Ceuta: mondi che si incontrano

Da Note di Pastorale Giovanile.

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di Renato Zilio

Come una lingua di terra immersa nell’acqua, la città autonoma spagnola si allunga a partire dell’Africa del Nord e con i suoi 80mila abitanti respira l’Europa: Ceuta.
Le sue “calle” sono gremite di negozi, di bar e di turisti, le sue chiese di ori e statue di santi, come nella madrepatria. Così, le poderose mura, più che difendere, servono ora a proteggere i suoi ricordi e i suoi secoli di storia. Iniziata già con i portoghesi nel lontano 1415, poi passata agli spagnoli, che ancora oggi la vivono come un pezzo di patria, incastonata nel Continente africano (insieme a Melilla).
Autori come Platone, Pomponio, Strabone… sfilano in centro città con il loro busto di marmo: già dall’antichità essi scrivono di lei come “l’invalicabile”, una delle due celebri colonne d’Ercole.
Il suo segreto, però, sta scritto in latino sulla piazza centrale, di fronte alla cattedrale: “Plus ultra”. Andare al di là. Fu questa la chiave del successo nel “secolo delle scoperte”: affrontare il mare e l’ignoto, senza paura. Al di là della fine del mondo allora conosciuto, precisamente Ceuta.
Paradossalmente, il suo senso oggi lo vivono centinaia di giovani migranti. In modo inverso. Spinti ad ogni costo ad andare “al di là” della loro terra africana, dove manca ogni prospettiva. Per entrare, così, in questo pezzo d’Europa ritagliato in terra d’Africa.
«Una vera mattìa!» mi fa don Nicola di Foggia, a Tangeri. Sì, i giovani subsahariani hanno tutti la stessa follia: superare la barrière“.
Nascosti nelle boscaglie alle spalle della città, per giorni senza cibo, o con acqua e pane secco si preparano ad assaltare la barriera di filo spinato alta sette metri. Si nastrano con lo scotch degli uncini di ferro alle mani. Invocano mille volte Allah, in soccorso. E si spezzano le ossa nell’impresa. Il resto lo faranno le due polizie spagnola e marocchina.
Alle parrocchie di Oujda, di Rabat e di Casablanca li ritrovate poi per mesi feriti a decine. Sempre pronti però a riprendere la loro avventura, come in una palestra maledetta. «Sii come il mare che, infrangendosi contro gli scogli, trova sempre la forza di riprovarci»: come un mantra – si direbbe – le parole di Jim Morrison risuonano nella loro testa. L’Europa è il loro sogno.
«È necessario continuare a sognare – scrive Coelho –, altrimenti la nostra anima muore». Anche se oggi, veramente, qualcuno si interroga: «Le merci e le comunicazioni circolano facilmente, perché gli uomini no?».
A Ceuta, il Centro sant’Antonio, come altre strutture, accoglie una quindicina di adolescenti marocchini, entrati via mare. Su delle lavagne i loro nomi, gli orari, i piccoli servizi richiesti. Una regola di casa: imparare l’autonomia.
In un armadio, poi, un paio di pinne sono rinchiuse come una reliquia. Con queste ai piedi si presentava, infatti, un mattino Mohamed, marocchino ventenne, giorni fa. Nell’oscurità della notte aveva attraversato il mare incontrando al largo un adolescente in pericolo, a cui dava un piccolo salvagente, poi un secondo che stava annegando e poi ancora un terzo con una torcia accesa per chiamare aiuto, agganciandoli tutti all’unico salvagente. Raggiungeva da solo, poi, veloce, la riva, allertando i soccorsi…
Ancora commosso il racconto di Giulia, una delle volontarie italiane. La notte, infatti, o i giorni di nebbia e di mare mosso, cioè di pericolo, sono momenti buoni per i giovani marocchini di lanciarsi in mare. Con un tragico esito, molto sovente.
Esprimo, in fondo, la mia ammirazione per questi animatori del Centro nella loro attività su due mondi, in un terreno interculturale, tra due culture. «No, mi ribatte una di loro, quattro!». Ceuta, infatti, città di mare, eredita straordinariamente dalla sua storia una popolazione mista: spagnola, marocchina, ebrea e indù.
E poi, Lucie a spiegarmi come a Natale nella piazza del centro appare una grande scritta luminosa: “Felice Natale!”. Ma, durante il mese musulmano, diventa: “Felice Ramadan!”. E così pure per le feste delle altre due culture si illumina diversamente.
Quale è, per davvero, la regola d’oro? «Il rispetto dell’altro!», pronta la loro risposta.
Così, in un contesto di impietosa e dura chiusura europea, quasi una vera fortezza con telecamere, cani e filo spinato, che blocca qui la meglio gioventù africana, almeno nel cuore della città, una lezione di umanità. In fondo, sarà sempre la storia ad insegnare. Magistra vitae.

Il Settore per la Pastorale Giovanile pubblica “Diamanti nascosti”, 200 sogni dei giovani”

Dall’agenzia ANS.

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(ANS – Roma) – In occasione del bicentenario del “sogno dei 9 anni” di Don Bosco è stato realizzato il libro dei sogni. “Abbiamo voluto interpellare i giovani del mondo con una domanda molto semplice, ma quanto mai esistenziale: ‘qual è il sogno della tua vita?’” ha spiegato il Consigliere Generale per la Pastorale Giovanile, don Miguel Angel García Morcuende. “E abbiamo ricevuto sogni di ragazzi delle case delle Figlie di Maria Ausiliatrice e dei Salesiani di Don Bosco provenienti da tutti i continenti – prosegue –. Sono giovani di 94 Paesi che raccontano come vogliono realizzare il loro sogno e come intendono superare le condizioni più difficili”.

