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Giovani e sessualità: dieci punti da cui ripartire

Da Avvenire.

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Rileggere le proposte educative nell’ambito dell’affettività e della sessualità non è un’opzione possibile ma un’urgenza improcrastinabile alla luce delle trasformazioni vorticose di questi decenni che hanno determinato nuovi sviluppi nella società e nella cultura, inciso profondamente nella consapevolezza di genere, aperto nuovi scenari antropologici, cambiato di conseguenza il nostro sguardo sul mondo delle relazioni.

Di questo si è parlato nel grande convegno “Giovani e sessualità. Sfide, criteri, percorsi educativi” organizzato dall’Università pontificia salesiana (13 marzo). Abbiamo già illustrato alcuni aspetti emersi dall’appuntamento (pagina Giovani di martedì 5 marzo e Noi in famiglia di domenica 10), ma l’interesse e l’originalità di quanto detto offre lo spunto per un altro approfondimento, rivolto direttamente agli operatori pastorali.

Da qui l’idea di proporre una sorta di vademecum, con dieci indicazioni tratte dalla grande mole di riflessioni, di suggestioni e di proposte offerte dagli esperti al convegno.

1) La sessualità umana è un grande mistero al quale occorre avvicinarsi con umiltà e con la consapevolezza che esiste sempre un ambito che non riusciremo a comprendere pienamente.

2) I cambiamenti della cultura affettiva nell’Occidente hanno determinato, tra gli altri effetti, una grande ambivalenza. Il giusto riconoscimento della libertà individuale nell’instaurare nuovi legami e il riconoscimento del ruolo della donna si contrappongono a realtà come il calo del desiderio, la precocità, spesso ad alto rischio, delle esperienze, l’invadenza delle nuove tecnologie che hanno determinato confusione e ambiguità.

3) La sessualità non è un ambito chiuso, senza contatti e senza contaminazioni, ma si intreccia profondamente alla società e alla cultura.

4) II rapporto uomo-donna va riaggiornato per mettere in luce il valore della differenza in una mutata situazione sociale. Doveroso mettere da parte gli stereotipi per far risaltare l’unicità e la specificità di ogni rapporto.

5) Impossibile oggi parlare di sessualità senza considerare tutta la questione del genere.

6) Il corpo ha un ruolo simbolico-relazionale che non è mai un dato acquisito in modo permanente, bensì un cammino che ogni essere umano è chiamato a percorrere.

7) L’educazione all’affettività non può non tenere conto di due fenomeni correlati: il crollo del numero dei matrimonio e l’ormai consolidata “normali-tà”, pur problematica, delle convivenze.

8) Nei processi di crescita la definizione dell’idendità di genere è sempre un processo dinamico.

9) Le nuove sfide della tecnologia. Oggi la tecnologia rende accessibili in un click contenuti ed esperienze che spesso i giovanissimi non sono in grado di capire e gestire.

10) Rinnovare i percorsi educativi come narrazione dell’esistente, in una prospettiva capace di valorizzare le esperienze di ciascuna persona.

Avvenire – L’odissea dei minori “invisibili”

Pubblichiamo l’articolo di Avvenire, a firma di Marco Birolini, sull’odissea dei minori stranieri non accompagnati e l’accoglienza della rete di Salesiani per il Sociale al Don Bosco di Napoli.

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Un fiume di minori stranieri risale ogni anno l’Italia senza che praticamente nessuno se ne accorga. Sbarcano senza genitori a Lampedusa, oppure direttamente sulle coste siciliane, poi iniziano il viaggio verso Nord facendo perdere le loro tracce. Nel 2023 le comunità di accoglienza hanno presentato 17.535 denunce di scomparsa. Numeri enormi e drammatici: se 5723 sono stati ritrovati sani e salvi, 2 sono stati recuperati senza vita. E ben 11.810 mancano all’appello. Nessuno sa bene che fine abbiano fatto. Per provare a capirlo si può bussare alla porta di una delle tante realtà no profit che provano a prendersene cura. Il “Don Bosco” di Napoli, che fa parte della Rete Salesiani per il Sociale, è il principale punto di raccolta dei minori stranieri non accompagnati che transitano dalla Campania: l’istituto gestisce una comunità di accoglienza immediata, una a medio termine e un progetto rivolto a favorire l’inclusione sociale e lavorativa di chi diventa  maggiorenne. Il direttore, don Giovanni Vanni, è un punto di riferimento per giovani nordafricani, bengalesi, pakistani . In sei anni ha visto arrivare 799 ragazzi da ben 37 Paesi diversi: il mondo passa da Napoli ma in pochi sembrano rendersene conto. «Tanti provengono dalla Tunisia, ma negli ultimi due anni la maggioranza arriva dall’Egitto. Seguono un itinerario organizzato nei dettagli fin dalla partenza: partono da Tobruk, che è il porto libico più vicino al confine. In attesa del barcone restano stipati in un capannone: non subiscono violenze, però non sono liberi di uscire. L’età media si è abbassata: qualche giorno fa ho ricevuto un 14enne». Napoli è come un grande filtro dove si raggruma questa giovane umanità smarrita.

