività educativa, o magari invitare gli stessi autori per una presentazione o un dialogo sul tema specifico.

Destinatari della rubrica sono prima di tutto gli educatori e i docenti alle prese con ragazzi e adolescenti, nelle varie circostanze e nei vari ambienti in cui tale metodologia può essere impiegata: a scuola, in incontri formativi, per incontri spirituali…

Ciascun articolo è costituito da una breve sinossi, da un’analisi / recensione con orientamento tematico, dove lo sguardo cinematografico o teatrale fa emergere le domande di senso suggerite dalla pellicola o dallo spettacolo sulle tematiche proposte, e si chiude con alcuni suggerimenti e piste di laboratorio per uno sviluppo pratico ai fini educativi.

Gli articoli saranno curati di volta in volta da persone diverse, giovani e adulti dei circoli CGS più ferrati in materia, con un coordinamento a cura del Consiglio direttivo nazionale.

Prima uscita: Vite indegne di vita – Lo sterminio dei disabili nel racconto teatrale di Marco Paolini, a cura di Myriam Leone e Gianpaolo Bellanca.

 

Abbonamenti

Vai al sito

 

 

 

Il filo rosso: week-end di formazione CGS 2023

Pubblichiamo il resoconto del weekend formativo dell’associazione CGS.

***

 

Si dice che nella vita di ciascuno sia presente un invisibile filo rosso che intrecci delicatamente l’esistenza di una persona a quella di qualcun altro. Appena si arriva al Centro Nazionale Opere Salesiane, a Roma, salendo le scale, risalta subito all’occhio un enorme rocchetto di filo rosso con accanto un ago, come il presagio di un sogno, che sussurra: “Attenzione, sta per succedere qualcosa di importante: delle vite si stanno per incontrare”. Così inizia la storia di tutti coloro che, da 12 circoli locali di tutta Italia, hanno partecipato al week-end di formazione per giovani animatori e dirigenti organizzato dall’Associazione nazionale CGS – Cinecircoli Giovanili Socioculturali APS, tenutosi tra il 3 e il 5 novembre 2023. Un incontro che ha fatto la differenza, e non poteva accadere diversamente, essendo opera di un abile sarto come Don Bosco.

Siamo capaci di sognare? Questa è la domanda che ha dato inizio al tutto. Don Elio Cesari, presidente nazionale del CNOS, insieme a Cristiano Tanas, presidente nazionale CGS, hanno lanciato a tutti i partecipanti una provocazione fondamentale: i sogni sono vocazioni che si coltivano nell’oggi, altrimenti restano solo illusioni. Sognare ha sempre aiutato Don Bosco a seguire il proprio cuore, e in particolare gli ha fatto da guida il suo (ormai celebre) “sogno dei nove anni”, che lo ha accompagnato, forse inconsapevolmente, in tutte le decisioni. Qualcuno ha visto più lontano di lui. Alla base delle attività proposte dai CGS, infatti, dal teatro al cinema, dall’arte alla musica, c’è sempre la concretezza di un sogno. Quale? Il desiderio di far sognare ai giovani non i sogni di qualcun altro, ma i loro.

Queste parole hanno trasportato tutti nell’idea di una “Italia Salesiana”, anche se di dimensioni ridotte, e non c’è forse momento più interessante di quello in cui delle persone sconosciute, di cui magari si è intravisto a malapena il volto, assumono un nome e un’identità. Lasciare che cinquanta persone giochino insieme, come se fossero tornati bambini in oratorio, è un’esperienza che unisce nel profondo. Da lì è seguito un flusso spontaneo di sorrisi, storie svelate, cornetti caldi, caffè, karaoke, dialetti a confronto e sogni comuni. I racconti dei ragazzi si completavano a vicenda, come se si conoscessero da sempre, a dimostrazione del fatto che non è la quantità del tempo a rendere un rapporto speciale, ma la sua intensità, a discapito di qualsiasi distanza.