In totale più di 200 sogni provenienti da tutto il mondo salesiano abbelliscono le pagine di questo “tesoro” che ha preso la forma di un “Coffee Table Book”, un libro da sfogliare e tutto da apprezzare. È come se queste storie ispiratrici fossero diamanti da scoprire.

Tra i tanti sogni, i giovani ne hanno espressi alcuni come: l’essere realmente ascoltati e compresi nelle loro aspettative di vita, nel loro modo di vedere il mondo e di muoversi in esso; lo sperimentare un Dio vicino, realmente incarnato e vivo nelle situazioni umane; il sentirsi accettati dalla Chiesa e dalle presenze salesiane così come sono, senza dover forzare i loro modi di essere in stereotipi; il seguire la propria vocazione, i percorsi per scoprirla e la propria fede nell’essenziale; il costruire il proprio progetto professionale, nonostante le incertezze e gli interrogativi delle trasformazioni sociali, politiche e tecnologiche; la fiducia nello sforzo personale e nel sostegno della famiglia come condizioni fondamentali per migliorare la propria vita e avvicinarsi all’età adulta; l’essere adulti di riferimento, appassionati, chiari, determinati con la propria vita e guide nel proprio processo; il valorizzare il contesto in cui vivono con azioni concrete, attraverso formulazioni nobili come “essere in grado di aiutare gli altri”.

Le fotografie accompagnano i sogni ed emoziona guardare i volti dei giovani, i loro sorrisi, le loro espressioni e anche i segni che alcuni di loro portano nella foto. “I sogni dei nostri giovani sono stati disegnati fra le mura di casa, all’interno della famiglia, disegnati sul tavolo della loro quotidianità. Sono sogni meravigliosi che annunciano un mondo più bello e più umano. Facciamo nostri i sogni dei giovani e avremo n mondo che profuma di una vera primavera”, afferma don Joebeth Vivo, membro del Settore per la Pastorale Giovanile dei Salesiani di Don Bosco.

“I giovani corrono fra le strade dei loro sogni, rincorrono certezze che spesso il mondo degli adulti non ha saputo proporre. I giovani però sono qui: coraggiosi e pronti. Sogni, progetti, imprese, programmi e avventure: sono cose belle, importanti, preziose come diamanti!”, esprime Antonella Sinagoga.

Don García conclude: “Il sogno è una categoria antropologica ed esistenziale che ci consente oggi di ritrovare interesse per l’esistenza, vicinanza all’altro e coraggio nell’intraprendere la fatica di costruire un mondo migliore. I nostri giovani hanno espresso il bisogno di qualcuno che li inviti a guardare oltre la finestra della propria camera da letto o delle proprie classi, a mettersi in piedi e allacciarsi le scarpe. Abbiamo smesso di fare la storia perché abbiamo smesso di sognare”.

Preziose sono le prefazioni del Rettor Maggiore, Card. Ángel Fernández Artime, e della Madre Generale delle Figlie di Maria Ausiliatrice, Madre Chiara Cazzuola, così come l’introduzione del Consigliere Generale per la Pastorale Giovanile, don García Morcuende.

Il volume verrà prodotto anche nella versione cartacea stampata, ma è già possibile ammirarlo nella versione digitale accessibile qui.

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Il dritto e il rovescio di un ordito

Dalla rubrica “Voci dal mondo interiore” a cura del MGS su Note di Pastorale Giovanile.

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di Silvia Casson (24 anni e vive, da prima della nascita, il clima frizzante e le esperienze profonde dell’oratorio Salesiano di Chioggia. Capo scout e animatrice, si sente a casa con i più piccoli. Studia Filologia e letteratura italiana all’Università Cà Foscari, insegna nelle scuole del territorio. Le piacciono la musica, i giri in bicicletta, la santa allegria insieme agli amici, i tramonti in laguna). 

«Io sono la stoffa»

“Non so cos’è l’amore, ma a volte lo percepisco” canta Alfa. Penso che questa frase descriva bene l’inizio della mia storia, la mia storia interiore. Si sa, da ragazzini si vive tutto amplificato, tutto risuona forte: ogni esperienza, ogni incontro arrivano e si posano dentro come mattoni, e col passare del tempo costruiranno quelle che sono le nostre fondamenta, senza che noi ce ne rendiamo conto. A 16 anni, vivevo tutto così: grinta, entusiasmo, una ricerca instancabile di un di più. L’animazione in oratorio, la prima relazione a tu per tu con Don Bosco, l’estate ragazzi, le attività con il gruppo, la bellezza delle responsabilità, le nuove amicizie, i primi incontri in Ispettoria mi facevano percepire quest’amore, ma non ne capivo la portata. Non ero consapevole. Ero piena di vita, ma una vita confusa perché tutta la Bellezza che vivevo non era poi ordinata e chiamata per nome. Andava tutto bene così. Ma è quando meno te l’aspetti che arriva quel qualcosa che ti cambia la vita. Ricordo molto bene quel momento, eravamo ai Corsi Animatori Ispettoriali a Mestre, e alla sera viene proposta l’adorazione. Proprio in quel momento, si è aperta una voragine nel mio cuore. Ero mendicante di un amore che ora veniva a cercarmi, parlava al mio cuore. Quest’Amore si era svelato ai miei occhi e finalmente capivo chi fosse l’artefice di tutto quello che stavo vivendo. Capisco che era arrivato il momento di prendere in mano la mia vita e di camminare in maniera più decisa. Comincio a parlare più spesso con un salesiano, cerco di scavare in profondità, cerco di aprire il mio cuore. Solo una era la frase che riecheggiava in me: “Io sono la stoffa, lei ne sia il sarto. Ne faccia un bell’abito per il Signore”. C’era in me un forte desiderio di scoprire, un’enorme curiosità nel conoscere più da vicino chi avesse pensato questa vita per me. Questo desiderio continua ancora oggi e si fa sempre più attuale. Nella mia vita riconosco una trama, un ordito che Qualcuno ha pensato per me ben prima che io lo scoprissi. E sono felice!