«La nostra è la prima grande città che si incontra risalendo da Sud – riflette don Vanni -. Chi sbarca sa solo che deve dirigersi a Nord, per il resto si affida al passaparola. E dopo lo scudetto Napoli è diventata ancora più famosa, c’è un effetto calamita. Questi giovani cercano subito di racimolare i soldi per il viaggio: lavorano in nero, generalmente nei campi, poi salgono su un treno o su un autobus. Il problema è che nessuno sembra vederli. Se hanno il biglietto, paradossalmente, diventano invisibili: viaggiano di notte, raramente qualcuno si preoccupa di chiedergli chi sono, dove vanno». La stazione è il punto d’approdo. Un porto terrestre. I minorenni mettono piede sulle banchine e per prima cosa cercano cibo. La mensa della Caritas li sfama e li affida a don Vanni, che li ospita nella comunità La Zattera. «Prima di arrivare da noi però bivaccano per alcuni giorni in stazione, tra l’indifferenza generale. Finché magari qualche poliziotto li nota e ci chiama. A volte sono gli stessi ragazzi già ospiti che ce li segnalano». Molti si ambientano, e una volta maggiorenni entrano nel progetto di inserimento. Il Don Bosco mette a disposizione una casa e li affianca nell’inizio del loro percorso da adulti. «Per prima cosa li aiutiamo a tenere in regola i documenti: carta identità e residenza. Così poi possono affittare un appartamento, lavorare e avere il medico. La scuola d’italiano è un altro fondamentale strumento di integrazione. E poi noi siamo un po’ i loro secondi genitori, cerchiamo di dargli quell’educazione che si basa su incoraggiamenti, ma anche su rimproveri. Il segreto è scorgere le loro inclinazioni e assecondarle, inserendoli magari nella formazione professionale». Il rischio che qualcuno sbagli strada è concreto, ma per fortuna poco frequente. «La soluzione lavorativa e abitativa aiuta: se uno ha il carattere solido non incontra grandi problemi. Ma i soldi facili e il vivere alla giornata possono essere una tentazione per chi è più debole o si sente chiedere denaro dalla famiglia di origine. Così può finire nei giri della criminalità. Ma devo dire che la percentuale degli ex allievi in prigione è bassa».

Altri, semplicemente, spariscono. «Trattenerli non si può. Ti dicono vado a fare un giro, o a prendere le sigarette. E non li vedi più. Poi magari ti chiamano dalla Francia, dove ad esempio vanno tutti i francofoni, per dirti che va tutto bene. Ma non puoi esserne certo, quindi non ritiri la denuncia di scomparsa». Il grande buco nero si alimenta anche così: l’Italia li perde di vista e arrivederci. Ma non mancano le ipotesi più inquietanti: «Alcuni anni fa un poliziotto mi accennò a un possibile traffico d’organi – rivela don Vanni – c’erano segnalazioni di un furgone sospetto che offriva passaggi verso Nord… Ma poi non ne ho più saputo nulla». Incubi che restano sullo sfondo di una situazione comunque difficile. «A volte qualcuno mi chiama dall’Emilia o dalla Lombardia. Si trovano al freddo, senza riparo e non sanno che fare». C’è chi se ne lava le mani, anche quando non potrebbe. «A fine gennaio mi chiamò un 17enne egiziano: la polizia lo aveva fermato e portato in Questura, poi gli aveva messo in mano un foglio con scritto: la signoria vostra è pregata di presentarsi lunedì ai servizi sociali. Ma era sabato e lui non sapeva dove andare. Gli ho pagato il biglietto del treno e l’ho fatto tornare a Napoli».

Don Francesco Preite, presidente di Salesiani per il Sociale, chiosa: «I migranti che accogliamo sono giovani che hanno avuto di meno dalla vita. Proprio per questo sono al centro della nostra azione sociale ed educativa che richiede il coinvolgimento di una comunità fatta di persone, associazioni, istituzioni e imprese. Una comunità capace di dare dignità ai giovani e di valorizzare il potenziale presente in ognuno di loro».

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La fede raccontata in 50mila immagini, raccolte in una vita da salesiano

Dal quotidiano Avvenire.

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(ANS – Pordenone) – È una storia fatta di 70 anni di servizio ai giovani tra i giovani e una passione per le immagini sacre, quella di Silvano Gianduzzo, 90 anni il prossimo 19 gennaio, nato nel casello ferroviario sulla Venezia-Bologna a Stanghella (Padova) e da più di 71 anni salesiano coadiutore. Il frutto più affascinante del piccolo grande “hobby” di questo Figlio di Don Bosco, che nel 1973 arrivò all’istituto “Don Bosco” di Pordenone, è una ricca collezione, che racconta i mille volti della fede anche attraverso delle mostre itineranti tematiche.