Alla fine, forse, è tutta una questione di forma e sostanza, come ha spiegato la giornalista Marta Rossi nel suo intervento formativo: oggi siamo abituati a credere a qualsiasi apparenza, senza testarne la profondità; si crede persino al fatto che Steven Spielberg sia un accanito cacciatore di triceratopi. Come si può contrastare allora la bolla irrazionale della disinformazione e andare oltre ciò che gli occhi vedono? Imparare a comunicare nel modo giusto. Ogni parola è portatrice di ciò che siamo, se è vero quando si dice che un uomo vale quanto la sua parola. Ma non può essere un processo autoreferenziale, è necessario che ci si ricordi che la domanda fondamentale rimane “per chi?”: il terreno fertile delle parole è l’ascolto di qualcun altro e persino il silenzio e il fatidico “non lo so” possono fruttare molto nella comunicazione.

In virtù di queste riflessioni, ai ragazzi è stata data in seguito la possibilità di mettersi alla prova e di decidere come comunicare al pubblico le emozioni provate nel week-end di formazione, dando libero sfogo alla loro creatività: dai trend di Tik Tok e Instagram alle rappresentazioni grafiche, dalla visione di video all’uso accurato delle parole. La realizzazione finale dei progetti ha fatto emergere la grande diversità e unicità dei singoli partecipanti, invogliati soprattutto al confronto in vista di un obiettivo comune.

Come poteva mancare, inoltre, nel week-end di formazione una tappa dedicata al cinema? Irene Sandroni, antropologa culturale, ha dato a ciascuno una lente di ingrandimento per analizzare attentamente il cuore di un film o di un cortometraggio, ma facendo un passo indietro dall’impulsività delle emozioni immediate. Nessuna inquadratura è casuale, perché sono i dettagli a fare la differenza e a raccontare agli occhi molto più di quanto possa fare un dialogo. Il cineforum serale è stato caratterizzato dalla proiezione dei cortometraggi “When you wish upon a star” di Domenico Modafferi e “Frontiera” di Alessandro Di Gregorio, grazie ai quali ci si è potuti mettere temporaneamente nei panni del regista, oltre che in quelli personali dello spettatore.

A Raffaella Zoppi, educatrice sociale, sono state affidate le battute finali dei tre giorni di formazione, incentrate sul tema dell’educazione. Si è a lungo dibattuto sulle definizioni di “educatore” e “animatore”, perché avere a che fare con i giovani richiede anima, ma allo stesso tempo competenze per aiutarli ad esprimere se stessi. Si è riflettuto sul fatto che tanto la figura dell’educatore culturale, quanto quella del giovane, rischia di incorrere ad oggi in un’idealizzazione opprimente, che non lascia spazio all’errore e all’incertezza del futuro. Il motto salesiano “Giovani per i giovani”, dunque, evolve in “Giovani con i giovani”, perché le risposte non sono mai a portata di mano e si cammina insieme per trovarle.

Concludendo, il week-end di formazione di quest’anno ha concesso al filo rosso di intricarsi talmente tanto da creare una rete che attraversa tutta l’Italia dei CGS. Ma la verità è che ha legato tutti i partecipanti ad una missione importante, affinché l’incontro annuale di formazione non rimanesse fine a se stesso. Così ha detto don Elio Cesari nell’omelia della messa conclusiva: “Quello che Gesù propone è la guarigione dalla malattia dell’ipocrisia che ci fa vivere scissi tra la verità di noi stessi e la maschera che indossiamo”. Una testimonianza credibile risiede nella capacità di accogliere le proprie debolezze e di amare quelle degli altri per curarle. La speranza è che ogni persona, che ha fatto esperienza del week-end di formazione, custodisca in sé l’importanza della verità, quando sogna, quando comunica, quando osserva, quando educa. L’unico modo è rimanere nella scia del vero Maestro, prima di poter diventare punti di riferimento per i più piccoli.

Chiara Ferraro (CGS Ubuntu, Recale)