«Lei ne sia il sarto»

Guardando la mia vita di oggi, vedo tante cose diverse rispetto a prima. Ed è giusto così. Ci sono però alcuni punti fermi che porto avanti e custodisco. Innanzitutto, le relazioni. Volgendo lo sguardo indietro vedo come ci siano stati tanti sarti che hanno cucito sulla mia vita. Le relazioni, per me, sono importantissime, fondamentali! È necessario, però, circondarsi di amici dell’anima, coetanei e adulti. Persone che ti conoscono nel profondo, ti aiutano a camminare sulla retta via con costanza. Se prima pensavo che da sola avrei affrontato tutto, ora sono convinta che è l’insieme a creare l’uno! Io sono anche le mie relazioni, le mie amicizie, i miei amori. La bellezza di queste relazioni sta nel fatto che c’è Gesù in mezzo. Lui è lì, soffia sulla nostra vita, sulle nostre azioni e anche quando non ce ne rendiamo conto, Lui è con noi. Sempre. Tutto questo dà alle mie relazioni una marcia in più, perché il legame che si crea diventa quasi indissolubile, va oltre lo spazio e il tempo, ed è costruito sulla roccia. Non è semplice portare avanti questo tipo di relazioni senza essere intaccati da pensieri che non nascono dal Bene. Nella mia vita ho trovato sempre fondamentale l’aiuto con gli adulti, che mi hanno fatto da padri e madri e si sono presi cura di me come una figlia. E così è anche oggi. Alla mia guida spirituale consegno tutto, certa che le mie parole siano custodite ed elevate al Cielo. È rileggendo i fatti della mia vita che scopro come io sia un dono per gli altri e come nella mia vita io sia chiamata ad amare per prima, anche se costa fatica. Tutto questo si complica quando si è chiamati ad uscire dall’oratorio, come luogo protetto, per andare nel mondo a vivere testimoniando. In questi anni di lavoro e università, ho scoperto la radicalità della mia scelta e di quanto Don Bosco abbia scalfito il mio cuore. Essere nel mondo, portando quella luce in più, soprattutto a livello relazionale con adulti e ragazzi. Voler bene ai colleghi, lasciare un pensiero buono, essere vicina ai ragazzi, provare a vedere cosa si nasconde dietro le maschere. Questo me lo insegna Don Bosco, è il mio valore aggiunto!
Mi rendo conto che questa vita non più da ragazzina disordinata sia in salita e di come siano la condivisione, la vita relazionale ad aiutarmi a camminare. Serve camminare ogni giorno un po’, piccoli passi possibili, solo così si allena la perseveranza ed è con questa fatica giornaliera che ci ricordiamo di essere continuamente in ricerca, continuamente assetati di quell’Acqua Viva. C’è una frase di Don Bosco che mi è tanto cara: “piedi per terra, sguardo verso il Cielo”. È quella la via che sento di dover seguire quando sono chiamata ad essere una giovane in uscita, rimanere aderente alla realtà, senza misticismo ma con un guizzo nel cuore in più!

«Faccia un bell’abito per il Signore»

Ora riesco a intravedere il mio abito e mi rendo conto che non è cucito con un’unica stoffa, ma ha più pezzi, più colori. Questi pezzi diversi sono dati delle esperienze che ho vissuto, dal mio bagaglio. Non è un vestito finito, c’è ancora da cucire. I vari colori, le varie trame, le varie pesantezze dei tessuti mi ricordano come la vita possa essere imprevedibile, elettrizzante, faticosa, l’importante è che le cuciture siano fisse. La cucitura della mia vita è proprio quella scelta cristiana e salesiana che ogni giorno provo a rendere mia. Tenere la vita unita non è per nulla scontato, ma se c’è qualcosa su di me che funziona è proprio questo rapporto personale con il Signore. Sentire una mano che ti viene ad alzare quando sei seduto all’angolo, qualcuno che rompe il tuo guscio, qualcuno che è già dentro di te prima ancora di volerlo. Dio è il mio sarto! La strada è in salita, la perseveranza è una virtù che si conquista con un duro lavoro, ma il panorama lassù è meraviglioso. Non è semplice e sono molte le volte in cui anche io mi trovo in difficoltà e mi chiudo. La cosa importante è tenere accesa la fiamma, per scoprirsi continuamente in ricerca!

Oggi parlo a voi, parlo alla Silvia sedicenne tanto curiosa dell’Infinito: noi sappiamo cos’è l’Amore, lo percepiamo se ci innamoriamo di Gesù e lo scegliamo ogni giorno!

Presentazione mondiale del nuovo documento del Settore per la Pastorale Giovanile salesiana: l’Oratorio – Centro Giovanile Salesiano

Dall’agenzia ANS.

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(ANS – Roma) – Dopo la pubblicazione, avvenuta l’8 dicembre 2023, del nuovo documento sull’Oratorio-Centro Giovanile Salesiano, elaborato dal Settore per la Pastorale Giovanile salesiana e frutto di un approfondito processo di riflessione, aggiornamento e collaborazione con tutte le Ispettorie, il medesimo Settore ha programmato la presentazione ufficiale in tutto il mondo di questo documento: essa avverrà mercoledì 24 aprile 2024.

Per favorire la partecipazione mondiale, la presentazione avverrà attraverso due incontri online, uno alle 8:00 e l’altro alle 18:00, ora di Roma (UTC+2). È prevista la traduzione simultanea in italiano, spagnolo, inglese, francese e portoghese.

Sono invitati a partecipare i vari protagonisti delle Comunità Educativo-Pastorali degli Oratori-Centri Giovanili Salesiani di tutte le Ispettorie: animatori, educatori, laici e salesiani che coordinano e dirigono questa bella e ricca realtà pastorale tipica del carisma originato da Don Bosco.