Il cammino religioso di Gianduzzo inizia con gli studi presso un istituto salesiano nei luoghi dove nacque e visse San Giovanni Bosco; il 16 agosto 1952 emette a Chieri la professione religiosa tra i salesiani, nelle mani dell’allora neo Rettor Maggiore don Renato Ziggiotti, che, tra l’altro, nel 1924 era stato il primo Direttore dell’Istituto “Don Bosco” di Pordenone.

Nei suoi 50 anni presso la comunità salesiana della città friulana Silvano Gianduzzo è stato segretario scolastico e si è dedicato all’attività teatrale, insegnando recitazione a migliaia di alunni della Scuola Media. A questo affianca ancora il servizio liturgico settimanale presso la parrocchia “Don Bosco” di Pordenone, retta da don Gaetano Finetto.

E poi la grande passione, coltivata da sempre: la collezione di immagini sacre e artistiche. Grazie a numerosi e generosi donatori, ha potuto raccogliere oltre 50mila immagini, tutte catalogate e divise per tema: Gesù, Maria, santi, martiri, fondatori, e così via. Ma anche acqueforti, papiri, icone, xilografie, pizzi, ricami orientali su seta, immagini tridimensionali, dipinti etiopi su pelle di mucca e di radica dal Messico, figure artistiche orientali in steli di riso. Non mancano, ovviamente, i francobolli, anch’essi divisi in base al tema dell’illustrazione (Natale, Gesù, Madonna, santi, cattedrali, personaggi, sport, arte e molti altri).

Con la sua preziosa raccolta, Gianduzzo allestisce numerose mostre espositive in parrocchie, santuari, luoghi di culto. Molto apprezzata, tra le altre, la mostra portata nella cappella dell’ospedale di Pordenone: quattro pannelli con immagini riguardanti due temi: “Apostoli tra i poveri e gli ammalati” ed “Eroici testimoni di fede nella sofferenza”. Accanto alle immagini scelte per questi due percorsi tematici si trova un breve profilo biografico del protagonista che vive abbracciato alla croce della malattia o di colui che lo aiuta a portarne il peso. La mostra oggi è divenuta permanente.

La mostra itinerante su Papa Luciani, Giovanni Paolo I, invece, è giunta alla 20ª tappa. Ha raggiunto varie località, anche fuori dalla Regione del Friuli-Venezia Giulia. La scorsa estate si è potuta visitare anche ad Erto, nota località per essere stata colpita, con Longarone, dal disastro della diga del Vajont. È stata esposta, poi, a Canale d’Agordo, paese natale di papa Luciani.

L’attuale Rettor Maggiore dei Salesiani, il cardinale Ángel Fernández Artime, ha inaugurato, in occasione della sua visita alla comunità salesiana di Pordenone, la mostra dedicata al tema della missione.

È in preparazione, infine, l’allestimento per immagini del percorso storico del “Don Bosco” di Pordenone, in occasione della prossima commemorazione del suo Centenario (1924-2024).

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«Mettiamoci alla ricerca dei giovani» Don Bosco e quel sogno ancora attuale – Avvenire

Si riporta di seguito l’articolo apparso su Avvenire a cura di Marina Lomunno.

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Cade quest’anno il 200° anniversario dalla visione onirica che il santo ebbe da bambino, in cui era prefigurata quella che sarebbe stata la missione sua e dei suoi figli spirituali. La mostra e un ciclo di incontri a Torino.

«Il sogno che fa sognare. Un cuore che trasforma i lupi in agnelli» è il titolo dell’ultima strenna firmata come rettor maggiore, e la prima come cardinale, da don Ángel Fernández Artime, 10° successore di don Bosco.

È stata presentata in diretta mondiale sui social lo scorso 27 dicembre. La Famiglia Salesiana, presente con 32 Gruppi religiosi e laicali in 135 nazioni, si è collegata per il tradizionale dono, la strenna, che don Bosco consegnava il 31 dicembre ai suoi ragazzi per indicare l’impegno per l’anno a venire.

Così hanno fatto i suoi successori fino al cardinale Artime, che ha ribadito la missione dei salesiani:

«Andare a cercare i giovani di oggi alla ricerca di senso e risposte».

Il tema della strenna 2024 apre le celebrazioni per i 200 anni del sogno-visione che «Giovannino» fece nel 1824, a 9 anni, nella povera casetta dei Becchi, oggi frazione di Castelnuovo Don Bosco.

In quella notte, che Don Bosco racconta nelle «Memorie dell’oratorio» – come scrive il rettor maggiore – è «nato un pilastro importante, quasi un mito fondativo della spiritualità salesiana, perché tutta la vita di don Bosco è il tentativo di realizzare il sogno».

È l’eredità che il santo lascia alla famiglia salesiana oggi, dal primo oratorio fondato a Torino a Valdocco all’ultima opera aperta dai suoi figli nel 2023 in Botswana:

«Portare a Gesù i giovani più poveri, sia che vivano per strada in Colombia, nei villaggi del Bangladesh o nel nostro ricco Occidente dove le povertà sono altre ma non meno urgenti».

A partire dalla strenna, nella Basilica di Maria Ausiliatrice a Torino è stata allestita una mostra in 12 pannelli

«dove è riportata una frase del sogno così come lo racconta il santo» spiega don Michele Viviano, rettore della Basilica torinese, casa madre dei salesiani, «per consentire una lettura nei suoi passaggi fondamentali. Ogni frase poi ha un breve commento attualizzato del rettor maggiore tratto dalla strenna. La mostra è aperta fino al 31 gennaio, festa liturgica di don Bosco».

E sempre in Basilica, dove si venerano le spoglie mortali del santo, sono in programma tre lunedì di riflessione sul sogno: ha aperto il ciclo l’8 gennaio Artime: nella chiesa gremita ha invitato tutti a rileggere il sogno di don Bosco ragazzino quando nella sua visione vede un gruppo di fanciulli «discoli e pericolanti» che giocano e bestemmiano.

«Giovannino all’udire le bestemmie li vuole affrontare con calci e pugni ma un uomo dal volto luminoso lo ammonisce: “Non colle percosse ma colla mansuetudine e colla carità dovrai guadagnare questi tuoi amici. Mettiti adunque immediatamente a fare loro un’istruzione sulla bruttezza del peccato e sulla preziosità della virtù”.

Giovannino è interdetto ma l’uomo lo rassicura: “Io ti darò la Maestra”. E accanto all’uomo appare una donna, Maria.

I discoli scompaiono e al loro posto si materializzano animali selvatici e capretti. La Donna dice a Giovannino: “Ecco il tuo campo” e appare un branco di agnellini… il ragazzino non capisce e piange ma Maria lo rasserena: “A suo tempo tutto comprenderai”».

E don Bosco al termine della sua vita – ha proseguito Artime – tutto ha compreso piangendo all’altare di Maria Ausiliatrice nella Basilica del Sacro Cuore di Gesù a Roma, pochi giorni dopo la consacrazione, quando ormai la famiglia salesiana aveva salde radici.

«I ragazzi di 200 anni fa che bestemmiavano o usavano il coltello sono quelli che oggi spacciano o hanno una pistola: tutti, quelli più poveri – fuori o dentro – sono un gomitolo di contraddizioni. Questo oggi è il nostro campo anche con i nativi digitali: con bontà, rispetto pazienza portare i giovani a Dio, dire loro di non temere, che non sono soli, che ognuno di loro vale».

Al termine della serata sono risuonate le note dell’inno composto da don Maurizio Palazzo, maestro di cappella di Maria Ausiliatrice, eseguito dalla corale della Basilica e dal coro giovanile «Sal.es», un brano che richiama la potenza delle parole scelte dal cardinale Artime per la strenna:

«Un sogno che ci riporti ai primi passi di don Bosco, ma che ci apra al futuro, al coraggio di rinnovare, costruire, un sogno ad occhi aperti ed a passo spedito, lieti nella speranza che Lui è sempre con noi. Il sogno vivrà, farà sognare ancora, noi lo vedremo ancora».

Il testo della Strenna 2024 è disponibile in sei lingue sul sito dei Salesiani di don Bosco www.sdb.org.

Avvenire

 

 

Avvenire – Novant’anni fa la dedicazione della Cattedrale di Latina

Da Avvenire.

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Il prossimo 18 dicembre sarà festa per la Dedicazione della Cattedrale di San Marco a Latina. Un anniversario particolare perché ricorrono i novant’anni dalla Dedicazione della chiesa avvenuta nel 1933, solo un anno dopo – e nello stesso giorno l’inaugurazione della città di Latina. Proprio per l’importanza dell’evento, la diocesi di Latina ha voluto offrire una occasione  straordinaria di riflessione per prepararsi alla celebrazione. «Pertanto, vi invito a partecipare e a far conoscere i tre incontri di preparazione, che avranno luogo nel salone parrocchiale della Cattedrale nelle tre domeniche antecedenti al 18, e poi la celebrazione nel giorno dedicato», così il vescovo Mariano Crociata si è rivolto con un messaggio inviato ai presbiteri, ai diaconi, ai religiosi e a tutti i fedeli. L’evento principale sarà la messa del 18 dicembre, alle 18, presieduta dal vescovo Mariano Crociata, cui assiste per tradizione anche una delegazione ufficiale del Comune di Latina guidata dal Sindaco. Per l’anniversario sono state organizzate alcune conferenze preparatorie, nelle tre domeniche precedenti, alle 16.30 e sempre a San Marco.