Le informazioni per partecipare agli incontri via Zoom si trovano nel depliant che è possibile scaricare, in base alla lingua e agli orari, attraverso questo link.

L’obiettivo principale della presentazione del documento è quello di confermare, rinnovare e rivitalizzare la novità dell’Oratorio-Centro Giovanile Salesiano; ma si vuole anche che questi incontri siano l’inizio di un processo di conoscenza, comunione e condivisione tra tutti i partecipanti, che rafforzi il lavoro di rete, qualifichi i processi formativi e faciliti la condivisione delle buone pratiche tra gli Oratori-Centri Giovanili di tutto il mondo salesiano.

“Stiamo vivendo il periodo pasquale e questo ci ricorda la Pasqua celebrata da Don Bosco nel 1846, cioè quando ebbe inizio l’Oratorio di Valdocco. A distanza di 178 anni, Dio ci affida quest’opera fondamentale del carisma salesiano, perché con l’aiuto della nostra Madre, Maria Ausiliatrice, continui ad essere una proposta significativa per l’educazione e l’evangelizzazione dei giovani”, affermano dal Settore per la Pastorale Giovanile salesiana.

“Ci vediamo il 24 aprile, nel giorno della commemorazione mensile di Maria Ausiliatrice, Madre dei giovani, Vergine dell’Oratorio”, concludono sempre dal medesimo Settore.

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Ups, corso di formazione per docenti sull’educazione emozionale

Venerdì 12 e sabato 13 aprile 2024 l’Istituto di Psicologia dell’Università Pontificia Salesiana ha organizzato un corso di formazione e aggiornamento con cui si vuole fornire competenze teoriche e pratiche sulle dinamiche e lo sviluppo delle competenze emotive a scuola.

Il corso pone l’accento sulle possibilità di un intervento mirato alla prevenzione e alla promozione di un benessere socio-relazionale-emotivo nella scuola, l’obiettivo è fornire un’alfabetizzazione emotiva che consenta agli alunni di diventare emotivamente competenti, prerequisito fondamentale per lo sviluppo umano verso l’età adulta. Utilizzando un approccio teorico integrato e materiale operativo per strutturare una efficace educazione emozionale nelle diverse fasi evolutive e nei diversi gradi di scuola.

Obiettivi del corso

  • comprendere che cosa sono le emozioni, come si formano e come possiamo aiutare gli studenti a riconoscerle e gestirle nei contesti scolastici ed educativi;
  • comprendere che ruolo gioca l’educazione emotiva, nella crescita e nell’apprendimento e come si può sviluppare nell’ottica di rendere gli alunni più consapevoli e autonomi nello sviluppo della loro intelligenza emotiva;
  • aumentare le competenze per far sviluppare le capacità emozionali negli alunni;
  • aumentare la competenza concreta dei docenti nella gestione delle emozioni all’interno della classe e della scuola;
  • aumentare le competenze nello sviluppo dell’autoregolazione emozionale;
  • migliorare la collaborazione scuola-famiglia.

Destinatari

  • Insegnanti (di ogni ordine e grado)
  • Dirigenti Scolastici
  • Psicologi scolastici
  • Educatori

Programma

Modulo 1 – Competenza e intelligenza emotiva | Prof. Alessandro Ricci (venerdì 12 aprile ore 15.00-19.00): L’educazione socio-affettiva; Sviluppo, competenza e intelligenza emotiva; Autoregolazione emozionale; Emozioni e nuove tecnologie; Educazione emozionale a scuola e in famiglia.

Modulo 2 – Come educare e lavorare sulle emozioni | Prof. Marco Maggi (sabato 13 Aprile ore 9.00-13.00):Percorsi specifici sulle emozioni primarie; Percorsi educativi-didattici, differenziati per età e ordine di scuola; Percorsi che approfondiscono l’educazione emozionale attraverso discipline didattiche e settori.

Modulo 3 – Educare all’ascolto e all’empatia tra scuola e famiglia | Proff. Alessandro Ricci – Marco Maggi (sabato 13 Aprile ore 14.00-18.00):Attività e strumenti per implementare l’ascolto e l’empatia; Collaborazione e alleanza educativa famiglia-scuola.

Sede: Università Pontificia Salesiana, Piazza dell’Ateneo Salesiano, 1, 00139-Roma
Durata: 12 ore
Tempi e modalità d’iscrizione: entro il 10 aprile 2024, compilare il modulo al seguente link
l modulo d’iscrizione è raggiungibile tramite il seguente link:

https://forms.gle/hb8KCKxpG2KL66SJ7

Costo: 100,00 euro (IBAN: IT76T0569603219000004600X29 – intestato a PONTIFICIO ATENEO SALESIANO)
Previsto il pagamento tramite la CARTA DEL DOCENTE  – Il corso è registrato sulla piattaforma S.O.F.I.A. (id 92002)
tel: + 39 06 87290 308 / e-mail: psicologia@unisal.it

“Lui vede più lontano di te”: il singolo del MGS Sicilia per la nuova proposta pastorale

Pubblichiamo l’articolo ricevuto dal MGS Sicilia per il lancio del nuovo singolo realizzato per il tema pastorale di questo anno.

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“Lui vede più lontano di te” è il titolo del nuovo singolo uscito in occasione del Giò Beach Party, la festa di inaugurazione del nuovo anno pastorale salesiano 2023/24, organizzato il 24 settembre scorso alla Playa di Catania. Il brano è stato composto e musicato dai DBsons, gruppo musicale del movimento giovanile salesiano di Sicilia, nato dall’intraprendenza di due giovani talentuosi salesiani, Don Emanuele Geraci e Don Giuseppe Priolo, i quali da sempre hanno creduto nella forza comunicativa della musica come mezzo per parlare di Dio e renderLo presente in mezzo ai giovani. Il nuovo singolo è costruito sul tema pastorale di quest’anno “Tu vedi più lontano di me. Segnaletica per tornare a sognare.”