Si inizierà proprio, oggi pomeriggio, con lo storico pontino Clemente Ciammaruconi, il quale affronterà il tema «Da Littoria a Latina. Presenza salesiana e vita cristiana nella «città nuova» . Ciammaruconi, che tiene corsi anche per la Scuola diocesana pontina di Teologia Paolo VI, ha già condotto studi storici sulla vicenda storica della chiesa di San Marco e dei salesiani a Latina, che a buon titolo sono la prima comunità ecclesiale del centro cittadino. Poi, il 10 dicembre, vi sarà Oscar Gaspari, cultore della materia per la cattedra di Storia e istituzioni politiche alla Lumsa-Roma, parlerà di “Essere di Latina: identità, comunità, religiosità” . Anche lui profondo conoscitore del territorio, non solo per nascita, ma anche per gli studi storici sui territori portati avanti nei suoi precedenti impieghi nella pubblica amministrazione. Infine, il 17 dicembre, sarà la volta del carmelitano padre Gabriele Midili, direttore dell’Ufficio Liturgico di Roma, il quale affronterà il tema della “Cattedrale, come cuore di vita della diocesi”.

Un passaggio importante, specie per ricordare come la Cattedrale sia il luogo fisico della cattedra del vescovo, dove solo lui può sedere e nessun altro celebrante. Da un punto di vista ecclesiale, lo spiegherà abbondantemente padre Midili, la celebrazione della dedicazione vuol ricordare una verità di fede fondamentale, cioè, che il radunarsi proprio in Cattedrale, come comunità diocesana attorno al vescovo, ha lo scopo di «edificare noi tutti giorno per giorno come Chiesa viva di Dio, corpo di Cristo, tempio dello Spirito», come aveva spiegato il vescovo Crociata in passato. Una novità per questo anniversario. Nell’ambito di un Pcto (Percorsi per le competenze trasversali e l’orientamento) tra la diocesi di Latina e il liceo artistico “Michelangelo Buonarroti”, sempre di Latina, due classi delle specializzazioni di grafica e di audiovisivo/multimediale hanno realizzato rispettivamente la locandina e una clip video per promuovere questa festa diocesana.

Indagine. In crescita le spese per formazione e politiche attive – Avvenire

Si riporta di seguito l’articolo apparso su Avvenire.

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Secondo l’Osservatorio digitale, nel 2022 sono stati investiti dalle Regioni 3,4 miliardi di euro.

“Eppur si muove” potrebbe essere la sintesi dell’analisi sui dati dall’Osservatorio digitale che monitora i bandi sulla formazione professionale e le politiche attive del lavoro in Italia.

La piattaforma, ideata da CNOS-FAP Centro nazionale opere salesiane Formazione aggiornamento professionale e da Ptsclas, evidenzia come gli impegni di spesa in Italia dei bandi per la formazione professionale e le politiche attive del lavoro siano cresciuti, registrando quindi una tendenza positiva.

Infatti, l’Osservatorio digitale esplicita che nel 2022 ci sono stati oltre 1,2 miliardi di euro investiti nella formazione, per lo più ordinamentale, in leggero aumento rispetto agli 1,1 del 2020; mentre più evidente risulta la crescita dei finanziamenti dedicati alle politiche attive del lavoro con 2,2 miliardi del 2022 rispetto agli 822 milioni del 2020.

Questo è quanto risulta dallo studio di 262 avvisi pubblicati dalle Regioni, di cui 159 riguardanti le politiche della formazione e 103 relativi alle politiche attive del lavoro. Si può affermare quindi, che la tendenza delle politiche europee e nazionali è quella di implementare gli investimenti in questi ambiti, ritenuti ormai determinanti per lo sviluppo dell’occupazione.

In merito alla recente riforma degli istituti tecnici e professionali, si è analizzato il potenziamento degli Its academy e la proposta di sperimentazione della nuova filiera formativa tecnologica-professionale, così tanto voluta dal ministro dell’Istruzione e del Merito Giuseppe Valditara.

Riforme e risorse che possono servire a superare certe reticenze e disegnare un nuovo sviluppo del Paese basato sulle competenze.

«Siamo di fronte – spiega Giuliano Giacomazzi, direttore generale del CNOS-FAP – a una nuova sfida con la riforma del ministro Valditara. Auspichiamo che questa possa concorrere nella direzione di un pieno riconoscimento della IeFP-Istruzione e formazione professionale, delle sue peculiarità e della sua propria identità, alla pari dei percorsi scolastici. Il Cnos-Fap rileva un apprezzamento per la crescita e il consolidamento di tale filiera, che ha raggiunto un buon livello e che deve determinare gli ultimi tasselli per arrivare ad una sua piena realizzazione, ma mancano però ancora interventi strutturali che aiutino a superare le forti disomogeneità regionali. L’attenzione sullo sviluppo degli Its mette bene in evidenza la ricchezza formativa ed educativa della filiera lunga della formazione tecnico-professionale, come elemento conclusivo e di eccellenza».

Avvenire

 

 

Artime: resto al servizio dei giovani in difficoltà – Avvenire

Si pubblica di seguito l’intervista al Rettor Maggiore, don Angel Fernàndez Artime, apparsa su Avvenire.