Sognare… questa parola non ci suona nuova! Sappiamo bene, infatti, quanto i sogni siano stati fondamentali nella vita del nostro padre, maestro e amico Don Bosco, a partire dal primo, “Il sogno dei nove anni”. Essi sono diventati il mezzo attraverso il quale Dio è riuscito ad entrare in comunicazione con Giovanni, il modo per fargli conoscere la Sua volontà, ovvero il progetto che aveva su di lui. Don Bosco è stato un grande sognatore per tutta la vita! Ma se per lui è stato così, può avvenire lo stesso anche per noi? I nostri amici nella canzone ci dicono che “è giunto il tempo di stare a tempo con il sogno che Dio ha per te!” . Dunque sì, ognuno di noi è chiamato a realizzare nella propria vita il sogno che Dio ha per ciascuno dei suoi figli. Il Suo unico grande desiderio, infatti, è quello di vederci felici! Dobbiamo allora “puntare lo sguardo in alto, sapendo che Dio vede più lontano di noi!” Il Suo sguardo arriva dove noi, che a volte non riusciamo a vedere più in là del nostro naso, non possiamo arrivare.“A suo tempo tutto comprenderai…” disse Maria a Don Bosco nel sogno dei nove anni, poichè “Dio non ti lascia vagare in vano, ma in ogni
momento ti tende la mano”, continua il testo dell’inno, con parole piene di fiducia e speranza.

Spesso si utilizza l’espressione “vivere una vita da sogno”, illudendosi che questo significhi vivere una vita perfetta, “pensando che vince chi non l’ha scalfita”. Essere felici significa, invece, vivere una vita capace di seguire le indicazioni di Dio! Non dobbiamo, infatti, scervellarci a pensare come realizzare una vita da sogno, ma un sogno per la vita, cioè un sogno che tenga conto delle difficoltà che possiamo incontrare nella strada per realizzarlo. Un sogno plasmato sulle fatiche di ogni giorno, che ricalchi il pendio delle vette più alte che ci ostacolano! Questo ci fa capire quale sia l’atteggiamento giusto per essere felici, che non è “fare sempre ciò che ci va, ma essere pronti al cambiamento del cuore” che Dio ci chiede per condurci alla vera felicità. Egli ci chiama in prima persona per realizzare i nostri sogni, ci tende la mano, ci chiede di alzarci dal divano della nostra “comfort zone”, di non restare “…immobili come cipressi”, “di non voltare le spalle a noi stessi”, ma di metterci in cammino sulla strada del dono, del servizio, dell’amore, unico mezzo per essere veramente felici. Dice Papa Francesco: “I sogni della comodità, del solo benessere (…), della tranquillità, quelli che addormentano fanno di un giovane coraggioso un giovane da divano! (…) I sogni grandi includono, coinvolgono, condividono, sono estroversi, generano nuova vita. (…) I sogni grandi hanno bisogno di Dio (…) Con Lui non aver paura: vai avanti. Sogna in grande!”
Agnese La Bella

 

Italia – Corso di formazione per i Delegati per la Famiglia Salesiana delle Ispettorie di lingua inglese

Dall’agenzia salesiana ANS.

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(ANS – Castelnuovo Don Bosco) – Venerdì 14 aprile, 31 Delegati per la Famiglia Salesiana di diverse Ispettorie e Visitatorie anglofone di tutto il mondo si sono riuniti presso il Colle Don Bosco per iniziare un corso di formazione su vari aspetti legati al loro servizio. Gli elementi centrali sono stati: riflessioni sulla figura di Don Bosco, fondatore del vasto movimento carismatico della Famiglia Salesiana; approfondimento della Carta d’Identità della Famiglia Salesiana, uno studio specifico del ruolo del Delegato per la Famiglia Salesiana, la conoscenza dei Gruppi della Famiglia Salesiana e la condivisione di esperienze e spiritualità sui Luoghi Salesiani.

Nella seconda giornata di lavori, don Giuseppe Casti, già Delegato Mondiale per i Salesiani Cooperatori (2012-2020) ha illustrato il tema: “Movimento Salesiano: il laicato nella mente e nella vita di Don Bosco”, con un’attenzione specifica sulla visibilità ecclesiale della presenza salesiana come movimento, sulla cultura della Famiglia Salesiana e su determinati aspetti legati alla sinodalità.

Da parte sua Bryan Magro, Presidente della Confederazione Mondiale degli Exallievi di Don Bosco, ha presentato una breve panoramica sugli Exallievi di Don Bosco. Ha sottolineato la missione degli Exallievi, che comprende il servizio a favore della vita, la libertà e la verità, e come l’identità dell’Exallievo sia permeata in primo luogo dalla gratitudine e dall’amore verso Don Bosco. Poi ha anche indicato le sette attività strategiche che guideranno gli Exallievi di Don Bosco nel presente e nel futuro prossimo: il Camminare Insieme, la Famiglia Salesiana, la Spiritualità, la Comunicazione, la Solidarietà, la Missione (l’Africa come una delle aree prioritarie) e l’attenzione ai Giovani Exallievi.

I Delegati hanno avuto anche l’opportunità di visitare alcuni tra i più significativi luoghi salesiani intorno al Colle Don Bosco, come la casa natale di Don Bosco, e di conoscere la sua esperienza di famiglia. Il dott. Pierluigi Dovis, Direttore della Caritas Diocesana di Torino, ha poi guidato i Delegati per la FS attraverso la sua riflessione “I laici nella Chiesa e nella società”, che ha offerto a tutti i partecipanti alcuni punti molto forti su cui riflettere. Il relatore ha sottolineato l’importanza di rispettare il ruolo dei laici e di non vederli come quasi-sacerdoti o sostituti dei sacerdoti, ribadendo il concetto che i laici vadano riconosciuti e valorizzati in quanto laici.