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Abbiamo incontrato il Rettor Maggiore dei salesiani, don Angel Fernàndez Artime, alla vigilia della partenza per Roma, domenica scorsa prima della celebrazione che ha presieduto nella Basilica di Maria Ausiliatrice dove ha consegnato il crocifisso a 13 figlie di Maria Ausiliatrice e 24 salesiani in partenza per le missioni.

Cosa significa per il 10° successore di don Bosco e per la famiglia salesiana diventare cardinale?

Per me e per tutti noi salesiani è stata una notizia del tutto inaspettata ma che ci conferma l’attenzione del Papa nei confronti della nostra famiglia religiosa. Se ha ritenuto opportuno di contare su di me per un servizio alla Chiesa come salesiano, con grande umiltà e serenità offro la mia disponibilità.

Don Bosco ci ha raccomandato di rispondere sempre con entusiasmo a ciò che il Papa ci chiede perché lui amava profondamente la Chiesa e il suo Pastore e per noi questo è un fondamento del carisma. Sicuramente altri vedono onori in queste nomine: con grande onestà e sincerità io vivo questo momento soltanto nella prospettiva del servizio.

Finora ho servito come prete religioso, sto servendo come rettor maggiore dei salesiani e con questo spirito affronto il prossimo servizio alla Chiesa che mi verrà chiesto dal Pontefice.

Certamente non posso non riconoscere la sua grande fiducia che mi fa vivere questo momento con ancora più grande responsabilità.

I 14 mila figli di don Bosco, tra cui 130 vescovi, spendono la vita in 135 nazioni del mondo per stare accanto ai giovani che hanno avuto di meno. Sicuramente lei, da cardinale salesiano, continuerà ad avere una attenzione speciale ai giovani.

Siamo nel mondo con la missione di accompagnare i giovani, i ragazzi e le loro famiglie, perché oggi senza le famiglie possiamo fare poco. E cerchiamo di stare accanto soprattutto ai giovani i più poveri.

Nel mio servizio come cardinale non so cosa mi chiederà il Papa ma cercherò di farlo al meglio delle mie possibilità: certamente io sono salesiano e la mia scelta religiosa che feci da ragazzo – grazie alla grande fede dei miei genitori, una famiglia di pescatori di un piccolo paese delle Asturie in Spagna che pur avendo bisogno delle mie “braccia” mi dissero «Figliolo,
è la tua vita se questo ti farà felice, vai» – la porto nel mio bagaglio personale.

Sono figlio di don Bosco, amo i giovani, soprattutto chi fa più fatica, mi sento a mio agio tra i poveri e le famiglie. Ho sempre voluto vivere nelle missioni o in mezzo ai più bisognosi e tutto questo lo porto e lo porterò sempre nel mio cuore qualsiasi sia il servizio che mi attende.

Da quando ho cominciato la prima esperienza con i salesiani mi sono sempre sentito felice in mezzo ai giovani e, 45 anni dopo la mia prima professione, sono qui e sono felice.

Cosa cercano i giovani e quali sono le risposte dei salesiani, come parlare di Gesù oggi alle nuove generazioni?

È difficile rispondere perché i giovani nel mondo vivono realtà molto diverse. Pensando ai nostri giovani qui in Europa riconosco che è un tempo molto difficile. Essere giovane oggi non è più facile che 25 anni fa. Hanno più mezzi che possono aiutare e anche rovinare, c’è tanta mancanza di paternità e maternità nella vita di tanti ragazzi e ragazze.

Abbiamo una generazione tra le più istruite nella storia delle nostre nazioni ma al termine degli studi non hanno le possibilità di trovare un lavoro che permetta loro progettare il futuro: immagino quanti genitori soffrono per questo.

In Italia e in Spagna, per esempio, l’età media dei giovani che riescono a diventare autonomi è oltre i 30 anni, una situazione insostenibile che non dà speranza. Anche per questi motivi non è semplice parlare di Dio ai giovani che vivono questi problemi.

L’unico modo per confortarli è camminare insieme a loro: spesso pensiamo che siano i giovani che devono venire in Chiesa. Ma da salesiano ho imparato che, come faceva don Bosco, siamo noi che dobbiamo andare a cercarli ovunque si trovino.

Questa è la grande sfida per la nostra Chiesa: un cammino di vicinanza, di prossimità, incrociare le loro strade. È il modo migliore per poter parlare loro di Gesù.

Avvenire

Avvenire – Ad Arese insieme con lo stile di Don Bosco

Da Avvenire.

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Giocano «in casa» quest’anno gli oratori di Arese, dove le tre parrocchie cittadine sono tutte affidate ai Salesiani. Suonerà familiare la storia di don Bosco e del suo oratorio a Valdocco (il rione di Torino dove il sacerdote santo iniziò a radunare i più piccoli), dato che proprio il racconto di questa avventura farà da traccia per, quest’estate, per gli oratori ambrosiani. Don Roberto Smeriglio, che insieme a 150 animatori guiderà i ragazzi distribuiti tra l’Oratorio don Bosco, che si affaccia sulla piazza centrale di Arese, e il «Cortile Domenico e Laura» (dai nomi di san Domenico Savio e santa Laura Vicuña) mette in luce alcuni dei «segreti» dell’animazione salesiana. A partire dalla scommessa sulla formazione degli animatori. Proprio in questo fine settimana gli adolescenti di prima superiore trascorrono un week-end lungo a Cesenatico, insieme ai loro coetanei delle parrocchie salesiane del Nord Italia.

Un modo per staccare dalla scuola appena terminata, ma anche per prepararsi al nuovo ruolo di animatori che li attende tra pochissimo. Oppure l’attenzione particolare che sarà dedicata ai ragazzi di terza media, «che da una parte si rendono conto di essere ormai grandi, avendo finito la scuola, ma d’altra non sono ancora abbastanza grandi per fare gli animatori», nota don Roberto. Così per loro c’è qualche gita in più, l’esperienza dell’arrampicata, ma anche il coinvolgimento diretto nella preparazione dei giochi, insieme ai più grandi. Poi ci sono quei piccoli insegnamenti quotidiani che vengono trasmessi ai ragazzi, secondo uno stile che, in fondo, è diventato quello di tutti gli oratori. Come la «parolina all’orecchio»: «Il salesiano – spiega don Roberto – sta in mezzo ai ragazzi, e il consiglio educativo arriva spezzettato tra un tiro al pallone e l’altro». O, ancora, come il «buongiorno salesiano», ovvero la ripresa di una buona azione, di qualcosa di bello avvenuto nella giornata che può diventare un esempio per tutti. «Ciascun ragazzo porta in sé la propria specificità, la propria bellezza, anche se a volte non sembrano immediatamente in armonia con quelle degli altri», sottolinea don Roberto pensando all’esempio del refettorio di Valdocco, costruito con pietre tutte diverse. «A fare da collante c’è la nostra vita al seguito dell’esempio di don Bosco e del Signore. Così anche noi possiamo costruire un ambiente, un’esperienza bella da vivere insieme».

Avvenire

Avvenire – Repole: siamo tutti bisognosi della cura del Signore

Di seguito, l’articolo di Marina Lomunno su Avvenire sulle parole dell’arcivescovo di Torino, Roberto Repole, al termine della processione di Maria Ausiliatrice.

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«C’è un virus che si insinua dentro la mentalità del nostro mondo che ci fa pensare che ciascuno di noi si fa da solo, è artefice di sé stesso. Ma la malattia che questo virus porta è la solitudine. Quando noi pensiamo e viviamo così siamo destinati a essere soli, soprattutto nel momento del bisogno, in cui avremmo necessità della cura degli altri, perché – se ognuno si fa da sé nessuno può contare su nessuno. È molto bella la festa di Maria Ausiliatrice, auxilium christianorum , che – attraverso don Bosco e la Famiglia salesiana è la festa della nostra Chiesa, di questa città, perché dice qualcosa di chi siamo noi: non donne e uomini che si fanno da soli, ma bisognosi di cura, sempre, in qualunque momento. Nessuno di noi sopravvive senza cura. E la festa di Maria Ausiliatrice ci dice che abbiamo bisogno della cura per essere donne e uomini, anzitutto della cura di Dio, che si fa presente a noi e vicino a noi con la sua tenerezza, anche con gli occhi e con lo sguardo di Maria». Sono le parole dell’arcivescovo di Torino, Roberto Repole, che ha concluso sul sagrato della Basilica, nella serata di mercoledì 24, la lunga giornata della festa liturgica di Maria Ausiliatrice, al termine della processione con la statua della Madonna coperta per l’occasione da una campana di vetro.

«Per proteggerla dalla pioggia battente» ha spiegato il salesiano don Michele Viviano, rettore della Basilica all’inizio del cammino, che non ha scoraggiato migliaia di fedeli in preghiera lungo le vie percorse da don Bosco nel quartiere Valdocco. La processione, presente il sindaco Stefano Lo Russo, «è uscita dalla Basilica nonostante il maltempo anche in segno di vicinanza alle persone alluvionate dell’Emilia Romagna che hanno perso famigliari, casa e tutti i loro averi» ha proseguito il rettore. «La nostra preghiera all’Ausiliatrice va anche per loro oltre che per affidare a Maria la Giornata mondiale della Gioventù di Lisbona e il Sinodo che si celebrerà ad ottobre». Accanto a Repole, il rettor maggiore dei salesiani lo spagnolo don Angel Fernández Artime. Prima della benedizione, don Leonardo Mancini, ispettore dei Salesiani del Piemonte, ha invitato la piazza gremita di ombrelli a pregare per la comunità cristiana cinese: il 24 maggio, dal 2007 per volere di Papa Benedetto XVI, si celebra anche la Giornata mondiale di Preghiera per la Chiesa Cattolica in Cina dove Maria Ausiliatrice è venerata nel Santuario di Nostra Signora di Sheshan, a Shanghai.