Il Delegato Centrale del Rettor Maggiore per il Segretariato per la Famiglia Salesiana, don Joan Lluis Playà, da parte sua ha offerto un contributo sul tema della Pastorale Giovanile e la Famiglia Salesiana, nel quale ha messo in luce come una maggiore collaborazione tra i vari gruppi della Famiglia Salesiana e la Pastorale Giovanile sia una sfida da vincere a vari livelli, soprattutto in quello dell’accompagnamento dei giovani.

Le attività del corso di formazione proseguiranno ancora in questi giorni fino a giovedì 20 aprile.

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“Costruiamo comunità solidali – 30 anni di rete sociale salesiana in Italia”: a giugno assemblea nazionale

Si terrà a Roma, all’istituto Pio XI, dal 9 all’11 giugno l’assemblea nazionale 2023 di Salesiani per il Sociale “Costruiamo comunità solidali – 30 anni di rete sociale salesiana in Italia” . Continua il percorso intrapreso a settembre 2022 di Organizzare la Speranza che, a giugno, vedrà la condivisione di quanto raccolto in questi mesi di incontri territoriali e la presentazione delle linee programmatiche per i prossimi tre anni.

“Il prossimo 9 luglio festeggeremo i 30 anni della nostra rete sociale salesiana, fondata da salesiani lungimiranti e profetici – dichiara don Francesco Preite, presidente di Salesiani per il Sociale -. Un evento che ci riporta alle origini della scelta salesiana di una pastorale giovanile italiana che includa la dimensione del disagio e dell’emarginazione giovanile, e che oggi viene rilanciata fortemente dal Rettor Maggiore con l’opzione salesiana per i giovani ad alto rischio sociale come impegno per la giustizia, la pace e la cura del creato. L’emarginazione e disagio giovanile della Pastorale Giovanile Salesiana è denominata nella lettera del Rettor Maggiore con un’accezione più inclusiva: opere e servizi sociali. Le opere ed i servizi sociali sono una dimensione ed un ambiente della nostra Pastorale Giovanile che incontriamo nelle Comunità Educative Pastorali da Nord a Sud”.

I tre giorni di assemblea saranno organizzati con momenti formativi, tavole rotonde per discutere della rete associativa e conoscere l’esperienza dei territori. Ci sarà modo di ascoltare la voce delle istituzioni sulla riforma del Terzo Settore e gli aggiornamenti in corso.

“Insieme salesiani e laici possiamo compiere il passaggio verso una pastorale giovanile aperta, corresponsabile e connessa con i problemi del mondo e della gente: passare dall’io al noi, dal “si è sempre fatto così” alla novità dei segni dei tempi che richiedono competenze, innovazione, rinnovata passione educativa”, conclude don Francesco Preite.

Il programma:

 VENERDÌ 9 GIUGNO    

Ore 14,00 Arrivi e registrazione Assemblea

Ore 15,00 Saluti istituzionali

Presentazione Assemblea

Ore 15,30 Lectio Lc 7,11-17

Ore 16,00 I panel: Povertà educativa e giovani neet: quali risposte del Terzo Settore e quali le misure del governo italiano?

Ore 17,30 Break

Ore 18,00 II panel: Il processo dal basso visto dai territori.

Ore 20,00 Cena

Ore 21,30 Incontro per Comitati territoriali SxS

 SABATO 10 GIUGNO    

Ore 8,00 Santa Messa

Ore 9,00 III panel: L’opzione salesiana per i giovani ad alto rischio sociale e la corresponsabilità laicale nella costruzione di Comunità Educative Pastorali solidali. Come coniugare Pastorale Giovanile, corresponsabilità laicale e opere sociali nelle CEP locali?

Ore 11,00 Break

Ore 11,30 Laboratori di scrittura dal basso

Ore 13,00 Pranzo

Ore 15,30 Laboratori di scrittura dal basso

Ore 17,00 Break

Ore 17,30 Restituzione in Assemblea Salesiani per il sociale

Dialogo in Assemblea

Votazione del documento programmatico ad experimentum per un anno

Ore 20,00  Cena

Serata libera

 DOMENICA 11 GIUGNO      

Ore 9,00 Relazioni del presidente e presentazione del bilancio Elezione Organo di controllo

Interventi dei Soci, dibattito e votazioni Presentazione programmazione 2023-2024

Ore 12,00 Santa Messa

Ore 13,00  Pranzo

Per iscriversi c’è tempo fino al 21 maggio cliccando sul link sotto.

Per iscrizioni

Italia – I 75 anni di storia del “Borgo Ragazzi Don Bosco”

Dall’agenzia ANS

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(ANS – Roma) – 75 anni fa, nella primavera del 1948, i salesiani di Roma guidavano la carovana di ragazzi che da via Marsala si spostava lungo via Prenestina fino ad arrivare a popolare quei cortili e quei capannoni che ancora oggi accolgono, educano e danno attenzione a centinaia di minori bisognosi e a rischio. Da quel momento nasceva il “Borgo dei Ragazzi di Don Bosco”, una piccola città in cui i ragazzi e le loro esigenze di crescita erano al centro dell’attenzione e della cura di tanti salesiani e di tante persone.

Quei giovani erano gli orfani accolti dai salesiani, che dopo la Seconda guerra mondiale avevano risposto con solerzia all’appello di papa Pio XII che raccomandava proprio ai figli di Don Bosco di prendersi cura della gioventù abbandonata e sola della Capitale.

Scriveva pochi mesi dopo l’Osservatore Romano e precisamente il 19 luglio 1948, all’indomani dell’inaugurazione ufficiale del Borgo Ragazzi don Bosco avvenuta il giorno precedente ad opera del card. Pizzardo: “Chi avrebbe pensato, qualche anno fa, che il vasto terreno circostante al Forte Prenestino sarebbe divenuto asilo di una moltitudine di ragazzi e che i capannoni, allestiti dai soldati e le vaste tettoie deposito di foraggi e di materiali, si sarebbero cambiati in chiesa, in teatro, in campi da giuoco e di liete riunioni? Eppure, la Provvidenza, che scherza con i disegni degli uomini ha compiuto questo miracolo, e pur non cambiando al vecchio forte la sua destinazione l’ha nobilitata: difesa sì, ma difesa spirituale di tanti ragazzi contro le forze dilaganti del male, contro le insidie e la corruzione della strada, contro l’abbandono e la decadenza sociale”. Un’appropriata riflessione, che si è trasformata in profezia anche per gli anni a seguire.

Da parte sua, un testimone della prima ora, don Luigi Pace, che fu l’Economo dei primi anni del Borgo, così descriveva quella realtà: “Chi si reca al Borgo per una breve visita, si accorge subito di trovarsi in un ambiente dove la vita salesiana è vissuta da mattina a sera, come in tante altre opere salesiane. Però si nota qui qualcosa di singolare che rende il Borgo diverso da tutti gli altri istituti. Qualcosa che lo rende subito simpatico al visitatore, che se ne parte ammirato e soddisfatto. […] Viene spontaneo domandarsi: qual è il segreto di questa vitalità? Quali sono gli elementi che concorrono, oltre alla grazia del Signore e al Sistema Preventivo di Don Bosco, a produrre frutti così abbondanti di bene? Due elementi ci danno la sua vera fisionomia: 1. Una modestia senza pretese; 2. Lo spirito di famiglia che in esso regna”.

In questi 75 anni la Provvidenza si è palesata in tanti modi e in tante persone: salesiani, collaboratori, benefattori, tanto che fin da subito il Borgo Ragazzi don Bosco fu definito “l’opera della Provvidenza a Roma per tanti ragazzi”.

E il presente viene costruito sulla scia di questa ricca storia. Ancora oggi il “Borgo Ragazzi Don Bosco” rimane fedele alla sua vocazione originaria, quella di essere una casa per tanti ragazzi e giovani che hanno avuto meno occasioni nella vita, per accompagnarli nello scoprire le loro ricchezze, per imparare un lavoro, per realizzare i loro sogni di una vita buona.

“Il futuro lo vediamo delinearsi davanti a noi con esigenze in parte simili e in parte diverse. Cambiano i ragazzi e cambiano le loro condizioni, le loro esigenze pratiche, la loro provenienza, non cambia il loro desiderio di costruirsi un futuro degno e felice. Il nostro impegno è quello di continuare ad aiutarli nel fare ciò” affermano oggi i salesiani responsabili del Borgo Ragazzi Don Bosco.

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Il Beato Rolando Maria Rivi

Da NPG di dicembre.

di Emilio Bonicelli

Nevicava forte la notte del 7 gennaio quando, sul colle di San Valentino, nella casa del Poggiolo, a Castellarano RE, nacque Rolando. Il giorno dopo i genitori lo portarono nella vicina e antica Pieve perché fosse battezzato e lo affidarono alla Madonna del Carmelo. Il suo nome completo è, infatti, Rolando Maria Rivi.
Era un bambino allegro, vivacissimo, sempre in moto, un fuoco ardente. Nessuno riusciva a tenerlo fermo. Entusiasta della vita, intelligente e dotato di una memoria straordinaria, era il più scatenato nei giochi, il più veloce nelle corse e il più creativo nell’inventare sempre nuove birichinate. Per questo era anche il più amato dagli amici per ogni svago.

Santo o brigante

Osservando Rolando che non conosceva mezze misure e si gettava con foga in ogni nuova avventura, la nonna Anna, diceva: “Diventerà un santo o un brigante”. Un incontro decisivo contribuì però a orientarlo nella giusta direzione.
Quando Rolando aveva tre anni nella Parrocchia di San Valentino arrivò un nuovo parroco, don Olinto Marzocchini. Era un sacerdote di fede viva, di intensa umanità, di grande cultura. Con il suo passo lungo e frettoloso, con sempre indosso l’abito talare, don Olinto si recava di casolare in casolare a portare conforto agli ammalati e aiuto alle famiglie più povere.
Crescendo Rolando aveva iniziato a interrogarsi su che cosa avrebbe voluto fare da grande. Quel sacerdote che spiegava a tutti con chiarezza il significato della vita; quel sacerdote cui tutti gli abitanti del paese si rivolgevano, con affetto e rispetto; quel sacerdote che si spendeva senza limiti per il bene di ogni persona, lo affascinava. Gli sarebbe piaciuto da grande essere come lui.
Così Rolando comunicò ai genitori che, terminata la scuola elementare, voleva continuare gli studi in seminario e diventare sacerdote. Fu una sua libera scelta, che stupì il papà e la mamma. Mai avrebbero immaginato che in quel ragazzo, scatenato nei giochi e campione nelle birichinate, potesse fiorire la vocazione religiosa.

Giovane seminarista

A 11 anni, nell’ottobre del 1942, Rolando entrò nel seminario di Marola (Carpineti RE), e vestì per la prima volta l’abito talare. Non lo lascerà più sino al martirio. Aveva un desiderio nel cuore: diventare sacerdote e missionario.
In Rolando furono evidenti in quel periodo i segni di un cambiamento interiore. Il fuoco giovane di vita che ardeva in lui cresceva, insieme al suo carattere esuberante, ma ora tutto era orientato a un nuovo centro affettivo, a un grande Amico. Il giovane seminarista dava voce a questo cambiamento con solo quattro parole, che spesso ripeteva: “Io sono di Gesù”. Una sintesi mirabile della nostra identità cristiana: noi apparteniamo al Signore, che ci ha voluti, ci ama e ci attende.
Quando Rolando entrò in seminario, l’Italia era già in guerra e anche a Marola erano progressivamente cresciute le preoccupazioni per le notizie di bombardamenti, stragi, distruzioni, rastrellamenti che avevano coinvolto anche alcuni vicini paesi dell’Appennino reggiano.
Poi il 22 giugno 1944 i nazisti fecero irruzione nel seminario e lo trasformarono in una propria base logistica. I ragazzi ritornarono a casa e fu chiaro che il seminario non avrebbe potuto riprendere la propria attività sino a quando la guerra non fosse finita.