Avvenire

Il Rettor Maggiore, così come fece Don Bosco, visita il carcere minorile – Avvenire

Il giornale “Avvenire” ha riportato una notizia, a cura di Marina Lomunno, sulla storica visita del Rettor Maggiore ai ragazzi dell’Istituto penitenziario minorile (Ipm) “Ferrante Aporti” di corso Unione Sovietica a Torino, lo scorso mercoledì 1 febbraio. Di seguito l’articolo.

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Al riformatorio “La Generala”, oggi l’istituto penale minorile (Ipm) “Ferrante Aporti”, don Giovanni Bosco inventò il suo sistema preventivo e gli oratori visitando, su invito del suo padre spirituale don Giuseppe Cafasso, i ragazzi «discoli e pericolanti» della Torino dell’Ottocento.

«Se questi giovanetti avessero fuori un amico che si prendesse cura di loro chissà che non possano tenersi lontani dalla rovina o almeno diminuire il numero di coloro che ritornano in carcere?»

scriveva nel 1855 nelle sue «Memorie dell’oratorio». Parole che possono essere prese a prestito per raccontare i 34 giovani «pericolanti» detenuti oggi al “Ferrante Aporti”, per la maggior parte stranieri, alcuni figli di immigrati di seconda generazione, altri non accompagnati. Come ai tempi di don Bosco, le presenze nel carcere sono lo specchio del disagio giovanile. Ma come nell’Ottocento la soluzione all’emarginazione e alla recidiva anche oggi sono le opportunità di reinserimento nella società “sana” dopo aver scontato la pena. Ed ecco perché non c’è luogo più significativo del carcere minorile torinese per capire l’attualità della mission di don Bosco: «Mi basta che siate giovani perché io vi ami assai».

Lo sa bene il rettor maggiore dei salesiani, don Ángel Fernàdez Ártime, che nella mattinata di mercoledì 1 febbraio, ha voluto concludere le celebrazioni della festa del santo proprio al “Ferrante Aporti”. Una visita storica perché mai, dopo don Bosco, era entrato nell’Ipm torinese un suo successore (don Ángel è il 10°), anche se il carisma salesiano tra queste mura non è mai venuto meno: una targa ricorda le sue visite alla «Generala» e qui è tradizione che i cappellani siano salesiani perché il “Ferrante” per i figli di don Bosco è un «oratorio dietro le sbarre». Tra i cappellani storici, è stato ricordato dal rettor maggiore don Domenico Ricca, andato in pensione lo scorso anno dopo oltre 40 anni di servizio, che ha riaperto la cappella del “Ferrante” a cui alcuni benefattori hanno donato le statue di don Bosco e di Maria Ausiliatrice. A don Ricca è subentrato il confratello don Silvano Oni, che ha organizzato la visita del rettor maggiore in collaborazione con la vicedirettrice Gabriella Picco, i formatori, gli insegnanti e gli educatori.

«In questi giorni spediremo una lettera a papa Francesco – annuncia don Silvano – con le foto del presepe che a Natale abbiamo allestito con i ragazzi, la maggior parte musulmani: è una natività in cui i personaggi di cartone non hanno volto: sopra Gesù Bambino una luce illumina la notte e un soccorritore e un medico attendono un barcone carico di giovani migranti come alcuni dei nostri giovani che hanno lasciato la loro terra e qui sono soli e preda dell’illegalità. Il loro salvagente per ora siamo noi».

Don Ángel, salutando uno per uno i ragazzi, si è informato sulla loro storia e provenienza: «io sono rumeno», «io egiziano» «io di Tangeri». «Sono stato nei vostri bellissimi Paesi a visitare le nostre comunità e i nostri oratori. Conosco qualche parola delle vostre lingue: io sono spagnolo, sono nato in Galizia, figlio di un pescatore. Ho studiato teologia e filosofia ma so molto di più della pesca che mi ha insegnato mio papà». Così si è presentato il rettor maggiore ai ragazzi radunati nel salone della ricreazione, dopo una danza e una scenetta su don Bosco animate dai novizi salesiani che ogni venerdì, accompagnati dal loro maestro don Enrico Ponte, animano l’oratorio del “Ferrante”.

«È per questo che ho scelto di diventare salesiano, 43 anni fa – ha continuato don Ángel –. Volevo fare il medico ma poi ho capito che don Bosco mi chiamava a curare le anime dei più giovani perché non ci sono buoni e cattivi ma ragazzi e ragazze che hanno avuto di meno e, come diceva il nostro santo, “in ogni giovane, anche il più disgraziato, c’è un punto accessibile al bene e dovere primo dell’educatore è di cercare questo punto, questa corda sensibile del cuore e di trarne profitto”. Tutti possiamo sbagliare ma se credete in voi stessi, vi fidate dei vostri educatori uscirete di qui migliori. Il mio sogno è di incontrarvi tutti a Valdocco con i giovani che ho incontrato ieri alla festa del nostro santo».

Quando la visita è finita, i ragazzi commossi hanno chiesto a don Ángel: «Quando torni?».

-Marina Lomunno

Avvenire