Testimone della verità

Tornato a casa Rolando decise di continuare, per quanto possibile, a fare vita da seminarista vestendo sempre l’abito talare. I familiari e gli amici notavano il profondo cambiamento avvenuto. Era sempre lui, ma diverso: il più scatenato nei giochi era ora anche il più assorto nella preghiera; il più discolo non aveva perso il suo carattere esuberante, ma era diventato un maestro, il cui entusiasmo suscitava negli altri ragazzi il desiderio di imparare da lui a seguire Cristo.
In paese, però, era diventato pericoloso proclamarsi pubblicamente amici di Gesù come faceva Rolando. Sul finire della seconda guerra mondiale, infatti, soprattutto in alcune zone dell’Emilia Romagna, si era diffuso, insieme all’affermarsi dell’ideologia comunista, un clima di forte ostilità verso i sacerdoti e verso ogni espressione pubblica della fede.
Il pericolo, dunque, era concreto e gli altri seminaristi della zona avevano lasciato l’abito talare. Anche la mamma Albertina, quando Rolando rientrava a casa, dopo la Messa del mattino, gli diceva: “Togliti la veste”, ma lui rispondeva: “Mamma non posso. È il segno che sono di Gesù”.
Più Rolando testimoniava pubblicamente la propria fede, più diventava un punto di riferimento per gli altri giovani, più cresceva l’odio contro di lui.

Il martirio

La mattina del 10 aprile 1945 due partigiani comunisti di San Valentino, che facevano parte di una formazione acquartierata sull’appennino modenese, si misero in azione. Dopo la Santa Messa, come faceva di solito, Rolando era andato a studiare vicino a un boschetto non lontano da casa. Lì i partigiani lo sorpresero, gli puntarono le armi, lo costrinsero a seguirli sino alla loro base, un vecchio casolare a Piane di Monchio (MO). Qui lo chiusero in uno stanzino vicino alla porcilaia, improvvisata e orribile prigione.
Da quel momento tutto quello che accadde a Rolando fu come un rinnovarsi in lui della passione di Cristo.
Contro il giovane seminarista, fatto prigioniero, fu inscenato un processo farsa, con false accuse, e di lui dissero: “sei una spia”. Come il processo di fronte a Caifa, dove Gesù fu accusato di essere un bestemmiatore.
Allora frustarono con odio Rolando, così raccontano i testimoni, con la cinghia dei pantaloni, fino a lacerargli la carne. Come il flagello con cui colpirono Gesù. I persecutori strapparono di dosso al seminarista la talare, quella veste che il ragazzo tanto amava, perché segno visibile della sua appartenenza a Cristo e alla Chiesa. Come il Signore, spogliato delle vesti e schernito dai soldati romani. Poi i partigiani arrotolarono la talare e, in segno di disprezzo, la presero a calci. Nessuno può immaginare quanto dolore provocò questo fatto nel ragazzo che si sentiva ferito negli ideali di bontà, di verità, di bellezza che quell’abito rappresentava.
Il 13 aprile 1945, era un venerdì pomeriggio, lo stesso giorno della morte di Gesù sulla croce, Rolando fu ucciso, in odio alla sua fede cristiana, dopo essere stato trascinato in un bosco, dove tutto era pronto per il suo supplizio. Il commissario politico del gruppo, sparò due colpi di pistola contro il giovane seminarista, mentre questi, in ginocchio, pregava per il suo papà e la sua mamma.
Pregava e nessuno, né le offese, né le percosse, né le umiliazioni, né le torture, né la stessa morte, riuscirono a strapparlo dalla mano del suo grande Amico. Là dove l’ideologia, la violenza e l’odio della guerra sembravano dominare incontrastati, Rolando fece risuonare alto il suo amore a Cristo morto e risorto.

Accolto come martire

Intanto il padre Roberto e il suo parroco, don Alberto, stavano cercando da giorni il ragazzo, ma giunsero sul luogo del martirio solo al sabato sera, quando tutto si era già compiuto. Ormai faceva buio. A Roberto e don Alberto non rimase altra scelta, se non quella di tornare a Monchio, il paese più vicino, per trascorrere la notte nella Casa canonica.
Il giorno dopo il sabato, il 15 aprile 1945, terza domenica del tempo di Pasqua, il papà e don Alberto si recarono di buon mattino nel bosco del martirio, per riavere Rolando. Il corpo del seminarista fu portato nella chiesa di Santa Maria Assunta a Monchio, per celebrare il funerale cristiano, e poi fu deposto nel vicino cimitero.
A guerra finita, il 29 maggio 1945, il papà Roberto riportò la salma del figlio al suo paese, su un biroccio trainato da un cavallo. Gli amici e gli abitanti di San Valentino gli andarono incontro in località Montadella. Poi il lungo corteo si radunò in chiesa. Tutti si unirono in preghiera e spontaneamente riconobbero Rolando come martire della fede. Le campane, silenziate durante la guerra dai nazisti, tornarono a suonare e le bandiere dell’Azione Cattolica, proibite durante il fascismo, tornarono a sventolare. Fu una festa della libertà religiosa.
Nel dopoguerra la memoria di Rolando e del suo martirio è rimasta viva e si è progressivamente diffusa, ma in modo discreto, quasi sotterraneo, come un seme che, deposto nella terra, lentamente germoglia.

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